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Autore: Xion92    28/11/2017    3 recensioni
Introduzione breve: se immaginate un sequel di TMM pubblicato su Shonen Jump invece che su Nakayoshi, probabilmente verrebbe fuori qualcosa di simile.
Introduzione lunga: Un'ipotetica seconda serie, in cui il tema serio di fondo è l'integralismo religioso e il nemico principale è un alieno, Flan, intenzionato a portare a termine la missione fallita nella serie precedente. E' suddivisa in tre parti:
I. In questa parte c'è il "lancio" della trama, del nemico principale, l'iniziale e provvisoria sconfitta di gran parte dei personaggi, l'approfondimento della relazione tra Ichigo e Masaya, fino alla nascita della loro figlia;
II. Questa parte serve allo sviluppo e all'approfondimento del personaggio della figlia di Ichigo, Angel, la sua crescita fisica e in parte psicologica, la sua relazione con i suoi nonni e col figlio di Flan, i suoi primi combattimenti in singolo;
III. Il "cuore" della storia. Torna il cast canon e i temi tornano ad essere quelli tipici di TMM mescolati a quelli di uno shonen di formazione: spirito di squadra, onore, crescita psicologica, combattimenti contro vari boss, potenziamenti.
Coppie presenti: Ichigo/Masaya, Retasu/Ryou.
Nota: rating modificato da giallo a arancione principalmente a causa del capitolo 78, molto crudo e violento.
Genere: Azione, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aoyama Masaya/Mark Aoyama, Ichigo Momomiya/Strawberry, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ed eccomi qua! Madò, quanto è lungo 'sto capitolo! Penso che sia uno dei più lunghi che abbia scritto. Prima di lasciarvi a leggere, debbo fare una piccola rettifica a quanto ho detto nel capitolo prima: avevo previsto circa venti capitoli alla fine della serie, ma in realtà penso che possiamo tranquillamente dimezzarli. Avevo previsto un numero così alto perché succederanno molte cose, ma in realtà saranno tutte molto concentrate, i capitoli di cazzeggio, leggeri e dove succede il nulla di fatto sono finiti. Per esempio, quello che segue penso che sia l'ultimo capitolo genuinamente slice-of-life della serie. Quindi per ora dico che mancano una decina di capitoli, poco più poco meno.

Sul mio profilo fb, se vi è sfuggito, c'è l'ultimo disegno che ho fatto, con Shintaro ed Angel da grande.

Buona lettura!

 

Capitolo 81 – Gli incubi si ripetono


Ryou non era un ragazzo che applicava alla sua vita il termine pressappoco, Keiichiro lo sapeva bene: fin da quando il suo giovane amico era piccolo, era sempre stato un bambino molto preciso e ligio alle programmazioni. Ma quando, quella sera, gli mostrò il foglio con la tabella dei turni che aveva stampato e attaccato sulla colonna di fianco alla cucina, sotto il calendario, un attimo gli venne da ridere.
“Cos’è, un programma militare?”, gli chiese ridendo.
“Ottimizzare i tempi, Keiichiro, questo è il segreto”, rispose soddisfatto Ryou, a braccia incrociate, ammirando il suo lavoro.
La tabella stabiliva infatti quanto segue:
orario di visita ad Angel dalle 6 alle 7 di sera. La persona di turno utilizzerà l’ultima ora di lavoro, in modo da mantenere invariati altri suoi eventuali impegni. La partecipazione è in ogni caso assolutamente volontaria. Nell’ipotesi che tutti partecipino, i turni saranno così distribuiti:
Lunedì – Ichigo e Aoyama
Martedì – Minto
Mercoledì - Retasu
Giovedì – Bu-ling
Venerdì – Zakuro
Sabato – Il sottoscritto
Domenica – Tutti insieme. Approfittare del gruppo al completo per fare il resoconto settimanale. Pertanto il Caffè chiuderà un’ora prima.
Keiichiro lesse il testo un paio di volte, poi chiese perplesso a Ryou: “perché due di lunedì?”
“Per questioni pratiche”, rispose il più giovane alzando le spalle. “In realtà potevo anche saltarli tutti e due. Li ho messi solo per occupare uno spazio perché, mentre uscivamo dall’ospedale, Ichigo mi ha detto che loro due non avrebbero tenuto conto dei turni, perché sarebbero andati a trovarla tutti i giorni dopo cena. Si sono già messi d’accordo.”
“Le vogliono davvero bene”, osservò Keiichiro, impressionato.
“Se fossi al posto di Aoyama, anch’io farei così”, rispose Ryou. “Ma non faccio parte della sua famiglia, e quindi…”
Keiichiro lo guardò con un sorrisetto e un sopracciglio alzato. “Sei sicuro che ormai Angel non consideri anche te della sua famiglia? E noialtri, ovviamente.”
“Non lo so, Keiichiro”, la chiuse Ryou scrollando la testa, e tornò nello studio.
Il più grande rimase da solo davanti alla cucina. In realtà c’era un’altra cosa che avrebbe voluto chiedere a Ryou prima che se ne andasse: se i ragazzi avessero lasciato il lavoro un’ora prima, questo gli sarebbe stato scalato dal pagamento. Conosceva bene Ryou, e sapeva che non avrebbe mai retribuito un’ora di lavoro che non era stata fatta. Questo poteva costituire un problema, perché, da quello che sapeva, visto che per il loro lavoro ricevevano uno stipendio di tutto rispetto, i parenti dei ragazzi – con ragione – avevano smesso di pagare loro le cose che li riguardavano, come le ricariche telefoniche, il materiale scolastico, gli abbonamenti e i biglietti dei mezzi e cose del genere, per responsabilizzarli. Per Bu-ling in particolare anche pochi yen in più erano preziosi, e contava molto sul lavoro che faceva per mantenere i suoi fratelli. Sapeva anche che Ryou era un brav’uomo, ma era anche equo, e non avrebbe mai pagato un suo solo dipendente a scapito degli altri. Come trovare una soluzione?

Il giorno dopo, appena furono tutti riuniti, Ryou mostro al resto del gruppo il foglio coi turni.
“È tutto chiaro? Qualche obiezione?”
Nessuno parlò. Sembrava che nessuno avesse niente da ridire. Keiichiro si stupì che nessuno avesse fatto notare la questione del pagamento. Ma sembrava che non importasse a nessuno. Però sapeva anche che era giusto essere chiari fin dall’inizio, quindi si decise a tirar fuori lui l’argomento.
“Ryou, l’ora passata con Angel non sarà retribuita, vero?”
Il suo amico scosse il capo. “Il lavoro è retribuito. Stare con Angel non è un lavoro, e nessuno è costretto ad andarci.”
Non ci fu una sollevazione di obiezioni neanche questa volta. Ma, dopo poco, si alzò determinata la voce di Retasu.
“Bu-ling, se per te non è un problema farò io il turno al posto tuo. Per te quei soldi sono importanti per mantenere la tua famiglia, non puoi rinunciarci.”
Ma subito la piccola rispose, decisa: “anche Angel-neechan è importante, non meno dei fratelli di Bu-ling. Non prendere il posto di Bu-ling, Retasu-neechan, Bu-ling andrà e andrà con piacere. Bu-ling non lascerà la sua amica all’ospedale senza andarla a trovare!”
Pronunciate quelle parole, Ichigo, che era poco distante dalla ragazzina, le si avvicinò.
“Bu-ling… grazie…” le disse a bassa voce prendendole le mani, e tirando su col naso. “A nome suo, grazie.”
“Ma Ichigo-neechan”, si stupì la più piccola. “Perché ringrazi? È la cosa più normale del mondo stare vicino a un amico quando ha bisogno, e se per farlo bisogna fare qualche sacrificio, si fa.”
“Dai piccoli dovremmo solo imparare”, commentò Ryou con un sorriso soddisfatto, poi fissò la ragazza più grande. “Allora oggi è venerdì. Zakuro, inizia tu.”
L’interessata annuì senza fare commenti.
“Poi quando hai finito, veniamo noi”, aggiunse Ichigo, accennando a Masaya che stava di fianco a lei.
“Ma Ichigo-neechan”, chiese Bu-ling, che era rimasta vicino a Ichigo. “Veramente tu e Aoyama-niichan andrete tutti tuttissimi i giorni a trovare Angel-neechan?”
“Veramente”, annuì Masaya.
“Ma tuttissimissimi?” insisté la piccola.
“Ovvio, Bu-ling”, confermò di nuovo la leader.
“Ooooh!”, si sdilinquì allora la ragazzina, attaccandosi alla sua capo. “La vostra bambina ne sarà cosììì felice!”
“Bu-ling, smetti di dire che è la nostra bambina”, protestò Ichigo staccandosela di dosso. “Va bene finché sei con noi, ma che non ti scappi detto quando sei con Angel.”
“Non come la volta scorsa”, aggiunse Masaya.
“Va bene, Bu-ling starà attentissimissima!” assicurò la piccola, mimando la chiusura di una cerniera lampo sulla bocca.
“E comunque non sentitevi tanto speciali”, commentò Minto con aria saputa. “Non è che quello che dice Shirogane è legge. Non dobbiamo seguire per forza sempre il calendario, al di fuori di quello possiamo andare quando ci pare. Chi vi dice che io non andrò a trovarla al di fuori degli orari di lavoro? Tra la scuola e il lavorare qui c’è un po’ di tempo. Rimanderò le mie lezioni di danza, se servirà.”
“Penso che alcuni miei provini non siano così indispensabili, dopotutto”, aggiunse Zakuro con calma, socchiudendo gli occhi.
“Io dopo scuola e prima del lavoro qualche volta mi vedo con Ryou-kun, ma…” disse per ultima Retasu alzando gli occhi verso il ragazzo. Dopo un breve scambio di sguardi di conferma, concluse: “ma penso che per qualche settimana non sia un problema se ci vedremo in altri momenti.”
“Ragazze, siete le migliori di tutti”, commentò Masaya a quel punto mantenendo a fatica il suo contegno. “Se fin da piccolo avessi avuto attorno persone come voi, forse sarei venuto su meglio.”
“Grazie, grazie a tutte voi”, ripeté Ichigo, facendo davanti a loro uno dei suoi inchini più profondi.

