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Autore: Lady I H V E Byron    16/12/2017    0 recensioni
"Ci sono cose, nella vita, cui non puoi fare niente. Come la morte di una persona cara. Lo so, per i primi tempi fa male, senti un enorme vuoto dentro e non vuoi più vedere nessuno. E' un dolore che a stento puoi sopportare, ti fa quasi impazzire. Sei consapevole che non torneranno più, che non puoi fare niente per riportarli in vita e questo ti fa soffrire sempre di più. Alla fine scopri... che tutto quello che puoi fare per loro... è vivere."
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Daniela Savoia è una ragazza in lutto per un ragazzo che lei amava; lo shock la porta al mutismo e alla depressione, tanto da rifiutare qualsiasi contatto con il mondo esterno. Nemmeno nell'ospedale psichiatrico dove è stata inviata riescono a trovare una soluzione: Daniela si chiude sempre più in se stessa, senza mangiare, continuamente tormentata da incubi sul ragazzo defunto. L'alternativa, seppur a prima vista assurda, si rivela una vacanza in una SPA, in cui, con sorpresa, incontra le ultime persone che si aspettava di incontrare...
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Threesome, Triangolo
Capitoli:
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Note dell'autrice: scusate per il capitolo scritto male.


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Chiara’s P.o.V.
  
-Quindi Daniela… ha davvero parlato?!-
Alberto non credeva alle proprie orecchie. Persino il dottor S. si stupì di quella rivelazione.
-Le è bastato davvero passare del tempo con quel cantante?- mormorò, direi un po’ scettico.
-A quanto pare sì.- risposi, annuendo –Ne ho avuto la prova oggi a pranzo, quando… beh, ha ripreso anche a mangiare.-
Non so ancora spiegarmi se lo sguardo che assunsero entrambi fosse un sospiro di sollievo o una specie di smorfia di sgomento. Effettivamente, non si erano visti risultati così repentini.
Ma era anche vero che erano passate due settimane dalla morte di Gabriele, non due giorni.
Tuttavia, vedevo ancora il lutto negli occhi di Daniela. Non mi aspettavo certo che guarisse subito non appena avrebbe ripreso a parlare e a mangiare, ma già che avesse mostrato segni di miglioramento rispetto ai primi giorni all’ospedale era già qualcosa.
-Quindi, ricapitolando…- Alberto stava riflettendo –In soli tre giorni Daniela ha ricominciato a muoversi autonomamente, a parlare e anche a mangiare. Ciò che non è riuscita a fare nella prima settimana qui all’ospedale. Anzi, si può dire che all’ospedale non ha fatto proprio nulla, per migliorare. Era forse necessaria una distrazione?-
Stavo per rispondere affermativamente, ma il dottor S. mi precedette.
-No.- disse, scuotendo la testa –E’ meglio così. Farla distrarre a distanza di pochi giorni dal lutto avrebbe aggravato la sua situazione. Era necessaria almeno una settimana per… calmarla, oserei dire. Da quanto mi hai detto, Chiara, la situazione familiare era notevolmente critica, vero?-
-Sì, infatti…-
-La lontananza dall’ambiente familiare, un luogo a lei ostile, è stato il primo passo. No, dottor Guerra, niente è stato vanificato.-
Alberto era sempre più scettico. Alla fine dovette rassegnarsi, o almeno lo sembrava.
-Sarà come dice lei…- si rivolse nuovamente a me –Parlami, piuttosto, Chiara, di quanto è accaduto questa notte.-
Il mio stomaco sussultò e il sangue si gelò nelle mie vene: non potevo non riferire loro quanto era accaduto la notte precedente.
-Da quando siete alla SPA, è la terza volta che Daniela ti è sfuggita.- Alberto non aveva tutti i torti; no, aveva assolutamente ragione –E’ Daniela quella che deve rilassarsi, non tu. Per tua, e soprattutto sua fortuna, c’erano quei due ragazzi. Se non ci fossero stati loro, a quest’ora Daniela sarebbe morta!-
-Me ne rendo conto e non ho fatto altro che colpevolizzarmi tutto il giorno per questo! Non era prevedibile un’altra crisi di sonnambulismo!-
-Come sua infermiera dovresti starle sempre vicina. Immagina se dovesse succedere di nuovo. La prossima volta non potreste essere fortunate, soprattutto Daniela.-
-Allora prometto che non succederà più, anche a costo di rinchiuderla nella sua stessa stanza. Farò così, quando uscirò e lei vuole rimanere in camera, la chiuderò dentro e porterò la chiave con me.-
Dissi quelle parole quasi involontariamente. Ero con le spalle al muro.
Praticamente l’avrei resa una prigioniera. Daniela non me lo avrebbe perdonato, ma era la cosa migliore per lei.
-Una misura estrema…- notò il direttore –Ma spero che lei capirà. Naturalmente ci aspettiamo che tu le stia accanto, nel caso volesse uscire.-
Divenni razionale. Non osai obiettare. C’era in gioco il bene di Dani.
-Come fossi la sua ombra.-
 
