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Autore: Myzat    03/12/2017    0 recensioni
Tratto dalla storia:
"Lo aveva deciso così, di getto, senza chiedergli nulla. Aveva deciso di partire per le altre regioni e lasciarlo lì, a Smeraldopoli, con una lettera del cazzo. Gli chiedeva di aspettarlo.
Una misera lettera stropicciata, con alcune sbavature per via di qualche lacrima gettata qua e là.
Perché Red mica era stupido. Sapeva che se glielo avesse detto Green non sarebbe stato d'accordo. Avrebbero litigato, sicuramente, anche perché il castano non era così innamorato da lasciare la sua palestra, il suo lavoro, la sua città e la sua gente. Perché per quanto fosse sempre stato diffidente, qualcuno a cui teneva a Kanto c'era: suo nonno, sua sorella, Blue, Yellow.
E Red sapeva anche che costringerlo a seguirlo sarebbe stato egoistico, e che lo avrebbe privato della vita che ormai aveva costruito".
[Originalshipping - Angst]
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Blue, Gold, Green, Red
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Manga
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U N T I L  T H E  D A Y  I  D I E

22 Novembre

Lo aveva deciso così, di getto, senza chiedergli nulla. Aveva deciso di partire per le altre regioni e lasciarlo lì, a Smeraldopoli, con una lettera del cazzo. Gli chiedeva di aspettarlo.
Una misera lettera stropicciata, con alcune sbavature per via di qualche lacrima gettata qua e là.
Perché Red mica era stupido. Sapeva che se glielo avesse detto Green non sarebbe stato d'accordo. Avrebbero litigato, sicuramente, anche perché il castano non era così innamorato da lasciare la sua palestra, il suo lavoro, la sua città e la sua gente. Perché per quanto fosse sempre stato diffidente, qualcuno a cui teneva a Kanto c'era: suo nonno, sua sorella, Blue, Yellow.
E Red sapeva anche che costringerlo a seguirlo sarebbe stato egoistico, e che lo avrebbe privato della vita che ormai aveva costruito. 

Green non era Red.

Era sì ambizioso, ma in un altro modo. A lui bastava essere il Capopalestra di Smeraldopoli, e provare quell'irritante soddisfazione nel vincere quasi sempre, con l'adrenalina che saliva e il sangue che pulsava nelle vene quando la lotta si faceva difficile, oltre alla saggezza delle poche parole che diceva all'allenatore che lo aveva battuto. Era un lavoro perfetto, per lui. 
E Red non era Green.
A lui piaceva rischiare, puntare in alto, raggiungere l'impossibile e trasformarlo in possibile. A lui, aver battuto la Lega di Kanto, non bastava. Non bastava mai nulla, a lui. Voleva il meglio e poteva ottenerlo. Ma come per la bellezza, anche l'ambizione richiedeva sacrifici.
Red non era stronzo o menefreghista, e prima di prendere le sue cose e partire ce ne aveva messo di tempo. Non era facile lasciare la propria terra, non lo era mai stato. Ma Green, quel concetto, non lo aveva afferrato.
Per lui, Red lo aveva abbandonato.
Red lo aveva tradito.
E questo perché Green si fidava di lui, anche se spesso e volentieri lo prendeva per scemo e non gli ripeteva mai di amarlo; Red lo sapeva già e non sentiva il bisogno di farselo dire.
Nei baci del castano c'era sempre stato qualcosa in più, un tocco che riusciva a fare arrivare dritti al cuore i suoi sentimenti.
Green aveva la capacità di farlo sentire bene anche in mezzo alla folla. Era impulsivo, se voleva baciarlo lo faceva, anche davanti a Gold che, spesso e volentieri, parlava troppo.
Red, con Green, non aveva di che lamentarsi. Non era perfetto perché era acido e cinico, ma allo stesso tempo non era imperfetto perché riusciva a proteggerlo dalla sua stessa freddezza.
Lui lo amava, lo aveva sempre amato e lo avrebbe fatto per sempre. Per questo, aveva preferito non dirgli nulla. Aveva preferito lasciarlo in quel modo, chiedendogli in modo altrettanto egoistico di aspettarlo. Eppure, se mai Green si fosse creato un'altra vita, avrebbe capito. Solo un folle poteva resistere così tanto per chi non si faceva sentire in alcun modo.