Quando Zakuro entrò nella camera d’ospedale, Angel era sveglia. Stava sdraiata nel letto a pancia in su, con la fronte fasciata, la coperta tirata fino al petto, le braccia con le maniche verdi della vestaglia che quasi le coprivano le mani, e le teneva poggiate sulla pancia come se dovessero metterla nella bara. Dal polso sinistro le partiva la flebo con la solita medicina trasparente. Aveva l’aria molto annoiata, ma appena si accorse che una delle sue amiche era entrata nella stanza sembrò ridestarsi.
“Oh, Zakuro!”, la accolse con tono sollevato. “Sono contenta che sei qui.”
La più grande rispose al suo saluto, ma, quando iniziò a parlare, il suo tono di voce non aveva nulla della freddezza e del distacco che solitamente usava.
“Va un po’ meglio di ieri, Angel?” Il suo timbro stavolta era morbido e premuroso, quasi materno.
“Così così. Sento un po’ meno male, spero di potermi alzare presto.”
Zakuro annuì e si sedette su una sedia vicino al letto.
“Senti, Zakuro…” esitò Angel, e si leccò il labbro inferiore, poi se lo mordicchiò. “Volevo… ehm…”
“C’è qualcosa di cui vuoi parlarmi?” chiese, affabile, Zakuro.
“Io…” fece Angel, esitante, tenendo gli occhi bassi. Poi parve trovare una scappatoia. “Sì, volevo sapere altri dettagli sul Natale. I giorni scorsi era pieno di decorazioni e tutti erano entusiasti, ma oggi guardando fuori dalla finestra ho visto che gli operai in strada stavano smontando tutto, sembrava che non vedessero l’ora di liberarsene e nessuno ne parla più. Perché?”
Zakuro si prese del tempo prima di rispondere. “Sei proprio sicura che è di questo che mi vuoi parlare? È questo che ti turba?”
“Ma certo…” annuì Angel senza guardarla negli occhi.
Zakuro allora, discreta e paziente, la assecondò senza porle altre domande. Le spiegò che il Natale in Giappone, appena finito viene scordato e perde subito della sua importanza, perché bisogna pensare a tutti i preparativi per il capodanno, che per i giapponesi era una ricorrenza molto importante. Non fece in tempo a finire la spiegazione che subito Angel volle sapere come si festeggiava il capodanno, poi le chiese altri dettagli, storie, usanze, leggende, del Natale in America e in altri paesi, visto che Zakuro possedeva una certa cultura non limitata a due luoghi del mondo soltanto.
Angel costrinse Zakuro a parlare per quasi tutta l’ora, stando a sentire le sue spiegazioni con occhi rapiti e presi. La più grande notò, nel modo di fare dell’altra ragazza, che c’era in lei una specie di urgenza di mantenere la mente occupata con cose non realmente importanti; in realtà Angel aveva qualcosa che la opprimeva, ma ancora non era pronta per buttare fuori quello che sentiva. Zakuro sapeva che era inutile insistere per cercare di farla parlare. Poteva solo assecondarla parlando di quello che le chiedeva. Perciò rispondeva in modo esauriente a tutte le sue domande, anche se era evidente che le sue risposte non la soddisfavano pienamente ed erano più una scappatoia che altro.
‘Quando se la sentirà di parlare, lo farà spontaneamente’, pensava con filosofia.
Ormai era passata quasi tutta l’ora, e quando ormai mancavano cinque minuti le due ragazze sentirono la porta aprirsi.
“Leader! Masaya!” esclamò subito Angel cercando di sollevare la testa.
Zakuro fece un sorrisetto quando li vide. “Allora io vado”, e passandogli accanto li informò: “Angel ha voglia di tenersi impegnata. Cercate di distrarla se riuscite.”
“Ci ho già pensato”, la tranquillizzò Ichigo.

Quando Zakuro fu uscita, entrambi si avvicinarono al letto. “Angel, guarda cosa ti abbiamo portato!”, le disse Ichigo con tono allegro, e tirò fuori da sotto la giacca un libro.
“Il mio libro sui samurai!” esclamò felice Angel tendendo le mani verso il volume. Appena riuscì a raggiungerlo lo afferrò e se lo strinse al petto. “Grazie, a tutti e due”, aggiunse chinando la testa.
“Così almeno avrai qualcosa da fare quando non ci saremo”, le spiegò Masaya, sorridendo.
“Che avete fatto a scuola questi giorni? Da domani mi portate i compiti?” chiese Angel.
Ichigo spalancò la bocca e gli occhi, mentre Masaya non si mostrò molto sorpreso.
“I compiti? E per che farci?” boccheggiò la leader.
“Per… farli?” chiese perplessa Angel.
“Ma sei ferita in un letto d’ospedale. Non sei obbligata a fare i compiti”, protestò Ichigo.
“Ma anche per far passare il tempo. Sennò dopo aver riletto il mio libro, cosa faccio?” insisté Angel.
“Vuoi sapere cosa farei io al posto tuo?” Ichigo la guardò con aria vagamente sognante, e Angel ricambiò il suo sguardo, curiosa e interessata. “Dormirei! E una volta finito, mi girerei dall’altra parte e dormirei ancora!”
Lo sguardo curioso di Angel si affievolì. “…penso di non assomigliarti per niente, leader” mormorò senza sbilanciarsi troppo.
Masaya commentò il tutto con una risata e disse: “non preoccuparti Angel, da domani ti porteremo i libri, così andremo avanti a studiare insieme.”

Masaya e Ichigo, che erano in genere ben abituati alla loro routine fatta di scuola, lavoro e combattimenti generici, riuscirono a modificare, non senza difficoltà, le loro abitudini per il mese di gennaio che si apriva davanti a loro. Non fu una cosa facile, soprattutto perché a risentirne sarebbero state anche persone che dovevano rimanere all’oscuro di tutto quello che stava succedendo.
Quando furono usciti dall’ospedale, mezz’ora dopo, era ora di tornare a casa per la cena. Ma Masaya aveva una notizia da dare a Ichigo. Era vero che d’ora in poi sarebbero stati vicini ad Angel e si sarebbero dedicati a lei finché la sua permanenza in ospedale non fosse finita, ma era anche vero che Ichigo, la sua compagna, meritava attenzioni e dedizioni quanto la loro figlia, e lui non intendeva trascurarla.
“Ieri sera a cena i miei genitori mi hanno detto che, in azienda, ultimamente ci sono un po’ di problemi organizzativi e quindi, per almeno tutto il prossimo mese e forse anche oltre, dovranno stare via tutti i weekend. Da sabato pomeriggio a domenica fino all’ora di pranzo, a partire da domani.”
Allungò la mano verso il viso della ragazza e le sfiorò la guancia. “Mi spiego?”
Ichigo deglutì e sorrise, trepidante ed emozionata. “Ti spieghi.”
“Ma se vogliamo sfruttare la cosa a nostro vantaggio, dovremo organizzarci. Passiamo prima al Caffè, parlerò con Shirogane.”
Così i due ragazzi, invece di andare dritti verso casa, si recarono prima alla loro base, parlando durante il tragitto dei cambiamenti che avrebbero dovuto fare e di quello che dovevano dire.
“Shirogane-san!” chiamò Masaya quando furono nel Caffè. “Devo parlarti.”
“Ragazzi!”, esclamò Keiichiro sorpreso uscendo dalla cucina. “Cosa fate qui? Pensavo che foste tornati a casa, è ora di cena.”
“Prima devo parlare con Shirogane-san”, spiegò il più giovane. “Dov’è?”
“Vuoi parlargli?” chiese il maggiore. “È nello studio, vai pure.”
“Tu aspetta qui, faccio io”, mormorò Masaya a Ichigo prima di andare.
Bussò alla porta con decisione ed entrò. Il suo capo era al computer, ma non sembrava molto occupato.
“Aoyama”, si sorprese quando lo vide. “Che è successo?”
“Shirogane-san”, iniziò Masaya. “Dovrei comunicarti una decisione riguardo l’organizzazione che io e Ichigo abbiamo preso.”
Ryou aggrottò appena le sopracciglia, e con ragione, pensò Masaya: quando mai qualcosa riguardo l’organizzazione era stata presa senza consultarlo? Ma non si lasciò intimidire e proseguì, fermo.
“Ichigo ed io d’ora in poi andremo a trovare Angel per un’ora dopo cena, ma questa è una cosa personale che per il gruppo non cambierà niente. La cosa importante è un’altra: da domani, vorremmo avere il sabato pomeriggio libero.”
Stavolta Ryou alzò tutte e due le sopracciglia, sconcertato. Masaya sentiva un certo disagio, non per la decisione in sé, quanto per le domande che Shirogane avrebbe ora potuto fargli: aveva ogni diritto di chiedergli perché non intendevano più lavorare di sabato. E cosa gli avrebbe risposto lui? Doveva inventarsi in fretta qualcosa. Ma la risposta del suo capo lo sorprese.
“Purché vi venga detratta la parte di paga relativa”, gli disse con tono distaccato.
Masaya tirò un sospiro di sollievo. Sembrava che a Shirogane non importasse niente del motivo, così come a lui non importava niente dei soldi e della paga del sabato.
“Ma domenica mattina vi voglio qua”, aggiunse severamente il più grande.
Masaya fece un inchino per mostrare il suo rispetto. “Grazie, Shirogane-san. Non mancheremo.”
Tornando eccitato dalla sua ragazza, le comunicò: “ha detto di sì!”
Ichigo, che aspettava seduta a uno dei tavolini, si alzò euforica e gli gettò le braccia al collo.
“Frena, frena”, cercò di tenerla a bada lui pur ricambiando il suo abbraccio. “Ora c’è un ultimo problema da affrontare. Lo sai, no?”
Ichigo, staccandosi da lui, annuì con aria decisa. “Andiamo a casa. Appena potrò, ti farò sapere.”

