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Autore: Janey    28/11/2017    4 recensioni
INTERATTIVA
Mi sono candidato sindaco perché credevo di poter cambiare le cose e di fare qualcosa per aiutare la mia gente e il mio distretto, avevo ancora fiducia nell’umanità, pensavo in una risoluzione, ma ero solamente un giovane inesperto che non sapeva niente del mondo e della sua corruzione. Ero pieno di ideali che non sono riuscito a realizzare. Sono solamente un povero fallito, uno strumento di Capitol City che si è cacciato in qualcosa di più grande di lui.
Vivo in un mondo orrendo dove regna il male e io non posso fare niente per fare la differenza.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caesar Flickerman, Presidente Snow, Tributi di Fanfiction Interattive
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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   Rette

                                                                                                         

 
 
Meno quattro giorni agli Hunger Games
 


Liam Harris, Distretto 7


Un corpulento Pacificatore piomba senza preavviso nella stanza intimando alla mia famiglia di uscire, il tempo è appena scaduto.
Più lui cerca di staccarmi dai miei genitori più io tento di stringerli forti: so che non li rivedrò ancora e pure loro lo sanno. Non c’è mai stato un dodicenne come vincitore e io di certo non sarò il primo, ma solamente uno dei tanti.
Il Pacificatore mi afferra con tutte e due e le braccia e riesce a staccarmi da mia mamma. L’ultima cosa che sento dire da loro è un consiglio oppure una supplica ormai impercettibile gridata da mio padre "Impegnati!". 

L’uomo mi stringe forte il braccio e mi trascina di peso per tutto il corridoio del Palazzo di Giustizia, ignorando profondamente tutte le mie suppliche e le mie lacrime.
“Muoviti, non ho tempo da perdere con te!”, mi sibila lui, facendo sempre più pressione sul braccio.
La sua minaccia ha l’effetto contrario e incomincio a singhiozzare sempre più forte e intanto raggiungiamo il grande atrio: ai lati ci sono sue file di bianche colonne e numerose sedie di legno, semplici ma eleganti. Al cento del grande spazio ci sono tre donne, che riconosco essere l’altro tributo, Kitty e la mentore. 
La seconda mi guarda riprovevole una volta che il Pacificatore mi ha accompagnato da loro. “Asciugati il naso, moccioso”, mi sgrida l’accompagnatrice con la bocca piegata in una smorfia di disgusto. Cerco di fare il meglio possibile asciugandomi il naso e gli occhi con la manica della camicia, anche se si rivela del tutto inutile siccome ora è la mia maglietta a essere impresentabile.
“Non così, incapace!”.
“Vuoi chiudere quella bocca! Non lo vedi che è solo un bambino!”, mi difende la ragazza che è stata scelta insieme a me, anche se ora non mi ricordo il suo nome.
"Basta, ora non è il momento. Allie, chiedi scusa a Kitty, e tu, Kitty, non rivolgerti mai più in questo modo a Liam, sei totalmente incapace di comprendere anche un minimo la sua situazione”, interviene autorevole la mentore.
“Ma chi sei tu per dirmi queste cose?!”, esclama furibonda l’accompagnatrice, mentre il suo volto diventa di mille colori.
“Posso  dirti tutto ciò che mi pare dato che senza di me tu saresti stata licenziata. Se non avessi vinto cinque anni fa e non avessi riabilitato il tuo nome di accompagnatrice a quest’ora saresti già stata dimenticata”, ribatte la mentore guardando Kitty con aria di sfida. Un sorriso si increspa sulle labbra di Allie mentre la capitolina ci rivolge uno sguardo truce. Ben ti sta, brutta strega!

