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Autore: moomin    02/12/2017    2 recensioni
Junmyeon, una Musa, vive serenamente sul Parnaso.
Jongdae, discendente di Zeus, si ritrova a fare i conti con il blocco dello scrittore.
Genere: Commedia, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Chen, Chen, Nuovo personaggio, Suho, Suho, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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The Winter's Tale 


Nonostante si stesse avvicinando l'inverno, quel giorno il sole splendeva sul monte Parnaso, luogo in cui dimoravano le Muse. In effetti, il sole lo illuminava pressoché ogni giorno: le creature non conoscevano infatti le giornate uggiose, né tempestose – la pioggia ogni tanto cadeva, ma non in quantità tali da risultare distruttiva. Il divino monte era adornato da una rigogliosa vegetazione, che comprendeva ogni genere di piante, dalle querce più longeve alle più umili tamerici, le quali crescevano solitamente sulle rive del fiume che attraversava la montagna. Spesso, in quelle stesse acque, si poteva notare un giovane uomo dai lineamenti asiatici e la pelle ambrata decorata da disegni floreali che trascorreva la maggior parte del suo tempo a sguazzare tra i flutti e ad esercitare il suo potere di controllo sull'acqua, parlando anche con le Naiadi, quando non erano troppo timide: il suo nome era Junmyeon. Anche lui era una Musa, creature solitamente immaginate come donne, ma in realtà sin dalle origini erano esistite anche delle Muse del sesso opposto.

Il ragazzo era da poco uscito dal fiume per stendersi sull'erba, accolto dal dolce tepore del sole e cullato dalla brezza leggera del primo pomeriggio, quando fu sorpreso dall'improvviso arrivo di suo fratello minore, Jongin.
Il più grande sfoggiò il più bello dei suoi sorrisi alla vista dell'amato fratellino e gli fece segno di sedersi accanto a lui. Una volta vicini, Junmyeon gli arruffò i capelli con una mano e gli domandò cosa lo portasse da lui.

«I nostri genitori vogliono parlarti; dal tono che hanno usato mi sembrava fosse qualcosa di urgente,» disse.

«Oh be', bisogna sbrigarsi allora. Mi daresti un passaggio, Nini?» chiese, alludendo al potere del fratello, il teletrasporto.

L'altro non esitò ad annuire, al che si alzarono e si presero per mano; Jongin chiuse gli occhi, visualizzò il posto in cui dovevano arrivare e dopo pochi millisecondi si trovarono al cospetto dei loro genitori.
Junmyeon si sentiva un po' intontito e perse l'equilibrio; se non ci fosse stato il fratello probabilmente sarebbe caduto. Non era ancora abituato a quegli spostamenti repentini.

Appena si riprese, guardò verso l'alto, come al solito colpito dal mistico aspetto di coloro i quali tutte le Muse chiamavano i propri genitori. Essi erano creature con dei poteri altamente superiori a quelli dei loro figli e delle loro figlie. Cambiavano continuamente aspetto, i loro lineamenti non erano mai ben definiti e spesso mutavano anche il loro sesso. Soltanto quando scendevano sulla Terra assumevano aspetto umano, ma ciò accadeva molto raramente, cioè quando riscontravano delle catastrofi e c'era bisogno del loro aiuto. Altrimenti, di solito preferivano mandare in missione le loro creature: le Muse.

Junmyeon si inchinò per mostrare il suo rispetto nei loro confronti e sentì uno dei due pacatamente chiedere a Jongin di allontanarsi per qualche minuto. Quest'ultimo strinse la mano del fratello in segno d'incoraggiamento e si incamminò verso la foresta alle loro spalle.

«Junmyeon, figlio caro, come hai probabilmente dedotto, abbiamo un incarico da assegnarti. Anzi, una missione,» disse la creatura alla sua destra.

Subito dopo, davanti alla Musa si materializzò l'immagine di un ragazzo curvato su un tavolino da caffè, intento a scarabocchiare su un foglio bianco. Junmyeon lo guardò mentre quello fissava la carta su cui aveva appena scritto, passandosi le dita fra i capelli corvini. Fu una questione di secondi ed il misterioso ragazzo appallottolò il foglio e lo scagliò sul pavimento, lanciando un urlo dettato dalla frustrazione; solo allora la Musa notò un'altra dozzina di cartacce sparse a terra.

“Che spreco,” si ritrovò a pensare, ma le sue riflessioni furono fermate dal fragore di un tuono e dalla conseguente apparizione di un fulmine, visibile dalla finestra alle spalle del moro, che mostrava un quieto tramonto. A quel punto la proiezione svanì e Junmyeon guardò di nuovo verso l'alto, con un'espressione enigmatica sul volto.

«Il giovane uomo che hai appena visto,» disse ora la voce alla sua sinistra, «si chiama Kim Jongdae e vive a Seoul, capitale di una delle nazioni maggiormente avanzate del pianeta Terra: la Corea del Sud.»

Ci fu una breve pausa, poi la stessa voce continuò, utilizzando un tono quasi materno.

«La situazione del ragazzo è, come dire, particolare. Ha discendenza divina, direttamente dal sommo Zeus, ma nessuno – né lui, né la sua famiglia, ne è consapevole. Di conseguenza, non sa controllare i suoi poteri, seppur molto deboli. Quando ha solo una giornata negativa, può evocare un semplice fulmine, ma se il malumore continuasse, a lungo andare potrebbe causare seri problemi.»

Junmyeon, non riusciva ancora a capire quale fosse il suo compito, ma aspettò che continuassero. Di nuovo, la voce alla sua destra prese la parola.

«È qui che entri in gioco tu! Jongdae fa parte di una band e ne scrive le canzoni, spesso aiutato anche dagli altri membri, ma questa volta è diverso. C'è un concorso importante in ballo e lui è molto nervoso, talmente tanto che non riesce a buttar giù niente, se non le proprie speranze. Ha chiaramente bisogno di una piccola spinta e pensiamo che tu, Junmyeon, sia il più adatto ad aiutarlo. Sei d'accordo?»

Senza nemmeno pensarci due volte, il ragazzo acconsentì; dopotutto, era stato creato per quello scopo e non vedeva l'ora di poter dimostrare quanto valesse.

«Bene, allora–»

«Myeonnie!» chiamò una voce, che Junmyeon riconobbe come quella di Jongin.

Si voltò e vide il fratello correre a razzo verso di lui, per poi placcarlo e avvolgerlo in un caloroso abbraccio.

«Myeon, mi mancherai tantissimo. Pensami, mi raccomando!» lo pregò, stringendolo forte.

«Anche tu mi mancherai Nini, ma ricordati che possiamo sempre comunicare,» sussurrò la Musa all'orecchio del più piccolo, accarezzandogli i capelli. Gli baciò la guancia e Jongin lo lasciò andare.

«Bene, sono pronto. Kim Jongdae ha bisogno del mio aiuto!» esclamò Junmyeon, entusiasta.

E con un impercettibile spostamento d'aria, scomparve dal Parnaso per iniziare il suo viaggio sulla Terra.

 


Intanto, a Seoul, in un piccolo appartamento di periferia, Kim Jongdae stava strappando l'ennesimo foglio dal bloc-notes. Sapeva di star soltanto sprecando carta preziosa, prima o poi infatti l'avrebbe riutilizzata, ma appallottolarla e gettarla a terra leniva un po' la sua frustrazione. Non aveva mai provato così tanta pressione tutta insieme, neanche quando aveva dovuto sostenere il test d'ammissione all'università. A fine dicembre lui, insieme alla sua band, avrebbe partecipato ad un concorso per gruppi emergenti. Fin lì, nessun problema; i ragazzi avevano già preso parte a diverse competizioni, vincendone un paio, ed erano abbastanza conosciuti. Con loro grande stupore ed altrettanta gioia, avevano anche un piccolo seguito! L'unico ostacolo era la canzone da presentare: avrebbero dovuto esibirsi con un pezzo inedito, ma Jongdae non aveva uno straccio di idea per il testo. Si era confrontato con Chanyeol e Yixing, rispettivamente il batterista ed il chitarrista della band, con cui solitamente buttava giù i versi delle loro canzoni, ma nemmeno loro avevano alcuna ispirazione.

Era per questo che, da giorni, Jongdae tornava a casa dall'università o dal suo posto di lavoro, prendeva in mano carta e penna e provava a pensare a qualcosa. Qualsiasi cosa.

Quella era solo un'altra delle innumerevoli serate controproducenti, quindi decise di abbandonare per un po' i fogli bianchi per preparare la cena per sé e Minseok, suo coinquilino nonché migliore amico.