“Mamma, babbo”, salutò i suoi genitori Ichigo rientrando. “Scusate se ho fatto tardi.”
“Ti sembra questa l’ora di rincasare?” le chiese brusco suo padre, che insieme alla moglie la aspettava sulla porta con un’aria tutt’altro che rassicurante. “La cena è pronta in tavola da un pezzo.”
Anche sua madre, sempre comprensiva e accomodante, aveva lo sguardo cupo.
“Sono stata…” cercò di rispondere la ragazza. “In ospedale, perché una mia amica si è ammalata, e quindi sono andata dopo il lavoro per tenerle compagnia.”
Sakura si rinfrancò subito. “Oh, povera ragazza…” commentò dispiaciuta. “E che cos’ha?”
Ichigo la buttò là. “Polmonite. Dovrà stare ricoverata per un mese.” Non sapeva nemmeno se una polmonite richiedeva un mese di ricovero, ma forse ci cascavano.
“E chi è questa tua amica?” volle sapere Shintaro.
“Forse ve la ricordate”, rispose Ichigo, un po’ a disagio perché percepiva una certa paradossalità in quel dialogo. “È quella che ha fatto cadere i piatti quando siete venuti a mangiare al Caffè.”
“Ah, sì sì”, annuì il padre. Sembrava essersi fatto passare l’arrabbiatura. “Quella mora, vero, vero. Com’è che si chiamava? Hime? No, Tenshi?”
“Angel”, lo corresse Ichigo.
Shintaro alzò le spalle. “Tutti ‘sti nomi stranieri… l’avevo tradotto in giapponese nella mia mente. Va bene, Ichigo, se hai fatto tardi per assistere una tua amica in difficoltà, questo ti fa onore. Il rispetto e la devozione verso i propri amici sono le prime cose su cui si fonda il valore di una persona”, commentò incrociando le braccia con aria grave. “Però dalla prossima volta avvisaci quando fai tardi.”
Ichigo, a quel discorso, ebbe una sensazione strana. Lei e suo padre non interagivano spesso, perché lei, per un motivo o per l’altro, era quasi sempre fuori casa, e lo stesso valeva per lui: lavorava dall’altra parte della città, spesso faceva degli straordinari e rincasava quando lei stava già dormendo. Le poche volte in cui padre e figlia si incontravano, l’unico scambio di battute era un saluto frettoloso. Ma adesso che, dopo tanto tempo, lo sentiva fare un discorso così articolato, Ichigo si accorse per la prima volta che il modo di parlare di suo padre e quello di Angel si assomigliavano in maniera impressionante. Ma non avrebbe dovuto nemmeno stupirsene, sapeva bene con chi sua figlia era cresciuta e da chi era stata educata.
“Per questo volevo chiedervi una cosa”, aggiunse Ichigo. “D’ora in poi, finché Angel sarà in ospedale, vorrei andarla a trovare tutti i giorni per un’oretta. Oggi è andata così e mi dispiace, ma i prossimi giorni andrei dopo cena, per non sconvolgere le abitudini familiari. Posso?”
Shintaro sembrava riluttante a quella proposta. “Da sola? Figlia, non è bene che una ragazza, col buio…”
“Verrà anche Masaya con me”, lo interruppe Ichigo. “Non andrei in giro da sola.”
I suoi genitori si guardarono. “Allora in questo caso non ho nulla da dire. Basta che ti venga a prendere e ti riaccompagni fin sotto la porta.”
“Papà, grazie”, disse Ichigo inchinandosi, come suo padre le aveva insegnato fin da piccola.
“Forza allora, andiamo a mangiare”, intervenne allegra Sakura. “Sennò il riso al curry si fredda.”
Concluso il pasto serale, Sakura stava iniziando a raccogliere i piatti, e Ichigo decise di parlare ai genitori della seconda questione, che sarebbe stata per loro ben più difficile da accettare, specialmente per suo padre.
“Mamma, babbo, dovrei parlarvi di qualcosa. È importante”, iniziò a sondare il terreno.
Si rese conto che forse aveva usato un tono un po’ troppo grave: la mamma era rimasta impietrita con i loro tre piatti impilati tra le braccia, il babbo, seduto, reggeva ancora a mezz’aria la bottiglia di birra, ed entrambi la fissavano con gli occhi sbarrati.
“Cos’hai fatto, Ichigo…?” chiese Sakura con un filo di voce. “Sei stata di nuovo sospesa?” e Shintaro si voltò di scatto verso di lei con aria turbata.
“No, mamma, assolutamente”, si affrettò a rispondere Ichigo mettendo le mani avanti, e i suoi genitori tirarono un respiro di sollievo. “Volevo chiedervi una cosa… potrei, a partire da domani, dormire di sabato a casa di Masaya?”
Troppo tardi si rese conto di aver posto la domanda in modo troppo diretto. I suoi genitori erano sbigottiti.
“Cosa vorresti fare te?” chiese suo padre, che già stava iniziando a infuriare.
“Aspettate, aspettate”, cercò di spiegarsi Ichigo. “Masaya e io non abbiamo quasi modo di passare del tempo insieme. Siamo molto impegnati con la scuola, e quando non studiamo lavoriamo. Il nostro rapporto rischia di raffreddarsi. Ma i suoi genitori, per questioni loro con l’azienda, pare che dovranno trascorrere alcuni weekend fuori. Quindi se stessi a casa con lui di sabato non disturberei nemmeno. Vorrei poter passare il pomeriggio con Masaya, cenare con lui e dormire a casa sua. Domenica mattina andremmo al lavoro e poi tornerei a casa per pranzo. Cosa ne pensate?”, concluse con tono affabile.
Suo padre Shintaro, man mano che Ichigo andava avanti a parlare, aveva assunto un bel colorito verdastro sul viso.
“Cosa ne penso?! Penso proprio che la conversazione si possa anche chiudere qui!” esclamò in uno scatto di rabbia.
“Ma caro”, intervenne Sakura. “Cerca di essere ragionevole: Ichigo è insieme a Aoyama-kun da tanto tempo, stanno insieme da più di un anno. Non mi sembra così strana come richiesta, anche noi quando…”
“No!”, la interruppe il marito con tono definitivo. “Mia figlia, passare la notte da sola in casa con un uomo? A malapena quindici anni? Non penso che ci sia altro da aggiungere!”
Ichigo si morse appena il labbro inferiore. Questa reazione di suo padre era prevedibile e se la aspettava, ma lei sapeva come doveva rispondere. In passato, visto che lo vedeva di rado, non aveva mai avuto modo di approfondire molto il rapporto con lui quindi, in una circostanza come questa, d’istinto avrebbe voluto controbattere seguendo il suo proprio carattere: ossia avrebbe insistito, cercato accordi, punti di incontro, tentato di guidare suo padre in un ragionamento, forse nemmeno riuscendo a mantenere del tutto la calma, e comunque non sarebbe servito a niente. Ma ora le cose erano diverse: se non conosceva a fondo il carattere complesso di suo padre, conosceva però molto bene quello di Angel. E ne aveva appena avuto la conferma: Angel e Shintaro erano uguali nel modo di ragionare e nei valori. Shintaro aveva improntato Angel col suo carattere, cosa che con Ichigo non era riuscito a fare. Quindi, se voleva sperare di averla vinta con lui, doveva parlargli come se si stesse rivolgendo ad Angel.
“Babbo”, gli disse ferma. “Non ti ricordi che l’anno scorso hai sfidato Masaya a un incontro di kendo? Promettendogli che se ti avesse battuto saremmo stati liberi di fare quello che volevamo? Non puoi essertelo scordato.”
Si rese conto di aver toccato il tasto giusto. Shintaro fremeva, dubbioso, ma era in evidente difficoltà, e non rispose all’obiezione della figlia.
“Ti eri solamente raccomandato che Masaya non mi facesse soffrire. Non l’ha mai fatto, è stato per me un compagno meraviglioso, quindi ha rispettato tutti i requisiti che gli hai imposto. Ci sarà rispetto anche da parte tua? O mancherai alla tua parola?”
Il padre allora tirò un gran sospiro e appoggiò le braccia sul tavolo. “Non posso controbattere a queste domande”, rispose con tono seccato. “Non posso dirvi niente, se mancassi di parola perderei il mio onore. Hai il mio permesso, Ichigo, ma…” la fissò con insistenza coi suoi occhi grigi. “Fate attenzione. Niente scherzi, intesi?”
“Già”, commentò Sakura con una risatina. “State attenti, ragazzi. Vorremmo rimanere solo i tuoi genitori ancora per qualche anno.”
‘In realtà…’ pensò Ichigo, ma non concretizzò quello che le passava per la mente e si limitò a ridere anche lei.
Si inchinò profondamente davanti a suo padre e sua madre. “Grazie, babbo. Grazie, mamma”, li ringraziò con calore prima di precipitarsi in camera sua per dare la notizia per telefono al suo ragazzo.

Il giorno dopo era già arrivato sabato. Sulla strada per andare a scuola, Masaya e Ichigo erano insolitamente silenziosi ed evitavano di guardarsi: tra loro due e il pomeriggio che si prospettava c’erano stati solo due ostacoli, e il giorno prima li avevano superati entrambi. Ora nulla, fuorché un chimero imprevisto, avrebbe modificato i loro programmi, e i due ragazzi, a differenza di pochi giorni prima, erano consapevoli di cosa sarebbe successo fra loro alcune ore dopo – cosa che gli provocava una certa tensione.
Dopo pranzo, Masaya passò a prendere Ichigo a casa sua per poter andare insieme all’ospedale, e nel mentre fecero tappa al Caffè per recuperare i libri e i quaderni di scuola di Angel. Anche Ichigo si era portata dietro uno zaino con i quaderni con le lezioni del giorno, oltre al cambio di vestiti per l’indomani.
Appena entrati nella camera, Angel sollevò sorpresa la testa.
“Voi qui? Pensavo che venisse il boss stasera.”
“Sì”, le rispose Ichigo andandole vicino. “Verrà anche lui, ma adesso per un po’ stiamo noi. Di sabato faremo così, ma gli altri giorni, tutti, verremo dopo cena, sei contenta?”
Angel spalancò gli occhi. “Tutti i giorni?”
“Tutti i giorni”, le assicurò Masaya. “Non importa se i nostri amici verranno, noi ci saremo comunque.”
Era evidente che Angel avrebbe voluto commentare la cosa, ma la sua difficoltà nel trovare le parole giuste che ogni tanto si presentava le impedì di parlare, quindi lasciò ricadere la testa sul cuscino con gli occhi un po’ più lucidi.
“Ti abbiamo portato i compiti”, le disse Ichigo tirando fuori l’agenda, per non lasciare che il silenzio li bloccasse. “Come ci avevi chiesto.”
“Cosa hanno dato?”, chiese Angel girando la testa verso di lei.
“Oggi a scuola hanno spiegato le disequazioni di secondo grado”, le disse Ichigo mostrandole il quaderno coperto di numeri, lettere e simboli vari.
“Le… che?” fece Angel, smarrita.
Ichigo scoppiò a ridere. “Belle, eh? Non hai più tanta voglia di farle, vero? Adesso te le spieghiamo…” Poi alzò gli occhi e incontro lo sguardo di Masaya, che la fissava come se si aspettasse qualcosa. “Intendevo dire: Masaya te le spiegherà”, si corresse allora, e anche il ragazzo si mise a ridere.

