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Autore: _Pocahontas_    11/12/2017    0 recensioni
Fabiana è una ragazza di 17 anni come tante. Vive ogni giorno le insicurezze che il suo corpo le procura e che spesso si crea da sola. E' innamorata da sempre di Marco, il ragazzo belloccio della scuola ma che considera un sogno proibito a causa del suo aspetto fisico. Amore e amicizia sono le parole chiave che contraddistinguono questa storia e che condurranno la protagonista ad una riscoperta di se stessa.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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La luce filtra dalle tapparelle semichiuse della mia cameretta; mi infastidisce così tanto che mi sveglia e mi costringe ad abbandonare i miei sogni felici. Odio profondamente questo momento della giornata, dover abbandonare il tepore delle coperte per affrontare la vita vera. Il liceo e tutti gli animali che ci vivono dentro.
Sbuffo infastidita sentendo il suono della sveglia e mi stringo ancora più forte nei piumoni come per ribellarmi a questa tortutra.
Ogni giorno è sempre la stessa storia.
La mia vita è un incubo da che ne ho memoria; la routine mi uccide, il mio corpo mi ingombra, i miei compagni mi prendono in giro.
Sono lo zimbello della scuola.
Una nullità che cammina.
Mi faccio coraggio e inizio a sgusciare fuori dal letto. Fa freddo, troppo per una freddolosa come me, tuttavia non ho altra scelta. E dire che il mio periodo preferito dell'anno è proprio l'inverno; amo le serate sotto le coperte, con una cioccolata calda che ti riscalda lo stomaco e i miei film preferiti che completano il momento, stupide storie d'amore per stupide ragazzine romantiche come me. Amo il natale, le serate in famiglia a giocare a carte tutti insieme, amo la nonna che non parla più con nessuno quando si introduce la regola del morto e rido, rido come una matta quando la chiamano sul cellulare solo per farla parlare. Lo fanno ogni anno, ma lei ci casca sempre.
E si imbroncia come una bambina quando è costretta a cedere la sua vita al solito nipote burlone.
Durante la notte ho perso le calze, l'impatto con il pavimento in ceramica è traumatico, è gelato e la sensazione spiacevole che mi crea, si dirada dalla punta dei piedi fino al cervello.
Sdradico letteralmente una coperta dal letto e mi ci avvolgo. Velocemente mi alzo e raggiungo il primo paio di ciabatte che vedo; è rosa e pieno di piume, un regalo eccentrico del mio unico amico. Sono orrende ma non potevo di certo mortificarlo.
Ho solo lui.
Con ancora addosso la mia coperta che funge da armatura pronta a difendermi dal freddo e dalle intemperie, mi avvicino alla finestra e con uno scatto da vera guerriera, tiro la cordicella e le alzo completamente facendomi investire dalla luce.
Non ero del tutto preparata, nonostante questo momento sia parte di tutte le mie mattine, la luce mi acceca e mi bruciano gli occhi. Me li stropiccio con la mano chiusa a pugno e sento qualche lacrima che scende bagnandomi le guance.
Nonostante i miei occhi siano scuri, neri come la pece, al contrario di come si dice e si pensi, sono sensibili alla luce.
Come ogni giorno, mi avvio verso la porta della stanza di mia madre e busso prima di aprirla leggermente; la stanza è completamente immersa dall'oscurità, l'aria è consumata e mi punge le narici << Mamma?! Svegliati, sono le sette >> mugugna qualcosa prima di rigirarsi tra le coperte << Mamma, svegliati dai! Metto il caffè a fare, tu intanto alzati! >> la sento sbuffare.
Mi viene quasi da ridere a vederla così.
Mi incammino verso la cucina e quasi inciampo nel mio piumone color glicine, troppo lungo per una tappa come me alta solo un metro e 58 centimetri.
Sistemo la caffettiera sul fornello più piccolo e, una volta acceso, mi vado a sedere in attesa che esca.
Ho il cervello in standby.
