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Autore: Alvin Miller    28/11/2017    0 recensioni
A pochi mesi dall'incoronazione a Principessa di Twilight Sparkle, una legione di mostruose creature giganti emerse dal nulla minacciando di ridurre l'intero regno di Equestria a una nuvola di polvere.
Il primo attacco colpì Manehattan. Il secondo puntò a Baltimare. Il terzo insidiò Las Pegasus.
Quando anche Canterlot fu presa di mira, capirono che gli Elementi dell'Armonia non erano più sufficienti.
Per combattere i mostri chiesero aiuto a Bibski Doss, un ribelle inventore sopravvissuto al primo attacco, che creò dei mostri a sua volta.
La battaglia per il destino del regno è cominciata!
Genere: Azione, Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Princess Celestia, Twilight Sparkle, Un po' tutti
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 10: La riunione

Quattro giorni trascorsi dal Quarto Attacco. Quattro giorni di ininterrotto via via, di scavi nella capitale, di corse al più vicino centro ospedaliero, Guardie Reali e civili volenterosi che lavoravano incessantemente per dare a tutti gli ospiti del castello i comfort che potevano, pony che raccoglievano le proprie cose per tornare in città, per poi capire che lassù, in cima alla montagna, era molto meglio restare che andare via, e la Grotta, la grotta che custodiva il segreto del Vello Oscuro, e che giorno per giorno veniva svuotata del suo contenuto, allargata, messa nelle condizioni di ospitare il più grande e significativo progetto della storia equestre.

Bibski Doss era stanco da morire, anche se il suo smisurato orgoglio non voleva darlo a vedere. Voleva dimostrare a tutti (e a se stesso prima di tutti) che era in grado di reggere la pressione che si era caricato addosso, ma la verità, specie quella che si esprime attraverso gli integerrimi messaggi del corpo, diceva che da lì a poco si sarebbe afflosciato come un palloncino sgonfio: gli occhi gli si socchiudevano mentre stava ancora diritto, e quando la sua mente era occupata in qualche processo, era difficile stabilire se la soluzione giungesse per zoccolo della sua mente cosciente, o se invece fosse qualche processo annidato nella recondità dei suoi sogni. Le zampe tremavano ed erano scosse da piccoli spasmi che un occhio poco attento non avrebbe notato, in quelle condizioni il suo corpo pesava cinque volte più del normale, e a volte, specie quando era da solo e nessuno stimolo esterno manteneva la sua attenzione viva e costante, gli capitava di inclinarsi in avanti spinto dal peso della sua testa e quasi a svenire, imprecando ogni volta che per poco non faceva la fine della tessera del domino. Per non parlare del fatto che il suo intero corpo dava dei chiari segni di rifiuto, di disagio profondo gridato come un minaccioso ultimatum e che si manifestava sotto forma di sudorazioni fredde e nausea, sia a stomaco vuoto che dopo i pasti, e un senso di vertigini come se si fosse rincorso la coda per dieci minuti abbondanti.

Per tutta la durata della sua permanenza a Canterlot, cioè da quando era rientrato alla base subito dopo aver visitato la Grotta e aver preso appunti sulle fasi che doveva mettere in moto, aveva fatto la spola da lì alla sede a Montestallone, coordinando il trasferimento di personale e materiale.

Per dare il via al Programma Rescue Equestria, così come aveva deciso di chiamarlo, si dovevano riattivare prima di tutto le fornaci situate in profondità nella montagna, vicine a dove ardeva ancora la camera magmatica che molti millenni prima aveva plasmato l’enorme obelisco roccioso, e in cui le armature in Equestrium Diamantato magicamente trattare sarebbero state fuse per ricavare la materia prima che sarebbe stata inviata al cantiere per la costruzione degli Jaeger. Ferro e altri metalli compatibili con le speciali proprietà dell’Equestrium, sarebbero stati disciolti per ricavare leghe che avrebbero garantito risorse durature per molti mesi a venire. Occorreva però stipulare accordi con le varie industrie metallurgiche del regno e delle nazioni vicine, e assumere fin da subito un numero sufficiente di personale per dare il via ai lavori senza accumulare ritardo già nei primi giorni. C’era bisogno di operai robusti per i compiti più impegnativi (specie alle condizioni estreme della camera magmatica) e di ingegneri capaci di leggere e di districarsi nei complicati schemi tecnici delle gigantesche macchine da guerra. Questo senza considerare l’astioso problema di quali coppie di piloti assegnare per ciascuna unità e di come fare per rendere gli Jaeger al cento per cento compatibili con le rispettive giumente. Per ognuno dei punti che iniziava a collegare, gli sembrava che un groviglio di biforcazioni si stendessero in tutte le direzioni per generare altri problemi ai quali avrebbe dovuto trovare il bandolo della matassa.

Si stropicciò gli occhi con uno zoccolo e si mise ad aspettare che le Custodi degli Elementi e le Principesse si sedessero al tavolo, intanto uno sbadiglio chiedeva il permesso di uscire, ma si trovò con le fauci serrate e l’ordine di tornare da dove fosse venuto.  

Erano all’interno di una grande sala da pranzo, più lunga di quanto non fosse ampia, e piena di decori che assolvevano in minore o maggiore misura al compito di dare un’estetica uniforme all’ambiente, Guardie Reali erano state incaricate di piantonare i due accessi principali e impedire a chiunque di entrare, in questo modo i presenti avrebbero potuto discutere con calma i vari punti della loro riunione, malgrado non si potesse fare a meno del vociare ininterrotto dei rifugiati che gremivano le altre sale.

Le ospiti della riunione presero posto guidate nella loro scelta dal caso, le sedie furono spostate con una flemma che si sarebbe potuta definire funerea, quasi come se l’atto di scavalcare il vocio di sottofondo avrebbe comportato l’espulsione seduta stante dalla sala, e un indaffarato Caps Lock armeggiava con un grande telo per le proiezioni che in un precedente momento era stato condotto in sala tramite il Ponte dei gemelli unicorno. Tutto questo mentre Bright trottava di qua e di là preso dalla noia per essere interpellato solo quando doveva fare da tramite con la base operativa (o per sollevare gli zoccoli quando c’era da prendere qualcuno a colpi sul muso).

Le Custodi apparivano provate e ben poco entusiaste di essere lì, almeno quanto lo era l’inventore, e come biasimarle di ciò? Solo due giorni prima si era tenuto il grande funerale cittadino, e le lacrime erano scese a rivoli fino a colorare le sclere di rosso. Se già questo non fosse sufficiente, essere allontanate da casa, allontanate da una quotidianità apparente ma rassicurante, costrette a combattere e poi a circondarsi di persone che a causa loro una casa non ce l’avevano più, aveva l’effetto di una febbre molto grave che ora dopo ora privava chi ne era infettato del desiderio di vivere. Esserci “già passate”, come continuavano a ripeterselo per allontanare il disagio, non le aiutava a venir fuori da quello stato di sconforto.

Applejack era quella che dava l’impressione di essere più in contatto con la realtà, i suoi occhi guizzavano lestamente, reagendo con curiosità alle stimolazioni visive, guardavano gli altri presenti, ciò che stavano facendo, con particolare curiosità alle apparecchiature tecnologiche manipolate dal tecnico informatico. Sembrava quasi in allarme, la giumenta, come se si aspettasse che da un momento all’altro dovesse succedere qualcosa. Tra tutte, era quella che si dava più da fare in città. Invece di alloggiare a castello con loro, in stanze separate dalla calca dei rifugiati, aveva trovato sistemazione in un accampamento di volontari della protezione civile giù in città, e per ringraziare le squadre di soccorso che gentilmente la stavano ospitando, ogni mattina si svegliava alle cinque in punto per preparare a tutti l’attrezzatura prima di unirsi a loro per un’uscita in città. C’era ancora molto da fare, e voleva essere una valida aiutante, non un peso, come invece avevano temuto i capi-squadra all’inizio. Quando poi rientravano da una giornata di scavi e di tensione psicologica elevatissima, si offriva anche di rimettere in ordine le loro cose mentre questi si concedevano un po’ di meritato riposo. Per lei la fatica era un concetto diverso da quello degli altri pony, quindi la giumenta dell’Onestà s’imponeva di occupare ogni ora della giornata possibile, e non era insolito che le altre Custodi non avessero sue notizie per delle giornate intere. Per Applejack quelle escursioni nelle rovine di Canterlot non servivano solo a cancellare i nomi da una lunga lista dei dispersi, era anche un modo per simulare quel bisogno di normalità che nel suo caso si esprimeva attraverso il lavoro fisico, ben diversamente dalle altre, che a parte impiegarsi in qualche mansione di carico leggero (o come Twilight che si era presa l’onere dell’organizzazione all’interno del castello) non avevano prospettive se non di aspettare. Ma aspettare che cosa, esattamente?

Caps Lock finì di allacciare i cablaggi e avviare il computer, questo era posto in un angolo del tavolo ed era alimentato da un piccolo generatore a cristalli magici, che da quando era stato acceso aveva cominciato ad ammettere un incessante brusio che ne attestava il corretto funzionamento. Per ultimo si assicurò che la prolunga del proiettore fosse inserita correttamente e che non desse fastidio per terra qualora qualcuno avesse deciso di passare. Quando tutto fu pronto, alzò lo zoccolo verso l’inventore per fargli cenno che potevano cominciare.