Fece partire un po' di musica dal suo smartphone per distrarsi ed aveva messo l'acqua per il riso sul fuoco, quando udì un tonfo improvviso provenire dal salotto. Corse nella stanza e ciò che vide lo sorprese non poco.

C'era un ragazzo, pressoché della sua età, nel bel mezzo del suo salotto e di certo non era Minseok.

Jongdae, preso dal panico, afferrò il primo oggetto relativamente contundente che si ritrovò a portata di mano, che in quel momento era un semplice ombrello pieghevole, e lo brandì come una spada.

«Chi sei? E come sei entrato in casa mia?» domandò, cercando di nascondere il tremolio della sua voce adottando il tono più minaccioso che riuscisse ad ottenere.

Dal canto suo, l'altro ragazzo si alzò, controllò lo stato in cui si trovavano i suoi vestiti e infine sorrise in modo cordiale a Jongdae.

«Ah, buonasera. Scusami se ho fatto tutto questo trambusto, ma è stato inevitabile. Kim Jongdae, giusto?» disse, in tono candido.

“Parla come se non avesse appena fatto irruzione in casa mia!” pensò Jongdae.

«Non hai risposto alle mie domande. Chi sei? Come sei entrato in casa mia? E come fai a sapere il mio nome?» insisté, stringendo ancora più forte l'impugnatura dell'ombrello, ma al contempo allontanandosi dal ragazzo dai capelli argento.

«Oh, giusto, che stupido, non mi sono presentato! Mi chiamo Junmyeon e sono qui in veste di tua Musa ispiratrice.»

«Musa…? Le Muse non erano donne?» chiese Jongdae, perplesso.

Junmyeon alzò gli occhi al cielo e sbuffò.

«Be’, come puoi vedere, no.» rispose, con un pizzico di irritazione nella voce.

Il discendente di Zeus abbassò l'arma improvvisata, ma rimase all'erta e cominciò a girare intorno alla Musa. La tensione era palpabile; Junmyeon poteva quasi vedere le scariche elettriche che Jongdae emanava dalla punta delle dita.

“Non è molto potente, però potrebbe certamente diventare pericoloso, se non venisse tenuto sotto controllo”, rifletté la creatura.

«Allora? Ti decidi a rispondere?! Guarda che ti sbatto fuori!» lo minacciò, aggressivo.

«Se avessi voluto davvero cacciarmi, perché sono ancora qui?» domandò, in tono di sfida.

Il loro battibecco venne interrotto da uno strano rumore proveniente dalla cucina e solo in quel momento Jongdae si ricordò di aver lasciato la pentola sul fuoco.

«Oh, porca-» esclamò, correndo in cucina.

Il fato però volle che un bel po’ d’acqua fosse già caduta a terra, causandogli uno scivolone con conseguente, doloroso atterraggio sul didietro, ed annesso urlo.

Junmyeon l’aveva seguito, ad una velocità molto più prudente, e cercò di trattenere una risatina alla vista dell’altro ragazzo che cercava inutilmente di rialzarsi.
Con un semplice schiocco di dita, la Musa fece evaporare l’acqua ed un attimo dopo era accanto al ragazzo per aiutarlo a rimettersi in piedi; ma non fece nemmeno in tempo a sfiorarlo che quello indietreggiò, veloce come un fulmine, con un'espressione spaventata sul volto.
Jongdae si alzò grazie al sostegno del mobile a lui più vicino e spense il fornello su cui c'era la pentola, ma qualcosa gli sembrava fuori posto: l'acqua che aveva prima messo a bollire era scomparsa ed il recipiente era completamente asciutto.

«Tu… che cosa sei?» sibilò Jongdae, studiando Junmyeon con aria diffidente.

«Quante volte devo ripetertelo? Sono una Musa e vengo direttamente dal monte Parnaso, con l’unico scopo di aiutarti! Non voglio farti alcun male, fidati» lo assicurò, in tono gioviale.

«E tutta quella roba con l’acqua? Com’è possibile che sia sparita nel nulla?»

«Oh, quello,» si fece scappare una risatina, «be’, tutte noi Muse abbiamo dei poteri. Io ho quello di controllare l'acqua. Hai presente il Dio del Mare?»

«Intendi Poseidone? Quello dei miti greci?»

Junmyeon rabbrividì per il modo in cui il discendente di Zeus si era rivolto ad uno dei Tre Fratelli, ma cercò di lasciar scivolare via quella sensazione.

«Sì, lui. I miei poteri sono simili ai suoi, nonostante funzionino in scala molto più piccola e siano meno efficaci in certe situazioni,» spiegò. «Ah, e fai attenzione: i nomi sono potenti.»

Jongdae continuava a fissarlo con diffidenza, ma infine annuì e fece un profondo sospiro. Decise di rassegnarsi al corso degli eventi e di accettare che quel ragazzo, dal quel momento in poi, avrebbe cominciato a far parte della sua vita, che lui lo volesse o no.

«Va bene, va bene. Ormai immagino di non potermi opporre, quindi ti ospiterò qui. Spero di non pentirmene… e che Minseok non mi faccia a fettine.»

 


Mentre Jongdae preparava la cena, evitando in tutti i modi che la Musa si avvicinasse all'acqua, Junmyeon gli spiegò quello che sapeva su di lui, omettendo però le sue origini divine; in quel momento non gli sembrava opportuno rivelarglielo, voleva prima rendersi conto se lui se ne fosse accorto o meno.
Dal canto suo, Jongdae gli parlò del suo coinquilino– il quale era anche il suo migliore amico, della band, di come l’ultimo periodo fosse stato particolarmente infruttuoso ed anche di come avesse notato lo strano aumento di temporali, incluso l'incremento della presenza di fulmini ogni volta che lui era nervoso o estremamente stressato.

«C’è qualcosa che credo di doverti dire a riguardo…» sussurrò il ragazzo dai capelli color argento.

Il moro lo guardò, incuriosito dall'affermazione.

Junmyeon stava per iniziare a parlare, quando la loro conversazione venne interrotta di nuovo, ma stavolta dal suono di una chiave che girava in una toppa, probabilmente di quella della porta d'ingresso.

«Jongdae, sono a casa!» annunciò una voce maschile. La Musa immaginò fosse Kim Minseok, l'amico del suo protetto.

«Seokkie, sono in cucina, devo presentarti una persona~» cinguettò il moro, che stava apparecchiando la tavola per tutti e tre; Junmyeon aveva infatti accettato che gli venisse offerta la cena, ma solo dopo una grande insistenza da parte di Jongdae.
Minseok andò in cucina e salutò l’amico con un sorriso caloroso.

«Bene, allora, bando alle ciance: Minseok, questo è Junmyeon! Junmyeon, questo è l'amico di cui ti ho parlato prima» disse Jongdae, indicando la Musa, che si era alzata ed ora si trovava accanto al moro.

«Jongdae, sei impazzito? Non c’è nessuno in questa stanza, oltre me e te.» affermò Minseok, ed aggrottò le sopracciglia.

«No, non sono impazzito… Junmyeon è qui, proprio in piedi accanto a me, non lo vedi? Ho preparato anche una porzione in più per lui! È la mia Musa ispiratrice, è venuto qui per aiutarmi–» obiettò Jongdae.

Minseok si passò una mano fra i capelli castani, scompigliandoli; si avvicinò all'amico e gli prese il viso tra le mani, come farebbe una madre preoccupata per il proprio figlio.

«Dae, capisco che la situazione per il concorso ti stia causando parecchio stress, ma… devi tener conto della tua salute. Non esiste nessun Junmyeon, nessuna Musa, niente di tutto ciò: lo stai soltanto immaginando!»

Jongdae scosse la testa; era sicuro che tutto ciò che era accaduto nell'ultima mezz'ora fosse reale e non solo un prodotto della sua mente. Provò ad obiettare, ma Minseok lo fermò prima che potesse anche dire una sola parola.

«Inutile provare a convincermi: ora ceniamo insieme e poi tu andrai a riposare. Sistemerò io la cucina, va bene?» propose, con un piccolo sorriso.

Il più piccolo non poté fare altro che annuire e guardare dispiaciuto Junmyeon, mentre Minseok toglieva dalla tavola la porzione che spettava alla Musa. Quest'ultima decise che forse sarebbe stato meglio rintanarsi in salotto, così da non disturbare i due; avrebbe anche potuto pensare al motivo per cui era invisibile agli occhi di Minseok. Forse perché solo Jongdae aveva discendenza divina, o perché Junmyeon era stato inviato in suo aiuto, di conseguenza soltanto lui poteva vederlo.
Decise di optare per la seconda soluzione; non gli sembrava ancora il caso di rivelare al suo protetto la sua vera identità, nonostante poco prima stesse quasi per lasciarsela sfuggire.

