Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: DameVonRosen    27/11/2017    2 recensioni
Un Sandor Clegane crudele e spietato, ma anche incoerente, sofferente e combattuto, che mai vorrebbe fare i conti col proprio passato e con le proprie paure, ma che col tempo si renderà conto dell'inevitabilità di questo scontro.
Storia ambientata nel contesto di GOT, con personaggi nuovi e completamente scollegati rispetto ai libri o alla serie TV; solo alcuni sono stati estrapolati, cercando di farlo nel modo più fedele possibile, mantenendo inalterato il loro Background, la loro storia e il loro carattere.
Amo le storie in stile SanSan, ma in giro ce ne sono davvero molte e il rischio di ripetere quanto già prodotto da altri, o anche scadere nel banale e nel "già letto" era alto. Ho quindi optato per qualcosa di differente :) adoro il personaggio del Mastino, adoro quella sua profonda complessità che ogni tanto emerge.
Non temete se all'inizio il nostro amato Sandrone è apparentemente posto in secondo piano rispetto alla storia, non sarà sempre così ;)
Attenzione: possibile (probabile) linguaggio volgare, scene violente o contenuti forti.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Bronn, Nuovo personaggio, Sandor Clegane
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate
Capitoli:
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NYMERIA


Ho freddo, ormai è calata la notte e io non so accendere un fuoco; come se non bastasse non so dove sono e non ho cibo. Grazie al fiume ho potuto sciacquarmi, bere e rifocillare Dathmed, ma non posso andare avanti ancora per molto così. Non so se è nemmeno il caso di accendere un fuoco, visto che potrebbe essere visto in lontananza.
Che cosa ho fatto? Perché l’ho fatto? Per morire di fame e di freddo? Con Bronn sarebbe stato diverso: lui mi avrebbe insegnato tutto, mi avrebbe aiutata e protetta sempre. Penso a mio padre e a Mia, a come avranno reagito leggendo la mia lettera di addio: saranno stati sconvolti sicuramente, magari mio padre ha pure mandato i soldati a cercarmi, perché non avrebbe mai accettato una cosa del genere. In effetti è un’ipotesi abbastanza plausibile, quindi devo cercare di stare lontana dalle strade trafficate e dai villaggi piccoli, almeno per un po’.

Senza un motivo mi viene in mente Sandor Clegane. Nella mia mente emerge il suo viso deturpato e ostile, le parole crudeli che ha usato quella mattina, il modo in cui mi confonde. a volte riesco a vedere il suo animo dietro quegli odiosi modi burberi, altre volte mi domando se le ustioni sul viso non gli siano arrivate anche al cuore, se davvero ha una parte buona e gentile. Mi sento un’idiota per avergli dato quella rosa, l’avrà sicuramente buttata via pensando che fossi una ragazzina stupida. Forse lo sono stata.
Mi stringo il mantello addosso, mettendomi il cappuccio e, tenendo uno dei pugnali in mano, cerco di prendere sonno.
Sarà una lunga e fredda notte.

 



SANDOR


Fare colazione con un coniglio arrosto non è esattamente il modo migliore per iniziare la giornata, ma non c’erano grandi alternative, quindi spengo il fuoco, sistemo la sella di Stranger e parto subito al trotto, risalendo il fiume. È probabile che sia passata di qui: non è esperta di queste terre solitarie e non si addentrerebbe in un posto dal quale non saprebbe ritornare. Era a cavallo, quindi probabilmente è già in marcia a quest’ora.
Mi avvicino al fiume e cerco di identificare eventuali impronte di zoccoli, senza aver fortuna.

<< Dannazione! >> impreco ad alta voce, passando oltre.

Passano le ore e il sole si fa sempre più cocente, sebbene l’aria sia più fresca: mi sto avvicinando alle montagne dell’Altopiano; possibile che sia già arrivata fin qui?
In risposta alla mia domanda sento un nitrire di cavallo in lontananza: sono terre desolate, nessuno normalmente si addentra tra le montagne al di là del fiume, da solo.
Nessuno tranne chi non sa dove sta andando.
Un lampo di soddisfazione mi pervade.

