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Autore: Anonimadelirante    13/12/2017    1 recensioni
“Rebekah ride come non ha mai riso nessuno, nella sua vita – ride d'una risata secca, lunga, quasi prepotente, magnifica ed ipnotica come lo è Chicago (ricorda di aver pensato, allora, che quella sarebbe potuta essere l'ultima risata della sua vita, lunga tutta la notte, supponente, un'eco immortale che sarebbe riverberato nell'universo per l'eternità). [...] Adesso non ride più con la stessa prepotenza, ma sorride piano contro il petto di Stefan.”
[Stebekah | contesto generale-vago-nullo | post!4x11 | HAPPY B-DAY ANGIE!♥]
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mikael, Rebekah Mikaelson, Stefan Salvatore
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Pairing/Characters: Stefan Salvatore, Rebekah Mikealson, nominati Klaus, Damon Salvatore, Elena Gilbert e Matt Inutilità Donovan. Stebekah; hint!Klefan, hint!Rebekah/Klaus – perché sì, e perché Klaus sta bene ovunque. Hint(ma un po' meno hint delle altre)!Damon&Stefan, perché non so non scrivere di loro. Ehm. ‘So sorry.
Warnings: piccoli SPOILERRR! disseminati qua e là per quanto riguarda la 7S (se a qualcuno interessa)
Disclaimer: nope, chiaramente. @500themes_ita — 26. Risata immortale, per la prima short; 483. Quando le risate si perdono nel piacevole silenzio, per la seconda.
N/A: per la verità io shippo più la Klefan♥, che la Stebekah per motivi personali per cose per via delle battutine di Angie beacuse of reasons (no, non è vero, la mia è un'OT3 – Klaus/Stefan/Rebekah, e tante grazie), but, anyway: Angel compie gli anni e Mal risponde. Così va la vita. (Con undici mesi e qualche giorno di ritardo, ma!, ci sono! Ci sono: happy Bday, darling :*) (sì, questo era il fics!regalo dell'anno scorso. Sofia e il tempo, una storia destinata a finire male prima ancora di iniziare)

 

Buon compleanno,
ti avvicini ogni giorno che passa alla tomba <3
(Ma solo figurativamente parlando, visto che sei, tipo, un'immortale feccia succhiasangue :3)

 

 

 

Laughter

Bisogna ridere prima
di essere felici, per paura di morire senza aver riso.
(I caratteri – Jean de La Bruyère)

 

 

 

 

Chicago — Anni ‘20.

(Never have I had a rational mind, and never have I been rational
inside – never gonn apologize for being so intense. And an untamed beast lives inside of me)


