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Autore: Mel_deluxe    28/11/2017    0 recensioni
La popolarità non è un’opinione: questo è ciò che credono gli studenti del liceo di Buckley, sperduto paesino nelle foreste del nord-Midwest, dove le regole e le relazioni sociali sono dettate da una rigida e rispettata “Catena della Popolarità”.
Linda Collins, affascinante reginetta del ballo nonché capo cheerleader in carica, si è sempre ritrovata ai primi posti della Catena senza particolari sforzi. Tutto però cambierà l’ultimo anno di liceo, quando Linda lascia il suo storico fidanzato Simon Coleman, il bello e conteso quarterback di football della scuola, che subito si rivolta contro di lei. Questo sarà l’inizio della fine.
Nel frattempo qualcuno sembra tramare nell’ombra per distruggere la Catena: strani avvenimenti iniziano ad accadere a Buckley, e un terribile, losco omicidio verrà commesso, proprio all’interno delle quattro mura scolastiche.
Linda e Simon, resosi conto che l’assassino sembra prendere di mira proprio loro due, si vedranno costretti a mettere da parte le loro rivalità e ad allearsi per risolvere questo intrigato mistero.
Chiunque sia il misterioso assassino, una cosa è certa: non apprezza affatto i ragazzi popolari.
Genere: Mistero, Parodia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Capitolo 8
Simon Cool-eman

 

"I know it's over 
And it never really began 
But in my heart it was so real
And you even spoke to me, and said : 

"If you're so funny 

Then why are you on your own tonight ?"
"I Know it's Over", The Smiths 1986


 
 
Da una porta chiusa nel bagno delle ragazze provenivano degli evidenti suoni di conati di vomito. Non era chiaro se la persona che era al suo interno stava solo affrontando le cause di un pranzo non proprio eccellente oppure se stava cercando di soffocarsi con le sue stesse lacrime.
Linda Collins si accostò alla porta e bussò lievemente. Non vi fu risposta, solo altri conati.
Linda aprì la porta, che non era stata chiusa a chiave e, come sospettava, si ritrovò davanti Carey Davis, inginocchiata mentre abbracciava la tazza. Aveva il viso sudato, o forse stava solo piangendo, e due dita della mano infilate in bocca.
«Che diavolo stai facendo?» domandò Linda, guardandola con rimprovero.
«Sto cercando di uccidermi. Cos’altro credi che stia facendo?»
Carey si infilò di nuovo le dita in gola, ma non riuscì a provocare nessuna reazione, se non altri fastidiosi conati soffocati.
Linda si appoggiò sul vano della porta con nonchalance e si mise a braccia conserte.
«Lo sai che per riuscire a vomitare devi prima aver mangiato qualcosa, vero?»
«Prima avevo pensato di lasciarmi morire di fame, infatti.» disse Carey, con voce flebile. «Poi però ho pensato che ci avrei messo troppo tempo e così sono corsa a vomitare per velocizzare il processo...»
Linda era ancora più confusa di prima.
«E allora perché non hai fatto come tutte gli adolescenti normali e non hai usato l’overdose di medicinali o la più classica cravatta di tuo padre per impiccarti? Con quelli avresti fatto molto più veloce.»
«Perché non ci ho pensato, okay!» urlò Carey, esasperata. Finalmente si alzò in piedi, asciugandosi la bocca sporca di saliva. Superò Linda e andò a risciacquarsi la faccia, come se nulla fosse successo.
«Non so fare nulla...» sussurrò. «Nemmeno capace di uccidermi. Sono una delusione.»
«Ma smettila, non penso ci sia qualcuno davvero bravo ad uccidersi! Quando Marilyn Monroe l’ha fatto nessuno ci ha nemmeno creduto, e ha scatenato una tale rissa tra teorie complottiste da fare invidia all’Area 51. E poi, per essere un primo tentativo, sei anche andata piuttosto bene.»
Carey sospirò e si prese un secondo di pausa per sciacquarsi il viso con l’acqua fredda del lavandino. Poi. Senza dire altro, lentamente si volse e andò a sedersi per terra lasciandosi andare a peso morto contro il muro, strisciando rumorosamente la schiena sulle piastrelle che, forse in un tempo assai remoto, dovevano essere state bianche.
Poco dopo Linda la raggiunse e si sedette di fianco a lei.
«È ancora per Simon?» domandò Linda.