Bibski compì il gesto abitudinario di sistemarsi il casco dell’Equalizzatore, quindi prese fiato e iniziando a parlare: «Benvenuti a tutti e grazie per aver deciso di partecipare a questa prima riunione del futuro programma Rescue Equestria. Ringrazio anche le Principesse per averci concesso di usufruire di questa sala in via del tutto straordinaria. È infatti mio preciso desiderio che in futuro sia allestita una sala ad hoc direttamente alla Grotta, ma non è questo il momento di parlare di ciò.» Si stava dando un tono forzatamente ufficiale, che non combaciava con l’immagine che aveva dato di sé negli ultimi giorni. Ma nessuno ritenne fosse il caso di farglielo notare. «Confesso che sono stupito dell’assenza di Celestia, mi sarei aspettato che giungesse accompagnata da Voi, Princess Luna.»

Luna, che era stata invitata a sedersi a capotavola, sospirò sommessamente. «Non ti mentirò, la sua assenza ha sorpreso anche me. Immagino che avrà avuto le sue ragioni.» Scambiò allora un’occhiata con Twilight, che condivideva il suo stesso identico umore.

«Quindi devo concludere che non si unirà a noi? Se non è già qui allora non ha molto senso aspettarla, non trovate?» Fece cenno a Caps Lock di procedere e il tecnico informatico, attraverso il suo dispositivo, fece proiettare sul telo una rappresentazione dettagliata della mappa di Equestria. L’illuminazione della stanza, pensata chiaramente per altri scopi, non garantiva un’ottimale visualizzazione dell’immagine, ma anche in quel modo era più che sufficiente per assecondare i loro bisogni.

«Immagino che Sparkle vi abbia già informato su come stanno le cose, tuttavia ora faremo un po’ di mente locale, in modo da chiarire i dubbi e mettere in chiaro che da adesso in poi le cose si faranno con un certo criterio!»

Fece un altro cenno impercettibile a Caps Lock e sulla mappa comparvero evidenziate delle zone gialle e delle zone rosse, che indicavano rispettivamente il luogo di emersione e l’estensione dell’attività dei Kaiju. «Quello che abbiamo scoperto finora ci aiuta a pronosticare con un anticipo di poche ore la zona in cui è auspicabile che un mostro attaccherà, i Kaiju scavano sotto terra per spostarsi da un punto all’altro del regno, sfruttando all’occorrenza le caverne naturali presenti nel territorio. Questo si verificava soprattutto agli inizi della guerra, con i Kaiju Hermit, Desert Fox e The Rust che affioravano dalle principali catene montuose del regno. È interessante notare che i tre Kaiju avevano delle caratteristiche comuni tra loro, come la puntualità dei sei mesi, come se fossero “programmati” per attaccare entro quella cadenza temporale, ma non solo, che erano anche “attratti” dai grandi insediamenti urbani, e sembravano “imparare” dagli errori dei loro compagni caduti. The Rust era dotato di saliva acida, la prima vera arma di difesa che abbiamo potuto osservare in un Kaiju. Ma da quando è apparso Cyclop non ho potuto non pensare che c’era qualcosa di diverso in lui. Cyclop era imprevedibile, selvaggio, e oltre a questo era dotato di una resistenza che nessun altro Kaiju aveva mai eguagliato fino ad ora. Secondo voi perché?»

«Adattamento.» Pronunciò Twilight, consapevole della risposta.

«Adattamento.» Annuì Bibski. «Ma a che scopo? Sì, è vero che possiamo dire che lo fanno per “distruggerci”, ma dobbiamo porci anche altre domande, analizzare la situazione da punti di vista che non abbiamo considerato finora. “Cosa sono i Kaiju”? “Quali sono i loro scopi”? Piuttosto che chiedermi questo io preferisco domandarmi “Chi li manda”? So bene che questa frase potrebbe causare degli attacchi di scetticismo tra alcune di voi, ma credetemi se vi dico che ne sono convinto, le prove sono sotto i nostri occhi! Abbiamo visto che queste creature sono consapevoli della conformazione geologica del nostro sottosuolo, al punto che sanno individuare con precisione assoluta i centri abitati con maggior densità demografica, per di più, sono già in grado di annullare i nostri poteri magici, contrastando persino gli Elementi dell’Armonia, la nostra più grande arma e fino ad ora l’unica risorsa in grado di sconfiggerli.» Puntò lo sguardo a Fluttershy, che di risposta si ritrasse intimorita. «Fluttershy, tu che trascorri le tue giornate con gli animali, sapresti spiegare a questi pony il concetto di “evoluzione della specie”?»

La pegaso canarino, sentendosi un poco più sicura per essere stata interpellata nel suo campo d’interesse, rispose in maniera chiara ed eloquente: «Uhm… è una forma di adattamento tipica delle specie… che però si manifesta nel corso di diverse generazioni, tramite mutamenti casuali che possono rivelarsi più o meno funzionali alla sopravvivenza dell’individuo.» Sorrise con un cipiglio timido, come per chiedere se fosse stata brava, se avesse data la risposta corretta.

«Generazioni, ergo un lasso di tempo estremamente lungo.» Riprese l’inventore. «Quello che mi preoccupa è la modalità con cui questi cambiamenti si verificano: ogni nuovo Kaiju si adatta alle vostre strategie precedenti con una puntualità quasi artificiale: voi ne uccidete uno, e quello successivo si rivela un poco più resistente del precedente, voi sconfiggete pure quello, e il prossimo sviluppa la capacità di sospendere l’utilizzo degli Elementi dell’Armonia. È una forma di adattamento troppo repentina perché si verifichi in natura! Se anche si trattasse di un processo indotto, questo implicata per forza l’intervento di un Master, qualcuno dall’esterno, che controlla e muove i Kaiju a suo piacimento, e che fino ad ora non si è mai rivelato apertamente. Un nemico, direi, molto pericoloso, e che è in grado, attraverso le sue risorse, di contrastare persino il potere di una creatura come il vostro draconequus!»

Ripensare a Discord, che in quelle ore si stava sottoponendo a lunghi ed estenuanti cicli di analisi per capire come mai lui e i suoi poteri non fossero tornati come un tempo, fece ottenebrare i pensieri non soltanto di Fluttershy - che pure aveva le sue ragioni per sentirsi in quello stato - ma anche delle altre Custodi degli Elementi, soprattutto di quelle, come Rarity, che avevano provato sulla propria pelle l’orribile sensazione di essere private delle proprie abilità magiche.

«Non ho idea di quale possa essere la natura di questo fantomatico nemico, né quali siano i suoi scopi o del perché si serva dei Kaiju per raggiungerli. L’obbiettivo che dobbiamo porci, ora, è di trovare nuove informazioni che ci consentano di combattere i Kaiju giorno per giorno, e forse, si spera, di sconfiggerli definitivamente. Cyclop, da questo punto di vista, ci ha permesso di fare dei passi in avanti, ma navighiamo ancora in alto mare, se il nostro obbiettivo è di raggiungere la spiaggia.»

«Vorrei intervenire, se è possibile» Si fece sentire Luna, che fino a quel momento aveva solo assimilato informazioni che successivamente avrebbe dovuto riportare alla sorella assente.

«Prego Principessa, parlate pure.»

«C’è una cosa che non mi è chiara: avete installato in tutto il regno dei sismografi per monitorare l’attività delle creature. Non avete ricavato niente dai dati che avete raccolto?»

«La sismologia non è una scienza esatta.» Sospirò Bibski, ma era più probabile che fosse l’esitazione di uno sbadiglio. «È vero, noi siamo stati dei pionieri in questo campo, avendo creato da zero gran parte della strumentazione, ma ci sono ancora molti punti su cui non riusciamo a far luce. PERÒ… !» alzò la voce facendole sobbalzare tutte quante. «Siamo in grado di fare alcune ipotesi, anche se forse sarebbe il caso che vi metta in guardia: quello che vi sto per dire potrebbe mettervi in agitazione, confido nella vostra capacità di controllarvi.»

Si fecero più attente, Twilight si stava domandando se ci fosse qualcosa di cui non era ancora stata informata.

«Crediamo che la Everfree Forest, o per essere più chiari, il sottosuolo di quel settore possa essere in qualche maniera correlato alla comparsa dei mostri.»

Le reazioni non furono così sceniche come si sarebbe aspettato, non ci furono balzi dalla sedia, grida di terrore o bocche spalancate dalla sorpresa, era molto più simile alla notizia di un decesso improvviso avvenuto in famiglia.

Una per una si sentirono mancare qualcosa, chi il fiato, chi la terra sotto le zampe o il contatto con la realtà. Rainbow Dash sentì montare dentro di sé una rabbia incredula, e strinse dolorosamente lo zoccolo mentre lo nascondeva sotto il tavolo. Twilight, colta dall’impulso di alzarsi, si rese conto di non sapere per quale ragione lo avesse fatto. Fluttershy si era alienata dalla riunione, rapita e poi intrappolata in un abisso vorticante di paura, incapace di percepire il futuro a distanza di poche ore da quel momento, mentre era un mistero insondabile cosa stesse passando per la testa di Pinkie Pie in quel frangente.

Per quanto riguarda Applejack e Rarity, nell’istante in cui la notizia giunse alle loro orecchie il loro primo pensiero fu rivolto alle sorelline.

«D-dobbiamo fare qualcosa… avvisarli… dobbiamo tornare a Ponyville e dire a tutti quanti di… » Rarity cercò di mettere insieme le parole ma i suoi denti picchiettavano dal terrore.