 

Le porte del Palazzo di Giustizia vengono aperte da alcuni Pacificatori e tutti e quattro scendiamo per la scalinata diretti al treno che ci porterà a Capitol City. Intorno a noi ci sono gruppi di persone che stanno assistendo alla nostra partenza, e tra di loro trovo anche la mia famiglia. Tomas tiene lo sguardo basso, sentendosi troppo colpevole per non essersi offerto volontario. Me lo ha confessato prima: aveva pensato di prendere il mio posto, ma poi aveva avuto paura e quindi…
Non ho avuto il coraggio di dirgli che anch’io avevo sperato che si offrisse volontario per me, dopotutto è mio fratello maggiore, ma cosa posso pretendere?

La porta automatica di un vagone  si apre e uno dopo l’altro saliamo. Poco dopo il treno parte a tutta velocità e noi seguiamo la mentore in uno scompartimento arredato con tantissime portone verdi e alcuni divani molto lunghi.
“Sediamoci qua”, consiglia lei, indicando quattro poltrone disposte una di fronte all’altra. “Io mi chiamo Remember e sono qui per aiutarvi. Arrivati a Capitol ci sarà la sfilata e poi gli allenamenti, la sessione privata e infine le interviste: in ogni campo dovrete dare il meglio di voi per fare colpo sugli sponsor”, ci istruisce Remember, ripetendo quel discorso che deve avere già fatto parecchie volte. “Mi raccomando: gentilezza, fascino e audacia”.  Gentilezza? Fascino e audacia? Stiamo scherzando?
“Ci possiamo trovare anche degli alleati?”, domanda Allie.
“Sicuro”, risponde la giovane donna, “anzi, sarebbe meglio”.
“Ma possiamo scegliere tra tutti?”.
“Si, tra tutti, ma dovrete essere molto attenti e selettivi”. Che strane domande, possibile che lei abbia già in mente qualcuno? Ma come è possibile dato che le repliche saranno stasera?

 

Improvvisamente davanti a noi compare una recinzione di filo spinato e due torrette bianche circondate da Pacificatori e alcune camionette.
“Cos’è?”, chiedo a Remember.
“Il confine del Distretto 7”, mi risponde lei, guardando malinconica la recinzione.
“Quali sono i distretti che confinano con il 7?”, domanda Allie, ammirando il panorama fuori dal finestrino.
“Nessuno”, risponde enigmatica la mentore.
“Come nessuno?”, la interrogo sempre più incuriosito e anche la mia compagna si fa più attenta.
“I distretti non confinano tra di loro, ma vengono separati da vaste aree che non appartengono a nessuno”, spiega Kitty.
“E cosa c’è in queste zone?”.
“Città”, continua Remember , “il mondo prima di Panem”.

 
 Arienne Selene Dioneide, tributo del Distretto 3, treno


 “Certo che voi tre siete proprio una compagnia fantastica!”, commenta ironica Minta, allargando le braccia in modo teatrale.
“Perdonaci, Minta, è che non siamo dell’umore”, si scusa il nostro mentore.
“Non c’è da stupirsi, me lo ripeti ogni anno, vero Uranus?”, replica sorridendo beffarda. Il mentore abbasso lo sguardo e borbotta qualcosa imbarazzato. Viene anche a me da sorridere, però: non la facevo così sveglia e perspicace, Minta.

L’accompagnatrice mi fa l’occhiolino in segno di complicità e poi decide di sedersi sull’enorme divano di pelle nera. Ogni sua mossa è calcolata nei minimi particolari, dal modo in cui si siede a come muove le mani e il capo, ma non per questo i suoi movimenti risultano rigidi o impacciati, anzi, sono eleganti e sinuosi. Per lei deve essere facile siccome ha passato tutta la sua vita in un luogo altolocato come Capitol.
Continua ad osservarci: prima Uranus, che sta sfogliando una rivista di architettura; poi Aaron, che sta scrivendo qualcosa su dei fogli, e infine posa il suo sguardo su di me. I suoi occhi mi danno fastidio, però, sono penetranti e inquisitori. E pensare che alle Mietiture avevo catalogato Minta come “capitolina con poco sale in testa e frivole manie”! Tutt’altro! Questa è una donna di potere.