Daniela’s P.o.V.
 
Stanotte ho sognato nuovamente Gabriele, ma questo sogno è stato più particolare del solito. Lo avevo visto in lontananza ed ero corsa verso di lui. Quando fui vicina, lui svanì nel nulla.
Rimango nel buio, da sola, per un po’. Dopodiché, sento delle voci e delle risate strane.
Mi volto: erano gli “amici” di Gabriele, gli stessi che lo avevano sempre bullizzato.
-Ma guarda… la ragazza del Bena…-
Bena… quanto odio quel soprannome…
La sua ragazza…? Magari se così fosse stato.
-Sono sicuro che non se la prenderà se ce la spassiamo un po’ con lei…-
Non fui abbastanza veloce da difendermi: due di loro mi avevano preso per le braccia e fatta cadere supina. Altri due mi tenevano per le gambe. Cerco di liberarmi, invano. Stavo persino urlando “Aiuto!”
-Vedrai che ti piacerà…-
Si stava già sbottonando i jeans e io mi dimenavo sempre di più.
-Gabri! Gabri!- urlavo. Niente, lui non comparve.
Tuttavia, il ragazzo di fronte a me venne atterrato da un pugno. Gli altri quattro ragazzi mollarono la presa su di me, per mettersi contro al mio salvatore. Caddero tutti e quattro. Io alzo lo sguardo verso il mio salvatore.
No, i miei salvatori.
I gemelli Kaulitz.
 
Ora che parlavo, forse non avevo più bisogno di scrivere sul diario. No, ne avevo ugualmente bisogno.
Ormai era diventata un’abitudine per me, scrivere quello che avevo sognato la notte, così come i miei pensieri.
Bill e Tom… i bellissimi gemelli Kaulitz… non potevo ancora credere che fossero nella stessa SPA dove ero io… che mi avessero salvato la vita, prendendomi tra le loro braccia.
Chiara mi raccontò che c’era anche Tom quella notte, accorso in aiuto di Bill per tenermi ferma.
Ero loro grata. Come potevo mai sdebitarmi?
Mentre ci pensavo, aprii la persiana.
Era di nuovo nuvoloso. Ma il clima non era freddo.
Erano le otto del mattino. Quindici minuti dopo, Chiara entrò nella mia stanza.
-Buongiorno, cara.- mi salutò, con un lieve sorriso; si era fatta la sua solita treccia; in rari momenti l’avevo vista con i capelli sciolti –Dormito bene?-
Annuii.
-Sì…- aggiunsi, prima di osservare di nuovo il cielo; tanto quella sera avrebbe letto il mio diario.
-Andiamo a fare colazione?-
Il languorino era tornato. Sì, stavo tornando verso la normalità. Ma quella settimana stava per finire. Avrei tanto voluto non finisse mai. Ovviamente in compagnia dei gemelli Kaulitz.
 
Chiara’s P.o.V.
 