Un’ora dopo, usciti dall’ospedale, Masaya e Ichigo notarono che il sole stava già iniziando a calare e un vento freddo si era alzato sulla metropoli.
“Sarà meglio andare a casa”, disse il ragazzo tirandosi la cerniera lampo fino al collo, e Ichigo, anche lei imbacuccata di fianco a lui, annuì senza guardarlo negli occhi.
Dopo aver percorso un tratto in metro, percorsero a piedi le ultime centinaia di metri che li separavano dalla casa del ragazzo. Nonostante avesse tenuto le mani nelle tasche per tutto il tragitto, Masaya aveva le dita gelate, quindi non fu facile impugnare la chiave e inserirla nella serratura. Appena entrati e chiusa la porta dietro di loro, il giovane si precipitò ad accendere i termosifoni, facendo nel frattempo qualche carezza a Rau che gli era venuto incontro per salutarlo.
In tutto questo, Ichigo era rimasta in piedi vicino alla porta. Non osava togliersi il cappotto, né alzare il viso arrossato per il freddo e per un leggero imbarazzo.
Dopo che Masaya si fu tolto ed ebbe appeso la giacca, si girò a guardare la sua ragazza.
“Perché stai lì ferma, Ichigo?”
Lei alzò appena gli occhi per incontrare i suoi e li riabbassò subito, torcendosi le mani, rigida.
Masaya seppe interpretare quel modo di fare e, dopo essersi avvicinato a lei, la abbracciò stretta, nonostante l’ingombro del cappotto che ancora lei teneva addosso. Le mani ormai se le era scaldate, quindi iniziò ad accarezzarla sul viso, sui capelli e sul collo, finché non la sentì ammorbidirsi sotto il suo tocco. Quando Ichigo finalmente alzò la testa per guardarlo negli occhi senza più indecisione, ma solo fiducia e apertura, lui le prese il viso tra le mani, chinandosi a occhi chiusi a baciarla con passione. Durante il bacio sentì Ichigo abbandonarsi a lui, facendo fluire da sé ogni traccia di resistenza e indecisione. Rimase avvinghiato a lei per almeno trenta secondi, poi staccò il viso dal suo, e quando riaprì gli occhi vide che nello sguardo di Ichigo non c’era più nessun tipo di timore: se prima col suo sguardo vagamente insicuro lui si era sentito respinto, e aveva dovuto comunque prendere l’iniziativa per farla sciogliere, adesso nei suoi occhi accoglienti leggeva un invito.
Bastò quel messaggio scritto nello sguardo a fargli perdere ogni inibizione. Dopo averla stretta a sé di nuovo, la aiutò a togliersi il cappotto, senza quasi lasciarle il tempo di appenderlo all’attaccapanni. Subito la prese e la sollevò tra le braccia, pensando che forse sarebbe stato meglio andare in camera. Bisognava percorrere il corridoio, salire le scale, entrare nella stanza e avvicinarsi al letto. No, era troppo lontano. Non ce la faceva. Senza stare a riflettere oltre, tenendo stretta Ichigo a sé si avvicinò al divano che stava poco più in là e vi si lasciò cadere insieme a lei. Tra un bacio appassionato e l’altro, staccò le mani dal suo corpo solo per cercare a tentoni la cerniera delle loro felpe.

L’oscurità dell’inverno avanzava, e il pomeriggio passò di volata. Masaya cercò di puntellarsi sui gomiti per tirarsi su senza disturbare Ichigo. Lei non dormiva, ma gli intensi momenti fra loro due si erano conclusi da pochi minuti, e non se la sentiva di chiederle di spostarsi per fargli spazio. Su quel divano erano stati scomodissimi, perché bastava un movimento sbagliato e si cadeva di sotto. Forse era stato troppo irruento: ancora erano all’inizio, era meglio relegare alla camera da letto quelle attività. Poi gli venne in mente che la loro prima volta era avvenuta appena tre giorni prima. Dopo tre giorni era arrivato a un livello di incontinenza tale da non riuscire ad arrivare al piano di sopra per poter fare l’amore con lei. Se ora fosse andato come avevano pianificato, avrebbe dovuto aspettare un’altra settimana per la prossima volta? No, non era possibile, pensò con sgomento. Subito dopo, però, scacciò questi pensieri: ancora non era nemmeno l’ora di cena, e di sicuro prima dell’ora di dormire sarebbero riusciti a combinare qualcos’altro. Inoltre non aveva proprio motivo di preoccuparsi: questa seconda volta era andata decisamente meglio della prima. Le coccole, le carezze e le effusioni che avevano preceduto l’atto vero e proprio erano avvenute senza inutili imbarazzi, in totale abbandono l’una all’altro; questa volta per Ichigo non c’era stato nulla di doloroso, anzi, tolto il male della prima volta il tutto era risultato piuttosto facile – escludendo la difficoltà di stare sul divano. Facile e fonte di un piacere immenso per entrambi. Masaya non poteva entrare nella testa della sua compagna, ma poteva leggere le sue espressioni. Ed i suoi occhi, il modo rapito e preso con cui lo aveva guardato, il modo in cui a volte gli aveva afferrato il viso tirandolo verso di sé per chiedergli di baciarla, gli avevano confermato che si era comportato bene. E la stessa cosa valeva per lui: dopotutto c’era un motivo per cui sentiva di non poter resistere un’altra settimana per stare con lei. Quelle ondate così intense che aveva sentito ad ogni spinta che dava, i forti sentimenti che ogni secondo sentiva fluire dal proprio corpo al suo, raggiungendo il culmine alla fine… non avrebbe saputo neppure lui descrivere quello che provava, che pensava e che sentiva durante quei momenti. Sapeva solo che li avrebbe voluti rivivere ancora e ancora, per tutti i giorni della sua vita. Si trattava solo di saper aspettare qualche anno. Era ora che dovevano imporsi di limitarli a una volta ogni tanto, ma era una condizione che non sarebbe durata a lungo. Anche se, per poter soddisfare questo desiderio, di rendersi indipendente e di sposare Ichigo, Masaya avrebbe dovuto rinunciare a un altro suo grande sogno… almeno all’apparenza non c’erano scappatoie. Ma fece presto a scacciare questo pensiero scuotendo la testa.
‘Per Ichigo questo e altro’, pensò con decisione. ‘Tutto il resto viene dopo.’
Diede un’occhiata ai piedi del divano, dove era riposta piegata una coperta di pile. Il corpo di Ichigo, e anche il suo, stavano iniziando a raffreddarsi. Si allungò per prendere la coperta e la stese sopra di loro, stringendo poi forte la sua ragazza per mantenerle il calore.
“Masaya, pensi che sia ora di iniziare a preparare la cena?” gli chiese Ichigo spostandosi dal viso i capelli sciolti.
Il ragazzo guardò l’orologio al muro. Quasi le sette.
“Penso di sì. Ma non so cosa c’è in casa, per la fretta di venire qui non abbiamo pensato a fare la spesa. Vedremo di arrangiarci.”
Sentì un guaito: Rau era lì accanto al divano e lo guardava. Ecco, forse l’unico aspetto negativo in quei momenti passati con Ichigo era stato lui: non aveva fatto altro che fissarli per tutto il tempo dell’amplesso, tanto che Masaya aveva dovuto ignorarlo forzatamente per riuscire a combinare qualcosa.
“Sì, stupidone, la cena arriva anche per te”, lo rassicurò ridendo, allungando la mano e dandogli un buffetto sulla testa.

Nonostante le preoccupazioni di Masaya, i due ragazzi riuscirono a raccattare in cucina quello che serviva per fare del ramen in brodo. Non sarebbe stato ricco come quello del ristorante, ma per una cena in casa poteva andare bene.
“Sai che non sono bravo a cucinare”, si scusò il ragazzo. “Ma se collaboriamo sicuramente faremo prima. Mi daresti una mano?”
Ichigo annuì sorridendo. Per una volta era lei quella in grado di insegnare qualcosa al fidanzato.
“Io e mia madre qualche volta cuciniamo insieme”, gli disse. “E lei mi ha insegnato dei trucchi per fare più veloce. Guarda, ti faccio vedere!”
Dopo aver sistemato il tagliere sul tavolo, prese una cipolla e gli spiegò allegra: “Guarda, la cipolla si affetta così: si toglie solo la punta in cima e si taglia a metà per il lungo. Non bisogna tagliare il fondo, mi raccomando. Poi si appoggia una metà sul tagliere, e si tagliano tante striscioline per il lungo, così… senza mai toccare il fondo della cipolla. Vedi? Così tutte le striscioline restano tutte unite e non si staccano. Quando hai fatto puoi tagliarle dall’altro lato per fare i cubetti. Facile e veloce!”
Masaya stava a sentire quella spiegazione in piedi dietro Ichigo, guardando interessato il lavoro, rapido e preciso, che faceva sul tagliere, quando improvvisamente un pensiero, anzi, più una sensazione che un pensiero, lo colse. Erano in una cucina non tanto grande, in una casa riscaldata nel bel mezzo dell’inverno. Fuori era buio e gelido, ma lì dentro il freddo non arrivava. Stavano solo preparando una cena frugale, e la sua ragazza gli stava spiegando una cosa che sembrava così poco importante, affettare una cipolla. Eppure in quella situazione, in quell’ambiente, in quella casa che sarebbe stata vuota se non fosse stato per loro due e il cane, Masaya sentì per la prima volta una sensazione di calore. Ma non il calore dovuto all’amore incondizionato per lei: quello lo conosceva bene. Era un calore dovuto a tutto quello che era intorno a lui, ed era una sensazione di caldo che non gli infiammava il cuore come l’amore per Ichigo, ma piuttosto gli dava un senso di pace e serenità. Era una sensazione di calore che gli veniva dalle viscere, dalle ossa, ed era qualcosa che lui non aveva mai provato in quella casa. I suoi genitori non li aveva mai visti come tali, dopotutto loro per primi non l’avevano davvero mai visto come un figlio. Tra lui e i suoi genitori adottivi c’era sempre stato un rapporto elettrico, né positivo né negativo, e, anche se suo padre contava molto su di lui per la sua successione e sua madre non faceva che lodarlo per i suoi meriti, fra loro non c’era mai stato niente di veramente umano. Oltretutto il fatto che Masaya avesse odiato per istinto tutti gli uomini per anni non aveva aiutato a costruire le basi di un buon rapporto. A questo lui era abituato, e fino ad ora ci aveva convissuto abbastanza bene. Ma adesso, in quella stanzetta, con quella ragazza che gli spiegava come preparare un alimento e il naso di Rau che ogni tanto gli dava una sniffata sui pantaloni, il ragazzo provò per la prima volta quel calore che, lo sapeva, avrebbe dovuto esserci fin dal principio fra lui e i suoi genitori. Era questo che si provava in una famiglia? Era quel senso di sicurezza, di accoglienza, di ritrovo, di legame quello che avrebbe dovuto essere normale in quell’ambiente? Lui non aveva mai avuto legami familiari in vita sua. Sapeva di non essere come tutti gli altri ragazzi adottati, che comunque da qualche parte provenivano. Lui era solo, perfino a livello genetico, e i suoi genitori adottivi non avevano saputo colmare questo suo vuoto. Ichigo invece, facendo una cosa tanto semplice come cucinare insieme, spiegandogli con partecipazione, aspettandosi la sua collaborazione per portare a termine un’attività di bisogno primario, ci stava riuscendo.