"Le repliche non dovrebbero iniziare tra poco?”, domando con la speranza di distrarre Minta dall’osservarci tutti ad uno ad uno.
Il mentore da un’occhiata veloce all’orologio da polso “Sì, tra cinque minuti”, risponde prendendo il telecomando e accendendo la televisione. “Il momento delle Mietiture è estremamente importante perché avete l’opportunità di farvi un’idea dei vostri avversari”, ci ripete lui. Devo ammettere che Minta ha ragione, Uranus ripete sempre le stesse cose. Anch’io mi ridurrò così una volta tornata a casa? A un automa che ripete sempre le stesse frasi di rito?
“Ma è solo un’opinione”, obbietta l’altro ragazzo.
“A volte le prime impressioni possono essere le più azzeccate”, risponde enigmatica Minta.

 
Sullo schermo della TV compaiono i due presentatori, Cesar Flickerman e Claudius Templesmith, che incominciano a fare aneddoti scherzosi e commenti per scaldare il pubblico in attesa dell’inizio del programma.
"Direi che è arrivato il momento di mostrare agli abitanti di Panem i nuovi tributi! Scommetto che moriranno tutti dalla voglia di vederli!”, esclama concitato Cesar.
“Sì, e direi che possiamo partire dal Distretto 1”, conclude Claudius e poco dopo la scena cambia, mostrando una veduta della piazza.
Come al solito c’è un volontario e una ragazza con una maglietta veramente brutta; dal 2 una ragazza con una parrucca giallissima e truccata in modo vivace; poi la scena si sposta su me e Aaron: entrambi rivediamo la chiamata dell’accompagnatrice e infine il nostro gesto di offrici volontari.
“Siete stati bravi, e poi siete volontari: un altro punto in favore per voi”, commenta con un leggero sorriso il mentore.
Dal 4 c’è un ragazzo che fa una figuraccia in diretta nazionale; nel 5 invece scoppia un mezzo casino: a parte le urla isteriche di una donna, suscita particolare attenzione il caso del ragazzo: passano diversi minuti senza che succeda niente, poi il capo dei Pacificatori sale sul palco e chiede se ci sono altre persone che portano lo stesso cognome di questo Lorin Alakai. Si fa avanti una ragazza dai diciottenni e pochi secondi dopo viene violentemente afferrata da alcuni Pacificatori. Il capo (che intanto è sceso dal palco) estrae una pistola e la punta dritta nella fronte della sventurata. “Se il tributo non si va avanti, qui al Distretto 5 oggi ci sarà un cadavere in più!”, sbraita contro la folla. Dopo un po' un ragazzo si fa avanti a fatica, cercando di liberarsi dagli amici che tentano di fermarlo inutilmente.
“Interessante”, commenta Minta. Devo ammettere che è stato qualcosa che non mi era mai capitato di vedere.
Dal Distretto 8 c’è invece un quindicenne sulla sedia a rotelle. “È possibile?”, domando inorridita.
“Nulla ti vieta di partecipare agli Hunger Games”, risponde Uranus.
Volontari e non si susseguono fino al 10, quando la ragazza tenta di aggredire e uccidere la capitolina. “Ah! Avrà davvero un bel daffare Didone!”, esclama divertita l’accompagnatrice.
E infine il Distretto 12, che per l’ennesima volta è lo zimbello dell’intera nazione. 
                                                                                               
“Sono state delle Mietiture…particolari”, riprende la parola Cesar, facendo sicuramente riferimento alle Mietiture del 2, del 5, dell’8 e del 10.
Mi alzo scocciata. “Dove vai, Arienne?”, mi chiede il mentore.
“A dormire”, rispondo brusca. Che senso ha continuare a guardare? Stasera io e Aaron non siamo stati nessuno, solo gli ennesime volontari. Ce ne sono tanti in ogni edizioni e a grandi linee tutti per gli stessi motivi. A Capitol interessa forse se con il nostro gesto abbiamo salvato delle vite?                                                                                                     