Aveva freddo, ogni notte. Il suo corpo chiedeva un calore ormai perso, quello che solo l'altro riusciva a dargli con un abbraccio.
E bruciava allo stesso tempo, gli occhi, le labbra, il petto. L'unico calore che sentiva era quello dell'alcool, misto alla puzza di fumo che gli impregnava i capelli da ormai troppi anni. 
A volte, durante i momenti di depressione, finiva in qualche pub con Gold; per quanto lo considerasse stupido e immaturo, la sua compagnia era gradevole. E poi, con chi altri avrebbe potuto legare? Con Silver che preferiva tacere? O con Ruby, che si divertiva a fare le gare con i Pokémon? Anche se era scorretto, Gold era effettivamente l'unico che fra gli stupidi considerasse il più interessante.
E finivano per ubriacarsi fino a vomitare, per poi svegliarsi con la testa esplosa.
E magari, arrivava pure Blue sotto casa sua a fargli nuovamente la predica su quanto fosse errato il suo comportamento, su quanto sbagliasse a gettare anni della sua vita in quel modo solo per Red.

Aveva ragione, in fondo.

Ma aveva anche torto, perché Blue non era persona che voleva solo il bene di Green. Lei voleva anche il suo. In termini più specifici, lei voleva Green, e lui ne era a conoscenza: troppe volte lei aveva provato a sedurlo, lasciando intendere le sue intenzioni.
Blue odiava Red.
Lo odiava da morire.
E non perché il cuore di Green fosse fatto apposta per lui, col tempo aveva imparato che smussando i pezzi il puzzle si componeva lo stesso, ma perché lo aveva abbandonato sapendo che non avrebbe amato nessun altro. Non le stava bene, per niente. Tuttavia viveva rassegnata quella consapevolezza; Green la rifiutava e avrebbe continuato a farlo per tutta la vita.

Quella mattina del 22 Novembre, Green si era svegliato con il classico mal di testa post sbornia, lo stomaco a pezzi e delle profonde occhiaie che rovinavano il suo bel viso. La sveglia era suonata, e ciò significava che doveva andare a lavoro.
Si mise seduto sul letto e prese il cellulare, accedendo a Whatsapp e leggendo quei pochi messaggi che aveva ricevuto. Alcuni erano di sua sorella, che gli faceva gli auguri di compleanno da parte sua e di suo nonno; Poi altra roba, del tutto inutile, coi gruppi di lavoro zeppi di cazzate e un messaggio dell'Organizzazione dell'Altopiano Blu che non si decideva ad aprire per paura che visualizzassero la doppia spunta.
Avrebbe dovuto levare l'ultimo accesso. Odiava che la gente si facesse i cazzi propri.
Infine c'era la chat con Blue.
Per la prima volta, si sentì in colpa nei suoi confronti: anche lei aspettava qualcuno che non arrivava mai, e snobbarla in quel modo aumentava soltanto la lunga attesa della bella inaccontentabile dagli occhi blu. Alla fine sarebbe stato perfido illuderla e consumarsi in una relazione che, alla fine dei conti, non gli interessava. Tutto ciò a malincuore, perché in certi momenti desiderava potersi innamorare di quella giovane donna: lei era bellissima, di quelle bellezze sconvolgenti. Era dotata anche d'un carattere forte e indomabile, oltre che d'un'irriducibile malizia. Se si fosse innamorato di lei sicuramente non avrebbe avuto alcuna pena.
Quel giorno Green aveva compiuto ventidue anni. Di quei ventidue, sette erano andati persi con l'altro, che ormai non era più suo rivale.
Sospirò e si alzò, infilando una camicia e dei pantaloni presi a caso. Assunse una compressa per il mal di testa e con le chiavi di casa in mano uscì per strada. I capelli erano ancora spettinati.
I linea generale, Green non era tipo che mostrava le sue emozioni tanto facilmente a qualcuno. Era dotato d'una buona quantità d'orgoglio e si sforzava in tutti i modi di sembrare una persona che stava bene; delle volte ci riusciva pure. Tuttavia, a volte sapere c'erano momenti in cui sapere che a casa non ci fosse nessuno ad aspettarlo lo demoliva psicologicamente.
Aveva finito per diventare l'ombra di se stesso. Era quel tipo di depressione che uno si portava per tutta la vita. Amici di lunga data, dicevano. E sinceramente parlando, non credeva manco di rivederlo più. Cioè, non ci sperava.
Ci ripensava e intanto s'avviò verso la sua Palestra. Salutò cordialmente l'anziana donna che, fuori nel balcone, stendeva i panni nel primo mattino e quindi entrò..
La prima cosa che fece fu accendersi una sigaretta, quindi si sedette, inspirando a pieni polmoni e godendosi il piacere della nicotina, unito al disgusto del catrame nei polmoni. Ma serviva a ciò che doveva, i nervi si rilassavano e una nuvoletta di fumo grigia prese a circondarlo.
Poi il cellulare squillò e Green lo prese subito in mano, sperando quasi che fosse lui con un altro numero. Succedeva sempre, ormai. Storcendo il naso lesse il nome di Blue e pigramente rispose.