Ichigo, che stava concentrata nel suo lavoro, sentì che le braccia del suo ragazzo le avevano circondato la vita e lui le si era addossato, abbracciandola da dietro. Non si stupì molto di questo atteggiamento, erano frequenti le volte in cui Masaya la abbracciava all’improvviso, quindi, con un sorriso soddisfatto, fece per continuare ad affettare. Poi però sentì la guancia del ragazzo strofinare contro la sua, e la pelle dove si toccavano bagnarsi. Con sgomento, girò la testa.
“Masaya, ma piangi?”, chiese turbata.
Lui teneva gli occhi socchiusi e la testa appena abbassata, e Ichigo non riuscì a scorgere la sua espressione.
“È la cipolla”, si giustificò lui. “Continua pure.”
Però, mentre Ichigo continuava a preparare, lui seguitava a tenerla abbracciata da dietro, e a un certo punto mormorò, con aria meditabonda:
“cinque anni di superiori… solo cinque anni… a vent’anni mio padre mi passerà l’azienda… non dovremo aspettare molto.”
Ichigo, allora, lasciò perdere il lavoro che stava facendo, appoggiò il coltello al lato del tagliere e rimase immobile, a occhi chiusi, poggiando una mano sull’avambraccio del ragazzo. Cosa gli frullava per la testa? Non credeva che quelle lacrime che gli erano sfuggite dagli occhi fossero dovute al bruciore della cipolla. Lei sapeva quanto Masaya avesse sofferto, in passato, per la vita che aveva fatto, per il suo stato di solitudine e per i sentimenti non proprio sani che gli erano frullati dentro per tutti quegli anni. Sapeva bene che lei, per lui, aveva rappresentato un’àncora di salvezza che lo aveva tirato fuori da quel tunnel buio; e adesso intuiva che non vedesse l’ora di ricominciare una vita nuova con lei. D’altra parte, quel desiderio era reciproco.
‘Sì, solo qualche altro anno… poi…’, pensò anche lei con intensità a occhi socchiusi, nel silenzio della cucina, col suo compagno che la abbracciava da dietro.
D'un tratto, la suoneria del cellulare della ragazza partita all’improvviso li fece sobbalzare.
Ichigo si infuriò subito. Chi osava interrompere quel momento profondo e significativo col suo compagno? Tirò fuori il telefonino dalla tasca.
“Shirogane?! E adesso che vuole?!” esclamò irritata, mentre i suoi occhi mandavano lampi.
“Ichigo, controllati…”, tentò di placarla Masaya.
“Un corno! Adesso mi sente!”, rispose però lei. Premette il tasto di risposta e gridò un “Pronto?!” furibondo al microfono.
“Oh, leader, che cavolo urli?” arrivò una voce femminile sbigottita dall’altra parte.
Le membra di Ichigo si gelarono. “…Angel?” boccheggiò.
“Sì, il boss mi ha prestato il suo telefono. Volevo sentirti un attimo. Facevi altro?”
Ichigo guardò dubbiosa Masaya, che la fissò nervoso di rimando. “No no, mi ha fatto piacere invece”, si affrettò a risponderle.
La voce di Angel si rilassò. “Ah, ecco. C’è il boss qua con me, ma fra poco va via. Sai che ha fatto? Mi ha portato il suo walkman e i suoi CD dei Queen in prestito! E sai cosa mi ha detto?... Ah, boss, sta’ buono!” Dall’altra parte si sentivano le proteste di Ryou, ma non si distingueva quello che diceva.
Ichigo rimase zitta, senza sapere cosa dire.
“Dicevo, leader…” riprese Angel dopo qualche secondo. “Che il boss mi ha detto: in battaglia quello non è riuscito a scoperchiarti il cervello, ma se quando riprendo i CD ci trovo su anche un graffietto, provvederò io. Eh, il boss è così, sai! Però mi ha portato tutto un vassoio di dolcetti dal Caffè, e li ho mangiati in barba alla burocrazia ospedaliera. Poi abbiamo fatto minimo dieci partite a rubamazzo, l’ho stracciato di brutto! Avessi visto come imbrogliava!”, concluse con una risata. Altri rumori strani. “Va bene, va bene, chiudo, chiudo”, protestò Angel ridendo. “Scusa, leader, adesso spengo sennò il boss esce di testa. Salutami Masaya, eh?”
Ichigo chiuse la comunicazione. Guardò il ragazzo vagamente sconvolta. “È completamente matta”, commentò.
“Non penso che abbia preso da qualcuno”, rispose Masaya ridendo, abbracciandola e riprendendo a baciarla.

La serata passò velocemente. Dopo aver mangiato ramen e ravioli al vapore con le rimanenze di casa, i due ragazzi avanzarono varie proposte su cosa fare prima di andare a dormire: guardare un film, azzardarsi a uscire di casa per fare un giro in un centro commerciale – sotto capodanno restavano aperti fino a tardi – e un paio di altre opzioni, ma alla fine rimasero rintanati in camera per tutta la sera. Non importava quanto stessero insieme nel letto, non ne avevano mai abbastanza. Ed in più Masaya, essendo giovane e robusto, aveva il vantaggio di non aver bisogno di aspettar molto per riprendersi dopo aver concluso. Gli bastavano un paio di minuti di riposo. Ma arrivò il momento che, dopo due ore insieme a Ichigo, il tutto fu troppo anche per lui.
“Devo riposarmi, aspetta…”, ansimò sistemandosi accanto a Ichigo dopo essersi staccato da lei. Per fortuna il letto era a una piazza e mezzo, e quindi c’era abbastanza posto per stare sdraiati affiancati senza calpestarsi. Ichigo, di fianco a lui, semicoperta dal piumone, respirava in modo affannoso, e aveva la pelle umida. La stanza era buia e filtrava solo un po’ di luce dalla strada, ma il ragazzo percepì la stanchezza nel suo corpo, anche se non la vedeva. Pensò che per quella sera poteva bastare.
“Dai, adesso dormiamo”, disse allungando il braccio per tirare la tenda alla finestra, in modo da non far entrare la luce dalla strada. Coprì entrambi i loro corpi col piumone e si sistemò sul fianco, non vedendo l’ora di addormentarsi per recuperare le forze. Dopo pochi minuti, però, Ichigo gli si addossò, premendosi contro di lui e dandogli baci sul collo. Al sentire quel corpo morbido e caldo contro il suo, le mani della ragazza che lo toccavano e le sue labbra sul collo, la stanchezza e il sonno iniziarono ad abbandonarlo. No, stavolta avrebbe dormito! Era ora di riposare e avrebbe riposato, sennò al lavoro la mattina dopo sarebbe andato con gli occhi pesti.
Poi però Ichigo lo tirò gentilmente per i fianchi, come a spronarlo a sdraiarsi sopra di lei.
“Come non detto”, cedette allora scrollando le spalle, con aria fintamente rassegnata. Fece stendere Ichigo sul materasso e si sistemò sopra di lei.
Era indubbio che il giorno dopo avrebbero avuto sonno per tutta la mattina, come era indubbio che, nonostante questo, sarebbero andati al lavoro col sorriso.

