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Autore: Uudenkuu    02/12/2017    3 recensioni
Un breve racconto di una fenice, di una morte e di una rinascita dalle ceneri.
“Devo proprio dirtelo, la tua musica mi ha cambiato la vita. Non esagero, dico sul serio. La mia vita era senza uno scopo, sai,” e Yoongi non capì il motivo di quel bisogno d’aprirsi così tanto perciò strizzò le labbra fini in una smorfia di disappunto, “Ma l’ho trovato. La tua musica me lo ha fatto trovare. Ci credi? Che ho capito di non poter fare l’avvocato? Devi credermi. Sono Park Jimin.”
“Min Yoongi.”
Un barlume di speranza invase le iridi languide del più piccolo.
“Ho trovato un senso, Min Yoongi!”
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Min Yoongi/ Suga, Park Jimin
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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After the show
Part 1

La sedia a rotelle era difficile da manovrare, questo Jimin lo sapeva bene. Con le mani graffiate dalla durezza delle ruote e imbevute di una pioggia autunnale che non accennava a voler smettere, stava cercando di trascinarsi lungo il ponte. I capelli umidi gli si appiccicavano al volto smagro, ormai privo di quella goffaggine che lo aveva da sempre caratterizzato. Non ricordava l’ultima volta che avesse fatto un pasto decente, né l’ultima volta che fosse riuscito a dormire senza avere incubi e svegliarsi urlando. Nemmeno Yoongi sapeva più come aiutarlo, il che lo faceva disperare ancor di più. Da un lato sapeva di non poter comportarsi in maniera così egoista e pretendere di essere capito e accudito dal maggiore, dall’altro c’era questa punta di diniego e di rabbia e di delusione che si impossessava di lui ogniqualvolta Yoongi abbassasse lo sguardo invece di dirgli qualcosa. Di fare qualsiasi cosa potesse essere in grado di alleggerire il peso che lo schiacciava. E lo stava ancora schiacciando, lo avrebbe reso un granello di polvere danzante nel vuoto dell’universo in espansione, un nulla incapace di ridiventare materia. Il fiatone rompeva lo scorrere silenzioso dei suoi pensieri impazziti, come durante una tempesta. Ogni tanto deglutiva, con la bocca secca per lo sforzo, ma non poteva fermarsi perché stava percorrendo un tratto in salita. Una volta arrivato in punta, in bilico precario su un pezzetto d’asfalto in piano, forse si sarebbe concesso un sorso d’acqua. O si sarebbe lasciato morire di sete, per incolparsi di qualcosa di ignoto persino a lui. Era come stare su un’altalena. Da un lato, odiava il mondo esterno per averlo privato di tutta la voglia di vivere e la forza che era riuscito ad ottenere; dall’altro odiava sé stesso per averci creduto e sperato. Per aver dato una possibilità alla veridicità di quella situazione. Per aver pensato che potesse davvero essere reale, per uno come lui, riuscire ad essere soddisfatto. Era forse la punizione di suo padre? Si chiedeva, mentre con entrambe le mani schiaffeggiava quelle ruote ispide e umide per trascinarsi in avanti, è lui che mi sta punendo per non averlo ascoltato? È il mondo che mi sta insegnando che non si può mai davvero essere felici? Che l’amore non esiste e che, anche se esistesse, non è in grado di mettere in salvo nessuno? Che alla fine tutti muoiono, il cuore di tutti si spegne?

Jimin arrivò in cima, al centro perfetto del ponte. Aveva un piccolo caschetto con una luce a fargli da guida, perché era ormai notte inoltrata. Era sgusciato via da casa che adesso condivideva con Yoongi perché non riusciva nemmeno a sopportare la sua stessa pelle. Si girava e rigirava nel letto alla ricerca di un riposo che di certo non gli sarebbe stato concesso e, ritenendo inutile lo stare lì, immobile, in attesa che un fulmine lo colpisse, aveva deciso di prendere in mano la situazione e di scappare via. Solo per quella notte, per scrivere la parola fine su una vita che aveva perso il suo senso.

