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Autore: IamNotPrinceHamlet    05/12/2017    2 recensioni
Seattle, 1990. Angela Pacifico, detta Angie, è una quasi 18enne italoamericana, appassionata di film, musica e cartoni animati. Timida e imbranata, sopravvive grazie a cinismo e ironia, che non risparmia nemmeno a sé stessa. Si trasferisce nell'Emerald City per frequentare il college, ma l'incontro con una ragazza apparentemente molto diversa da lei le cambia la vita: si ritrova catapultata nel bel mezzo della scena musicale più interessante, eterogenea e folle del momento, ma soprattutto trova nuovi bizzarri amici. E non solo.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Ma che caz-” per un attimo penso di essere rimasto inspiegabilmente intrappolato quando, dopo aver chiuso il rubinetto, allungo la mano ad occhi chiusi verso il box doccia per far scorrere la porta e questa non si muove di un millimetro. 

Ci metto qualche secondo e numerose spinte di troppo per capire che il problema è che si apre dall'altra parte, opposta rispetto a quella di Seattle. Perché non sono a Seattle, sono a San Diego, sono a casa. Eppure non mi sento veramente a casa, è come se fossi in vacanza, come se questo fosse l'ennesimo motel di passaggio e non il luogo dove avevo deciso di trascorrere il mio futuro, per lo meno quello più immediato, con la mia ex. L'oceano, durante la prima surfata di una mezz'oretta fa, mi è più familiare di questo posto. Forse è proprio l'effetto tour, l'essere sempre in un luogo diverso, che fa perdere un po’ i riferimenti. Forse è perché questa casa in un certo senso mi è davvero estranea, dopotutto ci stavo da due o tre mesi quando l'ho lasciata per trasferirmi definitivamente a Seattle. E non ho avuto neanche modo di personalizzarla più di tanto, anche perché aspettavo di farlo con Beth, perciò l'arredamento è piuttosto neutro e anonimo. Gli unici tocchi personali sono le figurine del baseball attaccate al frigo, la foto in bianco e nero di Pete Townshend in volo a mezz'aria con la sua chitarra che sta in camera da letto e che, pensandoci, quasi quasi porto con me a Seattle, un'acustica da quattro soldi appoggiata al divano, il canestro che ho sistemato sul retro, la muta stesa ad asciugare sul portico, il gioco delle freccette sulla porta. Quel poco di personale che c'era in più ora occupa la stanzetta e parte del soggiorno dell'appartamento che divido con Jeff e in cui ho ormai trascorso più tempo di quanto ne abbia vissuto qui in questa casa. Oppure è solo perché sono arrivato da sì e no un paio d'ore e non ho ancora visto nessuno della compagnia. La casa non la fanno le mura, ma le persone.

Lancio gli asciugamani nel cesto delle cose da lavare e mentre lo faccio mi ricordo che qui ho una lavatrice e che non sarà necessario andare da Wash'n'Go per fare il bucato, anche se il lavaggio non avverrà magicamente da sé e mi sarà comunque richiesto il piccolo sforzo di buttare i panni nel cestello, aggiungere detersivo e premere un bottone. Arrivo in camera, mi infilo maglietta e mutande pulite e mentre sto valutando se è il caso di far fare un viaggio nella lavatrice anche ai pantaloni o se posso farci un altro giro, ecco che sento suonare il campanello. Promuovo velocemente i bermuda per un ulteriore round e corro in sala mentre me li sto ancora allacciando e allargo con le dita le lamelle della veneziana per vedere chi è.

“Non sono una bella figa, ma spero tu mi faccia entrare lo stesso!” esclama Craig proprio in direzione della finestra.

“Perché dovrei?” gli chiedo dopo aver aperto la finestra.

“Perché ho la birra” risponde sollevando il cartone da dodici.

“Mi piacciono i tuoi argomenti” richiudo la finestra e apro la porta al mio amico, non mi piace definirlo migliore, non faccio classifiche o cose del genere, ma sicuramente è uno dei più stretti che ho e quello che mi porto dietro da più tempo, praticamente dall'infanzia.