“Beccata”

Quel cazzo di cavallo sembrava molto più vicino, penso mentre perlustro le zone dalle quali ho sentito il verso, nessuna traccia. Non me lo sono sognato, ne sono certo, si sarà spostata in avanti, sempre più verso Alto Giardino. Vado avanti fin quasi al tramonto, senza udire nient’altro che Stranger, finché lo sento di nuovo, un po’ più vicino: mi avvio al galoppo più velocemente possibile e prima di potermene rendere conto, vedo quello stesso cavallo correre nella mia direzione. È a mezzo miglio da me, lo vedo bene: è color nocciola, corre nella mia direzione come se fosse impazzito, ma non c’è nessuno che lo sta guidando, è solo.

Mi metto in mezzo al sentiero, così da costringerlo a rallentare e lo immobilizzo. È terrorizzato e ci impiego dieci minuti per calmarlo; vedo che ha delle ferite sulle zampe posteriori: lupi probabilmente, però è illeso. Ha una bella sella, è nobile, non è un cavallo selvatico; decido di ispezionarla meglio e lo vedo, chiaro come la luce del sole ormai tramontato: il marchio della casata Dayne impresso sul cuoio. Realizzo che questo è il cavallo di Nymeria, ma l’ansia mi pervade quando capisco cosa davvero significhi questo: perché non ha più il cavallo? Cosa è successo?

Non deve essere molto lontana, ma ormai è notte, davanti a me ormai ci sono i boschi e sono pieni zeppi di feccia e gente del cazzo: tra di questi probabilmente c’è anche lei, sempre ammesso che sia ancora viva. Non è prudente entrare a quest’ora, non ho voglia di finire ammazzato neanche per tutto l’oro del mondo, quindi mi accampo ai bordi della foresta, legando i cavalli.



 
NYMERIA


<< Dannazione-dannazione-dannazione!!! Come ho potuto essere così idiota?! >> sono furiosa e spaventata, ogni rumore è fonte di preoccupazione in questo momento. Mi sembra di sentire delle voci, ma anche dei rumori di foglie secche, versi di animali e uccelli, è tutto dannatamente confuso. come ho potuto scordarmi di legare Dathmed, come! Ed ora chissà dove sarà andato, dannazione. Penso a cosa fare, al fatto che potrei chiamarlo, correndo il rischio di attirare l’attenzione di chi vive in questo bosco; senza contare che magari è ormai è andato chissà dove. Guardando il cielo stellato so orientarmi, è una cosa che mi ha insegnato Bronn: decido in ogni caso di non tornare da dove sono venuta, ma di andare avanti cautamente, verso nord, sperando di arrivare alla fine della foresta. Credo di aver dormito tre o quattro ore prima di svegliarmi, quindi non ci vorrà molto prima dell’alba: preparo l’arco e incocco una freccia, iniziando ad avanzare il più silenziosamente possibile. I tagli sulle mani mi fanno male, anche se prima, a palazzo, ho provato a fasciarle meglio che potevo: avrei dovuto portarmi dei guanti. Dannato Sandor Clegane!

Cammino per molto tempo, completamente al buio, finché sento chiaramente delle voci in lontananza: sono sulla mia strada, quindi mi avvicino cautamente per poterli vedere. L’angoscia mi assale non appena i miei occhi mettono a fuoco nell’oscurità: sono dei banditi, probabilmente dei fuorilegge, attorno a un fuoco ormai quasi spento che chiacchierano e ridono tra di loro. Devo assolutamente passare oltre senza farmi vedere, senza fare il minimo rumore, sperando che non ve ne siano altri a poca distanza. Cerco di osservare meglio che posso, intanto che mi allontano da loro, guardando a terra: se calpesto una foglia secca è la fine. Le mie mani sono ben salde attorno all’arco e alla freccia incoccata, mi rendo conto che sto tremando e sudando, che non sono mai stata così impaurita e sola. Se dovesse accadere qualcosa nessuno verrebbe a salvarmi, posso solo sperare di avere, in tal caso, abbastanza sangue freddo da combattere.

Ma chi voglio prendere in giro, rifletto: non ho mai ucciso nemmeno un uccellino. Sono abbastanza in grado di combattere perché qualcosa a corte ho voluto imparare, ma da questo ad ammazzare una persona ne passa. La paura dentro di me aumenta a causa di questo, perché so che probabilmente se mi prendessero non avrei scampo, non voglio nemmeno pensare a cosa mi farebbero ma cerco di restare lucida e proseguo, costeggiandoli in lontananza.