«Auguri, Green!» sentì. La donna, dall'altro capo del telefono, lo salutava con voce stridula e vivace.
Green ebbe un principio di sorriso sulle labbra e chiuse gli occhi per un attimo, appoggiandosi allo schienale.
«Grazie» rispose, emettendo fumo nero.
«Vogliamo fare qualcosa, stasera? Insieme?» chiese lei, limpida. Il castano sospirò e declinò la proposta come era solito fare.
«Non puoi ancora struggerti così per lui! Sono tre anni che vai avanti così! Con questa speranza che torni da te!».
Green la interruppe e parlò sopra di lei, senza peli sulla lingua.
«Non ho speranze. Io non spero e non ho certezze... per chi mi avevi preso, Blue? E comunque, quasi mi sorprendo che ricordi pure gli anni...».
«Certo che me lo ricordo! Sono tre anni che vai dietro a uno... senti, lasciamo perdere...» fece lei, mordendosi la lingua.
«Dillo...».
«Non posso, Green. E non perché non lo pensi».
Green si lasciò andare a una risatina sprezzante. Acida.
«Tu non lo trovi stronzo, Blue. Tu lo odi. Ti brucia che io continui a pensare a lui e che non vada avanti. Ti rode come lui sia riuscito a manipolare i miei sentimenti e ti fa schifo come, nonostante ci sia riuscito, poi se ne sia andato. Credi che sia stupido? Le so già, queste cose».
«Vaffanculo. Vaffanculo, Green» disse di rimando l'altra, attaccandogli il telefono in faccia.

Lo sapeva.
Lei, era già crollata in un pianto disperato, frustrante come i ricordi che lo tormentavano. Ma non si sceglie mai chi amare, e questo, l'uomo, lo aveva capito.
E lo odiava.
Blue d'altra parte, non riusciva ad accettarlo. Green era davvero l'uomo che più amava e, anche se non sembrava, era persa di lui quanto lui lo fosse di Red. 
Era un circolo vizioso, ironicamente si cercavano e non si prendevano. E continuavano in eterno, sperando che quella persona si voltasse, o che ne arrivasse un'altra che, in qualche modo, riuscisse a cancellare il passato. 
Blue pure confidava in una relazione diversa, in qualcuno che riuscisse a fargli dimenticare il bel castano. A volte, Green quando si trovava davanti a una birra con Gold, si sentiva fare la predica da parte di quest'ultimo, che si domandava sempre perché non si mettesse con quella "gran figa" di Blue. Certo, parlava con Gold, per lui tutte lo erano. Una sera, Green, da sobrio, si era voltato verso Gold e con fare strafottente gli aveva detto: "prenditela tu, allora". Gold lo aveva guardato contrariato rispondendogli che rincorrere Blue era come faceva lei con il Capopalestra. Impossibile. Era già persa anche lei, marcia di un amore non corrisposto.
In sostanza era Blue che sceglieva con chi stare.
L'intraprendenza non era accettata.