Artemide White, tributo del Distretto 12, treno
 


La tavola è abbastanza lunga ed è interamente di vetro: è la prima volta che ne vedo una, nel Distretto 12 sono tutte di legno scadente oppure di compensato, mentre questa è così bella, così splendente…
La luce che entra dal finestrino si riflette nel complicato lampadario di cristallo che pende dall’alto e crea delicati giochi di luce che si riproducono nella parete metallizzata.
Intorno al tavolo ci sono sei sedie e all’estremità opposta del vagone c’è un comodissimo divano a righe bianche e celesti, accompagnato da altre due poltrone del medesimo tessuto e un tavolino pieno di riviste. La tavola e il salottino sono separati da una fila di imponenti piante dalle foglie verdissime e larghe. E pensare che questo è solo lo scompartimento di un treno!

“Buongiorno, Artemide!”, mi saluta allegra Swan, la nostra accompagnatrice e mentore, siccome il 12 è l’unico distretto in tutta Panem a non aver ancora avuto un vincitore. Magari potrei essere io la prima...
“Serviti pure”, mi sorride amorevole, mentre con la mano indica i dolci sulla tavola. Cavolo, credo di non averne mai visti così tanti in tutta la mia vita: cup-cake decorati con figure di zucchero e perline, pasticcini e torte coloratissime e glassate. Decido di assaggiarne una completamente rosa e ricoperta di margherite. È fantastica, soffice e dolce.
Poco dopo riempio il piatto con ogni sorta di dolce, devo mettere su qualche chilo. Come mi hanno consigliato i miei genitori… Erano piuttosto arrabbiati, anche lo zio mi ha rimproverata: dicevano che non mi dovevo offrire e che dovevo ignorare quella ragazzina cieca che avevano appena chiamato. Ma come potevo? La mia coscienza ha avuto la meglio e… e ora mi trovo qua. È stata carina quella ragazza, però, mi è venuta a salutare e mi ha anche assicurato che farà il tifo per me. Come è andata è andata, ora mi devo solo impegnare a vincere.

Swan mi guarda con rimprovero, mentre la porta automatica del vagone si apre. Marco entra nel salottino e la nostra mentore abbassa lo sguardo, memore della figuraccia dell’altro giorno. Invece di sedersi accanto a Swan, che sta a capotavola, il mio compagno di sventura prende posto accanto a me, facendo stridere la sedia contro il pavimento. Lui mi sorride, mentre prende un pasticcino dal vassoio argentato. Mi piace Marco, certo è un po’ scontroso e maleducato, ma con me si è mostrato cortese. E poi ieri mi ha fatto ridere, quanto ha gridato a Swan di spegnere gli altoparlanti, oppure quanto ha fatto quella gaffe dimenticandosi il mio nome: avevo capito che non se lo ricordava e che cercava di nasconderlo per non fare una figuraccia.

“Allora, ragazzi, tra qualche ora dovremmo essere arrivati a Capitol City e lì verrete affidati al vostro staff, che vi preparerà per la sfilata di stasera”, ci spiega la mentore, sempre più emozionata mano a mano che ci avviciniamo.