Carey annuì, senza spostare lo sguardo dal muro davanti a sé.
Sentì Linda sospirare.
«D’accordo, vediamo di mettere in chiaro alcune cose: quanto ti piace esattamente Simon da uno a dieci?»
«Quattrocento.»
«Il quattrocento non esiste. Ho detto da uno a dieci.»
«Dieci più uno.»
«Va bene, ho capito...»
Linda si sistemò la gonna e si girò per guardarla negli occhi. Carey evitava il suo sguardo il più possibile, ma continuò ad ascoltarla, anche quando Linda riprese a parlare:
«Carey... perché non me l’hai mai detto? Insomma, io e Simon siamo stati insieme due anni. Due anni! E non sei mai stata così gelosa come lo sei adesso, che ti prende?»
«Lo so, ma tu mi piacevi!» provò a giustificarsi Carey. «Eri e sei ancora mia amica, per questo alla fine ero felice che Simon stesse con te! Io lo amavo, certo, ma se non potevo averlo io, allora era meglio che lo avesse una persona che mi piaceva, no?»
Linda cercò di cancellare i mille ricordi degli anni precedenti che le ritornavano in mente, sentendo pronunciare quelle frasi.
«Sì, ti capisco. Fin troppo bene, forse...»
«Ma adesso gli piace questa Ragazza Nuova, una ragazza che non conosco, con cui non ho nessun legame, per cui non ho nessun motivo per fare il tifo e che perfino tu detesti... Potrebbe andare peggio di così?»
Linda la guardò.
Poi, notando che Carey non dava segni di vita, le diede un leggero colpo sulla spalla e si lasciò di nuovo andare contro la parete.
«Carey, se vuoi un parere personale, sì: sei stata sfortunata. Insomma, il ragazzo per il quale avevi una cotta da tre anni non ti nota, poi si fidanza con la tua migliore amica e quando finalmente i due si lasciano lui si prende una sbandata per la più cretina e la più inabile persona di questo mondo. Ma alla fine è capitato a molti, se non a tutti. Simon però non è unico e insostituibile. Ho sempre pensato anche io che le persone a cui volevo bene fossero uniche e insostituibili e, anche se è brutto da dire, in realtà non è così. Chissà quanti altri ragazzi biondi e attraenti incontrerai nella tua vita... Insomma se la vita andasse sempre come vogliamo noi allora saremmo tutti felici. E beh, a quel punto il mondo sì che sarebbe davvero una noia...»
Carey sorrise tristemente. Appoggiò dolcemente la testa sulla sua spalla e Linda, di rimando, accostò la sua testa alla sua. Rimasero così, in silenzio per qualche minuto.
Erano entrambe tristi in quel momento, ma almeno erano tristi insieme.
Non c’è niente di più bello di quando si ha un’amica disposta ad essere triste insieme a noi.
Così, sedute sul pavimento di un lurido bagno femminile, appoggiate l’una all’altra, Linda e Carey si godettero quei pochi minuti di pace, prima che l’odioso suono della campanella le riportasse al loro grigio e malinconico mondo reale.
 
 
Il nuovo professore di letteratura del liceo, nonché responsabile del club di teatro Michael Joyce, affascinava Taylor. Era un uomo pieno fino all’orlo di informazioni, di storie e di nozioni, così pieno che ormai strabordava e ora più che mai per forza riversa quelle informazioni su qualcuno, altrimenti sarebbe esploso.
E quel qualcuno, con gioia della stessa, era una studentessa eternamente sola di nome Taylor May.
Lei e il suo gruppo di teatro di trovavano in piedi in cerchio, a eseguire la lettura dello spettacolo scelto per l’anno, Sogno d’una notte di mezza estate.
Taylor aveva ricevuto la parte di Ermia, e la cosa le creava parecchio disagio. Era contenta di essere una delle protagoniste, certo, ma non si sentiva nulla in comune con Ermia. Non possedeva lo stesso fascino, la stessa sicurezza e la stessa passione che una Ermia avrebbe dovuto avere. A Taylor non piaceva stare al centro dell’attenzione. Taylor si sentiva ed era un’Elena, destinata a restare sempre nell’ombra di ragazze ben più affascinanti di lei. Così sarebbe dovuto essere, ma il professor Joyce, quando le aveva accordato la parte le aveva detto: “Ti ho scelto perché so che sei in grado di esserlo.” Taylor si era sentita onorata, ma non sapeva se ne era all’altezza.
