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Autore: CassandraBlackZone    30/11/2017    3 recensioni
Raccolto tutto il suo coraggio, Maria uscì dal suo nascondiglio e si avvicinò al grosso cilindro di vetro. All’interno di quest’ultimo, il corpo del riccio antropomorfo nero e rosso galleggiava nel liquido verde fluorescente con gli occhi chiusi e un’espressione serena sul volto. Improvvisamente, non le fece più così paura. Provava più pena, vedendo tutte quelle ventose e fili attaccati su diverse parti del corpo.
«Ti ricordi come si chiama?»
Maria si voltò verso il nonno. «Shadow, giusto?» riportò l’attenzione sulla Forma di vita Definitiva. «Shadow… the Hedgehog.»
Genere: Azione, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Gerald Robotnik, Maria Robotnik, Shadow the Hedgehog, Sonic the Hedgehog
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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«Chaos Spear!» incanalata un po’ di energia caotica, Shadow la concentrò nelle sue mani per poter creare delle lance e le scagliò contro tre puntatori laser, distruggendoli prima che potessero sparare.
Diversamente da quella mattina, nel giro di mezz’ora aveva imparato involontariamente quella nuova tecnica, incrementato la sua velocità e i suoi sensi, riuscendo così ad anticipare qualsiasi attacco più di quanto non facesse già. «Cambio arma» i puntatori sopravvissuti si ritirarono al comando del riccio e presero il loro posto delle mitragliatrici, che lo attaccarono subito con una raffica di colpi laser più letali dei primi; per Shadow fu nuovamente una passeggiata, poiché lui camminava tranquillo sotto quella pioggia rossa, muovendosi quanto bastava per schivare i colpi.
La Forma di Vita Definitiva si concesse quel momento di apparente tranquillità per ripensare a ciò che Morris gli disse in laboratorio prima di riprendere ad allenarsi, parole che lo motivarono ancora di più, ma al tempo stesso lo preoccupavano. «Ascoltami bene, topastro. Sarò sincero con te e anche se dovrei tenertelo nascosto credo che tu abbia il diritto di saperlo. È da un po’ di tempo che l’ARK non è sicura, forse da un anno, qualcuno sta cercando di rovinarci. Questo è l’unico favore che ti chiedo: non fidarti di nessuno che non sia io, il professor Robotnik e Maria. Sono stato chiaro?»
Shadow sperava che Morris non dicesse sul serio, ma appena sentì il nome di Maria il dubbio lo assalì all’istante. Per quanto gli riguardava, la talpa poteva essere chiunque all’interno dell’ARK, poiché l’intera equipe di scienziati non lo vedeva di buon occhio per via dell’incidente di quattro anni fa. Gi unici che si salvavano erano proprio Morris e i Robotnik, ma forse poteva aggiungere anche Kelly, l’unica ad essersi presa cura di lui; in ogni caso le persone di cui poteva veramente fidarsi le poteva anche solo contare con le dita delle mani.
«Livello 51 completato con successo» l’interfaccia vocale della palestra riportò Shadow alla realtà, che sussultò alla vista della lancia dorata che aveva tra le mani.
«Ma quando è successo?» si domandò perplesso. Non si ricordava minimamente di averle create, ma soprattutto di aver distrutto le dieci armi.
«Proseguire con il livello 52?»
«No. Termina allenamento.»
«Allenamento terminato
Shadow osservò i macchinari venir prelevati da dei bracci meccanici per l’ennesima riparazione e, rimasto solo in quell’enorme stanza di metallo, sospirò pesantemente. Il riccio ebano lasciò che il silenzio soffocasse i suoi pensieri, ma senza alcun risultato. Quell’improvvisa perdita di coscienza lo aveva scosso e, sfortunatamente, ricordato quel giorno in cui lui e Maria si avventurarono nel corridoio cremisi. «Sei stato tu, non è vero?» domandò alzando lo sguardo, ma non ricevette alcuna risposta, solo l’eco della sua stessa domanda. «Taciturno come sempre, eh?»