Dopo quella chiamata finita in modo brusco, un ragazzino entrò nella palestra del giovane. Portava un cappellino verde, i capelli erano neri pece e gli occhi grigi. Green lo fissò, alzandosi e avvicinandosi a lui. 
«Come ti chiami, ragazzo?» chiese lui con voce ferma, calma.
«Hiiro... Hiiro signore» rispose giocherellando con la Pokéball, quasi ansioso.
«Cominciamo».
Non era di poche parole, lui, eppure tendeva ad aprire bocca solo quando più gli conveniva, e, in quel momento, non serviva dire nulla.
E non ebbe bisogno di molto tempo, Green lo aveva già battuto. Era diventato forte col tempo, quasi devastante. Aveva sempre avuto stoffa, ma in quel momento era di un altro livello. Non a quello di Red, no di certo, non avrebbe avuto speranza contro di lui in una lotta, se mai fosse tornato.
Hiiro era sul punto di piangere per la sconfitta, teneva lo sguardo basso e i pugni chiusi sui fianchi. Green gli diede le spalle e posò la Pokéball del suo Charizard.
«Vai a curare i tuoi Pokémon, torna, magari fra qualche giorno. La Palestra è sempre aperta» disse il Capopalestra. Hiiro alzò gli occhi e sorrise leggermente e, sapendo di essere guardato con la coda dell'occhio, annuì. Poi uscì dall'edificio.
Si stiracchiò e guardò fuori dalla finestra, vago, stanco. Da quanto tempo non riusciva a dormire normalmente?
Mesi? Anni? Era orribile alzarsi dal letto già stanchi, senza forze. 
Spesso immaginava il suo ritorno, sdraiato sul letto a osservare la pallida luce del lampadario.

Cosa gli avrebbe detto?

Di certo non sarebbe corso verso di lui per abbracciarlo, inondando la sua spalla di lacrime. Non era un comportamento che avrebbe avuto.
Lo avrebbe picchiato fino a rompergli la mandibola, gli avrebbe sputato in un in faccia e lo avrebbe insultato fino a esaurire la voce.
E poi?
Poi lo avrebbe baciato, furente, forzandolo a schiudere le labbra e giocando con la sua lingua, mordendola proprio come Red odiava. Lo avrebbe spogliato e se lo sarebbe scopato sul momento, senza rimpianti. Avrebbe preso in considerazione l'idea di abbandonarlo come lui aveva fatto, senza mai provarci.
Come un bambino che cresce e abbandona i suoi giochi preferiti.
Green sapeva. Lo sapeva che sarebbe diventato un mostro.

Per un momento vide tutto nero, e fotogrammi della sua vita cominciarono a passargli davanti come se li guardasse attraverso i finestrini d'un treno. Non si fermavano e lui poteva guardarli solo di sfuggita. A partire da suo nonno, sua sorella, al primo incontro con Red e poi con Blue, all'allenamento con Yellow, la lotta a Johto, a Hoenn. 
Quella volta in cui da ragazzini, ad Azzurropoli, Red lo aveva fermato con un leggero imbarazzo in voce e si era dichiarato, e Green non aveva esitato a ridere leggermente, per poi scoccargli un bacio.
E tutti i loro litigi, perché Red era sempre stato uno stupidotto troppo ingenuo, e le nottate passate davanti alla televisione a commentare gli stupidi programmi che il moro guardava.
E poi, un buco nero intorno ai suoi ultimi tre anni, perché non ricordava alcun momento bello passato in quel lasso di tempo.
Varie voci riempivano la sua testa, tipicamente gioviali e sempre grintose. Dalle più semplici, agli insulti che si lanciavano spesso e volentieri.
E infine una voce, più profonda ma non troppo, dal tono misero e preoccupato.

«Sei diventato forte, Green...».