Finita la cena, prima di recarsi in camera da letto, Jongdae passò per il salotto. Vide Junmyeon seduto sul divano e gli fece segno di seguirlo. La Musa cercò di non calpestare nessuno dei fogli accartocciati per terra mentre si faceva strada verso il corridoio.
Appena entrarono entrambi, Jongdae chiuse la porta della stanza ed accese la luce, per poter guardare Junmyeon dritto negli occhi. La Musa sapeva già quale domanda stesse per porgli.

«Perché Minseok non può vederti? Non sto andando fuori di testa, vero?» disse, la voce bassa ma tremante, insicura.

Esisti?, avrebbe voluto chiedere.

«Non ne sono sicuro, ma molto probabilmentenon ci riesce perché io sono stato assegnato a te; per questo puoi vedermi soltanto tu.»

L'altro annuì piano, non ancora completamente convinto.

Poco dopo, Jongdae sentì Minseok bussare alla porta augurandogli la buonanotte.

«Bene, ora se ti va puoi andare in cucina e recuperare la cena; ho notato che Minseok non ha buttato la tua porzione, quindi serviti pure. Troverò una
scusa per la scomparsa.» disse il moro, facendo l’occhiolino e sorridendo in modo sornione.

Junmyeon fece un cenno di gratitudine e stava per avviarsi verso la cucina, quando Jongdae lo chiamò.

«Fatti bello, domani ti porterò dai miei amici. Forse una di loro saprà aiutarci.»

 


Il giorno dopo, Jongdae, Junmyeon e Minseok, ignaro della presenza della Musa, si recarono nel luogo in cui si tenevano le prove della band: la stanza insonorizzata a casa di Chanyeol.
Erano già tutti presenti, mancava soltanto colei che consideravano loro “manager”: Soomin, la migliore amica di Chanyeol nonché l’unica ragazza in quel covo di testosterone.

Jongdae, Baekhyun e Kyungsoo, le tre voci principali del gruppo cominciarono a riscaldare le corde vocali, mentre Yixing e Chanyeol accordavano gli strumenti e Minseok e Sehun, non essendo parte della band, parlottavano fra loro. Junmyeon si sentiva piuttosto fuori luogo e si sedette in un angolo, abbastanza vicino ai due chiacchieroni da poter sentire cosa stessero dicendo. Minseok stava raccontando di come il suo coinquilino avesse perso la testa la sera prima, quindi la Musa sospirò e si allontanò, pensando che ascoltare quel discorso non gli avrebbe giovato in alcun modo.
Si appostò quindi accanto a Jongdae, che in quel momento stava intonando una canzone sconosciuta a Junmyeon, però la voce del ragazzo era così melodiosa, potente, ma allo stesso tempo così dolce che ne rimase completamente incantato.
Jongdae notò la sua presenza solo dopo aver finito. Si girò verso di lui e gli rivolse un piccolo, raggiante sorriso, attento a non farsi vedere dagli altri.

«Chanyeol! Dov’è Soomin? Aveva detto che doveva aggiornarci sul concorso» esclamò Baekhyun.

«Poco fa mi ha detto che stava arrivando, sarà per stra--»

Il ragazzo venne interrotto dall’entrata improvvisa di una ragazza dall’aria affaccendata, con i capelli rosa tenuti corti ed occhiali dalla montatura rotonda. Junmyeon suppose che quella fosse Soomin.

«’Sera ragazzi! Allora, vedo che ci siete tutti. Bene. Ho un importante annuncio da fare… Spero che i nostri cari compositori abbiano cominciato a mettere insieme qualche idea» disse con fare minaccioso, rivolgendosi in particolare a Chanyeol, Jongdae e Yixing. I tre abbassarono lo sguardo, intimoriti dal tono della sua voce.

«Be’, in qualsiasi situazione vi troviate, io devo comunque fare il mio dovere ed informarvi che siete ufficialmente iscritti al concorso! I giudici che hanno visionato la vostra performance sono rimasti sbalorditi, quindi credo abbiano aspettative piuttosto alte nei vostri confronti.»

Si fermò e guardò tutti loro negli occhi, uno per uno.

«Non li deluderemo! Stanne certa, Min» esclamò Chanyeol, ghignando.

Gli altri ragazzi lanciarono delle urla di supporto così forti che Junmyeon dovette tapparsi le orecchie al rumore inaspettato.
Non appena smisero, Kyungsoo si fece avanti per parlare.

«C’è per caso un tema per il concorso? Visto e considerato che si svolgerà in periodo natalizio…»

«Ah, sì, stavo quasi per dimenticarmi di avvertirvi. La canzone dovrà essere preferibilmente e a tema, ecco, invernale. So che questo vi limita molto, ma dopotutto è un concorso e dobbiamo stare alle loro condizioni.»

Jongdae si passò una mano fra i capelli e si lasciò sfuggire un lungo sospiro nervoso. Junmyeon percepì la sua negatività e gli posò una mano sulla spalla in segno di conforto; l’altro ragazzo sorrise e posò una mano sulla sua.

«Bene, allora cominciamo!» esclamò Baekhyun, entusiasta.

Soomin alzò una mano per fermarlo e si schiarì la voce.

«Prima però ho una domanda… Chi è il nuovo arrivato?»

I ragazzi si congelarono sul posto, incluso Junmyeon, che si sentiva chiamato in causa. Minseok lanciò un’occhiata prima a Jongdae e poi a Soomin, chiedendosi tra sé e sé se ciò di cui il coinquilino aveva parlato la notte scorsa fosse vero. Dopotutto, chiunque fosse amico stretto della ragazza, sapeva che lei riusciva a scorgere presenze sovrannaturali invisibili agli altri. Nella stanza, quindi, calò il silenzio; il primo a romperlo fu Minseok.

«Di chi stai parlando esattamente? Non… non c’è nessun nuovo arrivato.» disse, cercando di mantenere la voce ferma.

In tutta risposta, lei indicò lo spazio vuoto alla destra di Jongdae; gli altri cominciarono a confabulare tra loro, spaventati. Dal canto suo, Soomin si avvicinò piano a Junmyeon.

«Ma come, non è possibile che riesca a vederlo solo io! È una creatura così splendida ed emana un’aurea così armoniosa che mi vien voglia di scrivere poemi sulla sua bellezza.»

Con cautela, allungò una mano verso il viso della Musa e cominciò a studiarlo da sotto le lenti degli occhiali, ammirando i disegni floreali sulla parte destra del suo viso e lasciando che il suo sguardo facesse trapelare tutta la curiosità che provava.
Non appena la ragazza lo toccò, Junmyeon capì che lei era una discendente della grande Pallade Atena, dea della saggezza e dell’astuzia.
Fece per parlare, ma Jongdae lo precedette.

«Si chiama Junmyeon. È la mia Musa ispiratrice.» disse, con voce esile.

I ragazzi si scambiarono sguardi stupefatti.

«Jongdae? Riesci a vederlo anche tu?!» esclamò Baekhyun.

Il discendente di Zeus annuì, guardò la sua Musa e le prese la mano, per farsi coraggio. Sorrise calorosamente a Soomin e le fece l’occhiolino.

«Grazie a te almeno ora so di non essere completamente pazzo. Visto, Seok? Non era lo stress!»

 


Prima di dare inizio alle prove, Jongdae aveva raccontato la faccenda agli amici, ma per loro era strano non avere un viso al quale associare il nome “Junmyeon”. Cercarono, però, di dare fiducia al ragazzo, soprattutto perché era anche supportato da Soomin. Egli esternò anche la sua preoccupazione per il concorso, ragion per cui la Musa era arrivata in suo soccorso. Gli altri lo confortarono, dicendogli di non preoccuparsi e che tutto si sarebbe risolto.

Dopo aver provato ed aver cercato di buttare giù qualche idea, Soomin chiese a Junmyeon e Jongdae di parlare in privato, perché era curiosa di saperne di più sul conto della Musa. Chanyeol lasciò loro la sala prove per chiacchierare in pace e la ragazza iniziò a girare attorno a Junmyeon, seduto su una poltroncina. Jongdae, dal canto suo, giochicchiava con le bacchette della batteria di Chanyeol, prestando però attenzione agli altri due.
Soomin continuò a camminare attorno alla Musa, come fanno gli avvoltoi quando adocchiano le loro prede, e ad un certo punto si fermò, si aggiustò gli occhiali sul naso e cominciò a parlare.

«Quindi, ricapitolando: sei una Musa, venuta in soccorso del nostro caro amico Jongdae, e solo io e lui possiamo vederti. Suppongo tu venga dal monte Parnaso?»

«Esatto.»

«Come mai hai dei fiori disegnati sul viso?»