«Calmatevi, ragazze. Ve l’ho detto, non ne siamo sicuri! Certo l’attività sismica registrata nel settore è un indizio importante, ma se dobbiamo giungere alla stessa considerazione ogni volta che un settore registra qualche scossa, allora dobbiamo concludere che l’attività dei Kaiju si sia estesa su tutta Equestria!»

«Però qualcosa di diverso deve esserci, o non avrebbe senso che tu ce lo dica!» Intervenne Twilight, in tensione.

«Corretto, Sparkle, ma prendete questa cosa con i dovuti criteri. Quello che abbiamo dedotto, semplicemente, è che se i Kaiju hanno davvero tutti la stessa origine, questa deve trovarsi per forza in un punto da cui è possibile raggiungere facilmente ogni altra località di Equestria. Se pensate poi che le recenti attività sismiche hanno coinvolto, guarda caso, Ponyville e la Everfree Forest è facile trarre delle conclusioni su quale possa essere l’epicentro della loro origine!»

Nella gola di Twilight si udì lo schiocco di una deglutizione rumorosa, se veramente la Everfree Forest era implicata nell’apparizione dei Kaiju, così come ipotizzato dall’inventore, sarebbe bastato un niente, un semplice Sentiero, una passeggiata di campagna per obliterare per sempre Ponyville dalla storia.

Ponyville. La loro casa. Le loro famiglie.

«Comunque in mancanza di prove inconfutabili è meglio se non vi preoccupiate prematuramente. Presto la nuova sala di controllo all’interno delle Grotta sarà operativa, e da lì Caps Lock e Sound Aura avranno gli occhi puntati su tutti i settori.»

«Però dovremo rimuovere i filtri anti-segnale usati per celare i movimenti dell’Ursa Major nel Ventinove.» Puntualizzò Caps dal suo posto a sedere.

«Mi sembra ovvio che lo dovete fare.»

«Quello che intendo è che potremmo incorrere in un falso positivo se i rilevatori scambiassero i suoi movimenti per quelli di un’eventuale attività dei Kaiju.»

«Allora trovate il modo di isolarli senza compromettere l’efficienza dei rilevatori! Piuttosto direi che è arrivato il momento di affrontare quell’altro argomento, manda in visione gli schemi, Caps.»

Il tecnico informatico eseguì l’ordine e sullo schermo si materializzarono degli schemi tecnici. Questi erano più precisi e dettagliati di quelli abbozzati su foglio che erano stati mostrati a Twilight e Celestia, ed erano ricchi di tanti piccoli particolari che per essere studiati fino in fondo avrebbe dovuto essere zoomati e poi analizzati centimetro per centimetro.

«Se ve lo state domandando, la risposta è sì: questi sono gli Jaeger che dovrete pilotare.»

«Pilotare… » mormorò Applejack sommessamente.

«A tempo debito ad ognuna di voi sarà consegnato un manuale nel quale troverete tutto ciò che dovrete sapere sul vostro rispettivo Jaeger. Sarà di estrema importanza che voi lo leggiate da cima a fondo e impariate ad interagire con i comandi. Vostra sarà la responsabilità non solo di difendere il regno dai prossimi attacchi, ma anche di pensare alle condizioni del vostro mezzo. Non mi pare il caso di distruggerli alla prima battaglia, o saremo di nuovo punto e a capo.»

Di una cosa era sicura Twilight: avrebbe letto quel manuale, anche se non poteva garantire lo stesso delle altre Custodi. C’era però un'altra domanda che le premeva chiedere. «Non stai trascurando qualcosa Doss? Come faremo a pilotare le macchine, ce lo spieghi?» Aveva condiviso un pensiero comune.

Nel mentre Fluttershy stava farfugliando: «Io non voglio entrare lì dentro, non esiste!»

«Beh, a questa domanda risponderà il buon Bright. Bright, a te il microfono.»

L’unicorno alto dovette raddrizzare il suo garrese, non se lo aspettava. Aveva in serbo un discorso che si era preparato mentalmente durante l’attesa, ma la repentinità con cui tutto era successo lo fece incespicare per un breve istante «I vostri dubbi sono leciti… infatti vi verrà richiesto uno sforzo non indifferente per governare le macchine, che non risponderanno tempestivamente ai vostri comandi, almeno non all’inizio. In aggiunta dovrete combattere, e se pensate che gli scontri che affronterete siano simili alle battaglie che avete superato in passato, mi spiace ma dovrete ricredervi.»

Nessuna di loro lo stava pensando, ad eccezione forse della pegaso arcobaleno.

«Quindi» continuò Bright, ritrovando il suo copione «dovrete imparare a fare vostra l’arte del combattimento corpo a corpo. Sarò io il vostro allenatore per tutta la durata dell’addestramento, e vi seguirò passo per passo fino a quando non avrete imparato a padroneggiare alla perfezione controlli degli Jaeger!»

Rarity provò un brivido di tensione. «Ci sarà consentito usare la magia?»

Bright scosse la testa. «Non direttamente. Come vedrete nei manuali che in futuro Bibski vi consegnerà, gli Jaeger saranno dotati un equipaggiamento di armi pesanti che farà le veci dei colpi magici dirompenti e di altri simili incantesimi, ma si tratterà sempre di armamenti pesanti, che necessiteranno di ricariche e di carrelli che portino in posizione i successivi colpi a sparare.»

La stilista registrò le informazioni fingendo di capire, anche se in realtà qualcosa da dentro l’orecchio le mormorava che sarebbe stato molto più complicato di così, e la cosa non la confortò.

«E come intendi fare?» Chiese in maniera diretta e pragmatica Applejack. «Io devo pensare anche alla fattoria. Sentirti parlare di addestramento mi dà l’idea di qualcosa che non si concluderà in tempi brevi!»

«No, infatti.» Rispose l’unicorno alto. «E questa forse potrebbe essere la parte più difficile per voi…»

«Difficile ma necessaria, vorrei sottolineare.» Fece eco Bibski, celere a mettere in chiaro le cose prima che l’amico riveli la notizia.

L’unicorno alto emise un sospiro mentre soppesava l’impazienza delle Custodi. «Dovrete restare qui.» Disse d’un fiato. «Dovrete sottoporvi a un allenamento rigido e quotidiano, e dovrò seguire di persona i vostri progressi, passo per passo.»

Un altro duro colpo che dovettero affrontare in silenzio. Tirarsi indietro non era possibile, anche perché se erano arrivati a questo punto, significava che le alternative erano già state scartate.

Fluttershy cominciò a piangere riempiendo di singhiozzi la sala, e le sue amiche furono costrette ad avvicinarsi per cercare di consolarla, Pinkie Pie le accarezzò dolcemente la criniera, nascondendo il fatto che sotto sotto anche lei aveva una lacrima che le brillava da un angolo dell’occhio. Ma non era questo che impensieriva maggiormente gli interessati: sapevano bene che se per quattro di loro era ancora possibile staccare dalle loro attività a Ponyville per dedicarsi all’addestramento, ben altra cosa sarebbe stata invece per le rappresentanti dell’Onestà e della Generosità.

La cowgirl si tolse il desperado e lo adagiò al tavolo per dare fiato ai suoi pensieri. «Suppongo che dovrò chiedere a Big Mac e a Granny Smith di fare anche la mia parte.»

Applejack la prese meglio del previsto, in un modo che stupì persino lei stessa. Per Rarity fu invece un colpo molto più duro. Al contrario dell’amica, lei non aveva nessuno che la sostituisse, non aveva un’assistente, una manager che la aiutasse con in sua assenza e si occupasse delle commesse più difficili (altrimenti sarebbe stato semplice chiedere a sua madre di farle un favore), anche se in certe occasione le era balenato il pensiero di espandersi in altre città e assumere una giumenta di fiducia, ma non di questi tempi, non nell’Equestria minacciata dai Kaiju.

E ultimamente sembrava che la sfortuna si fosse abbattuta su di lei. Gli ordini per le serate mondane a Canterlot erano una delle sue principali fonti di rendita, e qualcosa le diceva che ci sarebbe voluto un bel po’ prima che un nuovo cliente bussasse alla sua porta. E non bastava avere quasi perso la sua magia, un requisito quanto mai fondamentale per il suo lavoro, ora le stavano dicendo che doveva allontanarsi da lì per un tempo indefinito, salire a bordo di rozze macchine di metallo per pilotarle in chissà quale maniera e combattere contro dei mostri che ad ogni nuova apparizione cambiavano la carta topografica di una città!

Le sue amiche la fissavano preoccupate, capendo benissimo quale fosse il suo disagio, e nel frattempo lei pensava agli ordini che aveva lasciato in sospeso, ai clienti che stavano aspettando di ricevere sue notizie, ai conti da pagare… a Sweetie Belle, la sua sorellina.

«Immagino che da questa… “cosa” della battaglia… io non possa astenermi…» Represse lo stimolo di precipitare nell’isteria.

Bibski scosse la testa in un ampio cenno negativo. «Avremo bisogno di tutte quante voi per far funzionare gli Jaeger. L’astensione non è un’opzione.»

Aveva mentito quindi, Twilight ne era sicura. Ricordava bene che in un’altra occasione aveva dichiarato il contrario, dicendo che potevano esserci delle soluzioni di ripiego, macchine controllate da singoli Elementi, per esempio. Doss era un doppiogiochista, uno scaltro burattinaio che sapeva come orchestrare le conversazioni per portare tutti quanti dalla sua parte. Riprese ad odiarlo, proprio quando cominciava a pensare di aver localizzato un baluginio di bontà nel suo animo.