Rebekah ride come non ha mai riso nessuno, nella sua vita (c'è stata la risata di sogno di sua madre, una carezza che forse è un'illusione, qualcosa che non è sicuro di ricordare davvero: forse è solo un'immaginazione; c'è quella lontana di suo fratello, un inverno passato a fare la lotta vicino al camino ben attizzato, briciole d'un passato che gli mancherebbe, se solo ancora sapesse cosa vuol dire mancanza. Quella dolce e appena soffocata, timida, di Valerie, una primavera che sfuma nell'autunno, primule su una tomba, l'amarezza d'una vita insieme mancata. E poi, poi, quella più bruciante di tutte, una ferita calda, ancora aperta – se non altro perché non sentirà mai più la risata di Damon per via dell'eterna mancanza di quella di lei – Kathreen Pierce e la sua risata da gatta, un sussurro di tenebra, sangue e vino e segreti – il modo in cui abbassava il viso e nascondeva appena le labbra, e sbatteva le palpebre e lo guardava) – ride d'una risata secca, lunga, quasi prepotente, magnifica ed ipnotica come lo è la Chicago di quegli anni, fra balli e martini. Getta la testa all'indietro, i boccoli biondi tagliati di fresco, un filo di stoffa brillante che le scivola sulla fronte. Ha il collo lungo, bellissimo, una curva d'avorio, e la collana di perle che lo cinge sembra quasi ammiccare, nella risata lunga di lei. Stefan non ricorda cos'ha detto per farla ridere così – non ricorda, in realtà, assolutamente nulla, solo un'eco lontana di cosa è stata la sua vita anni prima, l'altra sua vita (sole e giochi a palla e capelli scuri) e poi sangue, solo sangue, Klaus e il suo sorriso serafico, lontano, quasi malinconico nella sua provocante continua sfida (Avanti, sembra dirgli senza aprire bocca, avanti, baciala, su, fallo, davanti a me, avanti, bevi,avanti, uccidi). Non ricorda come si sia trovato semi-sdraiato su un divanetto di tela cremisi a soffocare il singulto d'una risata, e Rebekah al suo fianco, le spalle che tremano, il vestito stropicciato, le calze smagliate, la fascia per capelli irrimediabilmente storta. La sente ridere, ridere fortissimo, ridere con lo stesso timbro d'una malia di strega, le labbra, solitamente rosa, rosse di sangue – sangue, sangue dappertutto, in tutta la stanza, in tutta la sua vita, l'ultimo infinito battito di migliaia di cuori morenti (cuori che ha soffocato lui, dal primo all'ultimo, nel gorgoglio di vene strappate: c'è così tanto sangue, pensa, nella stanza d'albergo in cui si trovano così come nella sua vita. Così tanto sangue). Stefan non lo ricorda – potrebbe essere una battuta sul suo abbigliamento o una risposta sgarbata, non sa, Rebekah ha un senso dell'umorismo che l'affascina e lo confonde insieme. Ricorda, invece, ricorda il sangue, ovunque, sangue sulle pareti e sul colletto della sua camicia bianca, sangue sulle sue labbra gonfie, nella sua risata ch'è un ringhio. Il sangue ha un gusto buonissimo, sa di scherzi ed estati passate, remote, anche se non è certo di sapere il perché. Il sangue rende tutto più vivido, ogni suono immagine canzone battito soffio di vento sussulta nella sua testa, ma è magnifico, magnifico, oltre che doloroso, come godersi l'alba ed il tramonto, contemporaneamente, a tre passi dal sole. Fa così male- è solo una sensazione, in realtà. Gli gratta la pelle e gli rizza i capelli sulla nuca. Come se quella risata, Rebekah e i suoi capelli dorati, i flûte colmi di champagne, e le sue labbra rosa, rosse, il sangue che non è suo ma che lei beve, e Klaus, Klaus e il suoi sorrisi mefistofelici, provocanti, e le sue bottiglie da milioni di dollari, come se loro due, loro tre, siano tutto ciò che il mondo possa offrirgli. Ed è una consapevolezza che un po' gli piace, un po' gli fa male, d'un dolore sordo, come quello che prova la mattina quando si sveglia col braccio di Rebekah a cingergli un fianco e un cadavere nudo ai piedi del letto – Damon una vita prima, decenni fa, in una serata che sembra inafferrabile aveva riso fino alle lacrime: Non stai per morire, aveva detto. Chissà perché Stefan lo ricorda adesso, con così tanta chiarezza (allora non c'era champagne, ma solo bourbon invecchiato male, e non c'era sangue, ma lividi nascosti sotto la camicia di suo fratello. La tubercolosi s'era già portata via loro madre, ma Valerie e i suoi sguardi di miele non erano ancora arrivati in città. A Damon venivano delle rughette buffe, intorno agli occhi, ogni volta che lo guardava mentre faceva qualcosa di stupido. Come imboscarsi nella cantina e pensare di non venir scoperto). È solo una sbronza. S'era sporto a tre centimetri dal suo naso per rubargli la bottiglia. E sai qual è la maniera migliore per evitare di sentirsi così, dopo? Non smettere mai di essere ubriachi. (Damon, infondo, ha sempre dato pessimi consigli) E forse è così. Chi lo sa. Klaus è alle sue spalle e soffia una risata anche lui, in un gorgoglio di champagne e sangue e Rebekah continua ridere, sul pavimento, a cavalcioni sul petto d'un uomo (Stefan può sentire il suo battito farsi più debole ogni secondo che passa e non ha mai sentito nulla di più bello), la testa rovesciata all'indietro, la bocca tiepida, i capelli dorati nella penombra della stanza. Stefan si china su di lei e le morde il collo, sente il sangue dell'uomo morente scivolargli in gola insieme allo champagne che lei ha bevuto dal calice di Klaus, sente la pelle tesa e lembi dello squarcio fremere per rimarginarsi, sotto le sue labbra. Ed è la stessa sensazione di vertigine che ha provato decenni fa, con in mano una bottiglia d'alcool per la prima volta e suo fratello vicino, solo che è più piacevole ed infinitamente più intensa. Merde forte, di nuovo, la pelle chiarissima di Rebekah e ride anche lui contro il suo petto.
(C'è Chicago, là fuori, ch'è una girandola di luci e passanti ignari e camerieri ben lieti di entrare in camera loro per la colazione. Klaus, alle sue spalle, non ha smesso un secondo di sorridere, e non è sicuro se tutta questa voglia di ridere sia dovuta all'ironia perfida della sua vita, alle labbra invitanti di Rebekah, allo champagne o al sangue che ha bevuto direttamente da lei, come in un flûte fatto di pelle color ceramica, infinitamente più caldo e prezioso e palpitante di quelli di cristallo che stringe Klaus fra le dita – ma non importa, non davvero. Questa notte è fatta apposta per loro.)
La risata di Rebekah continua più della sua e di quella di Klaus messe insieme e sembra che debba durare in eterno.