“E allora quel cattivone di Profondo Blu decise che era troppo rischioso restare lì a terra a combattere con noi, si teletrasportò nel suo palazzo e Pie evocò un chimero graaaande, così!”
Bu-ling allargò le braccia al massimo per rendere l’idea. Si avvicinò a Minto e la spinse sul braccio.
“Adesso Minto-neechan ci mostrerà come faceva quel brutto mostro!”
“Te lo puoi scordare”, rispose Minto seccata, facendo un passo indietro. “E poi perché dovrei? Tutti qui sappiamo com’è andata di preciso.”
“Non tutti lo sanno” rispose pronta Bu-ling. Poi puntò il dito verso la ferita a letto. “Dai, Minto-neechan, devo intrattenere il mio grande pubblico!”
Minto allora tirò un gran respiro tra l’esasperato e il rassegnato e si rimise in piedi al suo posto, di fronte a Bu-ling. Angel, Retasu, Zakuro e Ryou seguivano la scena, davvero interessati.
“Allora sta’ a vedere, Angel-neechan!” esclamò Bu-ling. “Il chimero è lì, chiaro? Brutto, sporco e cattivo. Chiaro? Adesso Bu-ling gli lancia un Pudding Ring Inferno e lo blocca… così!”
Si precipitò di corsa verso Minto, la afferrò gettandole le braccia intorno al collo e tirandola verso il basso.
“Ahi, fermati!”, protestò Minto, staccandosela di dosso. “Ma che fai, sei pazza?!”
Angel scoppiò a ridere e batté le mani entusiasta. “È così che avete combattuto? Ho i brividi, ragazzi!”
“Piano! Fate piano!”, si raccomandò Keiichiro, lanciando occhiate nervose verso il corridoio. “Ci sbattono fuori.”
Era domenica sera, i ragazzi avevano chiuso il Caffè un’ora prima del solito, com’era stato stabilito, per tenere un po’ compagnia ad Angel e svagarsi tutti insieme.
Masaya, appoggiato al muro, pareva seguire la scena, ma era da un’altra parte.
Ichigo invece, che si era afflosciata sulla sedia accanto al letto di Angel, dormiva proprio.
“Come mai siete così stanchi?”, chiese Angel, ma Masaya girò la testa vergognoso senza rispondere. Angel allora guardò Retasu, che era la più vicina al suo letto.
Lei arrossì appena incrociò gli occhi di Angel. “Angel-san, devi sapere…” disse a bassa voce un po’ esitante. “Che Aoyama-san e Ichigo-san hanno dormito insieme stanotte, quindi forse sono stanchi per questo.”
Angel rimase a riflettere su quelle parole. Qualcosa non le tornava.
“Intendi che sono stanchi perché non hanno dormito bene? È normale, i letti non sono così larghi da star comodi in due.”
A quel punto Ryou si avvicinò velocemente al letto e le mollò uno scappellotto sulla coppa.
“E lascia perdere!” le intimò fra i denti.

Il giorno dopo, lunedì, Masaya e Ichigo erano pronti per andare a trovare la loro compagna malata. Questa volta sarebbero andati due volte, di pomeriggio tardi e dopo cena.
Ma, appena arrivati in ospedale, li accolse una brutta sorpresa. Un’infermiera uscì dalla stanza di Angel con un’aria un po’ abbattuta, e ai due venne subito un brutto presentimento.
“Scusi, cosa succede?” la fermò Masaya.
“Poco fa la ferita alla pancia della signorina si è riaperta. È davvero profonda e i punti hanno ceduto. Ora il medico glieli ha rimessi rinforzandoli, ma siamo di nuovo da capo. Le aveva fatto un’anestesia parziale per farle sopportare meglio il dolore, ma non ha funzionato del tutto e, adesso che la paziente è a posto, sente ancora molto male. Dovrebbe mettersi a dormire per riprendersi, ma non riesce ad addormentarsi.”
Ichigo ascoltò la spiegazione con gli occhi fuori dalla testa. Senza quasi aspettare che l’infermiera finisse di parlare, la scansò ed entrò a precipizio nella camera, seguita dal fidanzato.
Angel era sdraiata a pancia in su e fissava il soffitto. Era seria, ma teneva gli occhi appena contratti; Ichigo interpretò bene quell’espressione. Chissà che dolore sentiva!
“Angel!”, la chiamò mettendosi subito di fianco a lei, mentre Masaya si sistemò dall’altra parte del letto.
“Leader…”, mormorò Angel. “La ferita non mi si chiude… non capisco perché…”
“Era molto profonda, è normale che possa riaprirsi”, le disse Masaya. “Ma non preoccuparti, sei in un ottimo ospedale, non ti succederà niente. Non riesci a dormire?”
Angel cercò di fare no con la testa. “Ci ho provato in tutti i modi, ma non riesco a rilassarmi.”
Non spiegò il motivo, ma i suoi occhi parlavano per lei. Il dolore doveva essere davvero atroce, pensò Ichigo.
Non poteva lasciarla lì così a soffrire. Doveva aiutarla a dormire, un modo lo doveva trovare! Ma come poteva fare? Rifletté un po’, sentendosi impotente. Se avesse potuto, le avrebbe tolto il dolore che provava per poterlo prendere su di sé, ma non era una cosa fattibile. Il vederla così era una sofferenza pure per lei, e non poteva fare nulla per aiutare Angel. All’improvviso, però, le venne un’idea. C’erano state tante volte in cui lei stessa, da piccola, non riusciva a dormire, e la mamma per farla rilassare le cantava una ninna nanna che Ichigo si ricordava molto bene. Non c’era stata una volta che aveva fallito. E lei era certa che sua madre avesse cantato quella stessa ninna nanna anche ad Angel, e che anche lei la conoscesse bene. Poteva provare con quella. Si morse appena il labbro, perché si vergognava, ma forse era l’unico modo. Sentendosi le guance andare a fuoco, lanciò un’occhiata a Masaya per assicurarsi che fosse abbastanza lontano da non sentire. Era meno di due metri più in là, di certo avrebbe udito tutto, ma non poteva chiedergli di spostarsi. Pazienza, avrebbe provato, al massimo Angel, se non conosceva la canzone, le avrebbe chiesto stupita cosa mai le stesse dicendo. Di figuracce ne aveva fatte tante in vita sua, una in più che le cambiava?
Si sistemò in ginocchio di fianco al letto, mettendosi il più vicino possibile al cuscino in modo che la ragazza sdraiata la sentisse meglio, e anche per evitare di dover cantare a voce troppo alta. Avvicinò la testa a quella di Angel, sistemandosi però in modo che l’altra avesse il capo sotto il suo e quindi non potesse guardarla. Se le avesse lanciato anche una sola occhiata, Ichigo si sarebbe vergognata tanto da non riuscire ad andare avanti col suo proposito. Le strinse forte una mano nella sua e, dopo un attimo di esitazione, iniziò a cantare con la voce più bassa che riuscì a produrre:
“è ora di dormire, dormi bene
è ora di dormire, questa bimba crescerà come una persona gentile
grazie agli déi per questo angelo
è ora di dormire, sul petto della mamma, dormi bene.”
Dopo aver cantato per la prima volta, sentì che ormai era fatta, indipendentemente dalla vergogna che poteva provare, e quindi ripeté la strofa per altre due volte, sentendosi sempre più sciolta man mano che andava avanti. Dalla posizione in cui era vedeva solo Masaya dall’altra parte del letto, che la guardava immobile. Si stupì che Angel non fosse già scoppiata a ridere al sentire quelle parole dolci rivolte a lei, che era così dura di carattere.
Quando ebbe finito, rimase immobile sul cuscino alcuni secondi, stupendosi del silenzio che era rimasto, poi alzò la testa per controllare la reazione di Angel. Non rideva, non era meravigliata come Ichigo si aspettava, ma si era addormentata sul serio. Aveva gli occhi socchiusi, il respiro regolare e un’espressione rilassata, con un accenno di sorriso sulla bocca.
Ichigo rimase a guardarle il viso col fiato teso per alcuni secondi. Non ci poteva credere… non aveva potuto prendere su di sé il dolore che sua figlia sentiva, ma cantandole una canzoncina all’apparenza così stupida era riuscita in quello in cui nemmeno i medici erano riusciti, farla rilassare ed addormentare nonostante il male; e in più anche con un sorriso. Ichigo sapeva che avrebbe dovuto essere contenta e orgogliosa a quel pensiero; invece iniziò a sentire dentro di sé un gran senso di angoscia ed oppressione. Lei sentiva di amare Angel davvero come una madre, nonostante non fosse passata per quelle esperienze come la gravidanza, il parto, l’allattamento e la cura di un bimbo piccolo, tutte cose che in teoria avrebbero dovuto forgiare il suo istinto materno. Forse quello che provava lei non era quello che provava una madre con tutti i requisiti del caso, ma se qualcuno le avesse chiesto: “Angel è tua figlia?”, lei avrebbe risposto di sì. Se le avessero chiesto fin dove sarebbe stata disposta ad arrivare per lei, Ichigo avrebbe risposto: “morirei.” E nonostante questo amore che provava per Angel, delle circostanze esterne le impedivano di esprimerglielo fino in fondo. E non solo a lei, perché era sicura che anche Angel la amasse come una figlia, il suo comportamento verso la sua leader ne era una dimostrazione continua. Anche Masaya amava Angel come un genitore, e da molto più tempo di lei, su questo non c’erano dubbi. Eppure non potevano neanche dirselo fra loro e riconoscersi come parenti: Angel non sapeva che loro due erano a conoscenza di essere i suoi genitori, e non doveva venire a saperlo. Tutto questo per Ichigo era doloroso, ed era sicura che lo era anche per Masaya.
Mentre la guardava, si rese conto che era la prima volta che le vedeva in viso un tale stato di rilassamento. Certo, c’erano state altre volte in cui Angel era stata distesa tranquilla, ma adesso, per la prima volta, Ichigo vide nel suo viso qualcosa che forse le era rimasta dell’infanzia: forse quando era piccola, tra le braccia di sua nonna, Angel si addormentata proprio con quell’espressione lì.
Ora, Ichigo era una ragazza con molta fantasia e capacità di immaginazione, ma, se c’era una cosa che non riusciva e non sarebbe mai riuscita a fare, era immaginarsi Angel da bimba. Stentava quasi a credere che una persona simile fosse stata piccola anche lei. Che aspetto aveva quando era bambina, proprio a uno o due anni? Era carina? Tenera, dolce, morbida? Era simile ad ora o era molto diversa? Chissà se, nel tempo di Angel, aveva fatto in tempo ad abbracciarla e a darle da mangiare almeno una volta, prima di morire? Ichigo era consapevole che non l’avrebbe mai saputo, e certo Angel non gliel’avrebbe mai detto. Però, a quel pensiero, provò, per una frazione di secondo, il desiderio che Angel fosse piccola, giusto per vedere com’era e poter interagire con lei davvero come una mamma. Almeno, in un caso del genere, non avrebbe fatto un torto a nessuno.
Presa da questo senso di insoddisfazione e inquietudine, Ichigo, rimanendo vicino ad Angel, le chiese a voce bassa, sapendo che non poteva sentirla:
“Angel... chiamami mamma, vuoi?...”
Subito dopo si pentì anche solo di averlo pensato. Sapeva infatti molto bene che se Angel l’avesse chiamata così anche solo una volta, poi lei non sarebbe più stata in grado di lasciarla andare via. Eppure Ichigo sapeva benissimo che il loro destino era separarsi per non rivedersi mai più; anzi, peggio ancora, per non sapere nemmeno se l’altra era ancora viva o no.
Non poteva inserire l’ultimo tassello della consapevolezza nel loro rapporto. Era già doloroso così. Legarsi ancora di più a lei con un vero ed autentico rapporto genitoriale avrebbe solo reso il loro legame difficile da sciogliere.
Alzò il viso sconvolto verso Masaya, che la guardava preoccupato.
“Angel dorme… andiamo via…” lo pregò.
Ma perfino per staccarsi fisicamente da lei ci mise un po’: anche se era stata Ichigo a prendere la mano di Angel tra le sue, si rese conto che, mentre aveva cantato, Angel aveva stretto la presa attorno alle sue dita, e anche da addormentata non l’aveva allentata. Ichigo dovette stringere i denti mentre le staccava con delicatezza le dita dalla mano, per non svegliarla.
Al momento di andarsene, Ichigo per la prima volta uscì dalla porta camminando a ritroso in modo da tenere d’occhio Angel fino alla fine, nel caso si fosse svegliata o avesse avuto bisogno di lei.