«Direi che non abbiamo altro da dirci. Ci aspettano tempi difficili, e conto sull’impegno di ciascuno di voi affinché il programma Rescue Equestria proceda senza intoppi. Domani mattina dovete farvi trovare al campo d’addestramento delle mura di Canterlot, vi verranno forniti degli alloggi nella caserma delle Guardie Cittadine. Questa sarà solo una sistemazione momentanea fino a quando non saranno pronte le vostre nuove stanze direttamente alla Grotta. Ovviamente, rinnovando il ringraziamento alle Principesse per aver messo a disposizione gli alloggi.»

Quindi non avrebbero più dormito lì a Castello, Applejack si chiese se ci fosse almeno modo, per lei, di rimanere e collaborare con la protezione civile.

L’inventore stava per dare a Caps Lock l’ordine di cominciare a spegnere tutto quanto, quando Rarity gli domandò: «Posso almeno… tornare a Ponyville e abbassare le saracinesche del mio negozio?»

Stava avvenendo tutto così in fretta, e la stilista non era la sola a volere che fosse assecondata quella richiesta.

Forse sarà stato il timbro di voce, che per poco non era rotto dal pianto, o i truci sguardi dei presenti, che lo fissavano come per colpevolizzarlo, che fecero cigolare i cardini delle sue difese, Bibski Doss si sentì come dinanzi alla corte marziale, colpevole come un criminale di guerra.

«Naturalmente.» Acconsentì, e chiese a Bright di rimandarlo a Montestallone attraverso un Ponte, senza aggiungere altro.

Princess Celestia non si assentava mai dagli incontri, mai. Che si trattasse di ricevere i delegati di una nazione straniera per discutere di proficui accordi commerciali, o risolvere innocenti contese tra due gelatai, che avevano aperto nella stessa via a pochi passi di distanza (fatto realmente avvenuto), la Principessa del Sole era sempre pronta a garantire la sua presenza in qualunque circostanza, ed era stato così dagli inizi, dall’alba del suo impero sorto secoli fa. Per questo destava ancora più preoccupazione la sua assenza alla riunione.

Luna e Twilight si chiesero dove fosse finita, e preoccupate per lei, a fronte anche delle evidenti difficoltà emotive che aveva manifestato negli ultimi giorni (in cima alla lista: il funerale cittadino a cui aveva dovuto presenziare), cominciarono a cercarla dentro le stanze che costituivano la planimetria del castello. La prima tappa, la più scontata, fu dentro la sala del trono, che trovarono deserta, se non per la fenice Filomena, che posava mogia e leggermente incupita sul suo trespolo.

I cocci di vetro delle finestre infrante erano stati ripuliti da terra e una squadra di operai aveva già sostituito le vetrate commemorative con altre lastre di vetro colorato, i cui motivi raffiguravano però solo onde e riflessi astratti.

Realizzando che non era lì, le due Principesse si recarono allora nella stanza da letto privata dell’alicorno bianco. La trovarono ordinata e con lenzuola e coperte perfettamente distese lungo gli angoli del materasso.

«Aspetta, cos’è quello?» Fece Twilight notando qualcosa che scintillava, illuminato debolmente da qualche raggio di sole filtrato dalla finestra, e che stava appoggiato su un piccolo mobile lungo la parete opposta.

Rimasero confuse e interdette quando realizzarono che si trattava niente di meno che della stessa corona della Principessa!

La preoccupazione divenne quindi panico in una frazione di secondo e le due decisero per scelta unanime di dividersi per battere tutte le aree del castello più in fretta che potevano.

Twilight scese persino nell’atrio e nelle varie sale dove erano alloggiati i sopravvissuti alla catastrofe e perse più di mezz’ora a chiedere a chiunque le capitava sotto zampa se avessero notizie della regnante. Nessuno però, né Guardie Reali né Cittadine, né civili né soccorritori avevano qualcosa da riferire.

Sentendosi montare un timore ancora più intenso, allora, decise anzitutto di riunirsi a Luna, quindi stabilirono che sarebbero uscite e avrebbero tentato di cercarla all’aperto. Se anche quella ricerca si sarebbe rivelata un buco nell’acqua, allora avrebbero diramato un allarme generale, e a quel punto tutta la gendarmeria delle Guardie Reali si sarebbe messa in movimento per trovarla.

Per fortuna, o per volontà del caso, non ebbero bisogno di arrivare a tanto. La trovarono poco dopo essersi riunite, proprio quando ormai stavano per perdere le speranze. Non si era nascosta in una stanza segreta del castello, né le era successo niente che potesse far insorgere il dubbio che le fosse capitato un incidente, si era semplicemente isolata in un’area del castello poco frequentata dagli occupanti, in un corridoio che dava verso una stanza che Luna stessa non ricordava se fosse una sala per il tè o uno studio, perché non vi era entrata da tempo.

Celestia stava di fronte a una finestra che dava a un’ampia veduta di Canterlot. Non era la prima volta che la Principessa si perdeva in quello scrutare, addolorata dallo stato in cui Cyclop aveva ridotto la sua città, ma stavolta c’era qualcosa di profondamente diverso in lei, e se prima Twilight Sparkle aveva lottato fino allo stremo per contenere l’agitazione per la sua scomparsa, stavolta non poté fare a meno di cacciare un urlo che scandiva a caratteri netti i suoi pensieri scombussolati: «Princess Celestia, la vostra criniera?!»

Celestia voltò dolcemente lo sguardo verso di lei, il suo viso era calmo e sembrava non stesse aspettando altro che di farsi trovare da loro. La sua criniera era tornata a una tonalità di rosa opaco monocromatico, priva di tutte quelle sfaccettature che erano i colori del cielo, dell’alba e del tramonto, e non ondeggiavano più come fossero sospinti da un venticello magico che vi soffiava contro. Erano anni che l’alicorno bianco non si mostrava in quell’aspetto, così tanti che quella forma aveva ormai assunto i connotati di una leggenda, e lo sarebbe stata in effetti, se solo qualche anno prima le Custodi non avessero sconfitto Nightmare Moon, liberando Princess Luna dal suo maleficio. Ai tempi anche la Principessa della Notte aveva lo stesso taglio di criniera, liscio e pendente, privo dell’impressione magica che caratterizzava i crini delle regnanti di Equestria.

«Sorella, che cosa hai fatto…» esclamò Luna in maniera retorica. In realtà sapeva benissimo che cosa le era successo: aveva rinunciato al suo trono. Solo quando un alicorno si assume le responsabilità di diventare un pilastro per la stabilità dell’Armonia, la sua criniera si carica di quell’aura di potere divenendo ciò che è ben noto. Non a caso Princess Cadance, che regnava unicamente sull’Impero di Cristallo, presentava ancora dei crini normali, e Twilight, che non aveva altro se non il titolo di Principessa, era nella stessa situazione.

La Principessa dell’Armonia era letteralmente priva di parole mentre Luna si avvicinava preoccupata alla sorella, cercando con uno zoccolo di tastare le sue ciocche inerti e soggette alla gravità.

«So che cosa state pensando, posso solo immaginare che cosa significhi trovarvi dinanzi a questo.» Celestia parlava come al solito con la sua tipica impostazione solenne, dimostrando una calma sorprendente dinanzi al loro stupore, e questo non lasciava presagire nulla di incoraggiante.

«Celestia, no… non parlare come se volessi… spiegaci» la supplicò la sorella in pena «spiegaci che cosa ti sta succedendo! Non è da te lasciarti andare così! Perché non ti sei unita alla riunione? E perché non indossi più la corona?! Non è questo l’atteggiamento che mi aspetto da mia sorella!»

«È proprio questo il punto.» Rispose lei, mestamente. «Ho regnato su questa terra per secoli, prendendo a cuore i problemi e le richieste di tutti i miei sudditi. Ho cercato di assecondare il loro desiderio di una vita allegra e spensierata, lontana dalle minacce che hanno infuriato più di mille anni fa. Come un carro trasportatore, ho condotto Equestria e le sue molteplici razze nel cammino del sole, lasciando dietro di me una traccia, una scia di ricordi, di ciò che era successo con Sombra, con Discord… con te.» Giunta a quel punto chiuse gli occhi per un momento, affranta. «Divennero miti, divennero racconti, cantiche. E io ho giurato che avrei dato tutta me stessa per proteggere quei pony che vivevano felici e privi di preoccupazioni, grazie alla mia ala protettrice e ai poteri donatimi secoli fa dalla corona di regnante. Ed ora… » si voltò dall’altra parte, verso la finestra. Si vergognava di mostrare il suo volto, che tuttavia restava visibile nel riflesso appena accennato del vetro, stava piangendo. «Ora quel giuramento è stato infranto.»

«Ma non è stata colpa tua, Cel! Quante volte devo dirti che ti sei presa in carico responsabilità che nessuno ti ha attribuito! Hai affrontato il Kaiju, lo hai sconfitto!»

«Lo abbiamo sconfitto.» La corresse duramente, girandosi di nuovo, e questa volta c’era come una specie di ira nei suoi occhi. «Grifoni, Pegasi, Unicorni! E le nostre ragazze, Twilight e le sue amiche! Sono scesi in campo e hanno affrontato il mostro pur sapendo il pericolo che correvano! Non hanno esitato, come al contrario ho fatto io!»