“Grazie per tutte queste informazioni, Swan”, la ringrazio cercando di essere il più gentile possibile dato che sarà compito suo poi parlare di noi al pubblico e agli sponsor, facendo risultare le nostre qualità.                                  
“Non abbiamo bisogno di questi consigli”, controbatte Marco, che evidentemente non ha ancora compreso l’importanza di essere educati con Swan. Gli pesto il piede, sperando di farlo zittire.
“Come, prego?”, domanda la capitolina diventando sempre più rossa. No, no! Non possiamo farcela nemica! Già ci deve aver preso un po’ in antipatia per la faccenda di ieri.
“Ecco, vedi, Swan, Marco  non intendeva offenderti…”, le spiego cercando di essere credibile.
“E invece sì”, continua lui, comportandosi come un bambino che fa i capricci. La mentore si alza di scatto, facendo stridere la sedia.
“Se sapete come cavarvela da soli, allora qui non c’è più bisogno di me!”, esclama allontanandosi inviperita dallo scompartimento.
Ti faccio i miei complimenti! Ora mi spieghi come facciamo?!” , mi rivolgo a lui alterata, una volta che la nostra ex-mentore è uscita. Sto aspettando una spiegazione.
“L’ha detto lei stessa: ce la caviamo da soli”, continua lui pacato. Basta, è meglio che ripari a questo casino. Mi alzo anch’io e mi avvicino alla porta automatica.
“Dove vai?”, mi chiede allarmata una voce alle mie spalle.
“Secondo te? A riparare al disastro che hai combinato”, rispondo con un tono sempre più acuto.
Lui abbassa il capo, forse sinceramente dispiaciuto. “Scusa, è che...”, riprende lui cercando le parole giuste, “non sopportavo più la sua ipocrisia. Vederla allegra mentre noi rischiamo di morire mi ha fatto perdere le staffe, Artemide”, mi spiega.
Le sue parole mi fanno riflettere: rivedo Swan parlarci solo di sfilate e gioielli, di onore e gloria per il vincitore. Niente umanità o compassione. Mi volto verso il mio compagno e lo guardo per un po’. In fondo in fondo non ha tutti i torti.
“Sai, Marco, forse hai ragione: non abbiamo bisogno di lei, ce la possiamo fare benissimo noi due”.
 

Julivan Sánchez, tributo del Distretto 8, treno

Vedo il paesaggio scorrere al di fuori del finestrino: prati incolti di un verde scuro si alternano a zone cementificate dove sorgono gli scheletri fatiscenti di alcuni grattaceli, simbolo di quello che era il mondo prima di Panem.
Le immagini arrivano confuse ai miei occhi e poi si concretizzano in una frazione di secondo, per ritornare infine confuse una volta superato il mio campo visivo. 
Il treno è un’esperienza fantastica, è la prima volta che ne prendo uno e per essere precisi, è la prima volta che salgo su un mezzo di trasporto. Non ho ancora capito esattamente come funzioni, cioè, io sono fermo, come il divano e la libreria, ma il treno si sta muovendo. Come è possibile? Forse per capirlo meglio dovrei essere in grado di camminare.

È da quanto siamo partiti che me ne sto qui attaccato con gli occhi sul finestrino, non vedo l’ora di vedere Capitol. O meglio, non vedo l’ora di vedere Capitol come città, anche perché quello che mi aspetta non sarà per nulla piacevole.
Mi tornano in mente i pensieri che ho avuto la sera prima della Mietitura, al mio desiderio di raggiungere un giorno quell’indipendenza fisica che hanno le persone senza handicap, e di essere in grado di badare a me stesso senza l’aiuto di mio padre. Volevo dimostrare a tutti che ero capace di vivere onestamente e di saper fare qualcosa di utile, anche senza l’uso delle gambe. Ma ora sono arrivati gli Hunger Games e io sono in un netto e mostruoso svantaggio. Come ha detto papà, devo trovare un alleato fedele e gentile, che sappia vedere in me come una possibilità, non come l’ennesimo peso.