Aveva davvero provato a dare ascolto alle parole di Yoongi, si era davvero sforzato di trovare un nuovo significato prima di abbandonare tutto quanto. Aveva tentato di dedicarsi a tutt’altro, accolto fra le morbide braccia del divano rosso del suo appartamento, ma niente sembrava funzionare. Non poteva più dedicarsi alla sua arte e persino le nuove canzoni si Yoongi avevano perso il loro fascino. Quest’ultimo provava a renderlo partecipe nel processo di produzione come una volta, ma si ritrovava con un Jimin completamente assente, con la testa a vagare in chissà quale nuvola oscura. Jimin avrebbe voluto confidargli che stava pensando a diversi modi per uccidersi ma non lo fece perché non voleva metterlo troppo sull’attenti. Se avesse dovuto davvero fare quell’importante decisione, avrebbe avuto bisogno di prendere in giro Yoongi. Di fargli credere che si sentisse perlomeno stabile o non avrebbe avuto l’opportunità di stare solo a compiere il suo destino. Perché cosa poteva fare un Jimin senza la danza sulla musica di Yoongi? Non era davvero inutile? Che senso aveva vivere, adesso che era privo di ciò che lo rendeva speciale? Un essere vivente in una comunità di essere viventi?

Niente. Niente aveva più senso.

Con movimenti scoordinati e disordinati, Jimin strisciò ai piedi della sedia a rotelle che, spinta involontariamente da un piede del giovane cominciò la rovinosa discesa lungo la strada che aveva appena risalito. Nessun problema, pensò allora, tanto comunque non mi servirà più. Muovere il peso morto degli arti ormai paralizzati era più difficile di quanto credesse. La metà del peso funzionale faceva fatica a destreggiarsi con la metà del peso non funzionale, eppure non smise di provarci. Afferrò le lamine di ferro che circondavano il ponte e che si affacciavano su uno stretto e secco fiumiciattolo e cercò di issarsi. Era quasi al limite della barricata, quando una forte fitta alla spalla destra lo costrinse a cadere rovinosamente. E non fu di certo la prima volta, nei suoi infiniti tentativi di salire su quel ponte e buttarsi giù. Con insoddisfazione, i lacrimoni, il muco ad invadergli il viso, la rabbia, la frustrazione, la voglia di farsi a pezzi, dovette rendersi conto di non essere nemmeno in grado di togliersi la propria vita. Di essere così inetto da non riuscire a suicidarsi. Persino questo! Urlò al nulla, mentre le lucine ai vapori di mercurio che lo sormontavano tremolavano sotto la furia di quella pioggia fredda, persino questo! Se non posso vivere e non posso morire, cosa devo fare? No! Il limbo no! Il limbo no! E si accasciò per terra, stringendosi le ginocchia al petto, lasciando che la pioggia si unisse alle sue copiose lacrime in un pianto aritmico, rumoroso, un’alternanza di singhiozzi e urla disperate.

Proprio mentre credette di morire ibernato, avvertì il suono della sedia a rotelle avvicinarsi. Pensò che uno spirito lo stesse accompagnando allo strumento della tortura, per prolungare il suo pernottamento all’inferno, ma quando sollevò gli occhi incendiati scorse la sfumata figura di Yoongi. Non aveva alcuna espressione dipinta sul viso, era completamente vuoto. Un rumore bianco quasi inudibile nello scroscio incessante, con le dita sottili avvolte alle maniglie della sedia a rotelle. Non aveva un ombrello, né un giubbotto pesante, eppure continuava a rimanere lì, immobile, di fronte al piccolo Jimin raggomitolato come un feto abortito, non curandosi del proprio corpo ormai completamente bagnato.

“S-Sei venuto a sal-lvarmi…” balbettò Jimin, cominciando a tremare con furia.

Yoongi fece scattare il piccolo cavalletto della sedia per tenerla ferma e si affrettò a raccogliere il corpo dell’amico, adagiandolo su di essa. Tirò fuori una coperta che aveva precedentemente impaccato nello zaino di feltro e gliel’avvolse sulle spalle, sfregando le mani nel misero e vano tentativo di scaldarlo
.
“Che cosa stavi cercando di fare?” gli chiese, a voce bassa.