Junmyeon, quasi sorpreso dalla domanda, li sfiorò delicatamente con una mano.

«Oh, questi? Indicano il mio status di Musa, li abbiamo tutti, ma in parti diverse del corpo.»

«Di conseguenza, immagino tu non sia l’unica Musa esistente al mondo, o sbaglio?»

Junmyeon annuì, mentre Jongdae sbuffò, spazientito.

«Hai intenzione di andare a parare da qualche parte con tutte queste domande o dobbiamo aspettare la prossima luna blu?»

Soomin afferrò il primo foglio di carta che si trovò a portata di mano, lo appallottolò e lo lanciò in direzione del disturbatore.

«Sta’ zitto per una volta, Dae. Dicevamo, prima che quel buzzurro ci interrompesse: ciò vuol dire che tutte le creature della mitologia greca e romana esistono per davvero? Gli dèi, l’Olimpo, le sirene, i ciclopi… è tutto reale?»

Alla ragazza luccicavano talmente tanto gli occhi dalla curiosità che a Junmyeon tornarono alla mente i tempi in cui i satiri raccontavano le storie sui potenti dèi a suo fratello Jongin, il quale ascoltava sempre attentamente, rapito, con in volto la stessa espressione che aveva Soomin; il ricordo gli riempì il cuore di tenerezza.

«Sì, è tutto reale. E credo sia giunto il momento che voi sappiate una verità cruciale su di voi e sul perché riusciate a vedermi, a dispetto degli altri
ragazzi del gruppo.»

Entrambi i semidei rizzarono le orecchie, pronti a recepire qualsiasi informazione. Jongdae, vedendo che Soomin, nonostante la sfacciataggine nel modo di porsi, era talmente nervosa da tremare, le prese la mano per infonderle fiducia— ma soprattutto un po’ di coraggio.
La Musa si alzò e si posizionò davanti alla ragazza, posandole le mani sulle spalle.

«Song Soo Min, in te scorre il sangue di Atena, dea della saggezza. Sei una sua discendente diretta e ciò ti permette di vedere creature di tutti i tipi che le persone normali non riescono nemmeno a considerare reali.»

Dopo aver pronunciato queste parole, Junmyeon si inchinò in segno di rispetto; dopodiché passò a Jongdae, che intanto si era alzato in piedi per aiutare la ragazza, la quale sembrava essere sul punto di piangere. Non si accorse che la Musa si fosse posizionata davanti a lui finché non chiamò il suo nome.

«Kim Jong Dae, mio protetto, nelle tue vene scorre il sangue del re degli dèi, il grande e potente Zeus, dio dei cieli—,» di nuovo, si inchinò. «Anche tu sei un suo diretto discendente e non solo puoi vedere creature considerate mitologiche, bensì hai anche il potere di controllare i fulmini. Sono stato mandato sulla Terra sia in nome di Musa che di protettore, perché il tuo potere, se non controllato a dovere, potrebbe causare problemi non indifferenti.»

I due ragazzi rimasero in silenzio, destabilizzati dalla notizia, ma Junmyeon non seppe dire se in modo negativo o positivo.

«Non credevo che una cosa del genere potesse essere davvero possibile. Mi ero informata su casi che si avvicinassero al mio, ma in biblioteca non trovavo nulla di simili e, siamo onesti, chi è che si fida delle notizie scritte su internet ormai?» cominciò a blaterare Soomin, tutto d’un fiato.

I due ragazzi si scambiarono uno sguardo d’intesa e scoppiarono a ridere.

«Si vede proprio che discendi da Atena.» osservò Jongdae, cercando, inutilmente, di mantenere un certo contegno.

Fu così che venne di nuovo colpito da una pallina di carta.

 


Nei giorni seguenti, quando Jongdae aveva tempo libero, oltre a buttare giù bozze per il testo della canzone, si dedicava anche a Junmyeon. Lo portò a visitare il centro della città, poi nel suo caffè preferito, al cinema— dovette però scegliere un orario in cui il luogo fosse poco frequentato: sarebbe stato strano pagare due biglietti  quando, agli occhi degli altri, era solo. Inoltre, con più posti liberi, la Musa non avrebbe avuto problemi a sedersi dove preferiva senza dare fastidio a nessuno.
Junmyeon aveva ormai preso fissa dimora nell’appartamento di Jongdae e Minseok; dormiva su un futon in camera del suo protetto, nonostante avesse insistito che gli sarebbe anche bastato soltanto il divano, per non creare ulteriore fastidio.
Minseok si era abituato alla presenza della Musa in casa loro, ma essendo invisibile ai suoi occhi, vedere la tavola apparecchiata per tre persone gli faceva ancora uno strano effetto.

Jongdae e Junmyeon cominciarono a conoscersi meglio, anche grazie a Soomin, che in preda alla curiosità spesso riempiva la Musa di domande. Scoprirono, a causa di vari avvenimenti, che Junmyeon non sapeva cosa fossero l’amore, né l’odio, né il dolore, né la paura perché mai in vita sua aveva provato sentimenti forti come quelli.

«Come mai Minseok spesso sembra tanto… giù di morale?» si azzardò a chiedere Junmyeon, sottovoce, a Jongdae, mentre il suddetto ragazzo lavava i piatti con espressione mogia.

Allora gli raccontò la storia di come il suo coinquilino fosse stato bruscamente piantato in asso dal suo fidanzato, Luhan, nonché membro della band.
Aveva preparato armi e bagagli ed era tornato nel suo Paese natale, in Cina, senza avvertire nessuno. Per mesi, era letteralmente scomparso dalla circolazione, nessuno dei suoi amici sapeva dove fosse, men che meno Minseok stesso. Un giorno ricevette una chiamata da un numero cinese: era Luhan. Si era fatto vivo per errore, perché aveva sbagliato numero, o almeno così disse.


«Minseok ne è rimasto molto deluso. Luhan era stato il suo primo amore e di rimando l’ha trattato come se non fosse stato nulla per lui. Ora sta bene, ma ogni tanto gli torna alla mente ciò che è successo… per questo lo vedi così triste, a volte.»

La Musa annuì, nonostante avesse lo sguardo un po’ confuso.

«Ah, l’amore… Non l’ho mai provato prima, ma ne ho sentito parlare molto spesso. Mi chiedo come ci si senta ad essere innamorati.»

Inoltre, il sole e la pioggia non lo stupivano, al contrario la neve sì.

La prima settimana di dicembre era quasi terminata e Jongdae e Junmyeon erano usciti per andare a fare compere. Sulla strada verso il supermercato, però, tutto d’un tratto cominciò a nevicare.
Il discendente di Zeus, abituato alla neve, si sistemò la sciarpa attorno al collo e continuò a camminare. Dopo aver attraversato, però, si accorse di aver perso di vista Junmyeon ed iniziò a guardarsi intorno, allarmato. Notò con estremo sollievo che era rimasto fermo accanto al semaforo dall’altro lato della strada ed ammirava, con un’espressione meravigliata sul volto, i grandi fiocchi vellutati che gli cadevano sul corpo.
Pochi secondi dopo, si accorse di Jongdae intento a fissarlo, con la sciarpa che gli copriva la bocca, ma non abbastanza da nascondere il suo sorriso luminoso. Si affrettò a raggiungerlo, non appena il semaforo glielo permise, e gli prese la mano; aveva gli occhi illuminati da un entusiasmo fanciullesco e genuino.

Jongdae non aveva mai visto nulla di più puro, semplice e bello. Dal suo cuore partì uno strano calore che si fece strada verso le sue guance, arrivando a tingerle di rosso. In quel momento ringraziò mentalmente la sciarpa per la sua presenza provvidenziale.

Durante la seconda settimana di dicembre, Jongdae si accorse che tutte le bozze che aveva scritto per il testo della canzone da quando Junmyeon era entrato nella sua vita avevano un tema in comune: l’amore.

Quella stessa notte, mentre nel caldo abbraccio delle sue coperte cercava una posizione che gli conciliasse il sonno, si accorse che nella stanza c’era troppo silenzio.
Provò a chiamare il nome della Musa, ma non ottenne risposta; allora decise di alzarsi e controllare se fosse sotto il futon a dormire sonni talmente profondi e tranquilli da non riuscire a sentirlo, per poi tornare a letto lui stesso.
Ma Junmyeon non era lì. Eppure Jongdae era certo che fosse entrato in camera, l’aveva visto; ed infatti le lenzuola erano disfatte e ancora calde.

Era letteralmente scomparso nel nulla.

Jongdae si sentì come se il suo cuore gli fosse stato tolto dal petto, maciullato, calpestato e buttato via. Lacrime calde cominciarono a riempirgli gli occhi e, pian piano, a rigargli il viso.