“Ti odio” mi guarda scuotendo la testa, rimanendo sul portico.

“Anch'io sono felice di rivederti”

“Non mi hai aspettato” protesta indicando la muta appesa alla ringhiera.

“Lo sai che mi piace entrare in acqua presto”

“Sei uno stronzo,” borbotta entrando “ma sono contento tu sia qui” aggiunge dandomi una mano e una pacca non troppo delicata prima di entrare.

“Ti avviso che non ho niente da mangiare” preciso quando lo vedo andare diretto verso il frigo.

“A quello ci pensa Jamie più tardi, quando stacca dal lavoro, non temere” risponde sistemando la birra nel ripiano più basso del frigorifero.

“Cinese?”

“Ovvio. E viene anche suo fratello. Ah poi ci sarà sicuramente Mitch con la sua compagna di corso. E poi boh, qualcun altro”

“Avete organizzato tutto eh?”

“E la tua band?”

“Staranno tirando il fiato in albergo, dopo ci raggiungono”

“Perfetto. E la tua ragazza?” mi chiede a bruciapelo sedendosi sul divano.

“La mia ragazza?” vado verso la finestra e tiro su completamente la veneziana, come se mi aspettassi di trovarmela d'un tratto fuori dalla porta di casa pronta a bussare.

“Sì, la tua ragazza, dov'è?”

“Oddio, non lo so, non l'ho ancora vista. Non è certo venuta a darmi il bentornato, spero di non incontrarla neanche per sbaglio onestamente”

“Eheh ma non eri diventato zen?”

“Sì, ma se non la vedo è meglio” dopo aver ispezionato tutto il circondario raggiungo Craig sul divano.

“Comunque chi se ne frega di Beth, non voglio mica sapere della tua ex, parlavo di quella nuova”

“Quella nuova?” lo guardo storto e in nanosecondo capisco dove vuole andare a parare.

“Sì, come si chiama… Ce l'ho sulla punta della lingua…”

“Ma chi? Angie?”

“HA! Allora lo vedi che è la tua ragazza!”

“Eheh no che non lo è”

“Ma se l'hai detto!”

“Ho solo capito che intendevi parlare di lei”

“Seh seh, va beh, dove sta?”

“A Seattle”

“Come a Seattle? E quando viene?”

“Boh, non so, non è mica detto che venga”

“Come sarebbe a dire? Non gliel'hai chiesto?”

“Certo che gliel'ho chiesto”

“Come cazzo gliel'hai chiesto?”

“Ahah che significa? Gliel'ho chiesto, le ho chiesto di venire in California”

“Ok, ma come? Come gliel'hai detto, che parole hai usato?”

“Cosa cambia, scusa?”

“Cambia tutto, che le hai detto, Ed?”

“Le ho detto che sarebbe stato figo se fosse venuta a vederci suonare in questo tour”

“Stai scherzando?”

“Perché?”

“Le hai detto così?”

“Potrei non aver usato la parola figo, ma-”

“Sei un coglione”

“Ahahah ma perché?”

“Non verrà mai”

“Che ho detto di male?”

“Neanch'io sarei venuto a trovarti oggi se mi avessi fatto una proposta del genere, pensa te”

“E sentiamo, cos'avrei dovuto dirle?”

“Mah, non saprei, che ne dici di Mi manchi, ho voglia di vederti?”

“Certo, come no”

Vieni qui a San Diego, ti ospito io, così stiamo un po’ insieme?”

“Cristo santo”

“Eddie?”

“Così se ne torna direttamente in Idaho a gambe levate” gli atteggiamenti di Angie a volte mi confondono, non capisco se sta prendendo tempo o se veramente non si è resa conto che mi interessa, ma la verità è che propendo per la seconda. Se invece le dicessi una cosa del genere non ci sarebbe possibilità di equivoco e sarebbe costretta ad affrontare la questione e i miei sentimenti. E ci rimarrebbe di merda. E finirebbe per scaricarmi e tenermi a distanza come ha fatto con quel Dave…

“Ma questo lo dici tu!” ribatte Craig.