Arrivò l’ultimo dell’anno, l’ultimo giorno del 2003. C’era grande fermento per la città, e i cittadini di Tokyo, come tutti gli anni, si erano divisi in due fazioni: chi avrebbe festeggiato il capodanno secondo la tradizione, ossia andando a mezzanotte a un tempio buddhista o shintoista per pregare in vista del 2004 – e questi erano più gli adulti e gli anziani –, e chi avrebbe festeggiato all’occidentale, ossia aspettando in piazza con la bottiglia di spumante e il bicchiere pronti per il brindisi – ragazzi, principalmente.
Fortunatamente l’ospedale non fissava gli orari per le visite, quindi Keiichiro e Ryou, di comune accordo, decisero di tenere chiuso il mattino del primo dell’anno, nonostante le vacanze scolastiche di una settimana che si aprivano per i loro amici. L’anno precedente ognuno aveva festeggiato con la propria famiglia, quest’anno invece, per non lasciare sola la loro amica in ospedale, avrebbero festeggiato tutti insieme nella sua stanza. Sarebbe stata una specie di ripiego per la loro festa di Natale andata in fumo: Keiichiro avrebbe preparato una quantità industriale di tagliolini in brodo – Minto gli aveva raccomandato di farli lunghi il doppio del normale. Più lunghi erano, più avrebbero portato fortuna – e li avrebbero mangiati tutti insieme in ospedale come buon auspicio. Bu-ling avrebbe portato i suoi fratelli, che avrebbero finalmente rivisto Angel dopo tanto tempo. A mezzanotte avrebbero stappato una bottiglia di spumante e ne avrebbero bevuto un goccio ciascuno – tranne i fratelli di Bu-ling, che avrebbero brindato a the. Era una fortuna che Angel fosse in camera da sola! Con l’unica condizione del silenzio potevano fare quasi tutto quello che volevano. I due capi speravano che questo potesse riscattare la loro compagna che, nonostante fosse a letto da una settimana scarsa, già iniziava a dare i primi segni di insofferenza.
Così, la notte del 31 dicembre, tutti e quattordici, contando anche i piccoli, si ritrovarono riuniti in un’unica stanza.
“È anche meglio del Natale!”, commentò Bu-ling tutta gioiosa. “A Natale Ichigo-neechan, Aoyama-niichan, Retasu-neechan e Shirogane-niichan non c’erano. Ora invece ci siamo tutti tuttissimi!”
“Sììììì!”, le fecero eco i suoi fratelli maschi, che erano schierati intorno a lei, eccitatissimi perché quella sera sarebbero andati a letto tardi. Heicha invece si era avvicinata al letto di Angel e ci si era arrampicata.
“Non mi passare sopra, eh, che mi fa male la pancia”, si raccomandò Angel, tenendole però una mano sulla schiena.
Il dolore che provava pareva essersi attenuato, e i suoi amici erano riusciti a farla appoggiare alla testata del letto sollevandola per le ascelle e tenendole il cuscino dietro la schiena. Così ora, pur restando sotto le coperte, poteva partecipare alle attività con gli altri. I suoi amici erano riusciti a procurarsi una sedia ciascuno e ora si erano messi seduti a semicerchio davanti e intorno al letto, in modo che Angel percepisse il meno possibile di essere ferita in un letto di ospedale. Erano appena arrivati, ed erano solo le dieci di sera.
A parte Angel, che era stata costretta a mangiare gli scialbi cibi che forniva il catering dell’ospedale, nessuno di loro aveva ancora cenato. Sapevano infatti che Keiichiro aveva preparato tanti di quei tagliolini da rendere superflua una cena preventiva. Il più grande li aveva finiti di preparare poco prima di partire, e li aveva portati con sé, ancora caldi, dentro una grossa pentola a pressione, insieme a un sacchetto con ciotole e bicchieri del servizio del Caffè.
Tutti i ragazzi, non avendo cenato, erano affamati, perciò ognuno si precipitò a recuperare la propria ciotola e le bacchette e a tenderli verso la pentola, da dove Keiichiro pescava con un mestolo i tagliolini insieme al brodo.
“Sei magico, Akasaka-san!”, commentò Ichigo, pulendosi le labbra dalla saliva con la lingua. “Altro che ristorante!”
Quando ognuno ebbe la propria ciotola in mano, piena di tagliolini immersi nel brodo profumato e con sopra la sua guarnizione di cipollotti tritati fini, i fratelli di Bu-ling non diedero nemmeno il tempo ai più grandi di congratularsi a turno col cuoco per il bell’aspetto e il profumo del piatto, gridarono “buon appetito!” e si gettarono sul cibo come delle belve fameliche.
I ragazzi allora si guardarono l’un l’altro, alzarono le spalle e seguirono il loro esempio, mettendosi un capo degli spaghetti in bocca e succhiando il più rumorosamente possibile, come voleva la tradizione. Perfino Minto, pur mantenendo un contegno dignitoso, non rinnegò questa usanza. A Keiichiro non servivano ringraziamenti a parole: gli schiocchi di lingua soddisfatti dei suoi amici erano già dei complimenti che lo ripagavano di tutto il lavoro fatto.
“Sei fortunata, Angel, ad avere un cuoco come Akasaka-san che ti prepara il pranzo tutti i giorni”, commentò sorridendo Retasu smettendo per un momento di mangiare.
“E già”, rispose soddisfatta Angel, afferrando con le bacchette un'altra manciata di tagliolini.
“Seguendo il consiglio di Minto-san, li ho fatti più lunghi del solito”, spiegò Keiichiro.
“Così le nostre vite saranno ancora più lunghe”, concluse Minto, trionfante dall’avere avuto quell’idea che avrebbe migliorato ancora di più la loro cena.
Ichigo, che ogni tanto guardava Angel di sottecchi, notò che, a quelle ultime parole, il visto di Angel rabbuiarsi per un attimo. Sentì istantaneamente lo stomaco strizzarsi, ma subito dopo si convinse – o volle convincersi – che in realtà se lo era solo immaginato.
I tagliolini furono finiti in fretta e furia, e il brodo rimanente venne bevuto senza cucchiaio, soltanto portando la tazza alla bocca e bevendo come fosse latte. Il tutto era stato talmente frenetico che non era passata neanche mezz’ora. Mancava ancora un’ora e mezzo alla mezzanotte.
“E ora… partitona a taboo!” esclamò Bu-ling, l’incaricata dell’intrattenimento per quella serata, sbattendo sul bordo del letto una scatola di cartone. “Stasera facciamo le squadre per sesso! Donne contro uomini! Stracciamoli, ragazze!” incitò le sue compagne con la mano a pugno e gli occhi infiammati.
“All’ultimo sangue!”, le fece eco Angel, stringendosi la benda sulla fronte con aria decisa, come se si fosse trattato di una fascia.