 

 

 

 

 

Mystic Falls — Present Day.

(Sweet dreams are made of this. Who am I to disagree?)


La odia un po', Rebekah, per via della cura e probabilmente anche del fatto che degli anni Venti gli sono rimasti più rimorsi che ricordi. Oltre, ovviamente, ché lui ed Elena hanno rotto in parte per colpa sua – ma pensare ad Elena, adesso, lo riempe per d'una rabbia che non sa contro chi indirizzare, quindi preferisce non farlo. Lei, d'altra parte, odia lui perché non è più lo Stefan che (forse) amava. Stefan non si è mai trovato, prima d'ora, nella posizione di doversi scusare per non essere più lo Squartatore d'un tempo. Buffo.
Comunque, l'odio è un sentimento quasi più potente dell'amore, specie perché è un'evoluzione di questo (involuzione, lo correggerebbe Lexi, se fosse lì e potesse leggergli nel pensiero), e nel loro caso prima ancora dell'odio e dell'affetto ci sono state, novant'anni fa come ora, l'attrazione reciproca e la passione di Klaus per gli alcolici costosi – così Stefan non è davvero stupito, quando stappano la prima bottiglia di champagne ed è piuttosto sicuro, anche se non del tutto consapevole, di come siano finiti sudati e ansanti fra le lenzuola sfatte del letto di lei. Per il bene della sua sanità mentale, però, finge di non esserne al corrente.
Rebekah scuote la testa, pianissimo, i capelli, più lunghi dell'ultima volta, che gli solleticano il petto nudo – e ride.
A Stefan pare di ricordare una scena simile, quando Chicago pareva uscita dalle pagine ingiallite d'un vecchio libro di Fitzgerald e sangue fresco (sangue umano) gli scorreva violento nelle vene, anche se forse vi era anche Klaus, ed erano in una camera d'albergo, e di certo era tutto diverso, diametralmente opposto: Stefan ricorda di aver riso come se avesse dovuto ridere per sempre, ma non ricorda per cosa, né la sensazione di pace che lo riempe adesso, paradossalmente – forse, anche se il tempo non sana le ferite, almeno colma i vuoti.
Fanno combaciare i cocci con uno stupore dolorante, sollevato. (Lo fanno con la violenza che li ha uniti per la prima volta, cozzare di bacini e dita che scavano nella pelle e morsi e denti, zanne, e saliva, ma c'è qualcosa di dolce e stonato: è come ritrovarsi nell'ansimare inutile quanto alcolico l'una dell'altro)
Rebekah non ride come allora (ricorda di aver pensato che quella sarebbe potuta essere l'ultima risata della sua vita, lunga tutta la notte, supponente, un'eco immortale che sarebbe riverberato nell'universo per l'eternità) – no, adesso ridacchia. Rebekah sta ridacchiando. Come un'adolescente. Stefan non credeva che la sua vita avrebbe preso una piega così strana.
«Chi l'avrebbe mai detto, eh?» mormora lei e ad un tratto viene da ridere anche a lui. Entrambi è la risposta – era stato chiaro ad entrambi, che sarebbe finita così, novant'anni fa, nella città dell'eterno ottobre, come adesso, nel paese che l'ha visto nascere e morire e poi rinascere. Eppure Stefan non le risponde: sorride appena, anche lui, voltando la testa contro il cuscino. C'è qualcosa, nell'aria – qualcosa che novant'anni fa neppure sapeva di anelare. Per la prima volta dopo tanto tempo, ha solo voglia di stare fermo, nel tepore piacevole del letto, col braccio di Rebekah che gli cinge la vita come una vita prima, in una notte completamente diversa. Ride anche lui, piano, il petto nudo che vibra sotto le dita sottili di lei – per un po', si dice, solo per un altro po', può fingere di non ricordare che la loro è un'alleanza provvisoria e che è stata Rebekah a far sbandare la macchina di Elena e Matt e che la cura è più vicina e lontana che mai. Solo per qualche altro istante. Ridacchiano nella penombra della stanza fino a quando la voce si esaurisce e rimangono solo loro due, immobili sul letto. Stefan chiude gli occhi.
Rebekah ha le labbra tese in un sorriso tiepido che non ricorda di averle mai visto, neppure quando rideva spietata col sangue che le gorgogliava in gola, e non ha bisogno di baciarla, per sapere che sanno di champagne – questa volta solo di champagne. E, davvero, per qualche istante non esiste nient'altro.
(C'è solo un vuoto a forma di Klaus, nell'angolo della stanza, ma Stefan può serrare le palpebre e convincersi di non essersene accorto.)