Quella mattina, Dani aveva preso solo un pezzetto di pane tostato e un vasettino di marmellata per colazione. E dire che lei non sopportava la marmellata e neanche il tè che vi prese insieme. In realtà, glielo avevo consigliato io. Doveva riabituare il suo corpo al cibo, gradualmente. Non era ancora pronta per bere il latte.
Infatti, mi guardò malissimo, soprattutto dopo aver notato il mio piatto.
Sì, io, effettivamente, avevo esagerato. Tra paste, panini, cappuccino… non la biasimai.
Fortuna volle che, prima di avere il tempo di protestare, arrivò Bill. Anche lui era stato piuttosto modesto nella sua scelta.
-Buongiorno.- ci disse, sorridendo. Sì, era proprio adorabile. Anche Dani sorrise, ricambiando il saluto.
Tuttavia, qualcosa non quadrava.
Era solo. E Tom non era nemmeno al buffet.
Anche Dani se ne accorse.
-Dov’è Tom?- domandò, infatti, guardandosi intorno.
-Ha detto ci raggiungerà tra poco.- rispose lui, prima di mangiare la sua torta -Stanotte non è riuscito a dormire. Ha bisogno dei suoi tempi per svegliarsi, se capite ciò che intendo…-
Io ridacchiai al solo pensiero di Tom con le occhiaie sotto gli occhi stile zombie. Anche Dani fece lo stesso; forse stava pensando la stessa cosa.
 
Tom’s P.o.V.
 
Non ero più riuscito a dormire quella notte.
Non dopo il sogno che Bill e io avevamo fatto e non dopo quanto Bill mi aveva raccontato su Daniela. Avevo compreso cosa intendesse con “la sua voce mi è entrata in testa”.
Era capitato anche a me. La sua voce era entrata anche nella mia, di testa. Quella maledetta canzone…
Continuavo a sentirla. Stava diventando un vero tormento.
Non facevo altro che contorcermi nel letto, mentre nella mia mente riaffiorava il ricordo di Daniela che cantava “Gocce di Memoria”; scattai in avanti, passandomi le mani tra i capelli e sul volto.
Forse non era tanto la canzone quanto quello che c’era dietro, le sensazioni che Daniela aveva espresso, il suo lutto, la sua tristezza, che mi facevano sentire così.
Anche Bill si sentiva nello stesso modo. Non per niente siamo gemelli.
Mi guardai allo specchio, appena ebbi la forza di entrare in bagno: le mie occhiaie erano ancora profonde, ma quel giorno lo erano più del solito.
Daniela… la sua voce… la mia ossessione.
Mi aveva stregato, ammaliato, come una sirena. Non sapevo se quello che stavo già provando per lei si potesse definire infatuazione, ma già il fatto che non riuscissi a smettere di pensare a lei me lo fece pensare.
Sapevo che Bill provava lo stesso.
Guardai l’orologio: erano le nove passate. Sicuramente Bill, Daniela e Chiara avrebbero finito di fare colazione, pensai.
Mi infilai le prime cose che mi erano capitate sottomano, una felpa bianca, jeans larghi (anche se mai della grandezza che ero solito indossare una decina di anni prima) e scarpe da ginnastica. Mi legai i capelli nel mio solito “Man Bun”, presi la chiave della stanza e uscii, per dirigermi nel salone da pranzo.
Per fortuna trovai Bill, Daniela e Chiara ancora al tavolo.
Daniela… quel giorno la trovai stranamente raggiante. Era forse la riacquisizione della parola e della fame a renderla così? O ero io a vederla sotto un’altra luce?
Cercai di non pensarci troppo, mentre davo il via al saccheggio del buffet.
-Tomi!-
“Ma perché Bill deve mettermi in ridicolo di fronte a tutti?” pensai, sospirando.
Tomi… non mi piaceva che mi chiamasse in quel modo di fronte alle persone. Lui lo sapeva bene, ma lui era ed è tutt’ora un tipo strano: gli piaceva provocare la gente. Brutto modo di divertirsi, vero?
Mi avvicinai al tavolo, con il mio piatto praticamente pieno e una tazza di caffè.
-Buongiorno…- salutai, senza osservare le due ragazze, soprattutto Daniela.
Chiara mi aveva osservato con aria furba.
-Chi non muore si rivede, eh?- mi domandò, sorridendo in modo strano.
Bill e Daniela risero. Erano entrambi adorabili quando ridevano. Io risposi facendo il becco dell’oca con la mano e una smorfia di disapprovazione.
Per fortuna il caffè mi aiutò a risvegliarmi o avrei rischiato di crollare sulla mia colazione.
 