«”O rabbia! O inferno! Tutti consociati, vedo, per divertirvi alle mie spalle! Se foste appena appena costumati e dotati d’un po’ di cortesia non mi potreste offendere così!”» proclamò con enfasi LeeAnn Anderson di fianco a lei, che aveva ricevuto la parte di Elena. Taylor si sedeva sempre vicino a LeeAnn durante le prove, perché era l’unica persona del gruppo di teatro con cui si trovasse in sintonia. Non parlavano molto in realtà, ma almeno era gentile, e Taylor l’ammirava molto. L’ammirava e la invidiava allo stesso tempo.
«”Ma non potete seguitare a odiarmi, come sono sicura che m’odiate, senza che vi alleiate in questo modo per schernirmi? Se foste veri uomini, come sembrate essere all’aspetto, non vi comportereste in questo modo con una gentildonna come me!”» continuava la giovane Elena.
LeeAnn possedeva veramente un talento straordinario nella recitazione. La sua voce disperata faceva ogni volta venire i brividi a Taylor, e se fossero stati in una vera rappresentazione, in quel momento, e non in un cerchio formato da ragazzini in età puberale, era sicura che si sarebbe messa a piangere davanti a quell’interpretazione.
«Molto bene, LeeAnn» disse il professor Joyce, seduto esattamente dalla parte opposta a lei e Taylor. «Ma non spingere troppo con la voce. Stiamo recitando in una commedia, dopotutto, non una tragedia.»
Fu poi il turno di Calum Wheese, uno dei ragazzi popolari che giocavano nella squadra di football, che interpretava la parte di Lisandro. La differenza di bravura dopo aver sentito LeeAnn era quasi comica, ma Calum era così carino che a nessuno importava davvero se sapesse recitare o no. Nessuno sapeva il vero motivo per cui Calum Wheese si era ritrovato lì con loro, ma voci riportavano che si era iscritto al corso di teatro solo perché sperava di portarsi a letto LeeAnn.
«”Ebbene, vedi, io con tutto il cuore, ti cedo la mia parte del suo amore, e tu a me lascia l’amore di Elena, ch’io amo ed amerò fino alla morte...”»
Mentre la lettura andava avanti, Taylor si ritrovò a incrociare lo sguardo con il professor Joyce, che a sua volta, scoprì, la stava guardando. Taylor riconosceva un certo fascino in lui, nei suoi capelli folti e scuri, nel suo sorriso enigmatico e il viso perennemente sbarbato. Possedeva uno stile impeccabile e una capacità incredibile di rendere due intere ore di lettura di Shakespeare un’attività interessante. Però, pensò Taylor, non era solo quello in lui che l’attraeva...
«Ehi Taylor? Guarda che tocca a te» sentì bisbigliare LeeAnn.
Taylor si riprese immediatamente, diventando rossa in faccia e ritrovando il segno nel panico più totale.
«Scusatemi... aehm.... “Il buio della notte, che impedisce all’occhio di vedere, dà all’orecchio la percezione più viva e sottile-“»
«Taylor.»
Non aveva nemmeno finito di leggere una frase e già era stata interrotta. Era veramente un disastro.
Taylor alzò lo sguardo, ancora rossa in viso e si ritrovò gli occhi verdi del professor Joyce puntati su di lei.
«Cerca di essere più... affranta.» le spiegò gentilmente il professore. «Hai appena scoperto che l’uomo che amavi e da cui credevi di essere ricambiata è invece innamorato della tua migliore amica. Non solo, è innamorato di una ragazza che possiede un decimo del tuo fascino e della tua bellezza. Come ti farebbe sentire una cosa del genere, nella vita reale?»
«Io...» Taylor provava a parlare, ma sentiva che tutti la stavano fissando. «Non molto bene, credo...»
«Non devi semplicemente sentire il tuo personaggio. Devi essere il tuo personaggio. Capisci cosa intendo?»
«Ehm, penso di sì.»
«Come se fosse una cosa facile» sentì commentare LeeAnn sprezzante. «Non è semplice essere un personaggio se si è una persona completamente diversa da lui, professore. Io non mi sento per nulla simile ad Elena, ad esempio.»
«Può darsi» intervenne il professor Joyce. «Ma potete fingere di essere qualcuno e crederci contemporaneamente. C’è gente che lo fa tutti i giorni, no? È il lavoro di un attore. Fingere e credere di essere una persona completamente diversa da quello che si è.»