“Lo dico perché lo so”

“Va beh, posso almeno vederla?”

“Certo, se vieni a Seattle”

“Non fare lo spiritoso”

“Non lo faccio” rispondo sinceramente, non capendo cosa voglia dire.

“Dai, muoviti”

“Ma cosa?”

“Non provarci neanche a convincermi che non hai una sua foto perché non ci credo”

“Uhm… no… non penso di averne…”

“Non farmi perdere tempo, su”

“Aspetta, fammi guardare, ma non credo…” prendo i miei quaderni dal tavolino accanto al divano e ne faccio scorrere rapidamente le pagine.

“Guarda, cerca pure con calma, io non ho fretta” aggiunge piazzandosi uno dei cuscini dietro la testa e mettendosi ancora più comodo sul divano e a questo punto capisco che finché non gliela faccio vedere non mollerà il colpo. Mi alzo e raggiungo il tavolo, infilo la mano nella tasca della giacca di velluto appesa a una delle sedie e recupero il mio portafogli, da cui estraggo tre polaroid. Le analizzo velocemente prima di scegliere quella di cui sono meno geloso.

“Sei fortunato, casualmente ne ho una”

“Casualmente ce l'hai nel portafoglio eh? Fammi vedere” Craig mi spunta alle spalle, in un vero e proprio agguato, e mi ruba la foto prima che io possa protestare, sedendosi poi sul tavolo.

“Non mi ricordavo neanche di averla…” mento spudoratamente mettendomi il portafoglio nella tasca dei pantaloni.

“Certo, sicuro. Però, non male la ragazza” commenta senza staccare gli occhi dalla foto nemmeno per un secondo e improvvisamente mi rendo conto di quanto sia fragile il concetto di meno geloso.

“Non si capisce tanto la fisionomia perché fa la linguaccia” indico il volto di Angie sulla foto e ora come ora vorrei che la smorfia in questione nascondesse anche di più.

“No no, direi che si capisce che è carina, molto carina” insiste.

“Beh, sì”

“Si capisce tutto” io lo ammazzo.

“Ok ridammela” faccio per recuperarla, ma lui si sposta.

“Si capisce anche dove è stata scattata”

“L'ho fatta quando mi ha regalato la macchina” ci riprovo, ma ancora invano.

“IN UN LETTO, ECCO DOV'E’ STATA SCATTATA!”

“Ma che cazzo dici?”

“E sdraiata in un cazzo di letto! Hai capito, Eddie! E io che sto a darti i consigli, tu invece sei già avanti!”

“Non è un letto, sono i sedili della sua macchina”

“TANTO MEGLIO!”

“Ahahah ma piantala, coglione!”

“E bravo Eddie, ti avevo sottovalutato” mi rifila un altro paio di pacche sulla schiena e finalmente riesco a riprendermi la polaroid.

“Stavamo giocando”

“Me lo immagino… risparmiami i dettagli sui giochini che facevate però, ok?”

“Ma che giochini?! Volevo testare il mio regalo, ma lei non voleva farsi fotografare” spiego rimettendo la foto al suo posto.

“Guarda che non mi devi nessuna spiegazione, sei grande ormai” mi sfotte cercando di pizzicarmi una guancia, beccandosi di tutta risposta una manata che lo fa scendere dal tavolo.

“Non è successo niente”

“E cosa aspetti a far succedere qualcosa?”

“Dai, andiamo a prendere qualche onda” rispondo recuperando le scarpe accanto alla credenza.

“Ma non ci sei già stato prima?” mi guarda con aria interrogativa.

“Tutto pur di farti tacere”

*****************************************************************************************************

Love is in the Hair recita la scritta sulla vetrina del salone di bellezza, circondata da una nuvola di cuoricini rossi e rosa. Chissà cosa ne pensa Angie di questo gioco di parole? Entro e vengo subito accolta dal sorriso della ragazza dietro la cassa.