Improvvisamente la porta automatica si apre e nello scompartimento entrano Rio, la mentore e Kim. Tutte mi imitano e rivolgono il loro sguardo al paesaggio al di fuori del finestrino.
“Stiamo arrivando”, ribadisce Kayoko. Rio incomincia ad agitarsi sempre di più e Kim ha il naso premuto contro il vetro.
Il treno attraversa dei binari costruiti su una passerella sull’acqua, e davanti a noi si erge la capitale, circondata da imponenti montagne sulle cui cime si intravede ancora della neve. Siamo sempre più vicini e il cuore mi batte forte, me lo sento rimbombare nel petto.
Enormi palazzi dalle linee eleganti e geometriche si alternano a grattaceli futuristici sulle cui pareti brillano spot pubblicitari dai colori quasi accecanti. Gli edifici sono grigi, ma a differenza di quello opaco e smorto che domina il Distretto 8, quello di Capitol City è luminoso e argenteo, dalle superfici metallizzate che riflette la luce del sole.
Gli hovercraft volano veloci nel cielo e planano sulle stazioni di atterraggio posizionate sul tetto degli edifici più colossali.
La passerella è quasi finita e il treno sta per entrare nella città, ma prima passiamo accanto a fontane di marmo bianco posizionate alle porte della capitale che raffigurano mostri marini e dei mitologici e dalle loro bocche escono getti d’acqua che si alternano in fantasiosi giochi d’acqua. È fantastica, è il simbolo del progresso e dell’ostentazione insieme.

Il mezzo rallenta sempre di più e si ferma in una stazione, dove ad accoglierci ci sono centinaia di capitolini. Appena vedono il treno, la folla si fionda nella nostra direzione, acclamandoci e battendo le mani. 
Tutti indossano abiti che riflettono il carattere della città: assurdi, pomposi e decorati eccessivamente. Mi sembra un po’ strano che questi completi vengano creati dagli abitanti dell’8, che contrariamente vestono con colori neutri.
“Allora, ragazzi, so che tutto ciò potrà sembrarvi inutile, oltre che crudele”, incomincia Kayoko “ma sarà di estrema importanza per ottenere sponsor in seguito. Quindi sorridete e siate gentile, con i vostri stilisti e con il pubblico”, conclude poi.
Rio supera tutti e tre e si avvicina sinuosa al portello. Sorride, in fin dei conti questo è un anno come gli altri per lei. 
Lentamente avvicina la mano al bottone di apertura della porta e ci guarda ad uno ad uno negli occhi: “Questo è per voi”, afferma schiacciando il pulsante.

 
Flame Fealton, tributo del Distretto 11, Capitol City


La porta automatica del vagone si apre e la nostra uscita è accolta da una selva di fischi e applausi. La folla grida il nostro nome: sento chiamarmi da tutte le parti e ruoto la testa in ogni direzione, dove il pubblico sta aprendo un passaggio per farci passare. È la prima volta che vedo così tante persone così accalcate, neanche alla Mietitura del Distretto 11 ce ne sono così tante!
Io, Creedence, Solovet e il nostro mentore ci facciamo largo tra lo stretto sentiero che si è aperto: intorno a noi i capitolini sono tutti vestiti in modo diverso e i colori sono davvero tantissimi, dalle molteplici sfumature, da farti quasi venire mal di testa. Rosa shocking, giallo canarino, turchese e verde brillante: credo di non aver mai visto nulla di più bello.
Numerose braccia coperte da guanti e gioielli si allungano per stringere le nostre mani e augurarci “felici Hunger Games”, mentre alcuni giornalisti fanno veloci domande a Solovet e ad Antares. In particolare gli abitanti si rivolgono a me, facendomi i complimenti per il mio eroico gesto di prendere il posto di quell’altra ragazza che era stata estratta. Sorrido educatamente ringraziandoli per il loro supporto.        “Perché li stai ringraziando?”, mi domanda sottovoce Creedence.
"Non gli sono veramente grata”, obbietto. “È che…”.
"Allora potresti evitare di fingere”, continua lui, ignorando la mano tesa di una giovane donna.
Sospiro, è stato proprio ieri quanto ho sentito un discorso dello stesso tipo: “non fidarti di nessuno e promettici che tornerai”. Povera Ester, mi dispiace averla fatto piangere così tanto, ma questo l’ho fatto solo per lei, più che per Judie. Ieri, quando alla Mietitura mi ha stretto fortissimo la mano, ho capito che era tormentata da questo dubbio. La vedevo mentre l’incertezza e i sensi di colpa la stavano divorando, così non ho resistito e mi sono offerta al posto di sua sorella…
Mi dispiace anche per Lia, che mi ha urlato contro per cinque minuti buoni. Ora mi devo solo impegnare, ed essere gentile con il pubblico fa parte della mia strategia per ottenere almeno un minimo il loro favore. Ce l’ha spiegato prima Antares, che qui agli Hunger Games funziona in questo modo.