«Hanno soltanto eseguito il piano! Il tuo piano! Un piano che tu stessa avevi congeniato, e che ha portato alla salvezza migliaia di pony!»

«E migliaia ne sono morti… »

«E che cosa dovrei dire io?!» Puntò le zampe Luna. «Non sono stata da meno, dormivo mentre Canterlot stava sprofondando! Ho realizzato cosa stesse succedendo quando il disastro era già avvenuto! Ma non per questo mi privo di questa corona, anzi! Credo che la gente di Canterlot abbia bisogno di vedere che le sue Principesse sono ancora al loro posto, che sono pronte a sostenerli nei tempi dannati che ci aspettano!»

«Non capisci, Luna.» Fece di risposta l’alicorno bianco, mormorando quasi tra sé e sé.

«Certo che non capisco! Non ti stai spiegando, parli di cose che non hanno alcun senso!»

«Non è mia intenzione abbandonare i pony che chiedono disperatamente aiuto laggiù, al contrario ora mi sento più motivata che mai a fare ciò che ritengo sia giusto, vale a dire scendere e mischiarmi a loro, offrire le mie capacità, ma come una loro pari rango.»

«E per quanto riguarda il regno, le relazioni diplomatiche con le altre nazioni? Come farò a levare sia la Luna che il Sole da sola? Io non sono te, Cel, non sono in grado di prendermi in carico tante responsabilità… preferirei non dirlo, ma non sono alla tua altezza!»

Celestia rimuginò in silenzio per qualche secondo, quasi come se volesse ripensarci, e alla fine disse: «Potrai sempre rivolgerti a me quando ne avrai bisogno, e per quanto riguarda l’alternanza del dì e della notte, continuerò ad assolvere al ruolo di guardiana delle ore di luce.» Poi si fermò, la sua attenzione puntò alla sua ex-studentessa Twilight, che non era stata in grado di emettere suono per tutta la durata della conversazione.

La Principessa dell’Armonia sembrava essere sospesa nel tempo, estraniata dallo scorrere delle lancette, questo perché la notizia che aveva appreso era troppo sconvolgente per accettare che stesse succedendo per davvero. Celestia, Princess Celestia, la Principessa del Sole, era ferma nella sua decisione e voleva andare fino in fondo, rinunciare al suo titolo. Twilight si chiese se fosse possibile farlo, se anche lei potesse decidere un giorno di gettare in un angolo la corona e tornare alla vita da bibliotecaria di un tempo. Si era sempre detta che doveva accettare il cammino che l’aveva portata a quella condizione, ma se anche la stessa Celestia stava scegliendo di denudarsi da quella responsabilità, allora…

«Twilight…»Le sorrise con amore l’alicorno bianco.

«Princess Celestia, voi… »

«Celestia. Solo Celestia, mi dolce Twilight.» Quella che fino un’ora prima avrebbe chiamato Princess Celestia le accarezzò la guancia con uno zoccolo, e solo in quel momento l’alicorno viola si rese conto che non si era denudata solo della sua corona, ma anche degli accessori dorati che abitualmente indossava, i calzazoccoli e la collana. «Quelli che vi attendono sono tempi oscuri, più oscuri di qualsiasi altra minaccia abbia mai valicato i confini della nostra Equestria, ora ne comprendo la reale entità. Quello che vi chiedo, come Custodi degli Elementi dell’Armonia e amiche, è di restare sempre unite. Non permettete che le difficoltà che vi attendono in futuro danneggino la vostra unione.»

«No, Celestia… anche se non approvo la vostra… la tua decisione… proteggeremo la nostra terra fino alla fine dei giorni… » piangeva sia lacrime di commozione che di pietà, contenta di vedere che la sua ex-maestra… no, la sua Maestra aveva trovato una maniera per espiare il rimorso che la rodeva, ma nello stesso momento era sopraffatta dall’ira, al solo pensare quanto la guerra contro i Kaiju stesse modificando radicalmente le loro vite.

Cosa sarebbe successo se dunque Hermit non avesse attraversato per la prima volta Manehattan, come sarebbero andate le cose? Il pianto crebbe d’intensità.

«Luna» Ora l’alicorno senza corona guardò per un intenso momento la sorella dal manto scuro. «Sii una guida per questi pony come lo sono stata io, e non commettere i miei stessi errori, non sottovalutare le forze che ci minacciano.»

Luna, per quanto si sforzasse di accettare la volontà di sua sorella, covava ancora dei sentimenti di ribellione, il desiderio di convincerla a tornare sui suoi passi. «Come devo comportarmi con il programma Rescue Equestria? Io non conosco quei pony come li conosci tu.»

«Lascia che sia Bibski ad occuparsene. Sotto la sua guida il regno vivrà.»

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Rarity fu fatta scendere nello spiazzo innevato di fronte alla Carousel Boutique, da una carrozza col tetto coperto che l’aveva tenuta al riparo dal freddo pungente. Era tardo pomeriggio ed era intorpidita dalle lunghe ore di trasporto, perciò non appena ebbe toccato terra con le zampe si sgranchì le ossa e i muscoli, accorgendosi di quanto Ponyville le sembrasse estranea dopo che per quattro giorni le macerie di Canterlot erano state la sua vista predominante.

Non c’era molta gente in giro a quell’ora, nonostante le lingue del sole al tramonto stavano ancora illuminando i contorni del villaggio.

L’aria era gelida, anche se non nevicava più, e dalla sua bocca uscivano ampi sbuffi di condensa, forse era per questo che molti abitanti di Ponyville avevano scelto di rifugiarsi nel torpore delle loro residenze, coccolati dal fuocherello di un camino e con la pia illusione di essere al sicuro.

Con un inchino appena accennato, indicò ai due stalloni della carrozza di potersi avviare, questi ripartirono dopo essersi riassestati nelle briglie e nella pesante veste protettiva che li proteggeva dal vento, e ripresero il volo per tornare al luogo di partenza.

Rarity era stata l’ultima a scendere, ma quella carrozza fino a un’ora prima era affollata di tutte e sei le Custodi, che una ad una erano state fatte scendere alle loro rispettive abitazioni. Ognuna di loro aveva qualcosa da chiarire, un programma in sospeso, qualcuno con cui parlare prima che la stessa carrozza tornasse, il giorno successivo, a reclamarle tutte quante, per trasferirle in pianta stabile sulla cima della montagna di Canterlot.

La stilista si affrettò a entrare nel suo negozio, che fungeva anche da abitazione. Girò la chiave nella toppa e non appena entrò fu abbracciata da un profumo rassicurante che solo nella sua proprietà poteva annusare, quello del sapone, dei fiori e del tessuto fresco di pulito. Improvvisamente si sentì commossa e l’emozione ebbe un effetto sui suoi occhi, che si inumidirono dalla felicità. Le mancava tutto ciò, gli strumenti per il taglio e cucito, i suoi manichini, gli appendiabiti e i separé per provare i modelli.

Il negozio era stato lasciato in disordine a causa della repentina partenza, e qualche piccolo ragno abusivo aveva approfittato dell’assenza della padrona di casa per tessere la sua tela e rivendicare il suo angolo di territorio, ma questo non urtò minimamente la giumenta, che anzi trovò quel disordine così amichevole e così affettuoso che decise che non avrebbe fatto alcuno sforzo per rimettere le cose a posto, si sarebbe limitata a salire in camera sua, aprire una valigia (“Meglio due” pensò) e riempire con tutto l’essenziale che le sarebbe occorso per trascorrere il resto dei mesi lontano da casa. Poi si sarebbe vestita per bene – un’ottima occasione per sfoggiare qualche completo invernale tra quelli preparati di recente – e sarebbe uscita per la volta dei suoi genitori, che di recente avevano preso una villetta in zona e dove la sorellina era stata ospitata durante la sua assenza. Avrebbe parlato loro, sì, avrebbe spiegato la situazione per filo e per segno se già non ne fossero informati, e insieme sarebbero usciti fuori a cena… no! Avrebbe portato tutte quante fuori a cena! Un pasto offerto da lei, invitando le Custodi e le Cutie Mark Crusaders al completo! Sarebbe stata un’ultima cena coi controfiocchi, un ultimo momento felice, prima di entrare nel vivo della guerra.

Era un piano così perfetto nella sua forma e nel suo concepimento che Rarity era sicura, niente avrebbe potuto ostacolarne la riuscita. Ma poi, proprio mentre si accingeva a salire le scale che l’avrebbero portata al piano di sopra, qualcuno bussò alla porta del suo negozio.

Chi poteva essere, così su due zampe? La sorellina tornata da sola dopo aver appreso del suo rientro? Una vicina di casa incuriosita dalla luce accesa in casa? Aprì fiduciosa, e si trovò dinanzi qualcuno che non avrebbe mai, MAI pensato di rivedere, e che mai avrebbe  voluto.

«Miss Rarity, devo dire che mi ha proprio delusa!»

Era Silly Turnip, avviluppata in un pesante giaccone invernale che le accentuava ancora di più, se possibile, le forme già di per sé strabordanti.

Per il doppio shock subìto, l’accusa che le aveva rivolto e la sorpresa nel vederla riemergere così d’improvviso nella sua vita, la stilista riuscì a stento a sbattere gli occhi bloccata in un mutismo pressoché totale.