“Buongiorno! Hai un appuntamento?” domanda aprendo un cassetto ed estraendone un grosso libro dalla copertina blu. Solo quando lo apre e scorgo dei numeri capisco che si tratta di un'agenda.

“No, ehm, cioè, sì, sono l'amica di Meg, Kaminski… Grace”

“Ah sì! E’ in magazzino, aspetta che te la chiamo” mi strizza l'occhio e si allontana rapidamente verso non so dove.

Appendo giacca e sciarpa all'attaccapanni all'ingresso e mi guardo attorno. Hanno aperto da pochi minuti eppure ci sono già due signore ai lavatesta, una ragazza che si sta facendo fare le unghie e un'altra che si sta facendo spalmare un composto color rosa chewing gum, che presumo sia cera, sui baffetti.

“Ehi sei in anticipo! Che è successo?” mi volto e vedo Meg venirmi incontro con una specie di vestaglietta blu tra le mani, assieme alla ragazza di prima.

“Lo so, lo so, mi sono stupita da sola”

“La borsa puoi darla a me se vuoi”

“Sì grazie” la mia borsetta passa dalle mie mani a quelle di Meg e subito dopo a quelle della ragazza al desk, che provvede a sistemarla in un armadietto alle sue spalle, richiudendolo subito dopo a chiave. Mentre seguo con lo sguardo questo percorso, Meg mi infila questa specie di kimono leggero e me lo lega in vita.

“Allora, che vuoi fare? Quanto tagliamo?” continua Meg invitandomi a seguirla ai lavatesta.

“Non molto, vorrei solo alleggerirli un po'”

“Uhm facciamo tanto così? Magari con una bella scalatura generale?” domanda prendendo una ciocca dei miei capelli tra le dita e indicando una misura modesta.

“Sì, perfetto. Magari anche un centimetro in più, ma senza esagerare”

“Va benissimo. E il colore?” continua invitandomi a sedermi sulla poltroncina.

“Vorrei fare sempre un castano, ma magari un po’ più caldo” spiego mentre mi sistema un asciugamano sulle spalle, infilandolo per bene sotto il colletto della mia camicia.

“Ok, quindi niente cambio drastico di look per stupire Stone quando torna?” chiede mentre vado con la testa all'indietro e vedo il suo sorrisino ammiccante dal basso.

“No no, preferisco non rischiare di non essere riconosciuta”

“Ahahah addirittura?”

“Beh ci frequentiamo da così poco…” abbiamo praticamente appena iniziato a vederci e lui è già partito con la band, non credo ci sia necessità di cambiare immagine per non annoiarlo, deve ancora imparare a conoscerla la mia immagine.

“Stone è pazzo di te e ti conosce a memoria, non credo ci sia pericolo in tal senso, ti riconoscerebbe anche rasata a zero e con la faccia tatuata”

“Meglio non rischiare comunque” l'acqua calda sulla testa comincia ad avere il suo effetto rilassante.

“Come va tra voi?”

“Beh, va come due che non stanno nello stesso luogo e non si vedono”

“Beh ma vi siete sentiti?”

“Sì, qualche volta”

“Qualche volta?”

“Beh, più o meno ogni due tre giorni…”

“Direi che è un po’ più di qualche volta. Chi chiama chi?”

“Oh ecco, in genere mi chiama lui, cioè, mi ha sempre chiamata lui, anche perché si spostano continuamente. Mi sento anche un po’ in colpa, gli ho proposto di darmi il numero di dove si trova di volta in volta o di addebitarmi la chiamata, ma mi ha mandata a fare in culo ogni volta con una battuta sarcastica diversa”

“E’ un vero gentleman”

“Eheh già”

“Quindi è una cosa seria…” insiste con questa sorta di indagine e il massaggio con schiuma e acqua calda è estremamente rilassante, ma non abbastanza da farmi sbottonare a tal punto.