Senza nemmeno rendermene conto li ho superati, ormai non sento nemmeno più il loro vociare e cammino più velocemente e più tranquilla. Ma l’angoscia torna in me in un attimo: magari hanno smesso di parlare perché mi hanno sentita e ora mi stanno silenziosamente inseguendo. Cazzo, se fossi con Dathmed potrei partire al galoppo, ma non posso, dannata me.
Ho troppa paura, non riesco a voltarmi per controllare, mi sento tremare e, con ancora l’arco stretto in mano, inizio a correre più veloce che posso. Il vento freddo mi irrita il viso, mi ferisco le gambe e le braccia cadendo tra dei rami e un ramo mi rimbalza sul viso, facendomi male. Ma non sento nulla, l’unica cosa a cui penso è a correre, sperando di non essere inseguita. Nel momento in cui il dolore muscolare è insopportabile decido di voltarmi, sempre correndo, rendendomi conto di essere sola; mi fermo di colpo e cerco di incamerare tutta l’aria che posso. Sento dolore ovunque, anche nel ventre e nella gola: appoggio le mani sulle ginocchia per facilitare la respirazione ma non faccio nemmeno in tempo a farlo che uno strano rumore, proveniente da sinistra, mi fa alzare lo sguardo, in quella direzione. Non vedo nulla, l’oscurità è ancora impenetrabile, ma sento dei rumori che lentamente si fanno più forti, percepisco il rumore del terreno calpestato e, improvvisamente, sento ringhiare.
Il sudore mi si ghiaccia su tutto il corpo, ogni parte di me è terrorizzata e impietrita; non riesco ad alzare l’arco e a puntarlo in quella direzione, non riesco a muovere un muscolo. Intravedo dei lineamenti che fanno pensare a un lupo o a un cane, ma ancora mi trovo immobilizzata, con la testa vuota. Di colpo l’animale abbaia, mostrando le zanne, e io mi desto come in un sogno: punto l’arco verso la sua direzione, ma mi accorgo che tremo come una foglia. Non sarei mai in grado di mirare e per tutta risposta il cane corre verso di me e io faccio l’unica cosa che riesco a fare, mi volto e corro.

È alle calcagna, lo sento che abbaia e sento il suo respiro; lascio cadere l’arco per correre più velocemente e nel contempo estraggo uno dei pugnali, sperando di non doverlo usare. Non ho più fiato, i polmoni mi fanno male e mi sembra di non riuscire nemmeno a respirare, l’angoscia e il terrore si impossessano di me, ma cerco di continuare a correre. Un dolore lancinante sul mio polpaccio mi fa cadere a terra, rotolando per qualche metro: la morsa del cane è ferma e decisa e io non credo di aver mai sentito un dolore peggiore in tutta la mia vita. Cerco di ferirlo con il pugnale che ho in mano e lo colpisco sulla spalla; ha mollato la sua presa sulla mia gamba, ma immediatamente mi salta addosso, puntando al volto, e io mi rotolo e mi copro con le braccia, facendomele graffiare profondamente: urlo di dolore e scalcio forte, colpendolo più volte. Ma non sembra intimorito, anzi, si accanisce sempre di più, realizzo che vuole uccidermi e che quindi devo fare lo stesso, se voglio avere la meglio. Lottando per tenerlo lontano afferro il secondo pugnale e, in un modo o nell’altro, provo a piantarglielo in corpo, senza riuscirci.
Le sue unghie mi squarciano la carne e il dolore è insopportabile, ho davvero paura di non farcela; finalmente gli pianto una lama nella coscia e lo sento guaire di dolore, fermando il suo attacco. Io ne approfitto per infilzarlo alla schiena, e poi alla pancia, e alla gola, e al muso; non so quanti colpi gli ho inferto con esattezza, ma so che quando mi sono fermata era già morto da un po’. Sento che sto piangendo rumorosamente, singhiozzando e urlando: sento dolore ovunque, ma soprattutto ho paura, sono terrorizzata; lentamente mi calmo, anche se le lacrime non smettono di scendere.

