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Autore: levisbrat_    03/12/2017    5 recensioni
Meruem era nella sua stanza, seduto a gambe incrociate sul suo letto. Non era affatto stanco e la sua testa era un turbine frenetico di sensazioni e sentimenti estranei, un tornado confuso e fastidioso.
Sentimenti, che parola inusuale e poco consona al re e alla sua natura. Però in quel momento non poteva trovarne una che descrivesse meglio la sua situazione. Komugi lo aveva reso più umano di quanto non avesse mai pensato di poter diventare; si era affezionato a quella bambina e si malediceva in ogni istante per questo.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Komugi, Meruem
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Checkmate

 

Meruem non aveva mai provato, nei suoi brevi giorni di vita, sensazioni tanto contrastanti. Era stato abituato fin da subito a fare ciò che voleva, senza bisogno che giustificazioni o spiegazioni seguissero il suo operato. Quando si era fatto strada fuori dal corpo di sua madre, strappandolo e lacerandolo con violenza davanti ai suoi stessi sudditi non aveva provato rimorso, né aveva esitato a staccare la testa a quello stupido volatile schiamazzante che aveva osato disubbidire ai suoi ordini. Gli unici esseri viventi con cui aveva interagito regolarmente erano le sue guardie reali, che gli obbedivano e lo servivano incondizionatamente. Ogni sua richiesta veniva soddisfatta, ogni suo desiderio esaudito, dal più infantile al più arduo. Come poteva un re come lui, che non aveva mai conosciuto il vero significato della parola “no”, comprendere il motivo della sua battaglia interiore? 

Aveva deciso di uccidere quella piccola bambina già da giorni, eppure ogni volta finiva per restarsene semplicemente seduto al suo posto, perdendo una partita dopo l’altra. Essere sconfitto da Komugi era la sua umiliazione giornaliera, unica nel suo genere. Tutti i giorni si riprometteva che la partita appena giocata sarebbe stata l’ultima e tutti i giorni si congedava dalla bambina ore dopo, pensieri e sentimenti ancora più confusi di prima. 

Perché non riusciva ad uccidere quello stupido essere umano? Era così fragile che gli sarebbe bastato un leggero colpo di coda per cancellare la sua esistenza; certe volte tendeva a dimenticarsi di quanto Komugi fosse indifesa. Certo era cieca, ma questo non l’aveva mai fermata dall’annientarlo sul tavolo da gioco. La sua concentrazione e la sua determinazione schiacciante quasi lo intimorivano, ma rendevano anche le loro partite terribilmente eccitanti. Mentre spostava quelle pedine, una dopo l’altra, ragionando e soppesando ogni singola mossa, cercando di immaginare il più possibile come si sarebbe evoluto il gioco, si sentiva esattamente come se stesse combattendo un duello mortale tanta era la pressione che quel piccolo essere umano riusciva ad imprimere nel gioco.   

Per quanto si impegnasse nell’ideare nuove strategie, per quanto cercasse di memorizzare lo stile di gioco di Komugi, lei con poche mosse riusciva sempre a metterlo in scacco. Era estremamente frustante. Normalmente quella frustrazione lo avrebbe innervosito e, come era sempre stato, ne avrebbe eliminato l’origine. Di norma quella bambina sarebbe diventata un cadavere nel giro di pochi giorni: il punto era che quel piccolo essere umano era assolutamente fuori dalla norma. 

Aveva provato un tale sentimento solo quando, il giorno della sua nascita, aveva tentato di uccidere Pitou per la sua disubbidienza, fallendo a causa della forza della sua guardia reale. Ripensandoci era stato un atto troppo impulsivo: quella formichimera si era rivelata non solo davvero forte e fondamentale per la difesa del palazzo, ma anche estremamente ubbidiente e devota, ancora più delle sue due compagne. Uccidere Neferpitou non sarebbe stato un bene, ma la frustrazione di non essere riuscito a far volare via la sua testa lo aveva accompagnato per giorni. 

Paragonato a quell’episodio, ciò che provava ora era ben peggiore: non era riuscito ad uccidere Pitou a causa della sua forza, ma il motivo per cui esitava dal trafiggere Komugi dipendeva solo da se stesso. Gli sembrava che anche quella fosse una partita fra di loro, una di quelle in cui la bambina gli strappava la vittoria da sotto il naso all’ultimo secondo. 