Prima del caffè è raro che io riesca a mettere in fila qualche pensiero logico e forse è un bene. I miei pensieri mi procurano solo ansia; ho l'ansia del lunedì mattina, la settimana è così lunga ed io mi sento già esausta. Ho l'ansia nel sapere di dover tornare a scuola, di trovare i miei compagni che mi aspettano pronti a dirmi qualche cattiveria. Ho l'ansia, sapendo di non riuscire a reagire come vorrei, mostrarmi forte come dovrei. Ho l'ansia se penso a tutte le lacrime che dovrò ricacciare indietro.
Il fischio della macchienetta mi riporta a galla, mi sentivo soffocare, mi ero di nuovo assentata facendomi sopraffare da tutte le mie preoccupazioni.
Mi alzo e spengo il gas, mi armo di cucchiaino e zucchero e ne verso 5 pieni nella macchinetta.
A noi il caffè piace dolce.
Giro lentamente lasciando che lo zucchero si sciolga con il calore e mi gusto l'aroma forte e intenso del caffè appena fatto.
E' il mio piccolo piacere quotidiano.
<< Mamma, il caffè è pronto, ti decidi ad alzarti da quel maledetto letto?! >> grido.
La sento gridare qualcosa in risposta ma il suono è troppo ovattatao e non riesco a percepire parole di senso compiuto.
Solo il tono della voce mi fa capire che è parecchio seccata.
Io e mia madre viviamo da sole da ormai parecchi anni.
Mio padre ci ha lasciate quando io avevo appena sei anni; lui e la mamma non andavano più d'accordo. Si sono sposati troppo giovani per i motivi sbagliati.
Lui cercava una sua indipendenza dalla madre.
Lei era follemente innamorata. Così tanto da non riuscire vedere chiaramente l'uomo che aveva al suo fianco.
Si sa che l'amore ci spinge ad idealizzare persone e interi rapporti.
Purtroppo, nel corso del tempo, quando l'amore un pò si raffredda per via delle delusioni e delle amarezze, i demoni escono alla luce e tutto appare esattamente per quello che è.
Succede in qualsiasi rapporto, quello che fa la differenza è la volontà di smussarsi a vicenda, di accettarsi nonostante tutto, di coltivarlo l'amore, non con gesti plateali ma nella quotidianità.
Parlarsi, comprendersi, rispettarsi.
Non credo nell'amore passionale.
Quello si consuma.
Credo nell'amore docile,credo nel bene e nel rispetto che unisce due persone negli anni.
Quello che si vede nelle coppie sposate da tanti anni.
Negli occhi dei nonni quando si guardano.
Lo si vede nelle coppie che sbuffano, litigano e si mandano a quel paese. Che scherzano platealmente davanti a parenti e amici su quanto maledicono il giorno in cui si sono sposati.
Ma che poi sono lì, pronti l'uno per l'altro, a vivere e condividere la vita intera.
Questo non è successo ai miei genitori.
E per un po' ho dubitato che l'amore esistesse.
E per un po' ho anche pensato di essere io il problema, che i figli non unissero ma dividessero.
Poi ho capito.
Un figlio non divide se una coppia è solida.
Un figlio non è una causa ma una scelta.
Una scelta per persone responsabili che sanno a cosa vanno incontro.
I miei, non lo sono stati.
<< Ti sei imbambolata? >>
Mi riprendo, come se fossi emersa dal fondo di un oceano e avessi ripreso a respirare solo in quel momento e mi accorgo che sto ancora girando il caffè.
Probabilmente lo zucchero si è sciolto da tempo.
<< Tazza o tazzina?>> ci pensa un po', grattandosi i capelli scuri e arruffati.
Sembra appena uscita fuori dalla peggior battaglia di cuscini.
<< Tazzina, non ho voglia di fare colazione adesso>> faccio spallucce e riempio una tazzina di caffè per lei e un tazzone di caffè per me, rigorosamente macchiato con del latte freddo.
