Ok, questa cosa
ha del titanico!xD
Se arrivate in
fondo vi stimo, davvero.
A parte questo,
lasciate che vi spieghi un paio di cose su questa shot
e quelle che, si spera, seguiranno. Innanzitutto sono song
fic, come è palese. Lo saranno tutte.
Questa è nata
come raccolta di fic ispirate dai (bellissimi)
testi di Marco Masini!<3
Gli argomenti
trattati, spesso e volentieri e come si può già vedere da questa prima shot, sono *seri*.
E questo spiega, in parte, la mole non indifferente delle storie.
Eh no, non sono shot "brevi"!xD
Ma d'altra parte,
secondo me, non potevano esserlo. Avevano bisogno di tutto lo spazio che
occorre.x3
Io ne sono
discretamente fiera, perchè è forse la prima volta che
mi cimento con testi così *densi* e
non semplici e per tutto il tempo e l'impegno che ci ho messo/metterò!x3
E, a proposito di
questo, proprio per questo, anzi, questa prima fic è
dedicata alle cognate. La 2, la 3
e la 4.
Elisa, Karin e Chiara (Temperance_BootH, Agatha e Ice_Bubble), perchè mi hanno
sopportate, seguendomi chicca per chicca nell'infinita stesura di tutto questo!<3
*lovva infinitamente*
Hope them and you'll like it!x3
Cenerentola
Innamorata
Ho capito, è una cosa seria...
E poi ora non vuoi parlare.
Vengo a prenderti io, stasera,
quando esci da lavorare.
Una breve telefonata,
lo sai bene che siamo amici.
Silenzio.
Solo il cielo
azzurro al di là del vetro ed il ronzio ritmico e lontano di una macchinetta
per il caffè...
Provava dei
sentimenti contrastanti per quel tipo di momenti, riflettè,
torcendo una lunga ciocca scura tra le dita affusolate.
Da una parte
li amava, da che erano gli unici che potesse reclamare come suoi, in quel posto assurdo. Dall'altra
sapeva benissimo che rappresentavano la cosiddetta "quiete prima della
tempesta". L'attimo prima di tuffarsi in una lunga apnea.
Quando si
dovrebbe prendere un lungo respiro, ma tutto quello che si riesce a fare è
boccheggiare qualche piccolo soffio di fiato, perchè
il cuore batte in gola e lo stomaco è chiuso a doppia mandata.
Quel giorno,
poi, avvertiva uno stranissimo, perenne brivido sulla pelle che sembrava
amplificare tutte le emozioni a mille.
Ripensò al
foglio piegato in quattro che sbucava dalla sua agenda con fare terribilmente
minaccioso e, immediata, avvertì un'altra feroce stretta all'altezza dello
sterno.
Ripensò
all'espressione di terrore nei suoi
occhi, quando, dopo una settimana di esitazioni e di silenzi contriti, aveva,
senza sapere bene come, trovato la forza per dirglielo.
E ripensò
anche alla velocità con cui era sparito dalla sua vita, lasciando dietro di sè il ricordo indelebile di quell'unica notte di... niente.
Perchè quello che Pierre
era stato non poteva essere definito in altro modo che così: niente.
Ma un niente
che, nonostante tutto, era riuscito a lasciare la scia più concreta di tutte.
- Bonjour. - Il
flusso disperato dei suoi pensieri fu interrotto bruscamente dall'atono saluto
della sua collega.
Jacqueline
entrò nella stanza, senza nemmeno guardarla in faccia e, da brava tecnica luci
quale era, cominciò immediatamente a sistemare i primi riflettori bianchi
contro al fondale.
Coco riprese a
scrutare il cielo dietro le tende, seguendo distrattamente la scia di un aereo,
mentre fingeva di ascoltare le domande dell'altra ragazza.
- Oggi non
usiamo i filtri colorati, vero? - Abbozzò, sollevandone una grossa pila.
- No. -
Rispose Gabrielle, osservando la linea frastagliate svanire, inghiottita da una
nuvola. - Oggi abbiamo quel servizio... sugli abiti premaman. - Si morse il labbro, cercando di mascherare il violento
tremolio della voce.