Stanco di perdere tempo, Shadow si avviò verso l’uscita, finché la porta non si chiuse di scatto. Il riccio rimase a fissare la parete vuota per poi spostare lo sguardo sulla finestra della sala comandi, dov’era possibile intravedere la silhouette di una persona in piedi. «Scusa, Morris. Ho richiesto io di annullare il prossimo livello. Ho bisogno di uscire un attimo.»
La figura non si mosse e rimase in silenzio.
«Mi hai sentito, Mo-…» d’istinto Shadow fece un balzo indietro e un braccio meccanico si piantò proprio nel punto da cui lui aveva saltato. Altri sei bracci seguirono il primo e cominciarono ad inseguire il riccio, che intanto li schivava il più velocemente possibile. «Che diamine stai facendo, Morris?! Fermali!» alzato nuovamente lo sguardo, Shadow non vide più nessuno alla sala comandi e così i bracci proseguirono, senza lasciare un attimo di tregua al povero riccio, e i puntatori laser riparati si unirono alla caccia.
Azionati i propulsori delle sue scarpe alla massima potenza, Shadow si scagliò contro qualsiasi cosa fosse pronto ad attaccarlo. Evitò prontamente i bracci meccanici e li conficcò sia nel pavimento che alle pareti con dei calci potenti. I laser rischiarono di colpirlo diverse volte, ma abituatosi alla loro velocità li anticipò ancor meglio dell’allenamento appena superato.
Dal soffitto uscirono delle piccole sfere che si avvicinarono in massa al riccio bicolore, alcune per esplodere e altre nell’intento di tramortirlo con delle scariche elettriche ad alto voltaggio. Alla comparsa improvvisa di una di queste ultime, le lance di energia caotica si formavano con facilità e con una potenza tale da distruggerne dieci in un colpo solo. «Maledizione! Che cosa sta succedendo?!»
Le macchine cominciarono drasticamente ad aumentare, prestazioni comprese, come se lo avessero sentito e misero il loro obiettivo non poco in difficoltà. Le sfere fluttuanti erano le più pericolose, poiché a prima vista il voltaggio pareva essere aumentato e Shadow ne ebbe ben presto la prova.
Due sfere erano finalmente riuscite ad attaccarsi dietro al riccio e a rilasciare una potente scarica elettrica che lo indussero ad urlare di dolore e quindi a richiamarne altre.
Shadow si sforzò di creare anche solo una lancia per poter distruggere le sfere che subito si staccarono dalla sua schiena. Quest’ultima gli bruciava ad ogni respiro e di tanto in tanto aveva uno spasmo muscolare involontario per via dell’elettricità residua, ma purtroppo per lui non era ancora finita: nel momento in cui si inginocchiò sfinito, altre sfere si apprestarono ad attaccarlo, ma per sua grande sorpresa esse si limitarono a circondarlo.
«E allora? Tutto qui quello che sapete fare?» disse Shadow ansimante, cercando di essere ironico.
Quattro bracci meccanici scesero dal soffitto e presero il riccio ebano da mani e braccia per poi sollevarlo.
Sebbene non lo credeva possibile, Shadow era incapace di muoversi. Lui sapeva che quelle scariche elettriche non erano poi così tanto pericolose e che quindi da lì a poco avrebbe dovuto recuperare le forze, ma ciò non accade. Forse le funzioni di quelle piccole diavolerie erano ben oltre la scossa elettrica. Seppur continuava a chiederselo, lui si sentiva sempre più debole.
Arrivato in mezzo alla stanza, quattro sfere lo raggiunsero e si posizionarono ai quattro arti, o per meglio dire, ai quattro bracciali inibitori. «Che… volete fare?» cercò di chiedere Shadow con un fil di voce, mentre dalle sfere uscirono dei piccoli bracci che si attaccarono all’unisono sui bracciali. «Aspettate. Ferme! Non lo fate!» Shadow supplicò invano.
In un attimo tutte le armi si ritirarono e lasciarono cadere il riccio assieme ai quattro bracciali. All’impatto con il terreno Shadow si sentì terribilmente frastornato e il suo corpo inerme non lo aiutava affatto. Anche la sua vista non era delle migliori, in quanto i bracciali riusciva a distinguerli solo come quattro macchie gialle. Respirava a fatica e con irregolarità, ma a lui non importava: per l’ennesima volta aveva avuto la prova della sua debolezza.
