Every time I fall in love
I go and fuck
it up
right when it gets good
Don't you think
it's funny?
Don't you think it's funny?
I know I
did all the shitty things to you
I said I never ever
would
Baby, that's so like me
Baby, that's so
like me
-Sasha Sloan, Runaway
Aveva intuito che il loro mondo stava scivolando via quando gli
sguardi avevano iniziato a diventare semplici occhiate in cui la
complicità e l'affetto che solitamente trasparivano erano
coperte da un velo di apatia. Le loro mani avevano smesso di cercarsi
e le labbra di incontrarsi. Quei piccoli dettagli avevano costruito
una fortezza di incertezze miste alla paurosa consapevolezza che il
loro amore stesse crollando come i petali di un fiore che avverte
l'arrivo del gelo. Ma non erano stati solo loro a far scattare un
campanello d'allarme in Dazai, sapeva che l'amore che condividevano
lui e Tomie non era fatto unicamente di quei gesti: le parole, ad
esempio, giocavano un ruolo importante sebbene entrambi sapessero
quanto fosse sbagliato affidarsi a queste ultime. Il loro rapporto
era fatto principalmente di gesti, parole e fiducia. E ora di tutto
rimaneva solo quella. Dazai aveva sempre creduto che sarebbe bastata,
ma può essa essere sufficiente quando è la testa ad
avere la meglio sul cuore?
Aveva cominciato ad avere paura senza
nemmeno rendersene conto.
Quattro chiamate perse.
“Dove sei?”
E quando l'aveva capito aveva iniziato a tremare.
“Perché non hai risposto alle mie chiamate?”
Tomie lo aveva guardato perplessa ricordandogli che quando era a lavoro spegneva sempre il cellulare. Dazai l'aveva guardata con occhi assenti, poi si era voltato nella direzione opposta e aveva cambiato argomento, il tono giocoso che non permetteva ai sentimenti di trasparire. Eppure dentro di lui il dubbio gli lacerava le carni.
Tre messaggi da ascoltare in segreteria.
Non lo cercava più quando, durante le notti di pioggia, le temperature calavano come le loro difese.
“Sei sveglio?”
“Sì, non
riesci a dormire?”
“Volevo solo accertarmi che
fossi qui”
Avrebbe voluto toccarla ma ormai non riusciva nemmeno più a guardarla senza il timore di scorgere i segni lasciati da qualcun altro sulla sua pelle diafana o immaginare i capelli violetti sparsi sul cuscino di un letto che non era il suo.
“E dove dovrei essere altrimenti?”
Una
risata, un sorriso.
Neanche al buio Dazai aveva il coraggio di voltarsi verso di lei.
“Stringimi. Ho freddo”
E tutto passava.
Per un attimo fu tentato di farlo, di allungare la mano verso il
suo viso addormentato e rubarle una carezza, ma ritrasse la mano
ancora prima di sfiorarla con un dito.
Forse Tomie aveva capito di
aver sbagliato a mettergli il proprio cuore tra le mani, eppure lui
se n'era preso cura, era stato attento, non lo aveva mai fatto
cadere, nemmeno una volta. Non poteva affermare di non averlo
graffiato almeno un po', ma aveva prontamente coperto quelle
minuscole imperfezioni fino a farle rimarginare del tutto. Dazai
Osamu aveva sempre creduto di essere un uomo destinato ad essere
risucchiato dal vuoto che si portava nel petto, convinzione che era
stata spazzata via dal sorriso dolce di Tomie, dalle sue mani e dalle
sue labbra. Cosa stava succedendo dunque? Stavano cadendo come un
castello di carte alla prima folata di vento. E di tempeste loro due
ne avevano affrontate. Ne erano sempre usciti vincitori però,
i cuori scompigliati ma le mani strette le une in quelle dell'altro
in una muta promessa.
“Cosa ci sta succedendo?”
Per quel motivo lei non capiva. Perché lui era così freddo?
“Non mi ami più?”
Le lacrime che aveva tentato di trattenere cadevano al suolo
insieme alle certezze costruite in quegli anni.
Dazai odiava
vederla piangere. Avrebbe voluto stringerla fino a farla sparire ma
il cervello si rifiutava di sottostare ai comandi del cuore. Rimase
fermo mentre tutto attorno il mondo si sgretolava come polvere.
“Certo che ti amo”
Non metteva in dubbio che fosse tutta colpa sua. Era così bravo a rovinare le cose belle... perché non poteva semplicemente amarla come meritava?
“Ti amo più di qualsiasi cosa”
Come avrebbe potuto dirglielo che quando la notte chiudeva gli
occhi rivedeva davanti a sé la sagoma di Odasaku allontanarsi
e raggiungere il precipizio? Come poteva dirle che il sangue degli
innocenti sui suoi vestiti era ancora fresco e l'odore ferroso gli
riempiva la testa di paranoie? Come? Come poteva amarla quando non
era in grado nemmeno di amare se stesso?
Troppi addii detti quando
il treno non aveva ancora lasciato la stazione, troppi sorrisi
trasformati in smorfie di dolore. Troppa paura di non essere
abbastanza.
Ora anche lui piangeva. Assaporava il sale dopo anni, dopo che ne aveva quasi dimenticato il sapore. Non trattenne più le lacrime e non nascose più a se stesso che la paura di sentirsi dire addio l'aveva spinto troppe volte a fare pazzie. Non nascose più che il respiro gli mancava al solo pensiero di essere lasciato da solo al calare della sera.
Tomie gli si avvicinò singhiozzando e i loro occhi vitrei si incontrarono specchiandosi gli uni negli altri. Allungò la mano verso la sua guancia e scacciò via una lacrima, poi gli prese la mano e se la portò al petto proprio all'altezza del cuore.
“Lo senti? Batte per te. Batte ancora, dopo tutti questi anni batte solo per te. E ora lascialo guarire, questo cuore. Lascialo guarire. E guariremo anche noi Osamu. Guariremo”
E Dazai ci credette perché era stanco di scappare. Voleva solo stendersi insieme a lei e vedere il cielo tingersi dei colori dell'alba mentre le loro ferite si rimarginavano. Entro il tramonto tutto sarebbe tornato come prima.
Guariremo.