Apro la credenza e mi si pone il primo grande interrogativo della giornata:
"Cereali dietetici e insapore o croissant caldo con la nutella che ti impasta la bocca e ti fa vedere gli angeli cantare?"
Fingo di pensarci.
Ovviamente la scelta ricade sulle merendine.
La prima scelta sbagliata di una lunga serie.
Me ne pentirò ma adesso non ci voglio pensare. Sono angosciata e ho bisogno di trovare conforto in qualcosa che mi piace.
Una gioia immediata e momentanea.
Dopo aver fatto colazione velocemente, mi dirigo in bagno mentalmente pronta al fatto che dovrò abbandonare piumone e pigiama.
Quasi pronta... E' sempre un trauma spogliarsi.
Fortunatamente il getto bollente della doccia cancella ogni traccia di freddo dal mio corpo.
Smetto di tremare e lascio che l'acqua calda mi avvolga e il vapore renda l'aria calda e quasi opprimente.
Mi passo il bagnoschiuma sulla pelle olivastra e sento con i polpastrelli le curve e la morbidezza del mio corpo.
Reprimo un conato di nausea.
Sono grassa e non lo sopporto. Mi sento imprigionata in un corpo non mio, che non mi appartiene, mi sento nascosta, chiusa, impossibilitata ad uscire.
Mi vien da ridere se penso che è il mio più grande desiderio poter uscire fuori ma è anche la mia più grande paura.
Ci ho provato.
Tantissime volte.
Ci sono anche riuscita in due occasioni, e sembrava andare tutto bene, fino a quando non sono sprofondata ancora.
Bastava affrontare l'ennesima delusione affinchè il castello di illusioni crollasse e la mia voglia di tornare nascosta si facesse di nuovo prepotente.
La mia insicurezza, la mia paura di affrontare la vita, i cambiamenti, mi hanno sempre schiacciata.
Non mi sono mai piaciuti, mi spaventano, l'ignoto mi terrorizza, ho il costante timore di non sapermi adattare.
Ma è un gioco crudele il mio, la mia stessa mente si prende gioco di me.
La vita è in costante cambiamento ed io non posso farci nulla.
Eppure, mi creo l'iilusione di essere sempre nello stesso punto, protetta dalle mie scuse e dal mio stesso nemico.
E malgrado nei sia a conoscenza, non riesco a ribellarmi, a trovare conforto in altro che non sia il cibo.
Appoggio la fronte sulle mattonelle fredde della doccia e trovo un po' di sollievo, tutto questo vapore inizia a darmi un po' di fastidi. Mi gira la testa e mi manca l'aria.
La doccia è durata più del previsto.
<< Ti vuoi muovere? >> mia madre picchietta sulla porta, a sottolineare il grado di ritardo in cui vertiamo << Sto uscendo >> fortunatamente è lei ad accompagnarmi, nonostante la scuola non sia poi così distante, l'idea di fare qualche passo al freddo, mi porterebbe maggiormente nello sconforto.
Lo stesso non si può dire per quando esco.
Bene o male però, Luca, il mio migliore amico, si offre sempre di accompagnarmi a casa, così mi sento meno sola e mi pesa di meno.
Non mi considero una ragazza molto autonoma, nonostante io sia già abbastanza grandicella da potermi permettere di fare da sola molte cose. So che ne sono capace ma le vivo male se so che non c'è nessuno con me. La solitudine non la sopporto, mi spaventa, non so gestirla.
Forse perchè mi sento già abbastanza sola da non volerlo essere completamente.
Esco dalla doccia e mi infilo dentro il mio accappatoio rosso, mi stringo forte al suo interno con il timore che il tepore possa abbandonarmi da un momento all'altro.
<< Finalmente sei uscita! Forza, fammi entrare, è tardissimo! >> sbuffo in risposta . Detesto le paranoie a prima mattina. Di solito sono io quella agitata quando si tratta di fare tardi ma questa volta non è così.
Mi sta pesando troppo uscire di casa, ho uno strano presentimento ed è difficile che io mi sbagli.