Lui aveva migliaia di mosse vincenti a disposizione, migliaia erano infatti i modi in cui avrebbe potuto ucciderla (o ordinare di ucciderla); Komugi a suo parere non aveva modo di uscirne illesa, eppure era riuscita ancora una volta a trovare quell’unica mossa vincente che lo aveva anzi messo in scacco. 

Komugi era riuscita a farlo sentire umano. 

Se ne era reso conto nel momento in cui l’aveva vista rannicchiata a terra mentre veniva attaccata da quel volatile. Il re era entrato in quella stanza per ucciderla e porre fine agli sgradevoli pensieri che lo tormentavano tutti i giorni. Aveva spalancato le porte con una sicurezza che in realtà non aveva e, temendo di non essere in grado di portare a termine la missione, stava quasi per tornare sui suoi passi e chiedere a Pitou di occuparsene quando la vide.

Lui l’aveva sempre considerata forte, nonostante sapesse che lei era umana e che per giunta non poteva nemmeno vedere. Lui l’aveva sempre considerata forte, ma in quel momento gli sembrò la creatura più debole che avesse mai incontrato e desiderò, come mai gli era successo prima, di avvolgerla con le sue braccia e con la sua coda per proteggerla da quell’aquila. Desiderò di poterla difendere da tutto e tenerla per sempre con se. 

Con uno scatto fulmineo eliminò il volatile e si precipitò dalla bambina sfregiata, ancora stordito e confuso dai pensieri appena formulati. Si accovacciò al suo fianco e, senza prestare attenzione, afferrò le sue mani: erano piene di graffi e ferite, come tutto il resto del corpo. L’improvvisa consapevolezza di quanto Komugi fosse debole gli piombò addosso come un pesante macigno e l’immagine di poco prima gli balenò di nuovo davanti agli occhi. 

Riacquistando un po’ di lucidità tornò a concentrarsi sulla bambina.

“Perché non hai chiamato qualcuno?” 

Il tono della sua voce era fin troppo alto, di certo non era suonato disinteressato come suo solito. 

“Qui... e anche qui... sei coperta di sangue”

Meruem non riusciva a capacitarsi di come quel misero uccello fosse riuscito a infliggere tanto dolore alla bambina e, per un attimo, si sentì in colpa: se lui fosse rimasto con lei, l’aquila non avrebbe nemmeno avuto il tempo di spiegare le ali che sarebbe rovinata al suolo. Ma fu solo un secondo. Subito dopo provò la forte voglia di darsi uni schiaffo per aver pensato una cosa tanto umana e debole.

“È mattina presto...”

Il re venne distratto dalla voce flebile davanti a lui. 

“Io- io non volevo disturbare nessun altro”

Meruem non poteva credere alle sue orecchie. Lui non era un essere umano, ma lo era stato un tempo, perciò comprendeva la natura degli uomini e i loro sentimenti. E allora per quale motivo quella bambina dai capelli bianchi continuava a sbigottirlo? 

Era cieca, piccola e fragile, si trovava in un ambiente estraneo, un palazzo pieno di formichimere che lei non poteva nemmeno vedere; aveva sentito le urla delle persone che prima del suo incontro con il re erano state brutalmente uccise ed era consapevole di ciò che Meruem fosse in grado di fare (dopotutto lo aveva letteralmente sentito staccarsi un braccio senza esitazioni); rischiava la sua vita ogni secondo, eppure l’unica cosa di cui si preoccupava costantemente era di non recare fastidio al re e alle sue guardie in alcun modo. 

“Tu non disturbi nessuno”

La sua bocca parlò ancora prima che Meruem potesse pensare di frenarla.

“Tu sei un ospite speciale” 

Che cosa gli era saltato in mente?! Ospite speciale? Tutti gli essere umani erano solamente carne da macello, nulla di più... Sì, certo.

Meruem ormai non credeva nemmeno a se stesso, si era arreso all’evidenza: Komugi non era una semplice bambina fastidiosa, non era più un giocattolo da buttare una volta rotto. Meruem, e lo realizzò in quel momento, provando per la prima volta disgusto per se stesso, non riusciva ad immaginare una giornata in cui Komugi non lo batteva a gungi. Era deplorevole, umiliante, ancora più delle sue numerose sconfitte. Eppure dopo essere stato finalmente sincero con se stesso si sentì incredibilmente leggero. Che fosse sollevato?

Uno strano suono lo distolse dai suoi complessi pensieri e gli fece volgere gli occhi verso la bambina. 

“Perché stai piangendo?”