Fu in quel momento che capì di essersi innamorato della sua Musa, di Junmyeon.

Lo sospettava, però non aveva mai voluto ammetterlo.

E adesso era troppo tardi.

 


Junmyeon dormiva sonni tranquilli, quando all’improvviso venne svegliato da una folata di vento freddo, dritta sul viso. Aprì piano gli occhi, disturbato dalla forte luce del sole; qualcosa gli sembrava fuori dalla norma.
Appena si svegliò completamente, si rese conto di non essere più sotto le sue calde coperte, bensì su un prato. Si pizzicò un braccio, chiedendosi fra sé e sé se quello fosse solo un sogno, ma il dolore causato dal pizzico gli fece capire che non era così.
Era di nuovo a casa, sul Parnaso, e non aveva idea di come ci fosse arrivato.

Si alzò e pulì il pigiama che indossava, ormai leggermente sporco di terra. Avrebbe dovuto lavarlo prima di restituirlo a Jongdae, rifletté.

“Junmyeon, non mentire a te stesso, forse non lo rivedrai mai più”, disse una vocina in un angolo del suo cervello.

Quei pensieri negativi vennero interrotti dall’arrivo di suo fratello Jongin, che lo accolse fra le sue braccia, stringendolo forte.

«Myeonnie! Mi sei mancato così tanto, non vedevo l’ora di riabbracciarti!» esclamò, in preda alla gioia.

Il ragazzo dai capelli color argento non poté fare altro che sorridere; dopotutto era felice di poter rivedere il fratello.

«Sei stato via troppo tempo!— si lamentò. «Avevi promesso che saresti tornato subito.»

«Sai come vanno queste faccende, si dilungano e nessuno sa quanto. In realtà… non credevo nemmeno di dover già tornare qui.»

«Sei triste di essere tornato a casa? Ti guardavo ogni tanto da quassù, sembravi davvero felice sulla Terra, in compagnia del discendente di Zeus.»

«Non sono triste, semplicemente—»

Junmyeon venne interrotto da una voce che chiamava il suo nome; la riconobbe come quella di uno dei suoi genitori, coloro che gli avevano affidato l’incarico di proteggere Jongdae.
Jongin, senza dire nulla, lo prese per mano e raggiunsero insieme il luogo dell’udienza.
Le due Muse si inchinarono davanti ai loro genitori e, proprio come quando il fratello dovette lasciare il Parnaso, Jongin si allontanò e lo lasciò da solo.

«Allora, Junmyeon. Hai portato a termine il tuo lavoro ed anche molto bene; Kim Jongdae adesso è riuscito a recuperare il suo estro artistico, e di conseguenza non si rischiano più tempeste di fulmini tanto frequenti quanto prima.» disse una voce che gli pareva di percepire tutt’attorno a sé.

«Sono lieto di essere rientrato nelle vostre aspettative e di essere stato utile sia come Musa, che come protettore del discendente di Zeus.»

In realtà Junmyeon non era per nulla lieto, né felice in qualsiasi maniera. Aveva una strana sensazione alla bocca dello stomaco e sentiva un peso sul petto da quando aveva udito il nome di Jongdae.

«Bene, allora sei congedato. Puoi tornare da tuo fratello.»

«Prima di andare… posso azzardarmi a farvi una richiesta?» chiese, con voce un po’ tremante.

«Certo, domanda pure.»

Il ragazzo fece un respiro profondo e guardò verso l’alto.

«Vorrei poter vedere come sta Jongdae. Non solo adesso, ma… sempre. Nel caso debba intervenire di nuovo.»

Aveva inventato una scusa lì, sul momento, e cercò di convincere se stesso che era davvero per quello che voleva vederlo. Lui non se ne rendeva conto, non conosceva quella sensazione, ma in realtà Jongdae semplicemente gli mancava.

I genitori gli concessero quel privilegio e crearono una sfera grazie alla quale avrebbe potuto controllare come se la stesse passando il discendente di Zeus. Non sapeva però, che quegli stessi esseri divini che l’avevano cresciuto, avevano deciso di alterare le immagini che poteva vedere nella sfera, mostrandogli Jongdae sempre felice. Essi avevano infatti capito che la Musa provava qualcosa per il semidio, ma non ne era perfettamente consapevole. Allora, quando udirono quella strana richiesta, comunicarono telepaticamente e decisero di ingannare il figlio: volevano evitare che si ripetesse ciò che era accaduto con Yifan. Costui era stato un altro dei loro figli, una Musa anche lui, sceso sulla Terra per compiere una delle sue tante missioni e, innamoratosi di un essere umano, decise di perdere la sua immortalità per passare il resto della sua vita con quella persona. Fu così ostinato che nessuno riuscì a fermarlo, nemmeno Zitao, il fratello con cui aveva il legame più forte, il quale ora continuava a vivere sul monte Parnaso, ma non era più sereno come un tempo. Le divinità temettero che tutto ciò potesse accadere nuovamente, quindi decisero di nascondere la verità, anche se questo avesse comportato l’infelicità di Junmyeon.

Quindi la Musa, vedendo Jongdae ridere e divertirsi insieme a Minseok, Baekhyun e tutti gli altri, cominciò a convincersi che per il ragazzo il loro tempo passato assieme fosse valso meno di quanto credesse e che per lui fosse stato soltanto un semplice sconosciuto andato in suo aiuto in un momento di difficoltà.

 


Giorno dopo giorno, Minseok notava che la condizione del suo coinquilino andava solo peggiorando. Gli stava vicino, certo, ma non riusciva a sentire il distacco quanto lui, poiché non era mai riuscito davvero ad interagire con la Musa, non potendo né vederla, né sentirla.
Soltanto Soomin poteva capirlo; avendo anche lei trascorso parecchio tempo con Junmyeon, quando Jongdae non poteva, ne sentiva molto la mancanza.
Anche Chanyeol, Baekhyun, Yixing, Kyungsoo e Sehun erano dispiaciuti per la scomparsa improvvisa e cercavano di tirare su il loro amico in tutti i modi possibili, con risultati piuttosto scarsi.

Jongdae, il diretto interessato, dal canto suo era sempre più devastato. Continuava a chiedersi se Junmyeon l’avesse abbandonato di proposito o se fosse stato richiamato indietro da quelle divinità di cui gli aveva parlato e che lui considerava i suoi genitori. Aveva paura di averlo ferito in qualche modo e che fosse andato via per questo, ma allo stesso tempo credeva che per Junmyeon, lui fosse stato solo uno dei tanti incarichi da portare a termine e che quindi fosse tornato a casa propria senza curarsi più di lui. La cosa che più lo tormentava, però, era il pensiero di non poterlo mai più rivedere: non l’avrebbe più abbracciato, non avrebbe più sentito la sua voce pura e cristallina intonare la più insignificante delle canzoni, non avrebbe mai più potuto vedere il suoi occhi illuminarsi alla vista della neve.
Proprio mentre ci pensava, guardò fuori dalla finestra: in quel momento stavano cadendo i primi fiocchi della giornata.
Con la stessa dirompenza di un fulmine, a Jongdae venne un colpo di genio e cercò il foglio più vicino per cominciare a buttare giù il testo di quella che sapeva sarebbe stata la canzone per il concorso.

Il giorno dopo si presentò a casa di Chanyeol con un sorriso a trentadue denti stampato sul volto, così luminoso da far preoccupare gli amici ancor più di quanto non lo fossero quando era triste.
Non disse nulla ai membri della band, ma si avvicinò subito a Soomin, per mostrarle il testo della canzone e ricevere la sua approvazione. Lei capì subito a chi si riferissero le parole e si girò verso il ragazzo con uno sguardo d’intesa.

«Tornerà. Ne sono certa.» gli sussurrò, per poi massaggiargli una spalla in segno di conforto, dopodiché si alzò e si schiarì la voce, in modo da radunare il gruppo attorno a sé.

«Ragazzi, buone notizie. Abbiamo finalmente il testo per il concorso!»

In men che non si dica si alzò un boato che, se la stanza non fosse stata insonorizzata, avrebbero udito anche tutti gli abitanti di Seoul.

«Bene, ora mettiamoci al lavoro per creare una base. Forza, Chanyeol!» esclamò Yixing, entusiasta e già pronto a comporre. Si diedero il cinque ed iniziarono a confabulare tra loro.

Mancava solo una settimana al concorso, quindi dovevano darsi da fare e portare a termine il lavoro al più presto; il gruppo però non si preoccupava, avendo dei compositori magnifici come Chanyeol e Yixing.