Bill’s P.o.V.
 
-Sapete, ci dispiace molto andarcene da qui…- mormorai, ad un certo punto, dispiaciuto.
Mi diedi dell’idiota.
Tom mi osservò malissimo, mentre Daniela assunse la mia stessa espressione.
Eh, sì… avremmo tanto voluto che quella vacanza non finisse mai. Ma sapevo già come sarebbe andata a finire, ovvero con me e Tom che avremmo sentito la mancanza di fare concerti e roba simile.
-Anche noi dovremo tornare all’ospedale…- aggiunse Chiara. Non compresi il suo stato d’animo. Sembrava indifferente –Quando ripartirete?-
-Il 19 mattina.-
-Già…- aggiunse Daniela, con un filo di voce –Avete il primo concerto in Russia…-
Giusto.
Novosibirsk.
Per dieci giorni ci saremmo mossi in vari punti della fredda Russia…
Storsi la bocca, annuendo.
-E’ un vero peccato, sai?- feci, osservando Daniela; i suoi occhi erano più scuri dei miei, sembravano quasi neri, come quelli di un cerbiatto; faceva tenerezza –Mi sarebbe davvero piaciuto conoscerti meglio, Daniela.-
Mi guardò con tenerezza e malinconia insieme: sembrava una bambina.
La tentazione di toccarle una guancia era troppo forte: non volevo dubitare del suo buonsenso, ma temevo che lo avrebbe sbandierato sui social. “Bill Kaulitz mi ha toccato!” o cose simili. Sperai che non avesse scritto da alcuna parte di quei momenti in cui l’ho incontrata, o quando Tom e io le avevamo salvato la vita. Per fortuna non lo aveva fatto e di questo ringraziai Dio. No, non era quel tipo di persona. Mi maledissi anche averlo solo pensato.
-Ehi, e la mia opinione non conta nulla?!-
“Tom, la tua opinione conta sempre.” pensai, sperando che avesse percepito il mio messaggio.
Sembrò aver capito.
-Anche a me sarebbe piaciuto avere più tempo.- disse, dopo aver inghiottito un pezzo di croissant; guardava il piatto, non guardava me o le ragazze; qualcosa lo stava turbando –Una settimana è troppo poco. Dieci giorni, forse…-
Si era fatto malinconico. Non era una cosa nuova, ma non avevo ben chiaro il motivo. O forse lo avevo, ma speravo non fosse ciò che stavo pensando.
-Beh, almeno ci siamo goduti queste vacanze pasquali…- concluse.
Ovviamente, non volle dire nulla su due notti prima: dopotutto, era stato un incidente, no?
A nessuno piaceva l’idea di tornare alla vecchia routine, soprattutto a Daniela.
Poveretta… tornare in quel cupo ospedale…
Guardai fuori: era ancora leggermente nuvoloso, ma pregai che non piovesse.
Mi venne un’idea, un lampo.
-Senti, Daniela, hai da fare stamattina?-
Lo dissi quasi tutto d’un fiato, sfoggiando il mio solito sorriso da idiota.
Lei si fece seria, come se stesse pensando.
-Beh, avrei la mia lezione di yoga e poi avrei il trattamento con l’olio…- mormorò, quasi titubante, come temesse la mia reazione –Ma dopo pranzo sarei libera. Perché?-
-Oh, beh… volevo fare una piccola nuotata in piscina e mi chiedevo se volevi venire… anche nel primo pomeriggio, dopo pranzo…-
Un altro buco nell’acqua. “Non ci so proprio fare per queste cose…” pensavo.
-Sì, ci sto!- la sua voce era squillante ed entusiasta; poi si rivolse alla sua infermiera –Posso, vero, Chiara?-
Lei le sorrise.
-Ma certo che puoi.- rispose –Anzi, penso che ti farà bene andare in piscina con lui. Dopotutto, è lui che ti ha restituito la parola e l’appetito.-
-Perché solo con lui?- domandò Tom, un po’ offeso; almeno aveva alzato la testa –Io non posso andare con loro?!-
Quella frase spiazzò Chiara e fece ridere sia me che Daniela.
-Non ho detto questo, Tom.-
-Sei cattiva, Chiara! Mi sono veramente offeso, sai?-
-Scusa, Tom!-
 