“Prego, ragazzi”, ci sorride amorevole Solovet, aprendo la portiera di una macchina bianca, pronta a portarci al centro immagine.
I sedili sono comodi e di pelle nera e ci sono anche degli enormi finestrini. Muoio dalla voglia di vedere Capitol: dal treno non ho potuto vederla siccome l’ultimo tratto del viaggio che ci ha portato alla stazione l’abbiamo fatto attraversando un tunnel.
Il veicolo sfreccia veloce tra le strade della città, attraversando spettacolari grattacieli e piazze monumentali.
“Cos’è quello, Solovet?”, chiede Creedence, che nonostante tutti i suoi propositi deve essere rimasto affascinato dalla capitale.
“È un parco”, spiega sorridendo la nostra accompagnatrice. Guardo sulla destra anch’io e noto un cancello di bronzo e intorno una recinzione del medesimo colore. Riesco a intravedere alberi altissimi e piante stranissime con fiori dalle forme particolari. Vengo dal distretto dell’agricoltura e non ho mai visto piante del genere!
“Solovet, ma quelle piante non esistono in natura!”, esclamo. Non mi sto sbagliando, ne sono certa.
Il mentore ride, e anche la capitolina “Hai ragione, Flame: quelle piante sono state create in laboratorio, la maggior parte. Altre invece sono state costruite seguendo il modello di elementi che sono scomparsi dopo i disastri naturali che hanno sconvolto il pianeta”, ci spiega Antares.
Guardo allibita il parco. Piante artificiali? Devo ammettere che alcune però sono davvero interessanti. “E cos’è quell’albero altissimo?”, chiedo, indicando una pianta dal fusto leggermente ricurvo e dalle foglie larghe e appuntite.
“È una palma: una volta esistevano veramente, quella è solo una ricostruzione. Altre invece sono state completamente inventate”, ci spiega Solovet.
“E poi?”, chiedo sempre più interessata.
“E poi cosa?”.
“Cosa è stato inventato e cosa è stato solo ricreato?”.
“Non lo so”.
“Come non lo sai?”.
“Non posso sapere tutto: un sacco di cose sono state ricostruite, come la palma, altre sono state ideate da noi”.
“E quindi altre cose sono andate perdute?”. 
“Tantissime. Toccherà a te capire se quelle cose sono vere oppure sono frutto di una macchinazione umana”. 


 
 
 
 
Ho tre cose da chiarire:


So che il PoV di Liam doveva essere ambientato nel capitol precedente, ma ho deciso di svilupparlo qua

Marco e Artemide non hanno un mentore altrimenti voi avreste dedotto che sarebbero sicuramente morti (la Collins spiega che ci sono stati due mentori per il Distretto 12, Haymitch e un altro, e se io avessi introdotto il “primo mentore del 12” voi avreste dedotto il loro destino) Ora, invece, Marco o Artemide potrebbero diventare il primo mentore del Distretto 12


So che le mie risposte alle vostre recensioni  possano sembrare ripetitive e noiose, ma per una mia questione di principio io DEVO rispondere alle domande degli altri. (sì, sono maniacale)
 

Grazie (tanto per cambiare!) e alla prossima!
 
                                                                                                                              
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                            
 
   
 
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