Forse perchè sono una persona fin troppo negativa e richiamo negatività; chissà se è vero che è solo una questione mentale, che è il nostro cervello a dirottarci sulle scelte sbagliate così da concretizzare le nostre stesse sensazioni.
A passo svelto e a piedi nudi mi dirigo verso la mia stanza. In lontananza avverto mia madre gridare e immagino già sia per le stampe che i miei piedi bagnati hanno lasciato su tutto il pavimento.
Rido di gusto immaginandola con le mani in aria che si muovono goffamente gesticolando chissà cosa, il volto paonazzo di rabbia e il suo farfugliare nel tentativo di esprimere al meglio il suo rimprovero.
Tempo perso.
Ogni mattina è la stessa solfa.
Non lo faccio di proposito, la mia è una vera e propria repulsione verso le ciabatte, le perdo costantemente.
Preparo con cura le robe da indossare; un paio di mutandoni da nonna, da me definite "le mutande contieni panza", un reggiseno nero, un maglioncino nero con scollo a V e un paio di pantaloni anch'essi neri.
Una macchia che cammina.
Uno scarabocchio.
Non ho molto di colorato e quello che ho non lo indosso mai, mi sento a disagio, mi vedo ancora più ingombrante.
Come se vestendomi di nero potessi apparire meno grassa.
Come se un vestito scuro facesse miracoli o mi rendesse invisibile ad altri occhi.
Tuttavia, vestirmi di nero, mi fa sentire più a mio agio in un certo senso.
Non importa se per il resto del mondo sono lugubre o ridicola, se sembro un punto nero in un mondo a colori.
Io sono così.
Mi vesto velocemente, infilo il primo paio di scarpe che trovo, butto un'occhiata ai trucchi posati sul tavolino e scuoto la testa. Non ne vale la pena.
<< Mamma, sono pronta, andiamo? >> esce trafelata dalla sua camera << Si, andiamo >> mi porge una sciarpa, quella di lana che detesto perchè mi irrita il collo << Mettila, fa freddo oggi >> arriccio il naso con disappunto ma lo faccio, infilo il giaccone pesante, rigorosamnte nero, e sono pronta per uscire.




<< Finalmente! Ormai ti avevo dato per dispersa! >>
Il viaggio in macchina è stato breve e silenzioso. A scuola ci sono arrivata con giusto qualche minuto di anticipo al suono della campanella.
Davanti a me Luca mi guarda con sguardo accusatore.
Ogni volta gli prometto di arrivare prima e invece, puntualmente, faccio sempre tardi.
<< Scusa, lo sai che la mattina per me è un trauma venire qua >> scuote la testa rassegnato e sulle sue labbra carnose compare un lieve sorriso.
E' dolce e mi dà sollievo.
<< Anche oggi non siamo riusciti a ripassare, peggio per te, oggi la professoressa di storia ti spellerà viva >> incrocio le braccia al petto sentendomi ancora più ovattata coperta dal giaccone e dalla pesante sciarpa che mia madre mi ha costretta ad indossare << Certo che sei davvero perfido! Lo sai che sto con l'ansia per questa interrogazione e tu infierisci! >> mi imbroncio.
Scoppia a ridere e quasi ne rimango incantata, la sua risata è pulita, dolce, proprio come lui, nel suo animo e nel suo aspetto << Andrà bene, vedrai >>lo guardo poco convinta della sua affermazione.
Ricambia il mio sguardo ma nei suoi occhi azzurri intravedo solo tanta sicurezza.
Crede in me e nelle mie possibilità come mai nessuno ha fatto prima.
Voglio molto bene a Luca, è come un fratello per me; c'è stato un tempo, il primo anno delle scuole superiori, in cui me ne innamorai perdutamente. D'altronde non è così difficile innamorarsi di un tipo come lui; alto un metro e ottanta, lineamenti perfetti, labbra carnose, occhi azzurri, naso dritto e proporzionato incorniciati da un viso non troppo ovale, capelli castani, corti, curati.