Michael Joyce guardò i ragazzi ad uno a uno. Si fermò un secondo in più degli altri su Taylor e lei rimase in attesa, con il cuore in gola.
«Qual è la vostra opera di Shakespeare preferita, ad esempio?» domandò improvvisamente.
«Facile: Amleto» rispose immediatamente LeeAnn.
«Sai dirmi il perché, LeeAnn?»
Lei fece spallucce.
«Perché tutte le persone in Amleto sono brutte persone. Sono tutti equamente orribili, non esiste il bene o il male, e tutti alla fine hanno quello che si meritano. Sono tutte brutte persone, tranne Ofelia, ovviamente.»
Il professor Joyce chiese ad uno ad uno la domanda. Passò anche da Calum Wheese che rispose Il Mercante di Venezia.
«È che le donne lì sono tutte molto più furbe degli uomini....  insomma, le due protagoniste spaccano! E poi è divertente.» fu la sua giustificazione.
Tutti dissero la sua, ci furono risate, litigi, finché il professor Joyce non spostò lo sguardo su Taylor.
«Tu che mi dici, Taylor?»
Taylor non dovette pensarci due volte. Lo disse a bassa voce, quasi sussurrando, perché non le piaceva che tutti la sentissero e la giudicassero:
«Beh, forse sarò banale, ma è Romeo e Giulietta. La descrizione dell’amore e le parole usate, sono semplicemente... meravigliose.»
Si udì qualche risata soffocata, ma invece, con sua sorpresa, il professor Joyce le rivolse un bellissimo sorriso.
«Non è affatto banale, invece. È ciò che vi piace che determina chi siete. Il sistema dell’opera di Shakespeare è un buon metodo per capire che genere di persona avete davanti.» Il professore le fece l’occhiolino. Poi, mentre Taylor rimaneva pietrificata a guardarlo, lui si alzò, guardò velocemente l’orologio e proclamò alla classe ad alta voce: «Bene, voglio lasciarvi un compito prima che finisca la lezione. Per essere attori dovete amare anche cose che normalmente non amereste. Voglio che prendiate l’opera preferita della persona alla vostra destra, che la leggiate e che settimana prossima mi presentiate i motivi per cui quella è l’opera migliore di Shakespeare.»
Taylor alla sua destra aveva LeeAnn, per fortuna, si rese conto, almeno Amleto non era così male.
Prima che tutti si alzassero, Taylor guardò il professor Joyce in viso e con tutto il coraggio che riuscì a trovare gli domandò:
«E lei professore?»
Michael Joyce si girò sorpreso.
«Come?» disse, sollevando le sopracciglia.
«Qual è la sua opera shakespeariana preferita?»
Il professor Joyce la guardò per qualche secondo, poi fece un lieve sorriso, quasi imbarazzato.
«È Macbeth
Lo disse a bassa voce, quasi si vergognasse a rivelarlo.
Poi scese dal palco e dopo aver salutato i ragazzi a gran voce, si diresse verso l’uscita dell’auditorium.
 
 
Taylor May rincorse il professor Joyce fuori dall’auditorium, mentre tutti andavano per la propria strada. Lo fermò poco prima dell’uscita.
«Professore! Professor Joyce!»
Lui si voltò, con una sigaretta già tra le labbra pronta per essere accesa e lo sguardo sorpreso.
«Oh, Taylor...» disse, togliendosi la sigaretta dalla bocca. «Hai dimenticato qualcosa?»
«No, io...» Ancora ansimava per la corsa improvvisa. «Volevo solo dirle che apprezzo moltissimo le sue lezioni.»
«Beh, grazie.»
«Insomma, la professoressa Smag era brava, certo. Ma lei, signor Joyce, riesce a tirare fuori il meglio da noi ragazzi.»
«Oh.» Il professor Joyce sorrise, sentendosi evidentemente onorato. «Chiamami pure Michael. Non mi piace essere chiamato per cognome quando non siamo a scuola. Mi fa sentire vecchio.»
Così Taylor e Michael uscirono dalla scuola, fianco a fianco.
Era iniziato ottobre. Gli inverni freddi del nord iniziavano a farsi sentire troppo presto, quando l’anno iniziava a terminare. Non appena uscirono dalla porta principale, il gelo cominciò a congelare le mani di entrambi.