“Mmm forse, non lo so, è ancora presto per dirlo”

“Ok, ma lui mi sembra bello preso, no? E tu? Cosa provi?”

“Wow, eheh, questa… questa è una bella domanda”

“Che dovrebbe avere una risposta molto semplice”

“Mi piace, mi piace molto e sto bene con lui. Però dobbiamo ancora conoscerci nel vero senso della parola, ecco, dovremmo passare altro tempo insieme per capire se ingraniamo o meno” mi lancio in un bel giro di parole, perché Meg avrà pure studiato psicologia, ma non ho intenzione di farle da paziente in questo momento, mi limito ad essere una sua cliente del salone.

“Oh… OH! Adesso ho capito!” esclama interrompendo per un istante il massaggio, per poi riprenderlo in maniera leggermente più vigorosa “Non avete ancora… beh…”

“No io non… Non mi riferivo a quello! Anche se in effetti…”

“Va beh, ma ci sarà tempo per quello, quando i ragazzi torneranno”

“Sicuramente” rispondo cercando di cammuffare il mio imbarazzo tenendo gli occhi chiusi. Senza volerlo è riuscita a centrare uno dei miei motivi di ansia. E’ sempre la solita storia, che si ripresenta ogni volta che inizio a frequentare un ragazzo nuovo e ormai dovrei esserci abituata, ma forse non mi abituerò mai a questa cosa. Al fatto di dover ricominciare tutto da capo di nuovo, arrivare al momento di spogliarsi e mostrarsi per quello che si è e dover dare per l'ennesima volta le solite spiegazioni, sperando che lui non fugga disgustato o, peggio, non finga che vada tutto bene per poi spegnere subito la luce. Ancora una volta sono all'inizio di una storia e sono divisa tra la voglia di farla progredire, di viverla fino in fondo e godermela in ogni aspetto da una parte, e il desiderio di non uscire mai da questa fase, di restare per sempre, o almeno il più a lungo possibile, in questo limbo preliminare, fatto di appuntamenti, baci, battutine, sguardi e telefonate senza pensare a quando dovrò affrontare di nuovo queldiscorso.

“Magari se Stone non è tanto intraprendente da quel punto di vista, dovresti pensarci tu” commenta interrompendo il mio flusso di pensieri, mentre inizia a risciacquare lo shampoo.

“Non è una questione di intraprendenza… e comunque va bene anche a me non affrettare troppo i tempi, lo preferisco” più lunghi sono questi maledetti tempi, meglio è.

“E questo perché per te è una cosa seria, quindi avevo ragione! Mettiamo un po’ di balsamo?”

 

Dopo lo shampoo vengo dirottata su una delle postazioni del taglio. La rivista che trovo davanti allo specchio e che comincio a sfogliare ci dà degli argomenti interessantissimi, e soprattutto diversi da Stone Gossard, di cui parlare, come il metodo prodigioso per far ripartire il metabolismo in quattro settimane, le ville da sogno d'America, le trame degli ultimi episodi di Good Sports con tanto di servizio fotografico di Farrah e Ryan nel dietro le quinte, le ultime tendenze in fatto di stivali. Mentre Meg comincia a darsi da fare con spazzola e phon per l'asciugatura, una delle sue colleghe, una bellissima bionda sulla trentina, mi si avvicina trascinandosi dietro un carrellino che fa un bel baccano.

“Ti va se le mani te le faccio adesso, mentre Meg ti asciuga?” mi chiede  e senza attendere una risposta, mi prende la sinistra e la appoggia sul carrellino, sopra a un asciugamano arrotolato a mo’ di salsicciotto, si siede accanto a me e comincia a scrutarmi le unghie, poi prende una specie di piccolo pannetto, ci versa su quello che dall'odore sembra disinfettante e me lo passa sulla mano, dopodiché mi prende anche la destra e ripete la stessa sequenza anche con l'altra mano. E’ la prima volta in vita mia che faccio questa cosa e da come sono tesa penso l'abbiano capito tutte qui.