Ma quella voce, pareva reale. Così tanto che Green per un attimo credette davvero che fosse lui.
Si voltò di scatto e quello che si trovò davanti era un uomo dai capelli neri e spettinati, gli occhi cremisi, un filo di barba incolta e un sorriso pieno di rimorso e colpe impossibili da espiare.
Per un attimo tutto si era fermato, anche la sua mente. Non sapeva come reagire, o ancor meglio, non capiva se fosse solo un brutto scherzo del suo subconscio.
Rimase immobile sul suo posto, inespressivo. Red avanzò verso di lui e, con un sussurro sofferente, chiese scusa.
Lì, capì che era tutto reale, così tanto da non capirci più nulla. 
Green agì di istinto e lo afferrò per il colletto, avvicinandolo violentemente a sè. Non aveva buone intenzioni, no di certo.
«Capisco la tua rabbia, la giustifico».
«Stai zitto» lo fermò il castano digrignando i denti. Perché era chiaro che in quel momento, l'unica cosa che vedeva era solo un pezzo di merda che era andato via senza dire niente, facendolo morire ogni secondo di più.
«Invece parlo, Green. Ho sbagliato, me ne sono andato senza dirti nulla, l'ho fatto apposta. Ho pensato che sarebbe stato meglio per entrambi. Tu qui hai una vita, rincorrermi non sarebbe stato giusto».
«Io non ho più una vita Red. E' sparita quel giorno, quando mi sono svegliato e non ti ho trovato nel nostro letto» rispose, repentino e tagliente come vetro scheggiato.
«Chiederti di perdonarmi quindi è inutile?»
«Sì. Semmai tornassimo insieme non mi sentirei più lo stesso. Mi hai perso tre anni fa, ora non potrai riprendermi più» rispose tagliando corto, ordinandogli di sparire. Aveva bisogno di pensare.
E Red non era tipo che si scoraggiava ma in quel momento sentiva il suo cuore frantumarsi, più di quanto non lo fosse stato già per via delle sue stupide scelte.

15 Dicembre

Red non aveva memoria di un momento sereno passato dopo essere tornato a Kanto.
Nemmeno Blue lo degnava di una parola, sapeva anche perché. Gold gli aveva raccontato anche del suo, di dolore, di quell'invidia che provava la donna nei suoi confronti e di quanto era stata male per Green.
Per quell'uomo che mai gli era appartenuto. E neanche quell'amicizia avrebbe potuto recuperare. L'unica cosa buona di quella situazione era che Blue aveva deciso di andare finalmente avanti, iniziando a frequentare altra gente.
E Green invece?
Era rimasto nella sua bolla d'orgoglio a consumarsi sempre di più, ignorando Red pesantemente. Se lo meritava Red. Ma non Green.
E si sentiva uno schifo, perché era sicuro che il suo amato non poteva più essere curato. Lo aveva ridotto a un corpo senza vita che si muoveva solo perché doveva, e non perché voleva. Avrebbe preferito vederlo con qualcun altro, magari pure con la stessa Blue, piuttosto che in quel modo.
Quella sera, il cellulare di Red squillò imperterrito, spezzando la pace del suo appartamento.
Il moro rispose.
La voce era di Gold.
«Ehi bro... Green non si sente bene. Ha esagerato con l'alcool, puoi venire tu a caricartelo?».
Sentendo quelle parole, Red deglutì ferro e sabbia. Il petto gli faceva malissimo, per come lo conosceva Green non era mai stato un ubriacone.
Anche quello, era sicuro, era per causa sua.
Gold gli aveva detto che si trovavano ad Aranciopoli e Red non aveva perso tempo; aveva fatto uscire Aerodactyl dalla Pokéball e, velocemente, aveva raggiunto il pub. Entrò e trovò subito Green, seduto accanto a Gold col capo riversato sul bancone. Si avvicinò e gli sfiorò la schiena con la mano, facendogli spalancare gli occhi smeraldini, stanchi.
«Tu come stai Gold?»
«Sto bene, sto bene. Tu pensa a Green adesso, fa quasi più schifo di me» disse ironico il Dexholder di Johto, col suo classico modo di fare.
Red annuì e lo prese in spalla. Green non oppose resistenza, stava male e quelle braccia erano così confortevoli, calde, forti che non avrebbe mai fatto nulla per uscirne.
Uscirono dal locale e, con estrema delicatezza, lo fece sdraiare sul dorso di Aero, per poi chiedere all'amico di volare in modo tranquillo; non voleva trovarsi del vomito sulla giacca.