Precauzione
del tutto superflua, dal momento che Jacqueline non l'avrebbe degnata di uno sguardo,
neppure se fosse scoppiata a piangere lì, in quel momento, in piedi davanti
alla finestra di un anonimo studio fotografico.
Ed era lì lì per farlo, in realtà.
Stringendo i
pugni tanto forte da graffiarsi i palmi, si girò di scatto e prese a correre
attraverso la stanza. Urtò la spalla dell'altra, mandandola lunga e distesa sul
pavimento insieme allo scatolone di drappi con cui stava armeggiando e non si
fermò, nemmeno quando questa prese ad inveirle rabbiosamente contro.
Uscì dalla
porta, lasciandola sbattere violentemente, mentre infilava una mano nella tasca
dei pantaloni, a cercare la familiare sagoma tondeggiante del suo cellulare.
Non fece
nemmeno in tempo a digitare la prima cifra, che quello prese a vibrare contro
il suo palmo sudato.
- Pronto. -
Soffiò, portandosi il telefonino all'orecchio.
- Coco...? -
La voce all'altro capo del filo si fece immediatamente vigile, attenta.
- Kev... -
Mormorò, lasciandosi sfuggire un rumoroso singhiozzo.
Si abbandonò
contro il muro, lasciando scivolare la schiena sulle piastrelle di ceramica
chiara, fino a quando non si ritrovò seduta a terra.
- Ehi,
scricciolo, va tutto bene...? - Domandò lui, improvvisamente agitato.
Gabrielle alzò
gli occhi chiari al soffitto, fissando le piccole lampade al neon, attraverso
lo spesso velo di lacrime, come se potessero avere una risposta.
Rimase in
silenzio per qualche, tesissimo momento, cercando affannosamente dentro di sè le parole giuste.
E riuscendo a
trovarne una soltanto. La più ovvia, forse.
- No. - Pigolò, con voce spezzata. - No,
per niente. -
- Che cos'è
successo? - Le domandò Kevin, il tono inequivocabilmente allarmato.
Coco poteva
quasi immaginarselo. Seduto sul suo letto, circondato da vestiti stropicciati e
spartiti mezzi scritti.
Sorrise,
sollevando leggermente gli angoli della bocca verso l'altro, mentre i capelli
le si appiccicavano alle guance umide.
- Io... -
Si bloccò,
avvertendo lo scalpiccio di passi concitati in fondo al corridoio. La troupe.
Erano già
arrivati.
- Non posso
dirtelo, ora. - Sospirò, con il petto che ancora le sussultava leggermente.
Poggiò una mano sul muro, facendo leva per rimettersi in piedi.
- Vengo a
prenderti. Stasera. - Ribattè lui, risoluto. - Ti
porto da qualche parte e ne parliamo con calma, va bene, scricciolo? - Concluse,
addolcendosi improvvisamente.
- D'accordo...
- Sussurrò lei. - Io stacco alle sette e mezza. -
- Sette e
mezza. - Ripetè Kevin.
Rimasero
entrambi in silenzio. Coco osservò il truccatore ed un paio di modelle molto
alte, molto bionde e molto svedesi farle un cenno, prima di infilarsi in
camerino.
- Lo sai che
non ti lascerei mai sola, vero? -
Esordì improvvisamente lui, quasi soffiando le parole nella cornetta.
Gabrielle si
passò il dorso della mano sugli occhi arrossati, lasciandosi sfuggire un altro
piccolo sorriso.
- Lo so. -
Mormorò, schioccando un bacio leggero attraverso il telefono. - Ci vediamo
dopo. -
- A dopo. -
Aspettò di
sentire il bacio di Kevin e poi chiuse il telefono, leggermente più sollevata.
Non è vero che sei sbagliata,
siamo tutti un po' più infelici.
Quando Coco uscì dallo studio, i lunghi
capelli scuri scompigliati dalla brezza primaverile, Kevin era già lì ad
aspettarla.