“Che dici? Abbiamo dato una bella svecchiata, ma senza esagerare” Meg richiama la mia attenzione  e solo ora mi accorgo che ha spento il phon e che mi sta spruzzando una lacca profumata sulla testa.

“Oddio sì! Grazie, Meg, sono proprio come li volevo” e stranamente sono sincera, in genere esco dai parrucchieri con una testa gonfia e imbarazzante, che non vedo l'ora di correre a rilavare a casa mia, invece stavolta sono davvero soddisfatta.

“Dopo vuoi fare anche i piedi?” il mio entusiasmo viene raggelato dalla domanda della collega di Meg.

“NO!” rispondo secca.

“Sicura? Guarda che ti faccio la tessera sconto” interviene Meg cercando di rassicurarmi, ma non è il prezzo il mio problema.

“No, non è quello è che… beh, soffro da morire il solletico e non amo che mi si tocchino i piedi, è una specie di fissazione. Sono strana, lo so, eheh” cerco di buttarla sulla paranoia per chiudere in fretta l'argomento.

“Praticamente è l'opposto di Mister Piedino” la ragazza strizza l'occhio a Meg, che fa una faccia disgustata.

“Chi è Mr Piedino?” chiedo incuriosita.

“Un porco schifoso” risponde Meg.

“Un cliente,” ribatte la collega “molto gentile ed educato, che lascia delle mance generosissime”

“Un maiale viscido che si fa fare i piedi da Samantha” Meg completa l'informazione, svelandomi anche il nome della sua collega.

“Non ha mai fatto niente di sconveniente”

“A parte farselo venire duro mentre gli massaggi i piedi” una delle due signore che stanno facendo la piega fa una faccia scandalizzata, l'altra sembra non aver sentito di cosa si sta parlando.

“Ahahah non è sicuro! E comunque, anche se fosse, sarebbe una reazione involontaria, non la può controllare”

“E ogni cazzo di volta, non appena ha finito, chiede di usare il bagno. Che schifo!”

“Ma magari ci deve semplicemente andare!”

“Sì, certo. Ci va a segarsi, altro che!”

“Oh cazzo” commento ridendo.

“Ma che ne sai?”

“Basta vedere l'espressione beata che ha quando viene a pagare!” la ragazza alla cassa risponde al posto di Meg da lontano.

“Dev'essere uno di quei cosi… come si chiamano… feticisti dei piedi” commenta la signora numero due, mentre una delle parrucchiere le gonfia la frangia.

“Ma quelli in genere si eccitano coi piedi degli altri, non se gli toccano i propri” ribatte Samantha.

“E’ la stessa cosa, sempre piedi sono” insiste la cliente.

“Non esattamente, il classico feticismo del piede è una questione di sottomissione, quello è solo un maniaco del cazzo” precisa Meg, forse dall'alto dei suoi studi.

“O del piede” osservo io facendo ridere lei, Samantha e la signora numero due, mentre la numero uno finge di non ascoltare concentrandosi su Vanity Fair.

“Va beh, allora sei soddisfatta del taglio?” mi chiede di nuovo Meg, cercando di cambiare argomento.

“Niente ciocche colorate?” domanda la collega sorridendo, mentre si sta scatenando con la lima sulle mie unghie.

“Ahahah no, Grace è una ragazza sobria, non una teppista come Angie”

“Angie? Le hai colorato i capelli?”

“Sì, mi ha stressato l'anima e alla fine ho ceduto. Le ho fatto solo dei colpi di sole comunque, però li ha tagliati un bel po'”

“Meches blu e viola” aggiunge la collega.

“Ha tagliato la sua preziosissima chioma?!”

“Pensa che lei li voleva più corti dei tuoi, è totalmente impazzita. Alla fine abbiamo trovato un compromesso su una lunghezza meno drastica, ma rispetto a com'erano lunghi prima…”

“Si vede che aveva voglia di cambiare… e magari anche di fare colpo su qualcuno” aggiungo alludendo a Eddie.