Mai più di ora sento la mancanza di Bronn.

Mi manca da morire, sento di avere perso stanotte, sento di non averlo reso fiero di me. Non so perché, ma mi sento nuovamente in colpa per la sua morte: potrebbe essere qui con me in questo momento, invece è un ammasso di fumo e cenere perché gli ho fatto combattere una guerra che non era la sua. Ho lasciato che morisse per me, per la mia libertà. Lui è morto per me e io stavo quasi per morire a mia volta.

<< Mi dispiace, amico mio. Mi dispiace. >> balbetto, ancora sotto shock, pensando che qualcuno mai potesse sentirmi.

Chino lo sguardo sul mio corpo e improvvisamente mi rendo conto del dolore che sto provando: quasi tutti i miei abiti sono intrisi di sangue e strappati in più punti, non so cosa fare. Inizio raccogliendo i due pugnali e infilandoli nelle fondine, per poi ricordarmi dell’arco: non deve essere molto lontano, realizzo, ma non so se me la sento di rifare il percorso di prima. Tento di rialzarmi in piedi ma il dolore alla gamba non me la fa nemmeno appoggiare, facendomi crollare al suolo, la osservo meglio: non è rotta perché riesco a muovere il piede e la caviglia, ma i denti hanno strappato la carne in più punti, anche sui muscoli. Strappo un lembo di tessuto dal mantello e, dopo aver lavato le ferite, stringo delle fasciature e dei noti in prossimità dei tagli; fa male, un male tremendo che si irradia fino alle ossa. Penso che forse non potrò più camminare, che resterò zoppa o storpia per tuttala vita e il panico mi assale; con le mani tremanti mi fascio allo stesso modo anche le braccia e, per quanto riesca, le altre parti del corpo tagliate o martoriate. Berrei volentieri un sorso di acqua, ma decido di conservarla per ogni evenienza. In compenso cerco di alzarmi nuovamente in piedi, usando come supporto un grosso bastone che trovo accanto a me. Faccio fatica ma riesco ad appoggiare la gamba, lentamente provo a camminare e, con soddisfazione, riesco a farlo, seppur con dolore.

Quanto sono stata avventata e stupida. Cosa pensavo di fare? Di potermi addentrare in una foresta e sperare di uscirne illesa? Non so nemmeno combattere, è già bello che sia ancora in vita. Sono arrabbiata con me stessa, mi odio per aver abbandonato Dathmed e per non aver riflettuto su questa scelta.

“Però Bronn era disposto a venire con me, quindi forse tanto sbagliata non è. Forse la scelta è giusta, solo che non so come andare avanti per questa strada.” Convengo tra me e me.
Una cosa è certa, tuttavia: non ho speranze di sopravvivere se sono disarmata; mi rimetto finalmente in sesto e mi avvio, andando a cercare il mio arco.


 
 
SANDOR

Il sole è appena sorto, svegliandomi dalla mia posizione scomoda in cui stavo dormendo. Impreco, ne ho già piene le scatole di questa situazione: voglio trovare quella cavolo di ragazza, costi quel che costi, viva o morta che sia, così da poterla riportare al padre e farmi ricoprire d’oro.
Mi rimetto l’armatura, sistemo la sella a Stranger e, legando anche il cavallo dei Dayne, mi avvio verso la foresta che ho davanti. Ci impiego quasi tutta la giornata a percorrerla e quando termino di perlustrarla è sera inoltrata. Della ragazza neanche l’ombra, il che è strano: se fosse morta, qualche residuo l’avrei trovato; ma ancora più strano è il fatto che sia viva, che sia riuscita ad uscire dalla foresta senza cavallo e illesa.
Il giorno successivo finisco di perlustrare il bosco, per poi uscirne e avviarmi a nord, percorrendo il fiume: ormai sono nelle terre dell’Altopiano, vicino ad Alto Giardino.

“Possibile che sia arrivata fino a qui? E se avessi sbagliato strada fin dall’inizio?” so che la direzione è giusta, ma mi snerva non averla ancora trovata, non aver trovato nemmeno un indizio che sia uno, fatta eccezione per questo dannato cavallo di pura razza.
Proseguo per tutto il pomeriggio, finché non mi imbatto in un rudere abbandonato: sono due mura in croce, probabilmente distrutto da una battaglia di qualche secolo fa, ma può rivelarsi un riparo. Mi avvicino, smonto da cavallo e con un calcio sfondo la porta in legno marcio; entro con passo sicuro, brandendo la spada e guardandomi intorno.