Michael decise che non avrebbe fumato la sua sigaretta. Si girò verso la ragazza.
«Ti serve un passaggio, Taylor? Fa freddo, forse è meglio che ti accompagni.»
«Abito a tre isolati da qui, ma con questo gelo, non vedo perché non dovrei accettare.»
Andarono insieme verso la macchina di Michael, una Bentley nera acquistata di recente, con grande gioia di quest’ultimo. Taylor si sedette al posto del passeggero e si godette il caldo emanato dalla macchina per quel breve tempo che avrebbe passato lì.
Passarono tutto il viaggio in silenzio, ad eccezione delle brevi indicazioni di Taylor. Lei si sentiva così bene in quell’auto, così comoda e così calda.
«Sa, professo- ehm... Michael» gli disse, girandosi verso di lui. «Sono veramente a mio agio quando sto con lei.»
«Ah sì? Beh, è una buona cosa.»
Taylor teneva lo sguardo su di lui, che invece non la notava, poiché aveva gli occhi fissi sulla strada. Taylor osservò attentamente il bel viso del suo professore, poi scese, fino a notare sulla mano che teneva il volante, una brillante fede dorata sull’anulare.
Taylor spostò lo sguardo immediatamente, non appena la macchina si fermò.
«Dovremmo essere arrivati, no?» domandò Michael, guardando fuori dal finestrino.
«Sì.»
Anche Taylor iniziò a guardare fuori dal finestrino. Vide la sua casa, una piccola villa con le pareti bianche e il tetto blu, i due colori che portavano anche le cheerleader di Buckley. Guardò più in là e osservò per un attimo la casa di Simon Coleman, identica ed esattamente di fianco alla sua.
Si ricordò di come da piccoli si parlassero attraverso le finestre, essendo le loro stanze una di fronte all’altra, di come avessero costruito un telefono artigianale con spago e bicchieri per parlarsi, di come Simon una volta si fosse arrampicato su di un albero solo per vederla più da vicino.
Le venne una fitta al cuore e decise che non avrebbe più pensato a Simon, almeno per quel giorno.
Taylor si slacciò la cintura e si girò per ringraziare Michael.
«Grazie mille per il passaggio.»
Michael la guardò, poi le sorrise.
«Allora Romeo e Giulietta, eh?»
«Già...» Taylor fece una leggera risata. «È che mi sono sempre piaciute le storie d’amore impossibili.»
«Capisco.»
Si guardarono negli occhi un secondo, poi Taylor scese dall’auto e si avviò verso casa sua, mentre la Bentley nera sfrecciava via in mezzo alla nebbia.
 
 
«Sei davvero splendida, sai?»
Simon Coleman era seduto nell’ora di pranzo in compagnia della sua nuova fiamma, la Ragazza Nuova appena arrivata a Buckley mentre osservava le sue lentiggini ammaliato.
Aveva deciso che per quella pausa pranzo avrebbe abbandonato il tavolo formato esclusivamente dai suoi amici Numero Sei e lo avrebbe passato con lei.
Si divertiva con lei. Certo, sentiva che tutti lo stavano guardando, i ragazzi lo incitavano, le ragazze guardavano la Ragazza Nuova con un misto di ripudio e invidia.
Ma a Simon non importava.
Aveva scoperto che la Ragazza Nuova era vegetariana e si portava da casa degli strani prodotti a base di latte, che ricreavano il sapore della carne, solo più zuccherato, che a Simon piacevano alla follia.
In quel momento lei stava mangiando uno yogurt di una strana marca islandese certificata al 100% di non essere sfruttatrice di animali.
«Sa di felicità di esseri viventi» proferì allegramente la Ragazza Nuova, mentre poggiava le sue bellissime gambe su quelle di Simon. «Tieni, assaggia.»
Simon lasciò che la Ragazza Nuova lo imboccasse e bisbigli di disgusto e rassegnazione si levarono in tutta la mensa.
«È buono...»
A Simon non importava nulla  dello yogurt, quello che gli interessava era di avere il viso della Ragazza Nuova vicino al suo, in modo da poter osservare e contemplarne la sua bellezza molto più facilmente.
«... Ma mai quanto te.»
La Ragazza Nuova fece una risata imbarazzata e continuò a mangiare il suo yogurt.
A quel punto Simon si decise e le afferrò saldamente una mano, mentre con l’altra le prese il viso e la costrinse a guardarlo negli occhi. Lei si girò sorpresa.