«Ero così entusiasta di fare la sua conoscenza dopo aver sentito quale fama girasse su di lei… » l’obesa pony entrò in casa senza nemmeno domandarsi se era stata invitata, e Rarity, presa in controzoccolo, le aveva concesso di riporre il suo giaccone su una gruccetta «… così, nonostante mi avesse praticamente sbattuto la porta in faccia, ho deciso di darle tutta la mia fiducia e lasciare, come dire, che il genio si mettesse al lavoro.» Si azzittì e sulla sua faccia si delineò una smorfia disgustosa, qualcosa che somigliava più al grugno di un suino che non a una giumenta dalle nobili origini, come soleva dichiarare lei. «INVECE SCOPRO CHE NON È ALTRO CHE UNA CIARLATANA IMBROGLIONA, UNA STRACCIVENDOLA DI SECONDO ZOCCOLO!!»

Urlò, e una striscia di saliva appiccicosa frustò la guancia della Custode della Generosità.

Rarity era attonita.

«Di cosa sta parlando, Signora… ?» Chiese nel suo tono più gentile.

«Le ripeto che sono signorina! E così vedo che ha anche la memoria corta oltre che la coda di paglia!» Un occhio le uscì fuori dall’orbita e la guardò di sghimbescio. «L’abito che le avevo ordinato, Miss! Quello per il ricevimento!» L’ultimo “Miss” vibrò come se dovesse celare una grave offesa.

«L’abito… » mormorò Rarity. “Quell’abito! Quel dannato abito dalle misure praticamente irrealizzabili!” Si ricordò in quel momento.

«Già, l’abito! Io l’ho atteso con grandi aspettative quello! Mi aveva giurato che mi avrebbe reso una celebrità tra la folla, una vera Principessa! Immagini la mia sorpresa quando mi sono recata al suo negozio e ho scoperto che non c’era!»

«Lei… si è presentata al negozio… ?»

«Tutti i giorni alla stessa ora per sei giorni di fila, aspettando speranzosa di trovarlo aperto!»

Rarity tentò allora di giocare la carta dell’onestà. «Vede, è che c’è stato un contrattempo improvviso. Immagino che avrà sentito cos…»

«NON MI INTERESSANO LE SUE SCUSE!» Sbraitò ancora più forte, era un’autentica furia. «Si era presa un impegno con me! Gli accordi verbali tra cliente e venditore sono come un contratto scritto, e devono essere onorati!»

«Lo so, sono assolutamente d’accordo con lei, ma come ben sa Canter…»

«E adesso invece che cosa porterò al ricevimento, COSA?! Un bel niente, e lei lo sa perché? Eh?! Lo sa?! Me lo dica!»

«Se soltanto mi lasciasse spiegare sono certa che…»

«Sei giorni! Sei giorni che la aspetto! Il ricevimento doveva essere entro tre giorni, mi era parso di essere molto chiara su questo! E qualcosa mi dice che non l’ha nemmeno terminato il mio abito, eh?! L’ha terminato o no?!?»

«No, signorina Turnip… » Rispose lei mortificata e in colpa.

Era assurdo. Davvero la grassa giumenta non sapeva niente del Quarto Attacco? Ponyville era un piccolo villaggio campestre, il progresso tecnologico arrancava ad imprimersi nella vita dei suoi abitanti, ma le notizie circolavano. Dovevano circolare! La gente doveva sapere che la loro capitale era stata rasa al suolo da quella stessa minaccia che faceva tremare la terra sotto i loro zoccoli da mesi! Erano passati quattro giorni dal disastro, due dal grande funerale, e a quella veglia avevano partecipato pony proveniente da tutti gli angoli del regno! Era impensabile che una cittadina o anche solo un piccolo villaggio di agricoltori fosse rimasto isolato a tal punto da non aver captato neppure una piccola, raminga notizia dalla bocca di qualcuno più informato di loro!

Eppure così pareva per Silly Turnip, che sembrava preoccuparsi solo del suo ricevimento. Forse di ricevimenti ce ne sarebbero stati, con il senno di poi, ma non del tipo che avrebbe fatto piacere alla corpulenta equina.

Rarity radunò in sé tutta l’eleganza, tutta la professionalità che sentiva le rimanevano in corpo, nascondendo sotto un’apparenza di composto autocontrollo le palpitazioni che le stavano martellando il petto e l’irritazione che scendeva fino all’ultimo ciuffo di pelliccia dei suoi zoccoli. “Possibile che non abbia neppure visto il fumo che si levava dalla montagna?” pensò per un ultimo istante prima di parlare.

«Mi rincresce davvero per il disagio che le ho arrecato, signorina Turnip. Non ho scusanti per questo e devo riconoscere le sue ragioni. Sono certa che lei, in quanto pony di ceto elevato possa capire che alle volte gli imprevisti possono capitare anche ai migliori, ma mi creda signorina, in futuro le assicuro che sarò degna della sua fiducia, la renderò la pony più felice di tutta Equestria!» “Ammesso che esisterà ancora”. Pensò, augurandosi che la lusinga fosse riuscita ad imbonire la sgradevole cliente. In effetti Silly Turnip mutò di un paio di rughe la sua espressione, ed ora sembrava la perfetta imitazione di una nobilpony viziata. Si mosse per il negozio trovando da lamentarsi di tutto ciò che vedeva e toccava: completi, decori, arredamento, tutto quanto veniva liquidato con un cenno di zampa e una smorfia di snobbismo petulante.

«Beh, suppongo che una lady di classe come me non debba abbassarsi allo stesso livello dei ceti inferiori di queste contee.»

“Io la uccido!” «Oh, no! No di certo!» Sorrise Rarity a denti stretti, chiedendosi se la giumenta non avesse qualche rotella fuori posto, o forse direttamente tutto l’apparato cranico.

«Quindi immagino che abbiamo un accordo, Miss. Questo mi rincuora molto, le dirò la verità!»

Rarity traballò confusa. «Un accordo? Per cosa? Non la seguo.»

«Oh, insomma ragazza, un po’ di acume! Mi sembra più che evidente che dal momento che non ha ottemperato ai suoi doveri lavorativi, ora come ora dovrebbe mettersi di buona lena e terminare la commessa in tempi ragionevolmente brevi!»

«Terminare la… non credo sia po…»

«Mi aspetto di trovare il mio abito pronto per domani mattina! Dopotutto lei è ben nota per la sua celerità, come in quella sfortunata occasione in cui si è trovata costretta a rivedere il tema di tutta la sua collezione a causa di un malinteso dei giudici!»

Rarity ricordava bene quel giorno, come ci si ricorda di una cattiva avventura che si decide di posare sull’altarino delle esperienze della vita come monito per il futuro: il famoso critico di moda Preppy Blazer, dai modi educati ma terribilmente inflessibile quando si trattava di giudicare un modello, per un bizzarro disguido o per un’imprevedibile scherzo del destino si era presentato con la convinzione di assistere a una sfilata il cui tema cardine fossero i collari, quando in verità il bando comunicava esplicitamente che erano invece i colori e la sapienza degli accostamenti. Sebbene tutti quanti fossero a conoscenza dell’equivoco, nessuno dei partecipanti fece nulla per correggerlo, temendo ritorsioni nei confronti della loro prova, e tutti gli altri giudici, trovando divertente la cosa, convennero che la competizione avrebbe beneficiato se le cose fossero rimaste come tali.

Mentre gli altri stilisti si lasciavano prendere dal panico e qualcuno decideva di rinunciare alla sfilata, Rarity improvvisò un modo per ricavare delle strisce di tessuto dai completi già pronti per ricavarne dei collari senza che però la modifica ai modelli originali inficiasse sul risultato finale. Alla fine, nel giro di una mezz’ora scarsa era riuscita a rispettare sia il tema originale che il bizzarro malinteso di Preppy Blazer, dominando il palco con i suoi completi maid, perfettamente coerenti nella scelta dei colori e dei materiali.

Ma la sfida che le stava proponendo ora la grassa Silly Turnip era di ben altro livello, impossibile da accontentare data la particolarità della situazione.

«Mi creda, signorina Turnip, il suo abito è per me fonte di grande ispirazione oltre che un onore di rara opportunità… »

«È naturale che lo sia, mia cara ragazza!»

«Ma vede, il fatto è che sono successe delle cose nella mia vita privata, cose alle quali devo prendere parte a breve, e che mi rendono assolutamente IMPOSSIBILE portarle a termine la sua commessa nei tempi da lei indicati… »

«Vorrà dire che le concederò due giorni in più, suvvia non sia così ostinata!»

“Ah, io sarei ostinata? Questa non ci sta con la testa, in che guaio mi sono cacciata?!”

«Non si tratta di due giorni, signorina Turnip, e neanche di tre a essere del tutto schietti… in verità non credo che farò ritorno a breve…»

«Che cosa sta cercando di dirmi, Miss? Veda di arrivare al punto!»

«Intendo dire che dovrò chiudere il negozio per un po’… dei mesi, credo… e non penso di essere in grado di stare molto sul pezzo… se così si può dire.»

Aveva fatto il possibile, aveva cercato di essere convincente senza tradire l’educazione. Ora non le rimaneva che aspettare e sperare prudentemente che Silly Turnip se ne andasse. In fondo cosa aveva sbagliato? Soddisfare i clienti era il suo comandamento vitale, e se ci fosse stato modo di terminare quell’abito nei tempi previsti, pur di non rivederla di nuovo, sarebbe stata ben lieta di mettere in moto le sue abilità sartoriali e darle un contentino, ma il tempo e le circostanze erano tutti contro di lei.