Un colpo di tosse mi fa voltare di scatto in direzione di quel rumore e vedo una figura incappucciata, rannicchiata per terra, tremante dal freddo e, probabilmente, malata e febbricitante. Non la degnerei nemmeno di uno sguardo, se non fosse per quel mantello che riconosco in pochi secondi: la fattura pregiata, lo stemma cucito in oro. Era lo stesso che indossava quella notte in cui tentò la fuga con il suo ex mercenario: Nymeria.

“Ti ho trovata, cazzo.” sono soddisfatto, ma anche colpito dal fatto che sia arrivata praticamente nel territorio dei Tyrell quasi unicamente camminando. Capisco che non sta bene: resta nascosta alla mia vista, come se non si rendesse minimamente conto della mia irruzione, continua a tremare e tossire.

<< Mia signora, Nymeria. >> mi avvicino, mi inginocchio a lei e senza troppa delicatezza le tolgo il cappuccio. I suoi occhi finalmente si alzano e si piantano nei miei, permettendomi finalmente di mettere a fuoco il suo viso. La vista di quello che ho davanti mi destabilizza e sono pur certo che, se non fosse stato per quegli occhi viola, sarei stato capace di non riconoscerla. Il viso è scarno, le occhiaie bluastre le invadono buona parte del volto, le labbra sono spaccate e bianche, lo sguardo spento ma al contempo spaventato. Riconosco che è malata, probabilmente ha la febbre o è stata ferita; mentre mi guarda mi sorride di gratitudine, mettendomi a disagio.

<< S-Sandor! Sono felice di vedervi. >>

“Se sapessi il motivo per cui sono qui non la penseresti allo stesso modo.” Ma mi limito a rispondere.

<< Cosa è successo? >>

In risposta lei scosta il mantello, mostrandomi i vestiti strappati e sporchi di sangue ormai secco e maleodorante; vedo delle ferite non ancora rimarginate, delle infezioni. Si è ferita e non si è disinfettata, ammalandosi; il fatto poi di essere visibilmente denutrita e macilenta non ha certo contribuito a farla guarire. Decido di non fare ulteriori domande.

<< Ve la caverete, ma dovete uscire da questo posto, avete bisogno di medicazioni e di riposo. Venite, vi riaccompagno a casa. >> faccio per sollevarla, mettendole un braccio sotto alle ginocchia, ma lei si scansa, opponendosi con forza, per quanto riesca.

<< No! >> sussurra debolmente << Non voglio andare a casa, non vado a casa! >>

Mi fa incazzare la sua testardaggine, ma so anche che in quelle condizioni non può né contraddirmi né tantomeno opporsi fisicamente, il che mi rilassa.

<< Non importa se non vi va, siete malata e avete bisogno di cure, inoltre vostro padre ha promesso un sacco di oro a chi vi riporterà indietro. >> la sollevo e lei cerca di lottare, inutilmente.

<< Mettetemi giù, non ve lo permetto! Lasciatemi in pace, lasciatemi qui! >> scalcia e si dimena, urlando di dolore ma senza acquietarsi un secondo. Al che le lego i polsi dietro la schiena e le caviglie, caricandola su Stranger e mettendomi dietro di lei.

<< Adesso andiamo al fiume e vi pulirò le ferite, altrimenti non arriverete viva a domani. Inoltre dovete mangiare e bere qualcosa; fidatevi, se non lo fate morirete. >>

<< Non mi importa, lasciatemi morire qui! Lasciatemi libera! >>

<< Avete rotto il cazzo con la vostra libertà! Sapete quanto ho rischiato per venirvi a prendere? >>

<< Già, avete rischiato la vostra vita per dell’oro, il che la dice lunga su quanto valga la vostra persona! >>

<< Beh, facile parlare così quando i soldi si cagano dal culo e si vive a palazzo! >>

<< Infatti ora sono proprio a palazzo a cagare denaro! >> mi risponde sfacciata e tagliente, come sempre, facendomi incazzare ancora di più. Non le rispondo ma sprono il mio cavallo e, verso sera, giungiamo al fiume. La sollevo e la adagio vicino alla sponda, mentre continua imperterrita a lamentarsi e a insultarmi per il mio poco onore nel fare quel che sto facendo.