Nell'insieme delle molteplici cose di cui Red era estremamente sicuro non erano inclusi i suoi istinti. Era un uomo, in ogni caso, e aveva Green fra le sue braccia, dopo tre anni.
Arrivarono a casa, con quest'ultimo che dormiva sul suo letto, coi capelli completamente spettinati e la maglietta alzata sulla pancia. Era talmente bello da togliergli il fiato. Voleva baciarlo, voleva abbracciarlo e riavere quei momenti romantici, già rari nella loro vecchia relazione.
Lo vide agitarsi nel sonno, mugolare qualcosa di incomprensibile e poi svegliarsi.
Green inizialmente credeva di stare solo immaginando la scena, come solitamente accadeva, con Red che lo prendeva e lo toccava e gli parlava. Poi però lo vide muoversi, reale.
«Che ci faccio qui?» chiese irritato quello dagli occhi verdi. Sentiva le tempie pulsare e la continua voglia di vomitare senza riuscirci.
«Non sei il tipo che si sbronza così...» fece il moro con una risata nervosa.
Green non parlò più, si alzò dal letto di scatto e ci mancò poco che cadesse a terra, sbattendo la testa. Red lo aveva sorretto e fatto risedere.
«Vuoi starmi lontano?!» aveva blaterato, biascicando le parole con la bocca impastata d'alcool e sangue. «Te ne sei andato via senza dirmi nulla, ora sono io che non ti voglio vicino» continuò il Capopalestra, voltando lo sguardo.
«Green, io ti amo. Vederti così è tremendo, insultami ma ti prego, non cambiare in questo modo. Rimani te stesso» lo pregò, con un tono quasi innocente che, in fondo, aveva sempre avuto.
Per un attimo il cuore dell'altro si fermò; lui stesso capiva che continuare a mettere prima l'orgoglio non avrebbe portato da nessuna parte ma che, anzi, avrebbe peggiorato la situazione.
E a quel punto, non resistette. Non ne poteva più.
Si avvicinò e lo baciò, passionalmente, instancabilmente. Red lo lasciò fare, schiudendo le labbra e lasciando che la lingua del castano si gustasse la sua bocca. Green sapeva di alcool e fumo, Red invece continuava ad avere quel sapore dolciastro che lo aveva sempre.
Il suo sapore.
Si allontanarono per riprendere fiato e poi tornarono a baciarsi, comandati dalla lussuria, dalle sofferenze, dall'amore che ormai non poteva più essere contenuto in quel cuore diventato troppo piccolo. E si espandeva, saliva al cervello, scendeva nel basso ventre e li immobilizzava.
Green lo prese per le spalle e lo fece sdraiare sotto di lui, mordendogli il labbro fino a farglielo sanguinare. Red invece passava le mani sulle sue guance, accarezzando coi pollici gli zigomi leggermente barbuti.
«Sono felice, Green» mormorò continuando ad accarezzarlo.
«E io no. Ti odio, cazzo...».
«Me ne farò una ragione...» disse, sorridendo e facendolo imbestialire.

16 Dicembre

Red si svegliò sbadigliando sonoramente, con la testa appoggiata sul petto tonico e muscoloso dell'altro.
Green dormiva, gli pareva un bambino che, dopo vari pianti, aveva finalmente trovato il sonno ristoratore.
Sorrise decidendo di non svegliarlo per cui, delicatamente, si alzò, nudo.
Una mano gli bloccò il polso e lo fece tornare indietro, ricadendo sul letto.
«Giuro che ti ammazzo» disse Green, alle sue spalle.
«Non me ne sarei andato comunque, tranquillo».
«Stiamo di nuovo insieme, è vero, ma la mia fiducia non l'hai riconquistata». S'alzò e si diresse verso il cappotto, estraendovi dalla tasca il pacchetto di sigarette ancora nuovo. Se ne fregava altamente se a Red avesse potuto dare fastidio o meno. Ne accese una.
«Quando hai cominciato a fumare, esattamente?» domandò l'altro.
«Boh... dopo che te ne sei andato sono cambiate molte cose».
Red ammutolì, sentendosi nuovamente in colpa. Green aveva sempre saputo giocare bene le proprie parole, come il miglior pokerista del mondo. Leggeva i bluff di Red, riusciva a interpretarli e poi poggiava sul tavolo sempre un full di assi e regine.
Gli stava porgendo il conto, e Red doveva ovviamente pagarlo. 
«Scusami...» abbassò il capo, lui.
«Con le tue scuse mi ci pulisco il culo. Per il momento va bene così».
Il Campione sorrise ampiamente. Era lui il suo Green.
Il suo uomo.
Lo sapeva, non sarebbe tornato subito tutto alla normalità. Ci sarebbe voluto del tempo ma avrebbe aspettato.
Dopotutto, doveva farsi perdonare in qualche modo.

   
 
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