Tom’s P.o.V.
 
-Coraggio, a chi arriva primo!-
Era la terza gara tra di noi. E con “noi” intendo Bill, Daniela ed io.
Chiara si era seduta su una sdraio, facendo finta di leggere una rivista.
Non smetteva un solo istante di osservarci.
Aveva insistito per venire con noi, in piscina, anche se non per nuotare.
Ovviamente, io ci scherzai sopra.
-Cosa c’è? Non ti fidi di noi?- domandai –Hai paura che mettiamo Daniela incinta?-
-Con voi maschiacci non si sa mai.-
Poi ci aveva spiegato che dopo gli eventi di due notti prima e le altre due fughe che aveva fatto, doveva controllare costantemente Daniela, per precauzione.
Bill e io non approvammo, ma non volemmo dire nulla su questo: non ci sembrava giusto controllare Daniela come se fosse veramente incapace di intendere e di volere.
Per fortuna ci guardava e basta. Ci aveva persino detto di fare come se lei non ci fosse.
Così facevamo, infatti.
Era la terza volta che nuotavamo tutti e tre da una parte all’altra della piscina.
Vincevo sempre io nelle gare. Ma Daniela riusciva a tenermi testa.
Nuotava bene. Era davvero una sirena: le mancava solo la coda di pesce.
E Bill ci raggiungeva quasi col fiatone. Oddio, anch’io non ero messo meglio…
Era in quei momenti in cui ci dicevamo di smettere di fumare, ma poi non lo facevamo mai.
-Basta! Pietà!- disse Bill, piegando la testa all’indietro e bagnandosi i capelli (che erano già bagnati, tra l’altro).
Anche Daniela si rilassò, galleggiando supina sull’acqua.
Ebbi modo di osservarla meglio: il primo giorno, quando mi venne addosso rovesciandomi il succo, l’avevo vista di sfuggita. Quel costume le esaltava le forme morbide. Non era né grassa né magra. Una via di mezzo.
Con le misure giuste nei punti giusti.
Poi osservai il mio fratellino: si era appoggiato al bordo vasca.
Entrambi sembravano due creature marine. Due bellissime creature marine.
Avanzando a rana, mi misi in mezzo a loro.
-Ti ho sempre detto che fumi troppo, Billi.- dissi, sarcastico –E poi, al primo cenno di movimento fisico, ti sfiati facilmente.-
Lui, ovviamente, non la prese bene, ma era quella la mia intenzione.
-Senti da che pulpito arriva la predica!- ribatté, fingendosi offeso. Ci conoscevamo troppo bene per prenderci sul serio.
Daniela rise, divertita dal nostro litigio. Anche nei Meet&Greet i nostri litigi facevano divertire i fans, tranne quando passavamo alle mani, ovvio.
Improvvisamente, qualcosa mi colpì sulla fronte.
Una goccia.
No, né Bill né Daniela mi avevano schizzato.
La goccia veniva dall’alto.
Lo scoprimmo quando ne seguirono tante altre.
Persino Chiara scattò, alle prime gocce.
-Dobbiamo tornare dentro!- esclamò, alzandosi dalla sdraio.
Noi tre uscimmo subito dalla piscina: non tuonò, per fortuna, ma non si sapeva mai.
Prendemmo ognuno i propri asciugamani e tornammo nel solario, avvolgendoci in essi.
Eravamo rientrati appena in tempo: stava venendo giù il mondo.
Bill, Daniela ed io eravamo rimasti lì fermi a fissare la pioggia che cadeva sulla piscina: il movimento dell’acqua era come ipnotizzante.
Non mi avrebbe sorpreso se Chiara ci avesse scambiato per tre statue.
-Beh, almeno ci siamo goduti la piscina…- commentò Bill. Ah, se non ci fosse lui: strano ma vero, era lui l’anima ottimista dei Tokio Hotel. Trovava sempre un modo per vedere il lato positivo delle cose.
 