Questa volta il silenzio aveva davvero annebbiato la sua mente. Ogni suo pensiero, ogni sua preoccupazione e paura erano come svaniti e con loro anche tutti gli sforzi che aveva fatto finora. Shadow si era come svuotato, persino dell’amore che aveva per il professor Robotnik e Maria.
 
Maria
 
Seppur lontana e offuscata, Shadow intravide quella che pareva essere Maria, con il suo bel vestitino azzurro, il suo cerchietto color cobalto e il suo portamento aggraziato. «Ma-… Maria.»
Lei gli sorrise con un’espressione tranquilla sul volto e se ne stava lì, ferma a fissarlo.
Il riccio nero raccolse tutte le forze che aveva e finalmente riuscì almeno a sollevare un braccio e a tenderlo verso la ragazzina. «Ti prego… Aiutami.»
Inaspettatamente, Maria venne inghiottita da delle lingue di fuoco sotto gli occhi increduli di Shadow. Lui ritrasse subito la mano, scoprendo che Maria non era altro che frutto della sua immaginazione e soprattutto che non si trattavano di semplici fiamme, bensì della sua energia caotica. «Che… che cos’è?» Shadow si portò entrambe le mani al volto e osservò atterrito quello strano flusso dorato e rossastro che usciva da esse e che ben presto avrebbe riempito la stanza. «Cosa mi sta succedendo? Aiuto! Qualcuno mi aiuti!»
Il riccio nero tentò di rialzarsi, ma senza risultati. Era come impiantato al terreno e più si divincolava, più sentiva le sue forze venir meno, mentre il flusso aumentava radicalmente di volume. Sentiva terribilmente caldo e un dolore lancinante in tutto corpo, colpendo anche all’interno, dolore che non aveva mai provato prima d’ora. Le lacrime cominciarono a scendere copiosamente dagli occhi, segno che il povero Shadow stava ormai raggiungendo il suo limite.
«Per favore. Fatelo smettere! Maria! Maria dove sei?!» La voce gli usciva strozzata e ogni respiro era aria rovente che gli graffiava la gola. «Professore… Nonno, aiutami!»
 
 
«Maria, tesoro. Entra pure» Gerald accolse Kelly con un sorriso e la nipotina a braccia aperte e la baciò teneramente sulla testa. «Grazie di essere venuta.» il rumore sordo di un’esplosione lo ammutolì.
«È Shadow, nonno» lo tranquillizzò la bambina. «Ha ripreso ad allenarsi.»
L’uomo alzò le sopracciglia. «Ma io ero convinto che…»
Lei rispose scuotendo la testa e accennando un sorriso. «Ho compreso che per lui è importante e poi credo che l’abbia capito.»
«Capito cosa?» La ragazzina tirò fuori dalle tasche il flaconcino arancione e in quel momento sia Kelly che Gerald capirono. «È… successo di nuovo?» chiese lui cercando di essere il più risoluto possibile.
«Proprio qualche minuto fa.»
Il professor Robotnik sospirò, cercando di sorridere. «Va bene, Maria. Ti ringrazio per avermelo detto. Allora in questo caso dovrò farti un’altra visita, ma quella potrà aspettare per un po’.»
«In che senso?»
L’uomo si avvicinò al suo portatile e dopo una serie di comandi, in un attimo apparve un ologramma. «C’è qualcuno che ti vorrebbe salutare.»
Maria non riuscì a contenere la sua felicità e si portò le mani alla bocca. «Oh mamma, da quanto tempo! Abraham!»
«Ciao Maria!» davanti alla ragazzina si era materializzato un bambino sorridente poco più basso di lui: era Abraham Tower, che aveva tre anni in meno di Maria e una caratteristica che lo distingueva, ovvero l’eterocromia delle iridi, che lo fece nascere con l’occhio sinistro verde e quello destro marrone. I due si conobbero poco più di tre anni fa grazie all’amicizia che Gerald aveva con i genitori di lui ed essendo entrambi figli unici si considerarono fratelli fin da subito. Nonostante il loro unico modo per vedersi fosse attraverso un comunicatore olografico e tre volte alla settimana, Maria e Abraham sfruttavano sempre al meglio il tempo a loro disposizione per parlare.