Che le ferite avessero iniziato a farle male? Forse prima non sentiva il dolore a causa dello shook; aveva letto su un libro che il corpo degli esseri umani, se feriti gravemente, rilascia delle sostanze chiamate endorfine che servono ad attutite il dolore; dopo poco comunque l’effetto sparisce e le ferite tornano ad essere dolorose. 

Meruem sentì una strana stretta al cuore ma decise di ignorarla. 

“Mi scusi! È solo che.. che..”

La sua voce era rotta dal pianto, la sua faccia talmente buffa che al re quasi scappò un sorriso. Quasi. 

“Nessuno era mai stato così gentile con me!”

4-5-1, arco. Scacco. 

Meruem provò una sensazione nuova, ma non riuscì a concentrarsi su di essa a causa della bambina che continuava a piangere davanti a lui. Ora il suo pianto pareva disperato, come se fosse davvero sconvolta. 

Meruem non era in grado di formulare frasi coerenti, era del tutto perso in quella creatura tanto strana e complessa. La possibilità di ucciderla era completamente sfumata, scartata senza ripensamenti. 

Cosa voleva fare con quella bambina? 

•••••

Meruem era nella sua stanza, seduto a gambe incrociate sul suo letto. Non era affatto stanco e la sua testa era un turbine frenetico di sensazioni e sentimenti estranei, un tornado confuso e fastidioso. 

Sentimenti che parola inusuale e poco consona al re e alla sua natura. Però in quel momento non poteva trovarne una che descrivesse meglio la sua situazione. Komugi lo aveva reso più umano di quanto non avesse mai pensato di poter diventare; si era affezionato a quella bambina e si malediceva in ogni istante per questo. Anche se ormai era impossibile rinnegare quei sentimenti che si era accorto di provare nei suoi confronti, Meruem si ostinava a mantenere il suo tono orgoglioso mentre conversava con Komugi; nonostante sentisse l’ardente desiderio di sentire le sue piccole e morbide mani nelle sue come aveva fatto poco prima, restava sempre freddo e distaccato. O almeno ci provava. 

Dopo l’episodio dell’aquila aveva chiesto a Shaiapouf di riaccompagnare Komugi nella sua stanza. Ripensandoci si rese conto che la stanza della bambina altro non era che il magazzino della carne, quello in cui venivano lasciati tutti gli ospiti che aspettavano di essere ricevuti. 

Riportando alla mente le numerose persone che aveva avuto il piacere di trasformare in cadaveri da quando aveva iniziato la sua permanenza nel palazzo, rivide tutte le espressioni terrorizzate che lo avevano fissato prima di divenire vuote e prive di vitalità. Non era un sadico, non ricercava la sofferenza, però il terrore negli occhi delle sue vittime faceva sicuramente bene al suo ego. 

Komugi non lo aveva mai guardato in quel modo, nemmeno quando lui l’aveva minacciata di staccarle un braccio, nemmeno quando le aveva puntato contro la sua coda assassina. Komugi non poteva guardarlo in effetti ma Meruem era certo che, se mai la bambina avesse provato davvero paura di fronte a lui, il re sarebbe stato in grado di capirlo, anche senza guardare nei suoi occhi. 

Ecco! Stava di nuovo pensando alla stupida ragazzina. Come se non passasse già abbastanza tempo in sua compagnia. In realtà, nonostante le giornate intere passate a giocare a gungi con Komugi, a Meruem sembrava di non averne mai abbastanza. Quella piccola insignificante biondina lo influenzava davvero troppo. Era sempre così ostinata, così ingenua e sempre sincera; si preoccupava per lui come se si conoscessero da sempre quando lei non lo aveva nemmeno mai visto. Chissà se Komugi si era mai accorta del suo corpo decisamente non umano... 

un’immagine prese improvvisamente forma nella sua mente. Poche ore prima, troppo preoccupato per ponderare i suoi gesti, aveva afferrato le mani di Komugi. Quattro dita dalla pelle dura si erano strette delicatamente attorno a quelle della bambina. Lei aveva sussultato ma il re lo aveva interpretato come un verso di sorpresa dovuto al contatto improvviso. Il punto però non era quello, Komugi doveva essersi accorta della sua natura inumana. Se davvero se ne era resa conto, perché le sue labbra erano rimaste sigillate? Non aveva avuto paura di lui, aveva semplicemente ricambiato debolmente la stretta. Lo aveva ingannato. Ancora una volta. 

Meruem si alzò di scatto dal letto, percorrendo i corridoi e scendendo leggiadramente le scalinate. Voleva vedere Komugi, sentiva il bisogno di parlare con lei ora che conosceva la sua vera natura. Il sole stava lentamente sorgendo, l’alba macchiava il cielo di un intenso arancione. 