“Eheh credo che non abbia bisogno di fare ulteriormente colpo, il ragazzo è già stato conquistato” replica Meg muovendo un grosso specchio rotondo dietro di me in modo da farmi vedere il taglio anche nella parte posteriore.

“Però il ragazzo in questione non si dichiara” commento mentre le mie mani vengono messe letteralmente a mollo in una vaschetta d'acqua tiepida.

“E se ti dicessi che il ragazzo si è in un certo senso dichiarato?”

“E’ quell’in un certo senso che con Angie non va bene, le lascia sempre un margine di dubbio”

“In un certo senso solo perché Angie è ottusa, qualsiasi altra persona avrebbe capito che era una dichiarazione. Non voglio spettegolare, ma stiamo parlando di un regalo e di una lettera, il messaggio era chiaro”

“Il messaggio era Ti amo, voglio stare con te?”

“Eheh no, non così esplicito”

“E allora capisco Angie. Eddie ce la mette tutta, ma è ambiguo. Dovrebbe parlare chiaro, pane al pane, vino al vino. Capisco essere cauti, sondare il terreno all'inizio, ma dopo un po’ bisogna mettere le carte in tavola, soprattutto quando vedi che l'altra persona non coglie i tuoi messaggi tra le righe”

“Sì, ma se nessuno dei due si sveglia qui possiamo andare avanti per anni. Se non lo fa lui, allora lo deve fare lei” Meg si allontana verso una tenda fucsia, ci infila semplicemente una mano e ne estrae  una scopa, dopodiché torna verso di me.

“Ma certo, non dico di no. Dico solo che probabilmente questa situazione di stallo fa comodo anche a lui, magari sta prendendo tempo, magari non è sicuro, ha dei dubbi”

“L'unico dubbio che gli posso concedere è per l'età. E per la paura che Jeff gli spacchi la faccia se combina casini con Angie. Per il resto non vedo che dubbi potrebbe avere” spiega mentre raccoglie i miei capelli tagliuzzati dal pavimento con la scopa.

“Beh, qualsiasi dubbio abbia se lo deve chiarire e comportarsi di conseguenza, se non è sicuro che stare con Angie sia una buona idea, beh, che la lasci perdere, ma se invece decide di andare fino in fondo, che lo faccia una volta per tutte!”

“Concordo!” esclama Samantha, mentre sistema una serie di limette e bastoncini in fila sul carrellino.

“Beh, questa potrebbe essere l'occasione perfetta” suggerisce Meg intenta a raccogliere i mei capelli che furono con una paletta.

“Dici che sarà già atterrata a quest'ora?”

“Nah, troppo presto”

**************************************************************************************************

“Farò la fame per qualche mese, ma ne è valsa la pena” dico tra me e me non appena esco dall'aereoporto col mio zaino e mi ritrovo su un viale assolato costeggiato da palme. Esiste un'immagine più californiana di questa? Con il pullman avrei speso un terzo dei soldi, ma ci avrei messo venti ore per arrivare a San Diego. Invece, dopo neanche tre ore di volo, tranquillo e per niente turbolento, sono già qui. C'è una fila interminabile di taxi fuori dal terminal, ma prima ho bisogno di capire se me ne serve uno o no. Mi infilo in una cabina telefonica e chiamo il centralino per chiedere l'indirizzo di Winter’s, il posto dove suoneranno stasera i ragazzi di cui fortunatamente Eddie si è lasciato scappare il nome, dopodiché cerco El Cajon Boulevard sulla cartina di San Diego che ho appena acquistato in un edicola. Non è vicinissimo. Non è vicino per un cazzo, saranno una ventina di chilometri da qui. Il taxi mi serve per forza.