«Dimmi Abraham! Come ti vanno le cose?»
«Va tutto bene qui! A scuola oggi mi sono divertito un sacco!»
«Che bello! Sono felice per te! Fai sempre il bravo, vero?»
«Certamente! Tu invece come stai?»
Maria esitò per qualche secondo per dire entusiasta:«Sto benissimo! L’ultima visita è andata bene!»
Intanto Kelly e Gerald si erano allontanati per lasciare spazio ai due ragazzini. La giovane scienziata si concesse un sorriso di tanto in tanto.
«Starei a guardarli per ore. Fanno molta tenerezza» disse Gerald a Kelly.
«Sì. Ha perfettamente ragione.»
«A causa delle condizioni di Maria nell’ultimo anno era difficile che si potessero vedere come prima. Oggi ho pensato che potesse essere il giorno giusto per farli incontrare, ma a quanto pare…» Il professore abbassò lo sguardo lasciando trapelare la sua preoccupazione con il silenzio.
«Io penso che abbia fatto bene.» Gerald si girò verso la donna ancora sorridente. «Le serviva proprio una distrazione. Proprio come concedere Shadow almeno un po’ di tempo libero.»
L’uomo venne attirato dalle risate gioviali dei due ragazzini e sorrise di conseguenza. «Se me lo dici tu, allora ho fatto davvero bene.»
Kelly abbassò lo sguardo sulle cartelle che aveva in mano e dopo una serie di ripensamenti, tese a Gerald la cartella di Maria. «Professore, questa è la cartella degli ultimi dati di Maria che io e Morris abbiamo trascritto. Scusi l’attesa.»
Gerald ringraziò con un leggero inchino e la prese. «Scusate voi. Vi sto facendo lavorare davvero molto. Specialmente voi due. Ma come ben sai, mi posso fidare di poche persone.»
Lei annuì. «Per via della talpa.»
«Esattamente.»
«Ah! La sai la novità? Oggi Shadow compie gli anni!»
Al nome di Shadow, Abraham smise di ridere. «Sh-Shadow? Parli del riccio?»
«Sì! Oggi compie quattro anni! Fa strano dirlo, anche perché non si direbbe. È davvero molto maturo per la sua età e ha imparato un sacco di cose in questi anni e…»
«Mi spaventa.» Come il ragazzino, anche Maria perse quell’entusiasmo e lo guardò confusa, mentre Abraham si era imbronciato. «Shadow mi spaventa, Maria.»
Maria scosse la testa e cercò di sorridere. «Ma cosa stai dicendo? Shadow non è spaventoso, lo hai conosciuto! È solo che lui è un po’ timido, tutto qui. So che l’ultima volta ti sembrava un po’ scorbutico, ma è per via dei vari test che sta facendo e…»
«Maria, tu credi davvero che lui sia buono?»
«Come dici, scusa?»
Il silenzio calò tra i due, cosa che allarmò i due scienziati rimasti in disparte. «Che cosa succede? Si è interrotta la comunicazione?» ipotizzò Kelly.
Abraham abbassò gli occhi e si sfregò nervosamente le braccia. «Che cosa intendevi dire, Abraham?» ruppe il ghiaccio Maria.
«Qui da me non si fa altro che parlare di Shadow e… la maggior parte delle cose non sono belle. Io non ne capisco molto, ma vedo le loro facce e quindi…»
«Sono tutte bugie» mormorò Maria stringendo con forza i pugni. «Sono tutte bugie!»
Abraham sobbalzò quando la giovane Robotnik gli urlò contro. «S-scusa, Maria. Ti prego non ti arrabbiare con me. Sono loro che ne parlano così!»
«Perché dovete essere tutti contro Shadow? Lui non ha fatto niente di male! Quel che accaduto anni fa è stato un incidente!»
«No, questo non va affatto bene» Gerald e Kelly si avvicinarono di corsa a Maria per calmarla. «Maria, adesso stai esagerando. Abraham non ha alcuna colpa.» le disse il vecchio professore, ma Maria scansò le mani del nonno pronto ad appoggiarle sulle sue spalle.