“Allora”, cercava di inventarsi qualcosa Masaya rivolto verso Ryou e Keiichiro, con Minto che spiava da sopra la sua spalla come un avvoltoio “è un coso di legno che fa f…”
“Eh no!”, lo interruppe Minto. “Quello non si può dire!”
“…che fa dei… cosi che si mangiano... sono ar…”
“Non puoi dire neanche quello!” fu il tagliente intervento di Minto.
“…piccoli e somigliano alle pesche”, aggiunse dribblando Masaya.
“Albicocco!” saltò subito su Ryou.
“Sì!” esclamò Masaya.
“Grande! Prossima!” lo incitò Ryou, mentre Keiichiro, che a malapena era riuscito ad intervenire, li guardava stupito.
La loro squadra riuscì a indovinare quattro parole di fila prima che il tempo scadesse, sempre con duetti tra Masaya e Ryou che, presi dal desiderio di vincere, parevano aver accantonato ogni tipo di freddezza e distanza reciproca che aveva caratterizzato il loro rapporto per gran parte del tempo.
“Ora tocca a noi, però!” esclamò Ichigo quando la sabbia della clessidra fu scesa del tutto. “Pesco io le carte!”
Tirò fuori la prima dal mazzo e guardò le sue compagne che la fissavano trepidanti.
“Allora, ragazze, quando noi ci trasformiamo abbiamo che cosa?”
“Le botte”, rispose subito Angel.
“Ma no!” esclamò Ichigo.
“Una sfiga immensa”, si buttò Minto.
“Abiti di dubbio gusto”, provò Retasu.
“No, no! Abiti fighissimi!” strillò Bu-ling.
Ichigo si batté una mano sulla faccia, stringendo i denti.
“Un alter ego”, rispose tranquilla Zakuro, a braccia conserte.
“Oh!”, approvò sollevata Ichigo, pescando un’altra carta.
Nonostante la perspicacia di Zakuro, Angel, Minto, Retasu e Bu-ling partivano talmente in quarta con i tentativi e facevano così tanto chiasso che era impossibile per la più grande capire immediatamente quello che Ichigo tentava di spiegare. Quindi, quando scadette la clessidra avevano fatto solo due punti.
La partita andò avanti agguerrita come non erano mai state neanche le loro peggiori battaglie, e infine la squadra maschile batté quella femminile con uno stacco di dieci punti.
“Grande!”, esclamò tronfio Ryou, battendo la mano che Keiichiro gli porgeva. Si girò poi verso Masaya, con il quale aveva collaborato per tutta la partita e mostrò anche a lui la mano col palmo aperto. Il più giovane, con un gran sorriso per la loro vittoria, gli batté il cinque con la sua come se fosse stato il suo migliore amico.
“Non ci posso credere…”, commentò Minto con un filo di voce e la bocca spalancata, e non si capiva se si riferisse alla vittoria della squadra avversaria o al comportamento dei due ragazzi. Le sue compagne, ed Ichigo e Retasu in particolare, non erano meno stupite di lei. Zakuro interpretò quel commento nel secondo modo.
“La lotta in comune rafforza il legame e mette da parte ogni dissapore”, disse rimanendo sul vago.
Fu una bella sorpresa e rivelazione per tutti: né Masaya né Ryou brillavano per estroversione. Il secondo si lasciava andare con poche e precise persone rimanendo spesso sulle sue, mentre il primo aveva chiuso ancora di più la sua cerchia, rivelando il suo vero carattere praticamente solo a Ichigo e ad Angel. Senza contare che, fino a nemmeno un anno prima, loro due si erano cordialmente detestati in modo più o meno intenso. Dopo la sconfitta di Profondo Blu avevano trovato un equilibro stabile e di stima reciproca, anche se non erano mai andati molto in là con le loro interazioni. Quindi, vederli ora, per la prima volta, ridere insieme in modo spontaneo e genuino per la vittoria ottenuta dopo un’intensa battaglia e battersi le mani da buoni amici e compagni sorprese un po’ tutti.
“Perché la macchina fotografica non c’è mai quando serve?”, si lamentò Bu-ling, alzando gli occhi al soffitto.
Quando infine arrivò la mezzanotte, dopo il conteggio alla rovescia fu Ryou a stappare lo spumante tra le grida festanti dei suoi compagni.
“Tu sta’ lontana”, ammonì ad Angel. “Mezzo bicchiere a testa, e basta. Volevi tanto lo spumante, adesso sarai contenta.”
Dopo aver distribuito l’alcolico nei bicchieri di tutti, Zakuro propose:
“vogliamo fare un brindisi?”
“Ottima idea!” approvò Ichigo. “A cosa?”
“Che riusciamo a battere quel cattivone di Flan!”, saltò su Bu-ling.
“Che Angel-san esca presto da questo ospedale”, propose Retasu.
“Che smetta di sparare le sue cavolate e mi lasci campare”, aggiunse Ryou con ironia. Poi però aggiunse subito: “no, la seconda proposta mi sembra la migliore”, sorrise verso Retasu, che arrossì lievemente. “alzate i bicchieri, allora!”
Quando tutti i ragazzi ebbero alzato i calici – ed i bambini coi loro bicchieri pieni di the si furono messi di fianco a loro –, Ryou aprì la bocca per parlare, ma Angel lo precedette.
“Alla nostra squadra!”, esclamò con tono solenne.
I suoi compagni guardarono prima lei, poi si scambiarono delle occhiate l’un l’altro.
“Alla nostra squadra!”, ripeté entusiasta Ichigo, imitata dagli altri, e tutti batterono i bicchieri insieme, producendo un unico tintinnio, vuotandoli infine con un sorso.

I ragazzi tornarono a casa solo verso l’una di notte, lasciando una Angel esausta ma col morale alto e la felicità che sprizzava dalla sua espressione. Tutta la squadra era contenta di quella festa passata insieme: certo, festeggiata nel luogo più improbabile e meno indicato, ma ne era valsa la pena. Erano stati tutti e nove insieme, avevano riso, scherzato, giocato, mangiato e bevuto. Il posto era solo un contorno, e i bei momenti che avevano trascorso quella sera avevano riscattato in pieno la festa di Natale rovinata.
Al momento di andarsene, Heicha, invece di salutare Angel come tutti gli altri, si era arrampicata sul letto e le aveva stampato un bacio sulla guancia, e lei si era messa a ridere.
“Hai un quasi-primato, Heicha: se non fosse per la nonna, saresti la prima persona ad avermi baciata!”, aveva riconosciuto tirandole per scherzo una treccina.
“E non mi stupisco di questo”, commentò Ryou, prima che Retasu si girasse a guardarlo con un’occhiata di rimprovero.
“Ah, prima di andar via, Angel-san…” disse a quel punto Keiichiro tirando fuori una busta dalla tasca della giacca. “Questo è per te.”
Angel allungò la mano per prenderla e, una volta aperta, vide dentro alcune banconote.
“Keiichiro, perché tutti questi yen?”, gli chiese stupita.
“Zakuro-san non te l’ha detto?” rispose Keiichiro sorridendo. “È tradizione di capodanno che i genitori regalino dei soldi ai propri figli. Anche gli altri domani riceveranno questo regalo.”
“È bellissimo, Keiichiro, però…” esitò appena Angel.
“Sì, sì, lo so, non sono tuo padre”, la interruppe lui. “Ma io ho la tua potestà e sono il tuo tutore legale. Quindi questo regalo te lo faccio io.”
Angel spalancò gli occhi. “Quindi questi soldi sono i tuoi? Me li regali così? Tutti questi? Oh, grazie!” esclamò lei chinando la testa in segno di rispetto e gratitudine.
Keiichiro, una volta che furono fuori dalla stanza ed ebbero chiuso la porta, si avvicinò a Masaya e Ichigo, che sorridevano ma tenevano gli occhi bassi.
“Avete fatto un bel gesto, anche se non avete potuto dirglielo”, gli disse con tono comprensivo. “So che i vostri genitori non vi pagano quello che vi serve, perché i soldi li guadagnate da soli, e quelli erano tanti.”
Bu-ling si avvicinò alla leader e la abbracciò stretta. “Anche la mamma di Bu-ling le regalava sempre i soldi per capodanno!”
Anche i suoi fratellini, per spirito di emulazione, corsero ad abbracciare chi Ichigo, chi Masaya.
Minto, Zakuro e Retasu guardarono i due con ammirazione e tenerezza nello sguardo.
“Vero, ma…” mormorò Ichigo. “Non è la cifra il problema… è farle questo regalo e doverglielo tenere nascosto…”, e Masaya annuì in silenzio, anche lui con la sofferenza e la frustrazione nello sguardo.
“Angel non saprà che era vostro”, disse Retasu. “Ma pensate che quei soldi le serviranno moltissimo, a lei e a sua nonna, quando se ne andrà.”
“Già”, ripeté Ichigo, mesta. “Quando se ne andrà…”

Quella notte, la prima del 2004, Masaya, come i suoi amici, avrebbe dovuto dormire profondamente, visto che per i loro standard avevano tirato parecchio tardi. Ma ebbe un sonno tormentato: dormiva, poi si svegliava, poi cadeva in uno stato di dormiveglia prima di riaddormentarsi, e poi si risvegliava. Almeno sapeva che l’indomani non sarebbe andato a scuola, ma si sentiva irritato lo stesso: soprattutto perché non riusciva a spiegarsi il perché di questo sonno agitato. Non aveva malesseri fisici, né mal di testa o cose del genere. Non era nemmeno come l’anno prima: anche allora aveva avuto il sonno disturbato diverse volte, ma lì il motivo era stato molto chiaro. Erano stati degli incubi premonitori che gli stavano rivelando che il dio alieno, Profondo Blu, si stava risvegliando. E poi Ichigo che piangeva… un’anticipazione di quello che avrebbe fatto poi per un crimine commesso da lui. Questa volta invece il ragazzo non stava facendo sogni brutti, non c’era nessuno che gli intimava di destarsi, né vedeva Ichigo – o magari Angel – piangere. Una cosa, una soltanto, inspiegabilmente gli metteva inquietudine: il solo contenuto dei suoi sogni era un lampo di luce azzurra, talmente forte e abbagliante da accecarlo, ed allora si svegliava. Si riaddormentava, e lo sognava di nuovo. Luce azzurra… poteva voler dire tante cose, non era qualcosa di cui preoccuparsi di per sé.  Ma un sogno così strano, su un fattore ricorrente così insistente e inusuale voleva avvisarlo di qualche cosa. Cosa di preciso, il giovane non lo riusciva a immaginare.


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Se personalmente dovessi definire questo capitolo con un aggettivo, direi "inconcludente". Questo perché ci sono varie cosine sparse in giro che però non portano da nessuna parte. Il motivo è che questo capitolo praticamente è "in coppia" col prossimo, e la maggior parte di queste cose lasciate in sospeso verranno chiarite lì.

Penso, tra l'altro, che questo sia il primo capitolo da quando Angel è apparsa che non contiene nessuna scena dal suo punto di vista, nonostante sia parecchio lungo.

Spero che vi sia piaciuto questo piccolo ritorno di Shintaro, anche se qui è solo il babbo di Ichigo e non anche il nonno di Angel. Tra l'altro: i nomi sbagliati con cui si riferisce alla "nipote" (Hime e Tenshi) sono: il secondo semplicemente angelo in giapponese (Shintaro non è avvezzo con l'inglese e quindi ha chiamato Angel come se avesse il nome giapponese); il primo, che vuol dire principessa, è un riferimento a Hime Azumi, la "prima Ichigo" che compare nel capitolo pilota di Tokyo Mew Mew (e che si trova nel quarto volume del manga), su cui ho ampiamente basato l'aspetto fisico di Angel. Entrambe le ragazze presentano le seguenti caratteristiche: capelli corti neri, divisa nera (anche se la forma è diversa), coda e orecchie di gatto (anche se Hime le ha nere e Angel marroni a macchie più scure; Hime ha poi lo stesso fiocco sulla coda di Ichigo, che Angel non ha), una sciarpa al collo solo quando sono trasformate (Hime però ce l'ha rosa, Angel blu).

La ninna-nanna cantata da Ichigo in questo capitolo esiste davvero (qua), e un particolare della stessa che qui sta molto bene è che, quando nel testo dice "grazie per questo angelo" in giapponese non traduce angelo letteralmente (quindi "tenshi mo arigatou"), ma dice proprio angel, all'inglese ("enjeru mo arigatou"), e quindi qui potrebbe essere usato non in senso metaforico, ma proprio a Angel come persona. A me piace pensare che Sakura gliela cantasse in questo senso <3

Approfitto per ringraziarvi tutte di nuovo, per la fedeltà e la pazienza. Sto preparando un altro disegno e presto sarà pronto. Al prossimo aggiornamento!

   
 
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