Ammetto che il piano non è dei migliori: gironzolare attorno al locale finché non vedo qualcuno. Tuttavia è l'unico che potevo elaborare senza dover chiedere troppe informazioni a nessuno e quindi senza che i Mookie venissero a saperlo. Considerando che è appena l'una, spero ci sia almeno un caffè in cui mi possa infilare nell'attesa che spunti qualcuno per il soundcheck. Il mare, o meglio, l'Oceano è ben visibile solo per un breve tratto di strada, in corrispondenza di un porto, poi giriamo verso l'interno. Il tassista è un signore di mezza età dalle guance rosse e il sorriso simpatico. Spero non sia ubriaco. Fa qualche domanda per fare conversazione, ma senza essere invadente. Mi fa i complimenti per i capelli. Li sento strani, mi sento stranissima, più leggera, più scoperta, il che non guasta visto e considerato che con la giacca di pelle sto iniziando a sudare. E meno male che ho ascoltato Meg e non sono partita col cappotto. Mi levo la giacca, resto col maglioncino arcobaleno e mi sento subito meglio, anche se in questo taxi senza aria condizionata sarei stata bene anche in maniche corte. Apro di poco il finestrino e pur guardando fuori, in realtà non sono più di tanto concentrata sul paesaggio che mi scorre davanti. Il mio pensiero è tutto rivolto a quella che sarà la reazione dei ragazzi quando mi vedranno e alle varie elaborazioni della scena, che vanno dalla più sguaiata reazione di stupore e giubilo alla totale indifferenza, alle prese per il culo per il mio piccolo cambio di look agli sguardi che dicono Cosa cazzo sei venuta a fare da sola? E Eddie? Cosa mi aspetto da lui? Sto qui a farmi i film su come reagirà e cosa mi dirà, invece magari non avrà nemmeno tempo di darmi retta perché sarà con i suoi amici di qui. Non so cosa aspettarmi e la cosa mi mette ansia, proprio adesso dovevo decidere di uscire dalla mia comfort zone? Che cosa volevo dimostrare? Che anch'io sono in grado di scalare il mio Space Needle e superare le mie insicurezze? Per ora ho solo dimostrato di saper prendere un aereo. E un taxi.

Arrivo all'indirizzo indicato, pago il tassista e mi guardo attorno. Il locale è così piccolo che ci metto un po’ a individuarne l'insegna, confondendola fra tutte le altre. Questo viale è tutt'altro che isolato, è pieno di attività commerciali, oltre ad altri club, un sacco di bar e ristoranti, fast food, supermarket, negozi di vario genere, anche uno di materassi, solo da qui vedo almeno tre carrozzerie e due onoranze funebri. D'istinto faccio per tirarmi su il maglione sulla spalla che resta ugualmente scoperta, attraverso la strada per raggiungere il locale e man mano che mi avvicino riconosco la piccola locandina che riproduce la copertina di Facelift appesa all'ingresso del club. Quando sono abbastanza vicina però mi accorgo che c'è qualcosa che non quadra, anche se non mi rendo subito conto di cosa si tratta, cioè percepisco che qualcosa è fuori posto, ma non riesco a individuarlo se non dopo alcuni lunghi secondi. Poi improvvisamente l'illuminazione: la scritta recita FEB 13 ALICE IN CHAINS. 13 febbraio? Ma oggi è il 12, il 13 è domani. Loro suonano stasera, sono sicura, me l'ha detto Eddie: ‘Il 12 siamo ancora a San Diego’ così ha detto… No, un momento, ad essere precisi ha detto'mercoledì 12’… Ma si è confuso perché oggi è martedì, o meglio, io ho dato per scontato che avesse sbagliato giorno della settimana. E se invece avesse sbagliato il numero?

Merda.

E se fosse un errore del locale? Mmm poco probabile. Se suonano domani io che cazzo faccio? Per prima cosa devo spostare il volo, sempre che me lo permettano, ma poi? Come faccio? Dove mi accampo? Come faccio a dirgli che sono qui? Perché devo dirglielo. Ma perché non sono rimasta a Seattle? Ma perché Eddie non ha il senso del tempo? Mentre sto andando in paranoia mi cade l'occhio un po’ più in giù, proprio sotto la foto della locandina, e la situazione assume un tono surreale: WITH PEARL JAM.

E chi cazzo sono i Pearl Jam?

  
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