Jongdae durante le prove si sentiva un po’ più leggero e sollevato, i problemi per un paio d’ore parevano essersi volatilizzati nell’aria fredda di dicembre, ma all’improvviso, durante una pausa, una strana sensazione si fece strada nel suo petto, come se qualcosa gli stesse ricordando che c’era una persona a cui teneva che stava soffrendo. Istintivamente, si voltò a guardare fuori dalla finestra: era appena iniziato un temporale.

In quello stesso momento, dall’alto del Parnaso, mentre osservava il gruppo di amici ridere e scherzare dalla sua piccola sfera, Junmyeon versò la prima lacrima della sua vita.

Jongin, che si trovava lì accanto a lui, lo abbracciò per trasmettergli tutto il suo affetto, senza ben capire in realtà cosa provasse, perché le Muse, diversamente dagli esseri umani, di norma non erano soggette alla sofferenza.

«Nini, io… credo di aver capito una cosa.» disse, con voce flebile e le lacrime che ancora gli rigavano le guance.

«Cosa?» domandò il minore, da una parte curioso ma per metà timoroso che il fratello potesse seguire le orme di Yifan; lui non voleva rimanere solo per il resto della sua vita come era successo a Zitao.

«Credo… No. Ne sono certo. Sono innamorato di Jongdae.» annunciò, asciugandosi gli occhi.

«Myeon, lo sai che non ci è permesso provare questi sentimenti per gli esseri umani. Soprattutto, non dopo quello che è accaduto a Yifan.» gli ricordò Jongin.

«Non ne sono mai stato così consapevole, ma non posso comandare il mio cuore. Credo, però, che non potrà mai accadere nulla tra noi due; hai visto come si diverte con i suoi amici, quanto sorride e sembra scoppiare di gioia… senza di me al suo fianco.»

Junmyeon rischiò di cominciare di nuovo a piangere, ma prese un respiro profondo e guardò il cielo, per cercare di trattenersi dal versare altre lacrime.
Il fratellino non poté fare altro che provare a consolarlo e a stargli vicino.

Nel cuore del maggiore, intanto, si fece strada un dubbio: non era possibile che un velo di tristezza non toccasse mai gli occhi sinceri di Jongdae, che di solito lasciavano trapelare qualsiasi emozione, anche la più nascosta. C’era qualcosa che non andava in quella faccenda.

«Devo parlare con Soomin, lei saprà certamente dirmi di più.» dichiarò, con tono deciso.

Non sapeva ancora come, ma sarebbe riuscito a fugare tutte le sue incertezze.

Quella sera, la tranquillità della stanza di Soomin fu interrotta dall’improvvisa comparsa di una sottospecie di sfera, che pareva fatta d’acqua.
La ragazza, presa dallo spavento, fece volare via il libro che stava leggendo e si tirò le coperte fin sotto gli occhi; la curiosità tipica della discendente di Atena non falliva mai nel prendere il sopravvento anche su un sentimento negativo come la paura.
La sfera assunse una forma precisa e prese a fluttuare di fronte al viso di Soomin, ancora semi-nascosta sotto il piumone.
Dall’interno dell’oggetto cominciarono a spuntare i contorni di un volto che, non appena fu completo e non più una vaga sagoma, la ragazza non ebbe problemi a riconoscere.

«Junmyeon!» esclamò, uscendo dal suo piccolo nascondiglio ed avvicinandosi alla sfera.

«Ciao, Soomin» la salutò la Musa, sorridendo.

La ragazza rimase in silenzio per qualche secondo, incerta su cosa dire e come comportarsi, incapace di togliersi l’espressione di sorpresa mista a felicità dal viso. Sentiva, però, anche le lacrime che cominciavano a voler uscire.

«Ci sei mancato. A me, a Jongdae… soprattutto a lui» disse, con la voce strozzata e le lacrime che cominciavano a rigarle il viso, mentre con tutte le sue forze si tratteneva dall’allungarsi in avanti e provare a toccare il volto della Musa, perché sapeva che sarebbe stato inutile, che non era davvero lì davanti a lei.

«Mi dispiace,» disse, piano. «Non ho potuto oppormi, sono riuscito solo a vedere come steste attraverso questa sfera. Solo che ho un sospetto; ed è per questo che ora sono venuto a parlare con te, Soomin.»

Fu così che Junmyeon raccontò a Soomin di tutto ciò che aveva visto nella sfera, sulla cui veridicità era però scettico. La ragazza gli disse che in realtà Jongdae era tutt’altro che felice senza di lui e rivelò anche che gli aveva dedicato una canzone, la stessa che era diventata la prescelta per il concorso.
La Musa sentì il cuore stringersi in una morsa; per vari giorni aveva dubitato dell’affetto del ragazzo nei suoi confronti, ed invece aveva dovuto ricredersi.

«Ti prego, torna da noi» sussurrò la ragazza.

«Farò tutto ciò che potrò, te lo assicuro. Per favore, però, non dire a Jongdae di questa nostra chiacchierata, ho paura di qualche sua reazione improvvisa… sai com’è, i fulmini e tutto il resto. Spero di rivedervi presto, magari in carne ed ossa.» disse, e con un ultimo sorriso il suo viso svanì nel nulla, insieme alla sfera.

 


Dopo aver parlato con la ragazza, Junmyeon si incamminò verso la radura più vasta del monte, luogo in cui risiedevano le entità divine che l’avevano creato; dentro di sé provava emozioni contrastanti, delusione e rabbia, miste alla tristezza che lo attanagliava da vari giorni a quella parte.

«Junmyeon, cosa ti porta qui?» sentì dire la Musa una volta messo piede nella radura.

La voce che aveva parlato era cortese, ma allo stesso tempo suonava minacciosa alle sue orecchie; non riusciva a capire da dove provenisse, era come se si stesse propagando dappertutto, tutto intorno a lui, come un tuono. Da quel tono, capì che i suoi genitori sapevano che lui aveva scoperto tutto.

«Mi avete ingannato. Credevo mi voleste bene… Io mi fidavo di voi!» sbottò, senza preamboli,  infiammato dalla collera che provava in quel momento. Non era mai stato così arrabbiato— anzi, forse non era mai stato arrabbiato, e basta.

«Ed è proprio per questo che abbiamo deciso di agire così. Non potevamo permetterci che tu—»

Questa volta il possessore della voce aveva usato un tono quasi materno, comprensivo, ma la Musa l’interruppe.

«Avete preferito che soffrissi, quando le creature come me nella loro vita non dovrebbero mai e poi mai provare tutto questo dolore. Avete preferito vedermi triste, riempiendomi di menzogne, invece di farmi vedere come stavano davvero le cose!»

Aveva parlato così tanto e così ad alta voce che dovette fermarsi per riprendere fiato; il viso era diventato purpureo, le vene gli pulsavano sul collo ed il cuore gli batteva così forte nel petto che pensava potesse scappare dalla sua gabbia toracica da un momento all’altro.

«Junmyeon, noi… non volevamo perdere un altro figlio per colpa di un mortale.»

La voce si era addolcita e non sembrava più minacciosa come poco prima, seppur fosse la stessa.
Il ragazzo guardò in alto dove immaginava si trovassero i loro volti e dovette nuovamente trattenersi dal versare lacrime.

«Capisco come possiate sentirvi, ma vi prego; io amo Jongdae. Non mi sono mai sentito così felice quanto durante i giorni che ho trascorso con lui. Voglio continuare la mia vita insieme a lui e se per farlo dovrò rinunciare ai miei poteri e all’immortalità, allora sono pronto.»

Le divinità si consultarono e sembrò loro di essere ritornati nel passato, con davanti la giovane, testarda Musa di nome Yifan, che non aveva mai ceduto finché il suo desiderio non fu esaudito.

«Quindi vuoi davvero diventare umano?»

In tutta risposta, Junmyeon semplicemente annuì, convinto.
Gli domandarono di nuovo se ne fosse sicuro e lui, con voce ferma e stabile, rispose di sì. Fece però richiesta di salutare Jongin prima di lasciare per sempre il Parnaso.
Il fratello venne immediatamente fatto arrivare e fu informato della situazione da Junmyeon stesso.
Il minore si sentì come se il suo cuore fosse stato trafitto da centinaia di frecce contemporaneamente, tanto era il dolore che provava. Calde lacrime cominciarono a colargli lungo le guance e si sentì triste come mai prima d’ora.
Implorò Junmyeon di non andare, di non lasciarlo lì da solo per il resto dell’eternità, ma in cuor suo sapeva che era tutto inutile: il maggiore aveva preso la sua decisione e nulla al mondo gli avrebbe fatto cambiare idea.
I due si tennero stretti l’uno all’altro per un tempo che parve infinito, quando Junmyeon decise che era ora di andare.

«Ti voglio bene, Nini. Non mi dimenticherò mai di te.» disse, dandogli un leggero bacio sulla fronte.