Daniela’s P.o.V.
 
-Beh, almeno ci siamo goduti la piscina…-
Sì, è vero. Mi ero dimenticata di quanto fosse bello nuotare. Sentire l’acqua scorrerti sulle braccia e accarezzarti tutto il corpo.
Mi era sempre piaciuto nuotare.
E poi… vedere i gemelli Kaulitz in costume e con i capelli bagnati era come un sogno che si realizzava. Una visione.
Erano bellissimi. Due angeli caduti sulla terra.
Poi vidi me, cicciona, brutta e con la faccia che mi ritrovavo.
Facevo il possibile per coprirmi il corpo con l’asciugamano, dalla vergogna.
Era anche da più di una settimana che non mi depilavo.
Sentii la mano di Chiara sulla mia spalla.
-Cara, dobbiamo tornare in camera.- mi disse, amorevolmente –Sennò rischi di prenderti il raffreddore. E lo stesso vale per voi due mascalzoni.-
-Aspettate!- ci fermò Bill; la sua voce era così melodiosa… –Stavamo pensando… visto che domani è l’ultimo giorno in cui staremo tutti qui… abbiamo scoperto una pizzeria nei paraggi. Domani sera vi andrebbe di andarci, tutti insieme?-
Una pizza coi gemelli Kaulitz?! Un’occasione da non perdere!
Io ero entusiasta all’idea; infatti, senza pensarci due volte, dissi di sì.
Ma Chiara… non sembrava molto convinta. Per me, non per lei.
Mi osservò, infatti, storcendo la bocca.
-Beh… basta che non ne prendi una complicata.- disse, un po’ scettica.
Non aveva detto “no”. Quindi tirai un sospiro di sollievo.
-Tranquilla, prenderò la solita Margherita!-
Anche Bill apparve sollevato.
-Perfetto, allora vado a prenotare per domani alle 20:15!-
-Ciao!-
Ci ritirammo ognuno nelle proprie stanze, promettendoci di rivederci in giro o direttamente a cena.
Anzi, per precauzione, ci scambiammo i numeri di telefono, per tenerci in contatto su WhatsApp.
Avevo i numeri dei Kaulitz! Non potevo crederci!
Quella vacanza alla SPA si stava rivelando la migliore della mia vita: avevo incontrato i gemelli Kaulitz, avevo parlato con loro, avevo nuotato con loro, ed ero stata salvata da loro. Molte ragazze avrebbero provato non poca invidia nei miei confronti.
Tornata in camera mi lavai con l’acqua calda. Che sollievo provare un po’ di calore sulla pelle: restare in costume, nonostante l’asciugamano sulle spalle, bagnata e con la pioggia aveva fatto calare un po’ la mia temperatura corporea.
-Io vado un po’ in sauna.- mi disse Chiara, appena uscii dal bagno –Vuoi venire?-
Io feci “no” con la testa.
-No, voglio stendermi un po’.- aggiunsi. Ora che avevo ripreso a parlare non volevo finire più. –Forse mi metterò a giocare.-
Lei fece uno strano cenno.
-Ok. Allora ci vediamo dopo.-
Chiuse la porta, ma udii un suono strano. Come quello di una chiave che chiudeva una serratura.
Il mio cuore sussultò a quel rumore: sperai non fosse ciò che temevo.
Cercai di aprire la maniglia, ma la porta non si aprii. Riprovai. Niente.
Mi guardai intorno, alla ricerca della mia chiave di stanza.
Non la trovai.
L’unica persona che poteva averla…
No… Non poteva essere…
-Chiara? Chiara!- urlai, entrando quasi in paranoia –Che cosa hai fatto?! Mi hai chiusa dentro?! Apri immediatamente!-
Per fortuna era ancora fuori dalla mia stanza.
-Mi dispiace, cara.- rispose, forse un po’ dispiaciuta –Ma devo, per il tuo bene. Ho sottovalutato i tuoi tempi di guarigione e guarda cosa è successo. Già tre volte mi sei sfuggita e nell’ultima potevi morire. Non posso rischiare. Tu non puoi rischiare.-
Stavo entrando in isteria: mi succedeva spesso, quando le cose non andavano come volevo, anche prima della mia depressione.
-CHIARA APRI QUESTA CAZZO DI PORTAAAA!!!- urlai, ruggendo, e battendo i pugni e i calci sulla porta.
-Non posso!- replicò lei –Ho promesso ai medici che ti avrei controllata, anche a costo di chiuderti dentro la tua stessa stanza. Non voglio che ti succeda qualcosa!-
-CHIARA?! CHIARA!!!-
Se veramente teneva a me, non avrebbe permesso questo mio brusco sbalzo di umore. Anche i medici l’avevano raccomandata di non farmi provare emozioni forti per timore di un mio collasso.
Aveva fallito. Di nuovo.
Avrebbe dovuto dirmelo. Ma anche in quel caso sarei entrata in isteria.
Non avevo problemi a stare nella mia stanza, ma esserci chiusa dentro non era la stessa cosa.
Una prigione. Ecco cosa diventava.
Cercai di aprire la porta che divideva la mia stanza da quella di Chiara. Chiusa.
Sì, ero proprio in prigione, come un animale.
Quando divento isterica perdo completamente la ragione: ripresi ad urlare come una pazza, dando pugni e calci alle pareti, pestando i piedi per terra. Saltai sul letto, prendendo il cuscino e lo sbattei sul letto, sul muro, accecata dalla rabbia. Senza volerlo, lo sbattei anche contro il comodino, proprio quello con il mio diario e la foto di Gabriele.
Appena me ne resi conto, ripresi la ragione. Lasciai il cuscino e, allarmata, scesi dal letto.
-Nonononono…!!!- dissi.
La foto non aveva subito danni, per fortuna. La presi in mano; osservai Gabriele.
Quanto sentivo la sua mancanza… Ogni giorno sentivo la sua mancanza.
Mi illudevo di essere felice, serena, ma poi quel sentimento amaro ritornava.
Non dovevo vedere quella foto, ma se non l’avessi fatto, mi sarei dimenticata di lui, e questo non lo volevo.
Un forte senso di malinconia mi prese, ampliato con il mio crollo emotivo dovuto all’isteria.
Urlai di nuovo, quella volta dal dolore. Piansi.
 