“Sai che onore invece, morire soli in un rudere perché non si sa badare a sé stessi” le ho risposto così talmente tante volte da dimenticarlo, con lei che ogni volta rispondeva in modo diverso. Le avrei mollato volentieri quattro schiaffi ben assestati per farla star zitta, ma conciata come era conciata, sarei stato capace di ammazzarla con un colpo solo.
Le do da bere l’acqua che mi sono portato appresso e lei per tutta risposta, oltre a trangugiarla tutta, mi dimezza anche il vino, il tutto senza smettere un attimo di lamentarsi.

<< Come potete riportarmi a casa! Sapete quanto non voglia tornare! Io… io pensavo che voi avreste capito. >> è debole e fiacca, la pelle è giallognola ma il vino le sta facendo riprendere colore. La guardo per un attimo, prima di slegarle le caviglie e affaccendarmi con le sue ferite: certo che capisco, ma non è un mio problema se lei non ama casa sua. Come è scappata una volta può farlo di nuovo, sperando che suo padre non la rinchiuda nella sua stanza; inoltre i soldi mi fanno molto più comodo della sua libertà.
Cerco di essere delicato ma lei sussulta al mio tocco, le piaghe si sono aperte e il sangue esce abbondantemente; nonostante questo non si scompone: il suo viso è una maschera di dolore e rabbia, ma non mi da la soddisfazione di piangere o lamentarsi.
È una donna forte e orgogliosa, oltre ad essere una gran rompiscatole.
Senza troppe cerimonie le slaccio le ultime fasciature e, sollevandola, la immergo in acqua fino a sopra il ginocchio. Il contatto con l’acqua fredda la fa inspirare velocemente, mantenendo gli occhi sbarrati di sorpresa, però sembra senta meno dolore e più sollievo.

<< Ce la fate a ripulirvi il sangue senza di me o devo chiamare la vostra ancella?! >> lei mi guarda con astio e si scosta da me, proseguendo da sola. Io mi allontano e mi siedo sull’erba, guardandola in lontananza mentre, in piedi, cerca di pulirsi; i movimenti sono lenti e deboli, ogni tanto sembra avere le vertigini ma resta comunque in piedi. Decido di non preoccuparmene più di tanto, sembra sapere il fatto suo, quindi tiro fuori il coniglio arrosto di due mattine fa e lo preparo a pezzetti per farglielo mangiare. Ormai è buio, ma è comunque necessario accendere un fuoco e tenere quella ragazza al caldo, altrimenti congelerà e morirà di febbre in un’ora; col suo mantello ricavo delle strisce che userò per fasciarle le ferite.

Di colpo sento un tonfo e l’acqua fa un rumore più forte, più grave: alzo gli occhi e Nymeria non è più in piedi, l’unica cosa che vedo è la sua schiena per metà fuori dall’acqua, ma il viso sta guardando il fondale. Mi alzo e corro verso di lei, ormai il fiume la stava portando via, la sollevo di peso e la prima cosa che faccio è guardarle il viso; non vedo nulla di incoraggiante: bianca come un cadavere, non respira.
La metto supina sul terreno asciutto e le faccio un brusco massaggio cardiaco, non passa molto tempo che finalmente apre gli occhi, con un’espressione stupita, sputando fuori tutta l’acqua che aveva in corpo. La giro su un fianco, dandole dei lievi colpetti sulla schiena finchè non smette di tossire; la vedo chiudere gli occhi in un’espressione di dolore: è debole, troppo debole, probabilmente è svenuta per la stanchezza e il freddo.

<< Forza, non preoccupatevi, adesso starete meglio. >> la sollevo delicatamente, come quando l’ho riportata a palazzo quella notte, e la piazzo davanti al fuoco, il più vicino possibile. L’acqua nei polmoni so che brucia per dei giorni interi, ma mi domando se oltre a quello, se oltre alla febbre, alla malnutrizione e alle piaghe sta soffrendo ancora per quello che le ha fatto quel coglione, se i tagli si sono rimarginati.