“Io… Una passeggiata… Sono… Caduto…”

“Voglio la verità.”

“Io… Volevo… il ponte…”

E subito si rimise a piangere.

“Volevo… Saltare giù…”

E Yoongi si rese conto che avrebbe dovuto dire qualcosa, ma era in una delle situazioni in cui ciò che pensava gli moriva in gola ancor prima di essere pronunciato. Quindi non rispose, cominciando a trascinare la carrozzina verso casa, accompagnato dal pianto silenzioso di Jimin.

 
Il lettino aveva lo schienale rialzato, cosicché quando doveva ingerire delle pastiglie non poteva rischiare di affogarsi. Le lenzuola erano fresche e pulite, appena cambiate dalla signorina di turno che si preoccupava di mantenere la stanzetta in ordine e sterile; la finestrella rettangolare era stata appena aperta, con un catenaccio imponente che la teneva agganciata al cardine sul muro. Per evitare che fosse spalancata troppo, anche se sarebbe stato difficile anche per un bambino riuscire ad infilarsi per potersi buttare giù. Era al secondo piano di una casa di cura per pazienti mentalmente lesi, veniva coccolato come un cucciolo abbandonato e una serie di psicologi di passaggio continuavano a ripetergli che fosse un bravo ragazzo e che il male che apparentemente aveva colonizzato il suo buon cuore non gli apparteneva davvero. Non era diventato parte integrante del suo essere, era come una nuvola di passaggio che poteva esser cacciata via. Con un soffio bello forte. Ma il ragazzo faceva persino fatica a respirare in maniera regolare, ansimava a mo’ di animaletto indifeso e ferito, in cerca di una nicchia solitaria per morire lontano dal branco. Le flebo di fisiologiche si alternavano, bucando quel braccio tonico che adesso era smagro, un po’ flaccido, privo di quella vitalità che un tempo l’aveva caratterizzato quando sferzava l’aria con movenze acrobatiche. Lo psichiatra gli aveva consigliato un cocktail di medicinali per tirarlo su e lui aveva annuito, rapito dalla forza interiore che quell’uomo sembrava sprigionare, gettandosi fra le braccia di uno sconosciuto che sapeva cosa dire per riempire i silenzi dolorosi. Dopotutto, era la sua professione.

Jimin sapeva che Yoongi non era più lo stesso dopo l’accaduto del ponte. Detto sinceramente, da quando aveva tentato il suicidio anche una parte di Yoongi sembrava esser stata sconfitta dall’entropia e la diabolica casualità del mondo. Lo andava a trovare ogni giorno, eppure la luce affilata nei suoi occhi felini era svanita. Aveva persino smesso di tingersi i capelli e adesso la ricrescita scura occupava metà del suo capo non più trionfante. Le punte bruciate e verdi acqua gli ricordavano della forza eruttiva che era un tempo, della sua capacità di intimorire e di vincere, del suo bisogno di trattar male chiunque, di tutto ciò che era svanito in una magica nuvola rossa. Ciò che era rimasto di lui era un semplice corpo guidato dall’inerzia, una mente talmente offuscata da pensieri indistinti e da ricordi ansimanti che non riusciva a concentrarsi più su nulla. Nemmeno sulla sua musica. Perché le sue dita avevano smesso di intraprendere discorsi amorosi col pianoforte, da quella sera. Il suo genio si era buttato da quel ponte mentre vedeva Jimin arrancare, nella speranza che le gambe gli permettessero di togliersi la vita. Vederlo lì, ansimante e imprecante contro una parte del proprio corpo che non rispondeva, mentre disperatamente cercava di scalare la barricata di metallo l’aveva fatto morire dentro. Era come se la sua anima si fosse buttata giù nell’istante in cui le sue braccia avevano raccolto l’amico tremante. Che continuava a biascicare cose senza senso, in una dimensione di cui lui non faceva più parte.