Il re aprì la porta del magazzino della carne, setacciando la ristretta area alla ricerca di una chioma bianca. Non trovò nulla. Meruem quindi percorse la stanza per ben due volte, scagliando via con un gesto della coda qualunque umano osasse rimanere sulla sua strada. Sentendosi pervadere da un’enorme angoscia chiamò, con un tono di voce basso ma irritato, Neferpitou che non si fece attendere. Lo salutò con un inchino e il suo solito sorriso sulle labra.

“Cosa desiderate?” 

“Lei dov’è?” 

La voce del re risuonò adirata nelle orecchie della guardia reale che, senza battere ciglio, si esibì in un secondo inchino mentre rispondeva.

“Sono davvero spiacente sire, non sono io ad occuparmi della bambina. È stato Shaiapuf a riaccompagnarla nel magazzino”

“Cosa che evidentemente non ha fatto!”

Esclamò allora il re. 

Improvvisamente una presenza a lui nota richiamò la sua attenzione: concentrandosi era in grado di percepire Komugi, non molto lontana da lui. Si diresse all’esterno, Pitou alle spalle che lo seguiva come un ubbidiente cane da guardia. Quando varcò la soglia del palazzo una gelida brezza lo colpì in faccia. Il sole stava facendo capolino dalle colline nell’orizzonte, creando nuvole dal colore roseo. Meruem girò la testa e finalmente i suoi occhi incontrarono una testa di bianchi capelli arruffati. Si lasciò scappare un sospiro, lieve ma percepibile. Si avvicinò lentamente a Komugi e le si accovacciò accanto. 

“Perché sei sulle scale di ingresso?”

Le chiese esausto, non tanto nel corpo quanto nell’animo. La preoccupazione, aveva scoperto quel giorno, era un sentimento prosciugante. 

“Si-siamo all’esterno quindi...”

La bambina sembrava soprappensiero e il re moriva dalla voglia di scoprire per cosa si stesse scervellando. 

“Avrei dovuto capirlo in effetti... brrr era davvero troppo freddo! U-una stanza non può avere così tanti spifferi”

Meruem continuava a non capire. Che stesse delirando? Forse il freddo le aveva dato alla testa. Ma per quale motivo, se per il suo corpo di mammifero quella temperatura era troppo bassa, era uscita all’esterno?

“Rispondi alla domanda” 

Komugi alzò il viso per fronteggiarlo e poi lo riabbassò velocemente

“Ec-ecco, farfalla mi ha porta-portata qui dicendomi di riposare. Pensavo di essere in una... in una stanza un po’ più fredda delle altre.”

Meruem non poteva credere alle sue orecchie: la sua guardia, la guardia alla quale aveva chiesto di scortare Komugi in un posto dove riposare, aveva condotto la ragazzina fuori al freddo. Meruem si sentì ribollire dalla rabbia e l’unica cosa che lo trattenne dall’andare egli stesso in cerca della farfalla indisciplinata fu il secco rumore di denti che sbattevano tra loro proveniente dalla tremante bambina. Si girò invece verso Neferpitou e, avvicinatosi, alzò la mano destra per concentrarvici tutta la sua energia. Schioccò un potente schiaffo sulla sua guancia, tanto forte da obbligare la guardia reale ad assecondare il movimento prima solo con la testa e poi con tutto il corpo. Pitou si ritrovò così per terra, un enorme taglio che percorreva lo zigomo sinistro. 

“Questo è per Shaiapouf, consegnaglielo”

Il re scoccò un’ultima occhiata glaciale alla guardia e poi se ne tornò al fianco di Komugi. 

La bambina stava ancora tremando, i denti battevano fra loro e il suo naso non era mai stato in condizioni peggiori. Nonostante questo la prima cosa che domandò a Meruem, ovviamente, non riguardava la sua condizione.

“Shaiapouf verrà punito? Non- non c’è bisogno! Io sono una nullità... non bisogna perdere tempo e energie dietro ad una come me” 

Meruem non la stava nemmeno ascoltando; tutto ciò a cui riusciva a pensare erano le mani di Komugi sulla sua faccia. L’idea gli era venuta qualche tempo prima quando, dopo aver congedato la bambina, aveva pensato con un certo fastidio che Komugi non avrebbe mai potuto vedere la sua faccia. Perciò si era fatto portare un libro sulla sua malattia e aveva cercato di trovare una cura. Dopo essersi arreso all’evidente incurabilità della cecità, era passato ad un libro sugli esseri umani ciechi e su come si svolgesse la loro vita normalmente. Aveva appreso molte cose (che i sensi come udito e tatto erano generalmente più sviluppati, che leggevano con una scrittura formata da punti in rilievo chiamata braille, che gli occhi delle persone cieche erano di solito come offuscati), ma la nozione che più gli era rimasta impressa era quella riguardante una loro abitudine per conoscere le persone: non era insolito che i ciechi passassero le loro mani sul viso dell’interlocutore per poterne immaginare il volto. 