Un tonfo prolungato, un clangore di grucce di metallo che cadevano sul pavimento, era il suono che si udì propagare per la stanza. A gettare a terra l’appendiabiti con tutto ciò che vi era appeso era stata una zampata di Silly Turnip. Rarity rimase a bocca aperta, guardando tutto quel trambusto che si disperdeva a terra… così simile all’effetto di una scossa sismica… o al passaggio di un enorme Kaiju proprio nei pressi di casa sua, da causarle un fastidioso senso di déjà vu.

«Lei non vuole proprio capire! Nessuno si è mai permesso di negare una richiesta di Silly Turnip! Io sono venuta da lei perché mi hanno detto che era la migliore, e quindi lei adesso si metterà lì seduta e completerà il mio abito! Lo farà, glielo giuro sulla mia parola che non si tirerà indietro! Altrimenti le assicuro una cosa… » le andò vicino, impetuosa e violenta. «Spargerò la voce in tutto il regno! Dirò a tutti che è un’incompetente, una stracciona, che il suo negozio vende solo merce fuori moda! Fancy Pants sarà così disgustato da lei che lo ripugnerà persino pronunciare il suo nome!» Era arrivata vicinissimo al muso di Rarity, costringendola a respirare un pungente alito che sapeva di fieno fermentato e frutta andata a male. Le vene le pulsavano sulle tempie come se dovessero esploderle da un momento all’altro e gli occhi erano rossi, così rossi che sembrava impossibile pensare che una volta erano state di un colore diverso.

Rarity a quel punto perse a sua volta la calma. Aveva accettato l’invasione del suo spazio personale e le cattive maniere della giumenta, aveva chiuso un occhio sull’insistenza con la quale cercava di convincerla a riprendere in zoccolo il lavoro ed era riuscita persino a sorvolare sul gesto capriccioso di rovesciare a terra l’appendiabiti. Ma c’era un confine che non andava superato, e Silly Turnip l’aveva varcato, superando di diverse lunghezze il punto di non ritorno.

Quello che Rarity fece nel momento successivo fu di concentrare tutta la sua forza magica nella punta del corno e di concretizzarlo in un semplice incantesimo di levitazione, con cui avvolse la massiccia pony. Dentro quella bolla magica non aveva importanza quanto si dimenasse, quanto protestasse per essere lasciata giù, era in balia della stilista, che presa sotto braccio da una furibonda consapevolezza di cosa stava per fare, la portò in linea d’aria con la porta verso l’uscita e con una significativa porzione del suo potere magico, un impeto pari a un colpo di cannone, lanciò l’insopportabile Silly Turnip fuori sullo spiazzo di terreno che dava verso la via principale.

La giumenta rotolò di alcuni giri e si ritrovò distesa lunga sulla neve, con il gelo del pomeriggio che le provocava brividi di tensione.

«Ma lei è completamente paz… » Silly Turnip non completò mai la frase, Rarity era stata più rapida di lei.

«SE NE VADA FUORI DA QUI E NON SI AZZARDI MAI PIÙ A METTERE ZAMPA NELLA MIA PROPRIETÀ, HA CAPITO?! SE LA VEDO AVVICINARSI LE SPARO ADDOSSO!!»

«Lei è pazza! Lei è completamente da internare!» Forse sarà stata la testardaggine, forse un gesto automatico, Turnip aveva già cominciato a muovere un passo in direzione della Carousel Boutique. Quindi Rarity si vide costretta a lanciare a pochi centimetri da lei un colpo magico dirompente. Silly Turnip si paralizzò e guardò il piccolo cratere fumante formatosi per l’impatto.

«Le farò causa, spargerò la voce ovunque, io non le darò tregua…»

«Faccia pure!» Rarity varcò la soglia e le andò incontro a passo deciso. «Vada pure da chi vuole, vada su! Vada da Fancy Pants e gli dica come mi sono comportata! Non ne ricaverà niente, lo sa perché?! LO SA PERCHÉ?!»

«Lei è pazza, pazza…»

«PERCHÉ SONO TUTTI MORTI, SCHIACCIATI, SOTTO TRE STRATI DI TERRA! FANCY PANTS È MORTO, I PONY DEL SUO DANNATO RICEVIMENTO SONO MORTI, TUTTA CANTERLOT È MORTA!!»

La gola di Rarity prese a bruciare, le sue urla avevano attirato l’attenzione della gente e ora piccole teste discrete facevano capolino dalle finestre delle proprietà private, altri erano usciti per strada e osservavano, e nessuno sembrava veramente sorpreso delle parole che erano uscite come un’eruzione vulcanica dalla bocca della stilista. Rarity si sentì rinfrancare per questo, voleva dire che gli abitanti di Ponyville erano consapevoli del disastro e stavano cercando di assimilare la cosa.

L’unica che sembrava non voler afferrare era Silly Turnip. «Pazza… pazza… pazza… » ripeteva incessantemente, con le pupille degli occhi che ruotavano in tutte le direzione, e ormai completamente fuori di senno. Era accasciata a terra e dalla bocca uscivano grumi di bava schiumosa.

«Veda di darsi una calmata, si riprenda!» L’aveva ammonita bruscamente Rarity, ma la grassa giumenta non aveva intenzione di arrestare la sua folle cantilena.

«Pazza… pazza… pazza…»

Solo allora Rarity capì che in verità Turnip aveva perso il lume della ragione molto prima del loro incontro. In seguito, quando le acque si sarebbero calmate, qualcuno avrebbe spiegato a Rarity che il ricevimento al quale Silly Turnip avrebbe partecipato era molto più importante di quanto non avesse pensato lei la prima volta. Non era solo per mettersi in mostra di fronte alle alte sfere della capitale, c’era qualcuno che la attendeva in quella serata, un pony molto importante per lei, e per cui avrebbe fatto di tutto pur di fare bella figura. Turnip aveva deciso di rivolgersi a Rarity, perché sapeva che nessun altro aveva la sua abilità, ed era sicura che con lei sarebbe riuscita a fare colpo su quel pony.

Sfortunatamente, Cyclop aveva ucciso molte persone, tra cui il pony di cui la giumenta si era terribilmente invaghita. Questo, in qualche modo, aveva distrutto qualcosa nella sua mente. Silly Turnip non era una giumenta molto arguta, viveva la sua vita con modestia in una piccola casetta dal tetto di paglia e faceva solo occasionalmente trasferte a Canterlot per fingere di avere un altro stile di vita, più altolocato. Quel pony, incontrato per puro caso proprio durante quelle trasferte, le avrebbe offerto la possibilità di cambiare totalmente prospettiva. Mai più avrebbe sofferto la modestia di una vita banale e ai margini della società, mai più avrebbe dovuto preoccuparsi di sopravvivere, mese per mese, con le poche monete d’oro di cui era in possesso, ma soprattutto, mai più avrebbe dovuto condurre quella vita in solitudine. Si era innamorata di quell’elegante pony che aveva condiviso con lei alcuni minuti del suo tempo, e che tanto gentilmente le aveva offerto un invito per il ricevimento. Ed ora quel pony non c’era più. La sua vita era finita, così com’era finita la vita di Silly Turnip, così accecata dai suoi sogni da avere dimenticato il paracadute quando aveva spiccato il volo verso la luce, ed ora era precipitata, senza nessuno che la venisse a prendere in volo.

Rarity, vedendo in quali condizioni si trovava la giumenta, vedendo la bava e la neve che le ricoprivano la faccia, decise di rientrare  in negozio e armandosi di pazienza aveva ultimato in una manciata di minuti quel poco che poteva di quell’abito, rammendando gli strappi delle precedenti prove-costume e finendo la commessa rinunciando a quei tanti piccoli dettagli che erano inclusi nella richiesta originale di Turnip. Poi glielo portò, glielo consegnò in zampa. Silly Turnip, che non aveva mai smesso di farneticare a voce tenue «pazza… pazza…», si mutò come se le fosse mancato fiato nei polmoni. Toccò ogni centimetro del corsetto e delle spalline senza mai distogliere lo sguardo dal vuoto indefinito in cui si era smarrita, quindi si rimise su tre zampe e se ne andò con l’abito sotto la spalla. Non aveva dato a Rarity una sola moneta per il lavoro svolto, non aveva speso una sola parola per ringraziarla, non si era neppure ricordata di riprendere la veste invernale con la quale era arrivata. Rarity si promise che avrebbe trovato il modo di ridargliela, prima di partire per la volta di Canterlot.

Il caos generato da Silly Turnip aveva fatto il giro del circondario e così la famiglia di Rarity era venuta a sapere del suo rientro in paese.

«Andiamo da lei, vediamo come sta.» Aveva subito proposto Cookie Crumbles, la madre della stilista, al marito Hondo Flanks. Con loro avevano chiamato anche Sweetie Belle, ma le avevano tenuto nascoste molte informazioni. La puledrina, per esempio, ignorava quanto fosse grave la situazione a Canterlot. Aveva raccolto informazioni origliando il chiacchiericcio degli altri pony, e in parte qualcosa le era stato riferito dalle sue amiche del Cutie Mark Crusaders Club, ma anche loro, come lei, avevano soltanto frammenti disseminati qua e là della reale situazione sulla montagna.