 

 

Mentre si ride si pensa che ci sarà sempre tempo per la serenità”

(Diari – Frank Kafka)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo del-delì(rio) – altresì, Note più-o-meno-circa importanti:
OS1 — I fiori sulla tomba sono per Lily, obv, non per Valerie. Mi pareva giusto specificarlo. Ci sono accenni all'orribile genitore ch'era Giuseppe, ma nulla di più, perché è tutto dal punto di vista di Stefan e non di Damon e Stefan ha vissuto in prima persona molto meno, rispetto (grazie) al fratello.
I versi all'inizio sono presi da ‘They told me e non sono tutti di seguito nella canzone originale (che per altro fa parte della soundtrack della 4x11 di TVD), ma tant'è.
OS2 — prima di tutto è ambientata in un vago momento di fluff e niente azione, incastrato da qualche parte nella 4S, più o meno dopo la 4x11 – in cui i due cretini qua sopra decidono di riaprire la loro relazione “ma senza sentimenti” (AHAHAH)
I versi all'inizio sono i primi di ‘Sweet Dream’ – che potete trovare in una versione meravigliosa all'inizio di questo video.
Nelson Algren, dice, in Chicago: città di Marca: «Chicago è una sorta di ottobre di città anche in primavera» >> da qui “era stato chiaro ad entrambi, che sarebbe finita così, novant'anni fa, nella città dell'eterno ottobre, come adesso, nel paese che l'ha visto nascere e morire e poi rinascere.”
— Ci sarà un giorno scriverò qualcosa di un po' meno nonsense sugli stebekah, magari rosso, magari decente, magari con la parvenza di una trama – ma non è questo il giorno! Quest'oggi ti becchi ciò, Angel. Per tutti i Damon e le bottiglie di madre vodki del mondo, t'invito a pazientare.

  
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