«Senti, stavo pensando» disse, mentre guardava i profondi occhi turchesi della Ragazza Nuova davanti a sé. «è da più di una settimana che noi due usciamo e volevo dirti che tu mi piaci molto...»
«Anche tu mi piaci molto, Simon.» La Ragazza Nuova gli fece un bellissimo sorriso.
«Ecco, sì, appunto» riprese lui, mentre le prendeva entrambe le mani e le portava a sé. «In più io sto veramente bene con te. È da tanto che non provo qualcosa del genere... tu mi completi. Mi piaci più di con ogni altra ragazza con cui io sia mai stato...»
Era una bugia, tutto quello che aveva appena detto era una bugia, ma tanto nessuno lo avrebbe mai saputo.
Prese un lungo respiro.
«Vorresti diventare la mia ragazza?» domandò, tutto d’un fiato.
Attese qualche secondo, per vedere la sua reazione.
Simon si accorse di essere agitato. Non chiedeva a una ragazza di fidanzarsi con lui da... beh, da sempre.
Attese, mentre le labbra della Ragazza Nuova si aprivano in un ampio sorriso.
«Oh, certo che sì!» esclamò lei, poi si avvicinò per baciarlo. Simon si rese conto che non la stessa cosa di baciare le labbra alla ciliegia di Linda, ma era comunque piacevole.
La Ragazza Nuova si staccò dal bacio, poi gli prese il viso tra le mani e lo baciò di nuovo, questa volta molto più violentemente. Simon rimase di sasso.
«Ehi, piccola, non essere così euforica...» disse, notando che tutti in mensa li stavano guardando. «Sai, se continui così rischiamo di portare pettegolezzi che-»
«Dimmi che sono una puttana.»
Simon spalancò gli occhi nella più totale confusione.
«Eh?»
«Dimmi che sono una puttana!»
«Cosa? Ma perché?»
Simon non capiva. La Ragazza Nuova si avvicinò al suo orecchio e gli sussurrò, con voce ammaliante:
«Mi piacciono i cattivi ragazzi. Puoi esserlo per me?»
Ma Simon non era ammaliato. Era spaventato, quello sì. Cosa diamine stava succedendo?
«Ehm... sei una puttana...» disse, senza la minima convinzione.
«Oh, è solo che a-do-ro le storie romantiche in cui la ragazza viene abusata fisicamente e verbalmente dall’uomo! Riesco a relazionarmi così tanto nelle insicurezze delle protagoniste, e i loro uomini, così stronzi e predominanti, sono sempre stati al centro delle mie fantasia preferite!»
«Cosa? Ma è disgustoso, io...»
«Oh, Simon, mi piaci dal primo momento in cui ti ho visto!» continuava la Ragazza Nuova, guardandolo innamorata. «Da quando ci siamo scontrati ho subito pensato: “Eccolo, è lui, lo stronzo giocatore di football che ha sempre avuto solo delle troie con cui scopare e che non si è mai innamorato di nessuna vera ragazza. E io sarò la ragazza gentile e premurosa che riuscirà a cambiarlo, che riuscirà a farlo andare sulla buona strada e lui amerà solo me, e non guarderà nessun altra delle sue troie per il resto della sua vita!”»
Simon si sentì offeso da tutte quelle considerazioni sbagliate su di lui. Tutto quello che la Ragazza Nuova pensava di lui era così distorto e irreale che nemmeno Simon riusciva a crederci.
«Beh, ecco io in realtà...»
Provò a farla ragionare, ma la Ragazza Nuova gli gettò le braccia a collo e urlò nel bel mezzo della mensa ricolma di persone:
«Oh, quanto ti amo, Simon Coleman!»
Simon s’irrigidì di colpo. Le passò una mano tra i capelli e le disse:
«Ahaha sì, anche ioooo.» Ma dentro stava morendo.
Tutti, nessuno escluso, li stavano guardando. Tra la folla di persone scorse Taylor che lo guardava come al solito, ovvero con disapprovazione e disgusto. C’era anche Carey Davis, che sembrava sul punto di scoppiare a piangere. Ma soprattutto vide Linda, che lo osservava con un ghigno vittorioso stampato sulle labbra. Simon non riuscì a sostenere il suo sguardo per più di un secondo.
Solo in quel momento si rese conto di aver commesso l’errore più grande della sua vita.
  
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