Tom’s P.o.V.
 
-Che tempo del cazzo…- mormorai, prima di bere l’ennesimo bicchiere di champagne.
Bill e io stavamo finendo la seconda bottiglia. Se qualcuno chiede, sì, eravamo delle vere e proprie spugne.
Io ero alla finestra, lui sul letto.
-Lo hai detto…- sbadigliò; scorsi, dal vetro, che si mise su un fianco –La pioggia fa anche un effetto narcolettico…-
“O anche lo champagne…” pensai.
Udii dei suoni strani, tipo urli. Ma sperai venissero da fuori e che fosse il vento. Ero anch’io un po’ sotto l’effetto dello champagne per reagire e domandarmi cosa fosse.
Mi strofinai gli occhi, tornando a guardare fuori.
“Davvero delle belle vacanze pasquali…” pensai, un po’ deluso.
Uno, quando va in Italia, spera di trovare sole tutti i giorni. Ma quel giorno ebbi come l’impressione di essere a Londra.
-Senti, ma se…?-
Mi voltai: Bill era già crollato. Stava già ronfando sul letto con la sua solita faccia da ebete.
Il mondo lo vedeva come un idolo: per me era il solito idiota. Ma era il mio idiota.
Presi il telefono, andando distrattamente su WhatsApp. Quasi senza volerlo, controllai il profilo di Daniela.
Appariva serena. Non si era fatta foto recenti, ovviamente. Quella foto doveva risalire prima del suo trauma, quindi.
Pensai a lei.
Poi mi ricordai quando Bill e io entrammo nella sua stanza e io notai la PS4 e la miriade di giochi intorno.
Un pensierino strano attraversò la mia mente; scrissi un messaggio a Bill tramite WhattsApp, presi la chiave della stanza e uscii.
Mi ricordavo bene il numero della stanza di Daniela.
Bussai, deciso. Mica mi facevo seghe mentali come il mio fratellino.
 
