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Autore: lapoetastra    27/11/2017    1 recensioni
Aveva controllato che la penna scrivesse, onde evitare inutili scarabocchi, ed aveva iniziato lentamente a profanare il bianco immacolato della cartolina con le strofe della poesia, che già aveva imparato a memoria.
Pensava a lei, mentre scriveva.
Pensava al suo viso non appena avesse letto quella poesia.
Magari si sarebbe commossa e lo avrebbe abbracciato, magari ci sarebbe scappato anche un bacio; magari, invece, no.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ha male, Ben.
Non un dolore di quelli che ti fanno venir voglia di urlare, bensì tutto il contrario, una di quelle sofferenze atroci e devastanti che di loro spontanea volontà ti impongono il silenzio, come se le parole potessero infrangere una già fragile e precaria diga, lasciando il fiume dell’agonia libero di scorrere, pericoloso e devastante.
Di cose da dire però Ben ne ha sempre avute tante, soprattutto a lei, sin da quando l’ha conosciuta.
Lei, Beverly Marsh, il cui solo pensiero ha sempre formulato nella sua mente frasi poetiche ed arzigogolate che mai, mai la sua estenuante timidezza avrebbe permesso che venissero pronunciate a voce alta.
Si era sempre rifugiato dietro la barriera dei libri, Ben, solo e solitario sin da quando era nato.
E proprio in uno di quegli inseparabili amici di carta a lui tanto cari, aveva trovato tempo prima una frase, una singola e breve proposizione che aveva soppiantato improvvisamente tutte le centinaia di scadenti sonetti che gli aleggiavano nel cervello.
Senza pensarci, aveva trascritto quelle poche e brevi parole su un foglio stropicciato, rileggendole più volte per assicurarsi ancora di più del loro valore.
Aveva deciso, poi.
Deciso rapidamente, senza pensarci, lui che era sempre metodologico e preciso in tutto, ai limiti della paranoia.
Ma quella volta era stato il cuore a parlare, e non il cervello, di solito irrecuperabile chiacchierone.
Aveva dunque comprato una cartolina, una di quelle piccole e carine, raffigurante uno scorcio di Derry, la città dove viveva ora, e dove viveva lei, e dove si erano conosciuti.
Lo spazio bianco del retro della cartolina era inizialmente parso a Ben come una landa infinita di paura in cui perdersi totalmente, senza possibilità di ritorno.
Aveva preso la penna, questa volta tremando leggermente, ora che il cervello sembrava essersi risvegliato dal suo stato catatonico e gli stava urlando di non farlo, che se ne sarebbe pentito amaramente.
Ma Ben, per una volta, voleva avere coraggio, anche solo per sapere cosa si provava.
Aveva controllato che la penna scrivesse, onde evitare inutili scarabocchi, ed aveva iniziato lentamente a profanare il bianco immacolato della cartolina con le strofe della poesia, che già aveva imparato a memoria.
Pensava a lei, mentre scriveva.
Pensava al suo viso non appena avesse letto quella poesia.
Magari si sarebbe commossa e lo avrebbe abbracciato, magari ci sarebbe scappato anche un bacio; magari, invece, no.
Ma non c’era più tempo né modo di tornare indietro.
Doveva continuare ad avere coraggio, Ben la femminuccia, Ben il fifone, come lo chiamavano i bulli a scuola, ora che lo aveva finalmente trovato.
Ce l’aveva fatta.
La poesia era stata trascritta, la dichiarazione affidata a bella carta, il luogo delle cose importanti.

“Brace d’inverno,
i capelli tuoi,
dove il mio cuore brucia.”

Era bella. Semplice, ma bella. Sicuramente significativa.
Ben aveva sorriso, rileggendola per quella che sarà stata la centesima volta.
Aveva ripreso poi nuovamente la penna in mano, discreta complice del suo Amore silenzioso e timido, e si era apprestato a scrivere il proprio nome al fondo della poesia, sul lato sinistro ancora immacolato della cartolina.
L’ultimo atto di coraggio.
Non ce l’avrebbe mai fatta, si era reso conto quasi subito. Quello era davvero troppo. Era pur sempre “Ben il fifone”, del resto. Non poteva pretendere troppo da se stesso in un solo giorno.
Aveva scritto semplicemente “un ammiratore segreto”, allora.
In fondo, era davvero ciò che era.
Un ammiratore che l’amava più di ogni altra cosa al mondo, rimanendo però sempre nascosto ed in silenzio, cosa che aveva con il tempo imparato a fare benissimo.
Rimanerlo ancora per un po’ non sarebbe stato un dramma, aveva pensato.
Sì, era giusto così.
Magari Bev avrebbe capito lo stesso chi si celava dietro a quel piccolo messaggio d’Amore. O forse no.
Certamente no.
Ed adesso il cuore di Ben brucia davvero, circondato dalle fiamme del rosso dei capelli di Beverly, così vicini a quelli grigio topo di Bill Denbrough, mentre lei gli sussurra timida la poesia che ha fatto radici nella mente di Ben e che ora minaccia di distruggerlo.
È convinta che gliel’abbia mandata Bill, quella cartolina.
Il bello e perfetto Big Bill, che le sorride, e non dice niente, lasciando che il peso di quella bugia schiacci totalmente Ben, che li guarda in disparte, nascosto.
Vorrebbe avvicinarsi a loro, prendere il volto di Beverly tra le mani, guardarla negli occhi e rivelarle la verità.
Dirle che è lui, l’ammiratore segreto.
È lui che ha trovato in quel vecchio tomo quella poesia, e l’ha attualizzata e migliorata legando ad essa l’immagine di lei.
È lui che la ama più di se stesso.
Deve farlo.
Un piccolo momento di amor proprio, e di coraggio.
Inizia a muoversi.
Si ferma.
Ricomincia a camminare, ma nella direzione opposta a quella dove Bev guarda Bill come se fosse la cosa più bella del mondo, mentre secondo Ben quel titolo spetta esclusivamente a lei.
Se ne va il silenzio, allora, solo con il proprio dolore e con quella dannata poesia che ancora gli rimbomba nella mente, affilata come un coltello, e con il proprio Amore silenzioso e ferito ancora stretto nel cuore.
Dovrebbe tornare indietro, forse è ancora in tempo per cambiare le cose, per dire la verità, per amarla, e per lasciarsi amare.
Ma Ben non ha mai avuto molto coraggio.
   
 
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