Dopo aver salutato il minore, si voltò verso i suoi genitori e sorrise.

«Vi voglio bene.»

Quella fu la prima e l’ultima volta che indirizzò quelle parole verso di loro, perché un secondo dopo era già scomparso, non lasciando più alcuna traccia di sé sul monte Parnaso.

 

Sulla Terra, intanto, i giorni erano sembrati volar via in un battito di ciglia ed era arrivato il tanto atteso 25 dicembre. I ragazzi si trovavano dietro le quinte del palco su cui si sarebbero esibiti pochi minuti più tardi.

Erano nervosi.

Quel concorso sarebbe stato trasmesso in diretta su un’emittente televisiva locale e tra il pubblico c’erano probabilmente decine di talent scouts, quindi se avessero dato una buona impressione, sarebbero riusciti ad aumentare la propria visibilità, magari così tanto da poter vivere di musica un giorno, come avevano sempre sognato tutti i componenti della band.

Le tre voci del gruppo stavano riscaldando le ugole, mentre Chanyeol camminava avanti e indietro nel piccolo spazio a loro riservato e Yixing, seduto in un angolo, tamburellava sulle sue cosce con le dita.
A Jongdae cominciarono a tremare le gambe, ed intanto Baekhyun sentiva le budella che si torcevano, annodandosi all’interno del suo corpo; Kyungsoo sembrava impassibile, ma tutti sapevano che dietro il suo silenzio si celava forse il peggiore dei nervosismi pre-esibizione.

All’improvviso uno dei tecnici ordinò loro di mettersi in fila alla base delle scale, perché tra una manciata di secondi il presentatore avrebbe urlato al microfono il nome del loro gruppo.

«…gli EXO!»

Il nome rimbombò per tutto l’edificio.

Ecco, era arrivato il loro momento.

Jongdae ebbe quasi l’impulso di vomitare, gli sembrava di aver completamente dimenticato il testo della canzone, ma non appena mise piede sul palco e vide il pubblico applaudire ed urlare per il loro ingresso, una scarica di adrenalina gli attraversò la spina dorsale e subito si tranquillizzò; il palcoscenico era il suo posto, dopotutto.

Presentarono il gruppo e la loro canzone, “The Winter’s Tale”, ai giudici e al pubblico, per poi posizionarsi come avevano già provato in precedenza: Chanyeol prese posto dietro al sintetizzatore, Yixing alla tastiera, mentre Jongdae occupò il microfono al centro, Kyungsoo alla sua sinistra e Baekhyun alla sua destra.

Quando la melodia cominciò a risuonare tra le pareti grazie al lavoro delle dita gentili dei due musicisti, Jongdae lasciò che il suo sguardo vagasse di viso in viso, cercando i suoi amici fra il pubblico. Erano lì, in prima fila, Sehun, Minseok e Soomin. Accanto alla ragazza, però, c’era qualcuno con un viso familiare, gli sembrava quasi… No, non era possibile. Junmyeon era tornato sul Parnaso, non poteva essere seduto là davanti a lui. Doveva essere un sosia o qualcosa di simile. Inoltre, non aveva gli occhiali ed aveva dimenticato di mettere le lenti a contatto, quindi era molto probabile che stesse solo vedendo ciò che il suo cervello voleva che vedesse.
Jongdae spostò lo sguardo verso un altro punto e cominciò a fissare il vuoto. Non poteva distrarsi e pensare a lui, non in quel momento; difficile a farsi, però, considerando che la canzone era ispirata in tutto e per tutto all’amore verso la sua Musa.

At the twinkling stars all night
We softly smiled.
Under the tree, without anyone knowing
I hid my heart as you held my hand.


Non appena cantò quei versi, il ragazzo si ritrovò a sorridere ed il suo sguardo corse verso il luogo dove aveva scorso il sosia del suo amato, che stava ricambiando il sorriso. Jongdae sentì i suoi occhi riempirsi di lacrime, ma non poteva permettersi di piangere: doveva restare concentrato, ma ormai quell’uomo misterioso si era insediato nel suo cervello e lo stava rosicchiando come un tarlo.

A white snow that resembles you falls
It builds up cozily
And disappears like snow melting in the cold winter


Quei versi gli ricordavano il giorno in cui Junmyeon aveva visto la neve per la prima volta.
Al pensiero, permise ad un’unica lacrima di scorrergli lungo il viso.

After time passes and seasons pass
I hope we won’t change, I hope it won’t end
I make this wish.


Il climax dell’intera canzone, nonché la strofa che Jongdae preferiva, permise al cantante di sfogare liberamente il suo amore.
Lo urlava al pubblico ed alla giuria, pregando che capissero quanto avesse lavorato duro e quanto sentimento contenessero quei versi.
Lo urlava a se stesso, rimproverandosi di non aver agito prima.
Lo urlava a Junmyeon, nella speranza che lo sentisse.

Peccato non sapesse che lui fosse più vicino di quanto potesse mai immaginare.

 

Dopo che tutti i gruppi si furono esibiti, vennero scelti i tre che sarebbero saliti sul podio.
Tra quei tre c’erano gli EXO.

I cinque componenti si congratularono tra loro e si strinsero attorno a Jongdae, colui che consideravano il loro leader. Si presero le mani e si dissero che erano arrivati fin lì, il che era già un traguardo, considerate le decine di artisti che erano stati scartati e gli altri otto gruppi che erano riusciti ad esibirsi quel giorno, ma non erano stati giudicati abbastanza validi da assicurarsi un posto sul podio.
Anche la medaglia di bronzo sarebbe andata bene, si continuavano a ripetere, Jongdae in primis.

Il terzo posto venne premiato, ma non era toccato a loro.

I cuori dei ragazzi cominciarono a battere ancora più velocemente di prima, mentre il presentatore si congratulava con i vincitori del bronzo e loro scendevano dal palco per lasciar spazio agli altri due.

Le loro avversarie erano quattro ragazze, il loro gruppo si chiamava Mamamoo, ed avevano dato prova di grande talento con un’esibizione semplice; i ragazzi sarebbero stati felici di perdere contro di loro.

«Bene, ora proseguirò annunciando il gruppo vincitore del primo premio!» disse il presentatore, con voce squillante.

Per delle manciate di secondi, nella sala cadde il silenzio. Jongdae poteva sentire il battito del suo cuore.
Il presentatore, al centro del palco, ma troppo lontano perché i partecipanti potessero vedere cosa ci fosse scritto sul cartoncino all’interno della busta, iniziò a parlare.

«Ed i vincitori, o le vincitrici, del concorso “Canto di Natale”, sono…»

Jongdae serrò gli occhi, la bocca era chiusa in una linea sottile, delle gocce di sudore gli bagnarono la fronte e gli parve di sentirne una scorrere dietro la schiena. Strinse le mani di Chanyeol e Kyungsoo tra le sue.
Gli sembrava di sentire qualsiasi suono in maniera ovattata.

«…gli EXO!» urlò l’uomo, voltandosi verso i ragazzi.

Jongdae lasciò andare il respiro che non si era reso conto di star trattenendo e si guardò intorno, incredulo di ciò che stava accadendo attorno a lui.
Seguì gli altri al centro del palco, sotto le luci che gli abbagliavano gli occhi, ed accettò la coppa che gli stavano consegnando.
Gli chiesero di fare un discorso e lui, cercando di tenere la voce ferma, cominciò a parlare.

«Vorrei ringraziare prima di tutto gli organizzatori del concorso per aver creato questa grandiosa opportunità per molti giovani artisti; subito dopo, la giuria, che ci ha concesso l’onore di vincere questo premio. I membri degli EXO, con cui ho condiviso parte della mia vita; la nostra manager, Soomin, che è tra il pubblico insieme ai nostri amici, Sehun e Minseok, i quali ci hanno sempre supportati, anche durante i periodi più bui. Infine, ultima, ma non meno importante, vorrei ringraziare la mia Musa ispiratrice, a cui ho dedicato la canzone con cui abbiamo appena vinto… spero mi stia guardando in questo momento, in qualche modo.»

Gli applausi del pubblico sembrarono farsi ancora più rumorosi, continuando anche quando i ragazzi erano oramai dietro le quinte.

 


Il gruppo di amici si recò a casa di Chanyeol, fermandosi durante il tragitto per comprare qualche bottiglia di birra ed una torta per festeggiare la vittoria.
Da quando erano usciti dall’edificio dove si era tenuto il concorso, la gioia e l’euforia non li avevano abbandonati nemmeno per un secondo e, mentre camminavano, urlavano e cantavano, facevano scena, beccandosi terribili occhiate da parte delle persone attorno a loro che volevano solo godersi una pacifica passeggiata il giorno di Natale.
Continuavano ad inneggiare a Jongdae, Yixing e Chanyeol, ma il discendente di Zeus sapeva in cuor suo che il merito era stato in parte anche di Junmyeon, e lo ringraziò di nuovo, ma questa volta tra sé e sé.