Daniela’s P.o.V.
 
“Le giornate pioggia mi ostinano a ricordare il mio pezzo preferito di Jane Eyre, il bacio tra Jane ed Edward, dopo la dichiarazione di quest’ultimo. Aveva preceduto un temporale. Io li immagino baciarsi in mezzo alla pioggia: non credo ci sia niente di più romantico di un bacio sotto la pioggia. Ai romantici piacevano le tempeste, no? Allora anch’io mi definisco una romantica, in tutti i sensi, e ne sono fiera. E’ più o meno così che immaginavo il mio primo bacio con Gabriele, con noi due, sotto la pioggia, che ci scambiamo il nostro primo bacio, liberando ciò che uno provava nei confronti dell’altro. Ma non accadrà mai, perché lui non c’è più. E l’unica vera pioggia che proverò sulla mia pelle saranno le lacrime amare che verserò, pensando a lui.
Mi manca tantissimo.”
Mi ero calmata dalla mia crisi isterica, ma, come ogni volta che mi capitavano, ero entrata nella fase “scarico di nervi”. Una sensazione fastidiosa, perché hai come l’impressione di non provare più alcun sentimento.
Decisi di aggiornare il diario, raccontando ciò che avevo fatto quella mattina e quel pomeriggio, con i Kaulitz. E aggiunsi anche questo pezzo.
Ma oltre a questo… non sapevo cosa altro fare.
Non avevo nemmeno la forza di accendere la Play e fare una partita.
Improvvisamente, sentii bussare.
Tre colpi decisi. Non era Chiara. Non era il suo modo di bussare.
“Chi può essere…?” pensai, con sospetto, avvicinandomi alla porta.
Potevo fingere di non esserci, ma la luce della mia stanza era facilmente visibile da sotto la porta.
Rassegnata, dissi: -Chi è?-
Dall’altro lato, una voce maschile.
-Sono io, Tom.-
Tom.
Il mio cuore sussultò.
Perché Tom era lì? Dietro alla mia porta?
-Senti, volevo chiederti… so che hai una PS4, quindi deduco che ti piacciano i videogiochi.- mi disse –Anche io sono un videogiocatore e, effettivamente, sento un po’ la mancanza della mia consolle. Mi chiedevo… se ti andava di fare una partita, insieme, a Call of Duty.-
Giocare alla Playstation con Tom Kaulitz… non mi sembrava vero.
Tuttavia… non era possibile.
-Tom, non vorrei deluderti.- risposi, dispiaciuta –Ma ho solo un joystick.-
Sperai bastasse per fargli cambiare idea, senza rivelargli che ero chiusa dentro.
Mi sbagliai.
-Non c’è problema.- rispose –Facciamo a turno. Posso entrare?-
Dovetti dirgli la verità.
-Non posso. Sono chiusa dentro.-
-Dentro? Come chiusa dentro?-
-Chiara si è portata via la chiave e lei ora è a farsi una sauna. Dopo quanto è avvenuto due notti fa, ha paura che si possa ripetere una cosa simile, per questo mi ha rinchiusa qui.-
Stavo per perdere un’occasione d’oro, per colpa di Chiara. Non glielo avrei mai perdonato.
Non fino a quando udii, con sorpresa: -Non importa, troverò un altro modo per entrare.-
 
   
 
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