Mentre la famiglia percorreva la via sterrata per raggiungere la boutique, con il sole che stava ormai facendo i conti della giornata ed era lì lì per dare il cambio alla collega luna, Sweetie Belle teneva il passo dei genitori mentre si cimentava in un gioco di zoccoli ingenuo, che consisteva nel compiere dei saltelli e atterrare su due zampe alternando ogni volta zampa posteriore e zampa anteriore. Anteriore sinistra e posteriore destra, balzo, anteriore destra e posteriore sinistra, balzo, e così via.

Scoprì di essere abbastanza brava a mantenere il ritmo, e le poche volte che commetteva un errore, sbilanciandosi oppure atterrando su tre zampe, ripartiva dalla posizione in cui si era fermata. Si chiese pure se quel bizzarro passatempo non le facesse guadagnare un cutie mark in equilibrismo. Dovette convenire che non sarebbe successo, ma la cosa non le dispiacque più di tanto. Era felice di sapere che sua sorella era rientrata a Ponyville dopo una settimana di assenza, voleva solo abbracciarla e poi farsi raccontare cosa fosse realmente successo a Canterlot, così che poi avrebbe anche avuto qualcosa da riferire ad Apple Bloom, Scootaloo e Babs Seed.

La sua felicità però si esaurì non appena ebbero messo zampa in negozio. I suoi genitori, che prima erano soltanto in apprensione, sbiancarono in viso quando si trovarono davanti uno scenario apocalittico: tutto ciò che costituiva la boutique, ogni capo, ogni strumento da sarta, ogni separé e mobilio di piccole dimensioni erano sparpagliati a terra o erano stati lanciati contro le pareti. Erano state strappate le tende e la carta da parati, una finestra era stata infranta per un lisciacriniera che era stato lanciato fuori dal negozio.

Trovarono Rarity in lacrime, sconvolta e ridotta a una maschera in cui il trucco lungo le guance e il collo creavano rigagnoli di una sostanza scura e appiccicosa al tatto, come se dai suoi occhi fosse fuoriuscita della pece nera come la notte.

«I-io… scusatemi… non ce l’ho fatta… non ce l’ho fatta proprio a… » Rarity non avrebbe mai desiderato che la vedessero così, non in mezzo al più grave crollo emotivo della sua vita. Cercava di ricomporsi, di portare a termine la frase senza dimenticarsi che cosa volesse dire, ma era come se un incantesimo le stesse troncando di netto la frase ogni volta che ci provava.

Sweetie Belle allora capì, capì che quanto aveva passato sua sorella era molto più grave di quanto non avesse immaginato. Rarity era solita abbandonarsi a crisi di forte isteria nelle situazioni di acuto stress, ma in tutte le occasioni c’era qualcosa di ironico nei suoi modi di ostentare malessere, che non le dava mai l’impressione di doversi preoccupare più di tanto. Ma stavolta era ben diverso, la sofferenza emotiva era percepibile nello scompiglio della casa e nel modo in cui i rigagnoli di lacrime nere scendevano dagli occhi di Rarity, sebbene provasse con tutto il suo impegno a smettere di piangere.

Così Sweetie Belle decise di andare vicino e la cinse intorno alla vita con le sue piccole zampine bianco caramella.

Per Rarity fu un immediato sollievo. Negli ultimi giorni aveva visto soltanto la sofferenza in un ambiente estraneo alle sue abitudini e su persone con cui non aveva niente a che fare. Quando poi era tornata a Ponyville, convinta di trovare un angolino di pace, aveva scoperto che quel venefico influsso l’aveva seguita pure lì, incarnandosi in Silly Turnip. Era semplicemente troppo! Perché non potevano semplicemente tornare indietro nel tempo, a giorni più felici, quando il peggio che poteva succedere era un invasione di paraspiritelli mangiavestiti che Pinkie poteva scacciare con l’ausilio di qualche strumento musicale? I pony non erano fatti per morire in massa durante una calamità naturale (schiacciati a morte!). I pony non dovevano usare la Magia dell’Amicizia per uccidere delle enormi creature (bruciarli come si brucerebbe un pezzo di carne immerso nell’acido!). I pony non potevano pilotare enormi macchine da guerra, perché i pony dovrebbero pensare alle feste, a studiare la magia, a cucire abiti per i ricevimenti, a coltivare mele, a prendersi cura degli animali (non ucciderli!), al massimo, a prendere a zoccolate le nuvole (non a ucciderle!). Ogni tanto qualche avventura, qualche cattivo da riformare, un conflitto da risolvere per via diplomatica (non uccidere!).

Ma queste erano soltanto fantasie…

Il mondo era diventato un posto incomprensibile. Meccanismi che lei non era in grado di comprendere si erano messi in moto e per fini che lei non aveva l’autorizzazione di scoprire. Lei poteva soltanto fare una cosa, seguire le indicazioni di Bibski Doss e fare la sua parte, anche se questo avrebbe significato sporcarsi, anche se avrebbe dovuto sudare fino a lavarsi col suo stesso sudore, insozzarsi nel fango, provare la fatica che non aveva mai provato in tutta la sua esistenza. Si sarebbe lamentata, questo era sicuro, qualche volta avrebbe piagnucolato perché le vecchie abitudini sono dure a morire, e qualcuno avrebbe dovuto rimetterla in riga, ma l’avrebbe fatto.

Mentre nella testa prendeva queste decisioni, intorno a lei si erano radunati anche i suoi genitori, e per un lasso di tempo abbastanza duraturo da essere emblematico, la famiglia al completo si era ritrovata uniti in un abbraccio congiunto.

Poi la realtà si mise in mezzo come un folletto guastafeste e li divise.   

Rarity non diede spiegazioni sul perché aveva devastato il suo negozio, la situazione era abbastanza chiara da poter essere trasmessa attraverso semplici gesti, e Cookie e Hondo non pretesero chiarimenti. Sweetie Belle sarebbe stata ragguagliata più tardi, se ancora avesse manifestato dei dubbi.

«Avete ancora quel cottage sulla spiaggia di Horseshoe Bay?» Chiese la stilista.

Suo padre, che quasi per istinto aveva annuito, lanciò uno sguardo al volto corrugato di sua moglie.

«Immagino che ci sarà da spolverare un po’ e rifornire la dispensa, ma perché ce lo chiedi?» Domandò con prudenza Cookie, temendo già la risposta.

«Dovete andare lì.» Spiegò Rarity con una frase che alle loro orecchie suonò come “definitiva”. «Tutti e tre. Partite domani, portatevi da mangiare per delle settimane e cercate di tenervi alla larga dai centri abitati, a meno che non sia strettamente necessario, e se dovete rifornirvi di beni di prima necessità, fatelo alla svelta!»

Hondo deglutì così a fondo che il suo pomo d’Adamo vibrò nel gargarozzo. «La situazione… è davvero così grave?»

«Lo è.» Fu la risposta secca della figlia.

Forse l’entusiasmo del rientro a casa l’aveva illusa che le cose potessero andare bene, fatto stava che non poteva pensare di ripartire per Canterlot senza preoccuparsi di che cosa potesse succedere alla sua famiglia se un Kaiju avesse deciso di manifestarsi proprio a Ponyville durante la sua assenza. La Reborn Technologies sospettava che l’Everfree Forest fosse l’epicentro dell’attività dei mostri, e se così era vero non poteva tollerare il rischio che un’emersione le portasse via tutto ciò che le era di più caro, non il suo negozio, bensì la sua famiglia!

Sweetie Belle aveva compreso, anche se era piccola, anche se era ancora un fianco bianco e non riusciva a figurare la reale entità della crisi. Ma se Rarity chiedeva… se Rarity imponeva di andarsene da Ponyville, stava per succedere qualcosa di molto, MOLTO grave.

Chissà se poteva convincere gli adulti a portare con loro anche le sue amiche? Se restare in paese era così rischioso, non voleva partire lasciando Scootaloo, Babs ed Apple Bloom da sole.

Quando era rientrata a Ponyville, l’idea di Rarity era di portare fuori a cena tutti quanti, famiglia e amici insieme, ma dopo quanto era successo dovette ridimensionare i suoi piani. Sua madre la stava aiutando a rimettere a posto il negozio, nel frattempo che Hondo Flanks e Sweetie Belle si dirigevano al Giardino Dolcimele.

La proposta della puledrina era stata accolta con pareri favorevoli sia dai suoi genitori che dagli Apple stessi, che reputarono fosse molto più sicuro per Apple Bloom e Babs stare il più lontano possibile dal villaggio; qui Hondo scoprì anche dettagli sul Quarto Attacco che la figlia maggiore aveva scrupolosamente evitato di raccontare (come la temporanea soppressione della magia). Per quanto riguarda Scootaloo, le sue due zie avevano mostrato maggiore resistenza all’idea di cedere la nipote ad un’altra famiglia nei tempi che correvano, ma alla fine furono convinte pure loro, grazie alla fiducia che nutrivano nei confronti della famiglia di Sweetie Belle.

Padre e figlia rientrano quindi vittoriosi a casa, dove li aspettò una tavola imbandita, piena di prelibatezze che avevano già il profumo e la consistenza del nostalgico.

Nonostante l’intenzione di uscire, Rarity dovette convenire che nessuna cena in ristorante si sarebbe potuta confrontare col piacere dell’intimità di un pasto consumata in famiglia, e chiunque si fosse trovato a sedere intorno a quel discreto tavolo da pranzo, quella sera, avrebbe potuto giurare che il banchetto consumato era stato più squisito del più squisito dei banchetti riservati a un re.


   
 
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