Ma la parte migliore di Luca è la sua anima.
E' un ragazzo dolce, introverso, molto selettivo con le sue amicizie, spiritoso, paziente, a volte è un testone, si impunta sulle cose sciocche e può apparire freddo quando tenta di nascondere le sue fragilità.
Ma in fondo è un ragazzo molto dolce.
E' la mia anima affine.
Il mio migliore amico.
<< Mi hai convinta, guarda.. . >>
<< Forza Miss sarcasmo 2017, la campanella è suonata >>.




I corridoi della scuola sono ghermiti di studenti che si incamminano con poco entusiasmo verso le rispettive aule.
La mia classe è al completo, all'appello manca solo il professore di diritto stranamente in ritardo.
In cuor mio, spero in una sostituzione dell'ultimo minuto << Speriamo non si presenti >> sembra aver letto i miei pensieri << Come dice un detto a me molto caro: "La speranza è l'ultima a morire ma la prima a prenderti per il culo" >> alza gli occhi al cielo in un gesto disperato << Sempre la solita pessimista >>.
Mi guardo intorno e noto che ci sono davvero tutti; il gruppo delle oche al completo che sfoggia un vestiario "vedo/non vedo".
Più vedo... Onestamente.
I secchioni al primo banco intenti a ripassare tra di loro.
Il ragazzo solitario, l'unico vicino alla finestra aperta, quello che non socializza con nessuno, di cui conosci il nome solo grazie all'appello.
Il gruppo dei ragazzi intenti a ridacchiare per chissà quale motivo, capeggiati da Marco, il ragazzo più carino della scuola.
Il ragazzo dei miei sogni.
Alto, fisico asciutto, capelli neri, occhi verdi, labbra sottili ma invitanti.
Un sogno proibito per una come me.
Stamattina si respira un'aria fin troppo ilare.
I ragazzi parlottano tra di loro.
Le arpie invece mi indicano e ridacchiano, probabilmente commentando il mio abbigliamento o i miei capelli senza alcuna piega, lunghi fin sotto il bacino.
La mia tenda personale, il mio scudo che rende il mio viso poco visibile e la mia tristezza ben nascosta.
<< Che succede stamattina? >> doamando a Luca.
Si guarda intorno perplesso << A me sembra che sia tutto come al solito >> poi fissa un punto alle mie spalle << Eccetto quello >> e mi indica un foglietto ben ripiegato lasciato sul mio banco.
Lo fisso, come fosse proibito, come fosse incandescente o ricoperto da veleno e sia pericoloso toccarlo.
Mi guardo intorno cercando di capire se l'attenzione sia rivolta a me.
Forse sono davvero una sciocca, forse questo bigliettino non significa nulla ed io mi sto solo facendo un sacco di film mentali.
Le oche hanno smesso di degnarmi delle loro malefiche attenzioni, troppo impegnate a commentare Luca e Marco.
<< Aprilo, no? >> incalza Luca.
Annuisco e lo afferro, mi tremano un po' le mani.
Temo in qualche scherzo di cattivo gusto.
L'ennesimo.

Ti aspetto vicino ai bagni dopo le lezioni.
M


Alzo gli occhi di scatto, aspettandomi qualche sguardo curioso nello scoprire la mia reazione a questo ennesimo scherzo.
Eppure, nessuno mi guarda.
Solo lui, il ragazzo solitario, un breve sguardo, un po' criptico.
<< Hai un ammiratore? >> mi domanda Luca con fare ammiccante.
<< Ma sei scemo? Sarà sicuramente qualche scherzo di pessimo gusto! >> storce le labbra, lo fa sempre quando ha qualche dubbio << Ci andrai? >> sto per rispondere ma il professor Camillo, docente di diritto, entra trafelato in aula.
<< Tutti ai propri posti >> urla.
Luca si allontana a malincuore verso il suo banco lasciandomi sola con questo grande interrogativo.
Che devo fare?

 
  
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