Se Meruem non aveva ancora chiesto a Komugi di studiare la sua faccia era perché in fondo, e non lo avrebbe mai ammesso, non voleva che la bambina si spaventasse irrimediabilmente e smettesse di giocare a gungi con lui.

Ma ora Komugi sapeva di non essere in presenza di un essere umano.

“... io non sono degna di essere la causa di una-una punizione...”

La ragazzina stava ancora balbettando quando il re le si sedette nuovamente accanto interrompendo il suo sproloquio. 

“Dammi le tue mani” 

Le disse porgendogli le sue. Komugi si acquietò e, con la solita ingenua fiducia che la contraddistingueva, allungò le mani davanti a lei. Meruem avvolse le sue dita attorno ad esse e le guidò verso la sommità della propria testa. Komugi non ebbe alcuna reazione, lasciò semplicemente le sue mani appoggiate sullo strano cappello che sentiva.

“È-È un cappello?” 

Prima che Meruem avesse il tempo di risponderle la bambina mosse una mano fino ad arrivare a toccare l’estremità del cappello, ne percorse il perimetro e, seguendone il contorno, arrivò fino alla fronte del re. 

“Ah, ora ho capito. Non è un cappello, è la vostra testa” 

Komugi non sembrava affatto turbata dalla scoperta, semmai orgogliosa di aver capito da sola di cosa si trattasse e felice di poter finalmente immaginare il re. 

“Sì, nemmeno io so bene che cosa sia, però ricorda un elmetto” ammise lui.

Komugi si era fermata, indugiando con le mani ferme sulla fronte di Meruem.

“Continua” 

La bambina gli regalò un caloroso sorriso e, senza farselo ripetere, riprese a muovere delicatamente le dita sul suo volto, sfiorandolo in un modo che il re giudicò come la migliore sensazione fisica mai provata. Nemmeno sfamarsi del più potente utilizzatore di nen gli avrebbe potuto dare una così profonda pace, pensò.

Komugi strisciò le dita verso il basso e quando arrivò al limite degli occhi, a Meruem venne naturale chiudere le palpebre. Avvertendo il gesto, la bambina passò i polpastrelli su di esse, con quanta più delicatezza possibile. Poi fu il turno del naso e degli zigomi. Quando arrivò alle guance le coprì completamente stendendo le dita e facendo aderire i palmi alla superficie liscia ma dura che percepiva. Si spostò di lato e, con il dorso della mano, urtò un filo piuttosto grosso e ondeggiante che, dopo essersi allontanato per un attimo, tornò a picchiettare sulle sue mani. Komugi sembrò confusa.

“Sono antenne” disse semplicemente Meruem. La bambina non sembrò rifletterci più di tanto e passò oltre. 

Attraversò di nuovo la sua faccia e toccò le sue labbra; Meruem senza volerlo davvero, le schiuse al contatto. 

“Ora riesco ad immaginarvi. Siete una specie di tartaruga?” chiese dopo un minuto di silenzio Komugi. Il re non rispose perché, ancora una volta, non ne ebbe il tempo. 

“Siete bellissimo” 

Due parole, quindici lettere. Non avrebbe mai pensato che sarebbero potute essere così destabilizzanti. Meruem veniva elogiato tutti i giorni, era così da sempre. Le sue guardie ne lodavano la forza, la capacita di apprendimento, la risolutezza. Però nessuno gli aveva mai detto una cosa simile, nessun essere gli aveva mai rivolto un complimento di quel genere. 

Il re si ritrovò ad essere, per la prima volta, del tutto senza parole. Non riusciva a capacitarsi di come quindici lettere fossero riuscite a metterlo ko. 

“Ehm.. vo-vostra maestà... p-per caso avete anche una coda?” 

La voce di Komugi lo riportò alla realtà in un baleno e si accorse di aver involontariamente avvicinato la propria coda alle gambe della bambina. 