Arrivarono a casa di Chanyeol e si sistemarono in salotto, mentre il padrone di casa andava in cucina a recuperare bicchieri e posate. Quando tutti ebbero i bicchieri pieni, stavano per brindare, ma Sehun li fermò.

«Manca Soomin. Aveva detto che ci avrebbe raggiunti più tardi.» spiegò.

I ragazzi, allora, posarono i bicchieri ed aspettarono. Pochi minuti dopo, trillò il campanello e Chanyeol scattò in piedi per dirigersi verso l’ingresso.
Una volta aperta la porta, però, vide un uomo in compagnia della sua migliore amica: più basso di lui, con i capelli color dell’argento e guance che sembravano piccole pesche.

«Soomin, chi è questo—»

Non fece in tempo a finire la frase che la ragazza gli fece segno di fare silenzio ed entrò, insieme allo sconosciuto.

«Lui è Junmyeon e… zitto! Deve essere una sorpresa per Jongdae. Ora andiamo da loro prima che ci scoprano.»

Chanyeol annuì e, dopo che Soomin ebbe detto all’altro ragazzo di nascondersi dietro il muro e di aspettare, andarono in salotto e gli altri l’accolsero calorosamente.

Stavano di nuovo per brindare, quando stavolta vennero interrotti da un fragoroso rumore proveniente dall’ingresso.
Si fiondarono nell’altra stanza per vedere cosa fosse successo e videro due ragazzi uno sopra l’altro, i loro corpi sembravano attorcigliati assieme, tant’è che quasi non si capiva dove finisse uno e cominciasse l’altro.

«Chi siete? Come siete entrati qui dentro?» urlò Baekhyun, con il tono più minaccioso che potesse riuscirgli.

Jongdae si fece avanti: avrebbe riconosciuto ovunque quel viso, quei capelli, quel sorriso.
Il ragazzo restò paralizzato, gli sembrava tutto un sogno. Era impossibile che gli altri potessero vederlo, quindi non riusciva a credere ai suoi occhi.
Notò però che il ragazzo che si trovava davanti non aveva i disegni floreali che, come Junmyeon gli spiegò una volta, indicavano il suo status di Musa. Era possibile forse che fosse diventato umano? No, gli pareva troppo surreale da succedere davvero, eppure ce l’aveva lì, in carne ed ossa, in piedi davanti a lui, gli si stava avvicinando ed anche gli altri riuscivano a vederlo…

Mentre continuava a tormentarsi con le sue riflessioni, sentì prima un paio di braccia che lo stringevano, e subito dopo un petto contro il suo, una testa che si poggiava sulla sua spalla ed una sensazione di calore che cominciò a spandersi per tutto il suo corpo, penetrandogli perfino le ossa.

«Jongdae…» sussurrò l’altro ragazzo, stringendolo ancora più forte.

Lì Jongdae non ebbe più dubbi: quello era Junmyeon, ed era tornato per lui.

Sentire la voce dell’amato pronunciare così dolcemente il suo nome gli fece riempire gli occhi di lacrime, ma per una volta non resistette e pianse, ripetendo il nome di Junmyeon e ricambiando la sua stretta, toccandolo ovunque potesse, per assicurarsi che quello non fosse soltanto un sogno.
Una volta che i due ragazzi si lasciarono andare, tutti concentrarono la propria attenzione sull’ultimo arrivato: alto, capelli scuri e pelle ambrata, indossava degli abiti troppo leggeri per quella stagione.

«Ah, lui è Jongin, mio fratello.» spiegò Junmyeon, avvicinandosi a lui.

L’interpellato sorrise timidamente e fece un piccolo gesto di saluto con la mano, gli altri ricambiarono, ancora perplessi.
Pian piano, con le dovute spiegazioni, la situazione si fece più chiara. Jongin raccontò di come non volesse restare da solo sul Parnaso, senza il suo amato fratello, quindi le divinità avevano permesso anche a lui di diventare umano, ed era per quella ragione che in quel momento si trovava lì.

Mentre finalmente brindavano alla loro vittoria, Jongdae si guardò intorno per un attimo e, avendo riavuto Junmyeon accanto a sé ed essendo circondato dalle persone che amava e che lo amavano a sua volta, in quel momento sperò che tutto potesse rimanere così per sempre.

 


Quella sera, Jongdae e Junmyeon si ritrovarono sul divano, accoccolati l’uno all’altro sotto una coperta, per riscaldarsi. Fuori la neve cadeva, silenziosa.

Il moro accarezzò la guancia dell’altro ragazzo, disegnando fiori con le dita lì dove non ce n’era più la minima traccia.

«Allora eri davvero tu oggi, tra il pubblico. I miei occhi non mi stavano prendendo in giro» disse Jongdae tutto d’un tratto.

«Quante persone conosci a Seoul con i capelli color argento? Immagino decine!» scherzò Junmyeon.

«Mah, chissà, sarebbe potuto essere un famoso idol…»

I due risero di gusto, forse un po’ troppo ad alta voce, perché si ritrovarono all’improvviso un assonnato Minseok davanti agli occhi, che chiedeva loro di far meno rumore, perché lui e Jongin stavano cercando di dormire.
I ragazzi abbassarono subito il tono della voce e, non appena il coinquilino li lasciò di nuovo soli, ripresero a ridere, stavolta più piano.

«Myeon,» lo chiamò Jongdae, adottando il soprannome usato da suo fratello. «Non mi hai ancora detto cosa ne pensi della canzone.»

Junmyeon esitò a rispondere, intento a giocare con un lembo della coperta. L’altro stava quasi per ripetere la domanda, pensando che non l’avesse sentito, quando si decise a parlare.

«L’ho adorata. Ed ho anche capito cosa volessi dirmi.»

Jongdae lo guardò con un’espressione interrogativa in volto, che permase finché Junmyeon non citò un pezzo del testo della canzone.

«I hope we won’t change, I hope it won’t end. Nulla di ciò che provo cambierà, né cesserà di esistere, Jongdae. Sono tornato su questa terra perché ti amo e niente, nemmeno il passare dei giorni, delle stagioni, degli anni potrà mai annullare ciò che provo per te.»

Per forse la prima volta nella sua vita, Jongdae rimase senza parole. Lui e Junmyeon non staccavano lo sguardo l’uno dall’altro ed il ragazzo dai capelli argento, poiché si sentiva particolarmente audace, si decise a fare la prima mossa.

Gli prese il viso fra le mani e premette le labbra sulle sue, ma si fermò lì perché non aveva mai baciato nessuno in vita sua.
Jongdae, ripresosi dallo shock iniziale, ricambiò il bacio, approfondendolo e permettendosi di guidare l’altro ragazzo. Le sue labbra erano carnose e morbide al tatto, proprio come si aspettava che fossero quando ancora le osservava solo da lontano.

Non era la prima volta che baciava una persona del suo stesso sesso, ma le sensazioni che Junmyeon gli faceva provare erano quasi magiche, elettrizzanti, ineguagliabili.
Dopo poco si staccarono per riprendere fiato ed il viso di Junmyeon si tinse di rosso, come se avesse appena realizzato ciò che era appena successo.

Jongdae lo trovò adorabile.

«Qu-questo significa c-che anche tu—» balbettò, toccandosi il volto per cercare di tornare ad un colorito normale.

«Sì, Myeon. Ti amo anch’io.» ammise, con un sorriso.

Cercò di nuovo le labbra dell’altro per suggellarle in un dolce e lungo bacio.

Jongdae, trovato il suo amore, sentiva finalmente il cuore più sereno e leggero.

In quella notte di Natale, l’armonia regnava sovrana, per una volta senza alcun fulmine all’orizzonte che fosse pronto a spazzarla via.

 
THE END 

Eccomi qui, con la one shot più lunga che abbia scritto fino ad ora, su una delle mie coppie preferite: la SuChen.
Che dire, ci sono volute varie tribolazioni, qualche blocco dello scrittore (avrei avuto bisogno io di Junmyeon in quei momenti) e un intero anno prima che fosse completa! Vorrei ringraziare in primis la mia beta-reader Nina, che mi ha supportata e supportata fino all'ultimo secondo di questo viaggio; un grazie va anche alle mie amiche che mi hanno aiutata a superare i "momenti no".
Infine, grazie a te che stai leggendo, spero che ciò che ho scritto ti sia piaciuto.
Alla prossima, Min.
  
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