“Certe ferite non smettono mai di sanguinare, probabilmente nemmeno le sue” mi ritrovo a constatare.

La guardo: è rannicchiata con il viso sulle ginocchia, tremante e stanca. Le faccio mangiare tutto il coniglio che riesce e la faccio bere il più possibile; le ho dato la mia cappa per avvolgersi, intanto che i suoi vestiti asciugavano. Le ho fasciato e cucito le ferite. Mi ha guardato e mi ha sorriso quando l’ho fatto, mettendomi a disagio. Non capisce che lo faccio solo per riportarla a casa? Per avere il denaro di suo padre? Non è stupida, probabilmente lo sa, però mi ringrazia comunque. Le avrò anche salvato la vita ora, ma domani la riporto in prigione.

<< Guardate quanto vi è costato, il vostro capriccio di libertà. >> dico aspramente. Lei solleva i suoi occhi sui miei.

<< Vi ringrazio per quello che state facendo ora, Sandor, anche se lo state facendo per riportarmi a casa; siete stato gentile con me, seppur per i vostri interessi. Ma non cambio idea sulla strada che ho voluto percorrere, preferirei morire, piuttosto che tornare a casa. >>

<< Preferite pure quel che vi pare, comunque sia domani sarete a casa. >> la guardo con sicurezza e lei di rimando mi guarda arrabbiata, con aria di sfida. Il fatto che lei non possa far niente per cambiare le cose e che io al contrario detenga tutto il potere mi diverte, soprattutto vedere il modo in cui si arrabbia per questo. Distoglie lo sguardo, troppo incazzata per rispondermi: vuole comportarsi da lady, vuole essere educata anche quando preferirebbe pugnalarti al cuore. Sbuffa e respira profondamente, con lo sguardo rivolto verso il fuoco.

<< Non vi siete mai sentiti al posto sbagliato, voi? Avete mai desiderato essere da tutt’atra parte rispetto a dove dovete stare? Non vi siete mai sentito fuori posto? >> è calma ora, sta riflettendo e le sue domande fanno riflettere anche me.

<< Da tutta una vita. >> le rispondo pacato e indifferente. Nymeria si volta verso di me.

<< E allora perché fate così? Perché mi impedite di realizzare i miei sogni, di stare meglio? >>
Nel mentre si è rivestita con i suoi abiti, ormai asciutti e puliti. Mi alzo e prendo le corde per legarla.

<< Perché quelli sono i vostri sogni, non i miei. È la vostra battaglia, non la mia. Io ne ho già abbastanza per i cazzi miei. >> sono tranquillo mentre le rispondo, mentre le lego le caviglie, i polsi e il busto alle braccia, stando comunque attento a non stringere sulle piaghe.

<< Ora dormite, avete bisogno di riposare e di stare al caldo. >> la copro con più indumenti possibile, tra cui quello che resta del suo mantello e la mia cappa. Sbuffa e si accuccia vicino al fuoco, ancora arrabbiata e nervosa, lo percepisco. Mi sistemo anche io a qualche passo da lei e cerco di prendere sonno, pensando a cosa sarebbe successo l’indomani, a tutto il denaro che avrei ricevuto.

“Ho salvato la vita a una donna e domani verrò coperto d’oro per questo. Sono stato bravo, cazzo” penso soddisfatto.

<< ‘Fanculo. >> non poteva che venire da Nymeria quell’espressione, così poco da lady, così sconveniente ma così autentica, così appropriata. Per l’ennesima volta sono sorpreso: pensavo sarebbe stata zitta, invece no, non è proprio da lei. Forse non può cambiare il fatto che domani sarà riportata nel posto che odia di più, ma non lo farà mai senza lottare, con qualsiasi mezzo a disposizione. Fossero anche solo parole e imprecazioni. 


 
NOTE DELL'AUTRICE
Buonasera cari lettori e lettrici :)
Che ne pensate di questo capitolo? Questi due ragazzi non fanno altro che scannarsi a vicenda, non trovate? Ma forse prima o poi un punto di incontro lo si troverà eheh
Un bacio e alla prossima!
M

 
   
 
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