Meruem si sentiva sollevato come mai in vita sua. Komugi conosceva il suo aspetto e non lo aveva rinnegato, lui era finalmente riuscito ad ammettere di essersi affezionato a lei e ora stava provando sensazioni nuove e sorprendentemente piacevoli che non aveva intenzione di rinnegare. Incredibile come fosse partito tutto da una stupida aquila. 

“Sì, questa è la mia coda. È una specie di cilindro a strisce” le disse. 

Poi senza preavviso, le circondò la vita proprio con quella coda e, rialzandosi, la sollevò da terra. 

“Vo-vostra maestà! Cosa...” 

Komugi sembrava sorpresa. Meruem avvicinò la coda al propio corpo e riprese a parlare, anzi a sussurrare, ad una distanza che, la bambina lo sapeva, era ben più ridotta del solito.

“Ho letto in un libro, non ricordo più quale... forse uno che parlava della riproduzione umana, o di quella dei mammiferi in generale? Poco importa. Comunque ho letto in un libro che gli umani che provano sentimenti e attrazione nei confronti della controparte eseguono un rituale chiamato bacio” 

Komugi credette di essere in un sogno. 

“Vostra maestà... sì è-è vero. Quando due persone si amano-“

“Ecco che cos’era! Era un libro sull’amore. L’amore è una dedizione appassionata ed istintiva fra persone, volta ad assicurare reciproca felicità, giusto?” 

Si ricordava di aver letto anche quella definizione nel libro. 

“Io non saprei. Non sono mai stata innamorata prima” sussurrò lei in risposta e Meruem rabbrividì. Ormai i loro visi erano talmente vicini che anche il più lieve dei sospiri gli pareva un vento impetuoso. 

“Non importa. capis-“

“Aspetti! Io ho detto prima d’ora!” 

Il re scrutò interdetto la creatura sospesa davanti a lui. Non riusciva propio a capire dove volesse arrivare.

“I-io.. non ho altre esperienze in amore. Però secondo la vostra definizione... l’amore è quando si è felici di stare con qualcuno e-e io... io sono felice di passare il mio tempo con lei” 

A Meruem parve di sentire il suo cuore accelerare. Eppure era certo di essere perfettamente sano e in ottima forma. Komugi gli aveva appena detto... che lo amava? In effetti la sua spiegazione era coerente e precisa: lei era felice in sua compagnia e, in accordo con il suo comportamento generoso e sempre disponibile, si impegnava affinché anche lui fosse felice. Non era questo l’amore? 

Meruem si rese conto che anche lui stava bene quando giocava a gungi con Komugi; nonostante le infinite sconfitte umilianti, ogni mattina si recava nella sua sala entusiasta al pensiero delle partite che lo aspettavano, entusiasta di vedere Komugi. Non era anche questo amore? 

Il re smise di pensarci qualche istante dopo, quando avvertì una pressione estranea sulle proprie labbra. Komugi... lo stava baciando. La bambina rimosse le sue labbra dopo qualche istante, le mani ancora appoggiate alle guance del re che aveva usato per avvicinarsi al suo volto. 

“Io non ho idea di cosa voglia dire amare, però posso dirle questo vostra altezza: io sarei pronta a fare qualsiasi cosa per rimanere al vostro fianco perché starvi accanto mi rende felice.” Komugi aprì i verdi occhi e, per quanto fosse impossibile, a Meruem sembrò di essere fissato da quelle due pozze acquamarina. Voleva dirle che anche lui era pronto a correre qualsiasi rischio per lei, per rimanere con lei; avrebbe voluto spiegarle che anche lui era felice quando stavano insieme. Però Meruem non era uno sdolcinato essere umano, non era nella sua natura fare dichiarazioni del genere. Per questo si limitò ad una semplice affermazione. 

“Io potrei passare tutta la mia vita a giocare a gungi con te, anche se ciò implicasse perdere ogni partita ed essere sconfitto fino alla fine dei miei giorni”

Non era un “ti amo”, non era una convenzionale frase d’amore. Non era nemmeno stata pronunciata con particolare dolcezza, però per Komugi quella frase fu abbastanza. 

 

 

 

 

 

Salve a tutti!Innanzitutto vi ringrazio tantissimo per essere arrivati fino in fondo a questa mia prima storia. Sono abbastanza soddisfatta del risultato, quindi spero davvero che vi sia piaciuta. Se avete commenti di qualsiasi genere potete lasciare una recensione; anche le critiche sono ben accette, soprattutto vista la mia inesperienza! 

Grazie ancora💕 

-camilla

 
   
 
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