Anche in quel momento era seduto accanto al lettino di Jimin, con lo sguardo puntato sui suoi piedi ma effettivamente molto lontano dalla stanza. Vagava in una melma purpurea alla ricerca di qualcosa di effettivo da poter fare. Di poter essere almeno la metà utile quanto i professionisti che cercavano di rimetterlo in piedi. Lui stesso aveva affrontato lunghi periodi di depressione e forte ansia sociale, attacchi di panico e di rabbia, ma si rese conto che aiutare un’altra persona in quelle condizioni era tutta un’altra cosa. La difficoltà aumentava vertiginosamente. Cosa avrebbe potuto fare per salvare il suo amico? Cosa avrebbe potuto dire? Doveva davvero esser lì o la sua sola presenza gli ricordava il sogno infranto? Aveva più bisogno di lui o doveva uscire dalla sua vita, sgusciare via da quella bolla che si erano costruiti attorno?

“Il mio psichiatra ha detto che le allucinazioni sono diminuite,” cominciò allora Jimin, cercando di instaurare una conversazione piacevole fra i due, “Io non posso accorgermene, perché non sono cosciente quando le ho.”

“E’… una bella notizia.”

“Sì, ma ha detto che è ancora troppo presto per ridurre il dosaggio delle gocce. Sono stufo di vedere me che balla davanti ai miei occhi continuamente… è un po’… frustrante?”

“Già, lo dev’essere sul serio.”

“La mia psicologa ha detto che dovrei trovare un’altra via di sfogo che non sia la danza. Dedicare me stesso a qualcos’altro per evitare di far marcire la mia creatività. Ha detto proprio così.”

“Qualcos’altro.”

“Già, ha provato a farmi disegnare, ma sai che non sono un gran asso. Direi che il disegno non fa per me.”

“No, il disegno no.”

“Ho provato a scrivere, ma è stato un semi disastro. Non so davvero cosa scrivere. Forse… dovrebbe avere ancora a che fare con la musica. Con la tua musica.”

“La…” lo sguardo di Yoongi si staccò dai piedi del malato e finalmente planò, con cautela, su quello vacuo dell’amico, “La mia musica?”

“Sì, in fondo è l’unica cosa che mi importi ancora.”

Peccato che non importi a me, avrebbe voluto rispondere l’altro. Ma non lo fece.

“Quindi dovresti portarmi dei tuoi cd. Masterizzami tutto il materiale che hai. Mi manca sentirti suonare e mi hanno detto che è impossibile far portare qui un pianoforte.”

“Un lettore cd è meno ingombrante.” Ammise Yoongi.

“Ascolta, riguardo la storia del ponte, io…”

No. Era troppo. Non voleva sentire.

“Non importa. Ormai è andata.”

Anche se non era vero, avrebbe dovuto rispondergli così. Che andava bene, che non doveva preoccuparsi e che doveva permettere al tempo di lenire le ferite che si era auto inflitto e che, senza forse rendersene conto, aveva inflitto al suo migliore amico. Che forse era anche più di un amico. Yoongi ci aveva pensato continuamente, da quando Jimin era stato chiuso in quella casa di riposo. Che avrebbe voluto posare le proprie labbra sulle sue per calmarlo durante gli attacchi di panico, che avrebbe voluto sussurrargli cose dolci all’orecchio mentre dormiva per fargli sognare cose carine. Ma non era questo il punto.
Non era mai quello il punto. 




Note dell'autrice

Il brutto è passato, posso assicurarvelo. Il picco del dolore di questa storia, partorita durante un momento no nel corso di scrittura che seguo, ormai è andato. Potete fare un sospiro di sollievo, ve lo posso assicurare. Vi presento questo capitolo con un po' di amaro nella bocca, perché so cosa vuol dire essere malata e dover farsi assistere e vedere una determinata persona cambiare a causa della propria malattia. E' sempre un problema cercare di capirsi e di starsi accanto senza essere troppo invadenti o distaccati e Yoongi deve proprio riuscire a calibrare il proprio spirito per essere d'aiuto al suo Jimin. E Jimin deve imparare ad apprezzare la sua nuova vita, o gli sforzi del primo sono tutti inutili.
Grazie a chi sta seguendo la storia, chi la recensisce, chi mi riempie di belle parole, chi mi ispira a continuare a scrivere. Se avete dubbi, consigli o volete solo chiacchierare, la casella dei messaggi è sempre aperta.
Baci fotonici,

Orion
   
 
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