«No! Sono stanca, nonno! Non solo qui sull’ARK lo evitano e lo temono, ma anche sulla Terra!» Maria lasciò che le lacrime rigassero le sue guance. «Loro non lo conoscono come lo conosco io! Non sanno che Shadow è…» tutto accadde così in fretta che Maria non ebbe nemmeno il tempo di urlare, ma solo di cadere con gli occhi spalancati.
«Maria!» Gerald la prese prima che la testa picchiasse sul pavimento. «Maria, che ti prende? Rispondimi ti prego!»
Una fitta di dolore aveva colpito Maria prima al petto e poi alla testa, come se qualcosa le avesse trafitto il cuore e il cervello. Tutto ciò che riuscì a fare fu portarsi le mani alla bocca, onde evitare che vomitasse Dio solo sa cosa.
«Che succede a Maria? Maria!» chiamò disperato Abraham.
«Mi dispiace, Abraham. Non volevo che la vedessi in questo stato. Ora ti dobbiamo lasciare. Ti prometto che ti richiameremo. Kelly, interrompi la comunicazione.»
«Subito!» anche Kelly si scusò con il bambino e fece scomparire il suo ologramma.
«Maria, ti prego. Dimmi qualcosa! Non mi spaventare così!»
Maria cercò di rialzarsi, ma senza riuscirci. Sentiva il suo corpo molto pesante e caldo. Le parole non le uscivano dalla bocca, solo lamenti, ma al di là del dolore sentiva che c’era qualcosa non andava, che la disturbava.
«Aiutami, Kelly. Dobbiamo portarla subito in infermeria!»
«Sh-…Shadow.» anche se con un fil di voce, finalmente Maria aveva parlato.
«Oh Maria. Grazie al cielo! Non ti preoccupare, tra poco starai meglio.»
«Shadow. È… successo qualcosa a Shadow!» Maria si alzò di scatto davanti agli occhi increduli dei due adulti e, raggiunta a fatica la scrivania, prese il flaconcino di medicine e ne inghiottì quattro in una volta sola.
«Maria non ti sforzare! Ti prego sied-…»
«Allarme. Allarme. Settore D-45 a rischio. Settore D-45 a rischio
L’interfaccia vocale continuò a ripetere il messaggio, mentre l’allarme lampeggiava ad intermittenza.
«Settore D-45? Ma… è dove si trova Shadow.» disse Kelly.
«Oh no. Shadow! Io… devo andare da Shadow!»
«Scordatelo Maria!» Gerald prese con entrambe le mani le spalle di Maria per guardarla dritta negli occhi. Per la prima volta aveva urlato a sua nipote. «Guardati! Hai avuto un’altra ricaduta! Io non lascerò che tu vada lì in queste condizioni!»
Maria cominciò a singhiozzare, ma senza smettere di pensare al riccio in pericolo.
«Ti prego. Rimani qui con Kelly. Ti porterò Shadow, te lo prometto.» Calmatosi, Gerald stampò un lungo bacio sulla fronte della ragazzina. Quest’ultima era rovente. «Kelly. Portala via.»
Lo scienziato corse verso l’uscita in soccorso della sua creatura. Quando le porte si chiusero, Maria si lasciò andare in un pianto disperato, maledicendosi per le sue condizioni che le impedivano di andare da Shadow.
«Perché? Dimmi perché, Kelly!» chiese urlando tra i singhiozzii. «Perché non sono più forte? PERCHÉ?!»  
 
ANGOLO DELL’AUTRICE:
I brividi. Mentre scrivevo questo capitolo ho avuto i brividi.
Magari esagero, però… sono abbastanza soddisfatta di questo capitolo. O forse semplicemente, ora che sono arrivata a questo punto, sono tesa ma allo stesso tempo elettrizzata per questa parte della storia. Ci sono tanti buchi che ora tapperò e che spero siano abbastanza coerenti.
La fine si avvicina. Ora lo posso dire.
Detto questo, spero che il capitolo vi sia piaciuto e come sempre vi chiedo di segnalarmi ogni sorta di errore ( che ovviamente non mancheranno mai…)
Grazie e a presto!
 
Cassandra
   
 
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