Attraversò la strada, fermandosi a meno
di mezzo metro da lui. In equilibrio sul bordo del marciapiede.
- Secondo te, cos'ho io che non va? -
Pigolò, in un fil di voce.
Tanto che Kevin si convinse di non aver
sentito bene. Sgranò gli occhi chiari, avvicinandosi rapidamente.
- Cosa?
- Replicò.
- Ci deve essere qualcosa di sbagliato
me. Ne sono convinta... - Continuò imperterrita lei, dondolandosi sulle gambe.
- Sono come uno di quei pezzi fallati...
venuti male e che non possono andar bene con nessuno. -
Le braccia di lui si strinsero con
dolcezza attorno al suo corpo minuto.
Attirandola contro di sè, si soffermò a posarle un bacio sui capelli e poi uno
sulla fronte, sollevandole appena il viso, in modo che potessero guardarsi
negli occhi.
- Non c'è assolutamente niente che non
va, in te. - Bisbigliò, cullandola lentamente. - Niente. Mi hai capito? -
Gabrielle scosse lievemente il capo,
sobbalzando, quando avverti il suo abbraccio farsi più deciso. Kevin la sollevò
quasi di peso, facendola sedere sul cofano lucido della sua macchina.
- Smettila. - Soffiò.
Lei si aggrappò saldamente alle sue
spalle, mentre allargava leggermente le gambe per fargli spazio.
- Tu sei il mio scricciolo. - Le
bisbigliò all'orecchio, chinandosi tanto che Coco avvertì il movimento delle
sue labbra contro la pelle. - E sei perfetta
così come sei. -
Chiuse gli occhi di scatto, cercando di
sorreggersi con una mano al parabrezza.
- Come farei, senza di te...? -
Sussurrò, poi, cercando di prendere fiato. - Meno male che ci sei. -
Gli passò le dita fra i capelli,
accarezzandogli piano i ricci scuri e si lasciò scappare un sorriso, quando lui
le posò un microscopico bacio sulla punta del naso.
- Beh, in questi casi, credo che il
signor Starbucks
possa rivelarsi molto più utile di me...! - Ridacchiò Kevin, frugando nella
tasca dei Jeans alla ricerca delle chiavi dell'automobile. - Ti va una delle
nostre cene speciali? Cappuccino speziato... e una montagna di muffin al
cioccolato. Poi mi racconti tutto... Vuoi? -
Coco annuì lentamente e afferrò la mano
che lui le porgeva, prima di tornare a terra con un saltello.
E ti ascolto parlare appena,
dal tuo tenero nascondiglio.
Alla fine di questa cena
tu mi dici che aspetti un figlio.
Lui ti ha detto che non è pronto
e che è suo non lo puoi provare
Ti ha lasciata da sola e, intanto,
tu da sola non sai che fare...
Una leggera pioggerella primaverile batteva ritmicamente sul vetro
appannato.
Coco si rannicchiò sul divanetto d'angolo, lanciando uno sguardo
distratto alla strada vuota. I lampioni si accesero con un leggero sfrigolio di
luce gialla.
- Kevin... - Sussurrò improvvisamente, stringendo la sua tazza di
cappuccino tra le dita sottili. - Promettimi che mi lascerai parlare, fino alla
fine... qualunque cosa dirò. -
Lui esitò, giocherellando con la carta vuota di un muffin.
E dopo qualche momento di silenziosa meditazione, annuì, prendendo a
strapparne le estremità. Si alzò dalla sedia, facendo in un passo mezzo giro di
quel microscopico tavolino e si sedette accanto a lei, bloccandola quasi tra il
muro e le sue gambe accavallate.
Rimasero in silenzio per una manciata di quegli attimi che sembrano
eterni, prima che Gabrielle abbandonasse la tazza con un gesto un po' brusco,
schizzando la tovaglia candida.
- Sono incinta. - Esalò,
puntando gli occhi chiari dritti in quelli di Kevin.
Lui strizzò il bordo del tavolo fino a farsi dolere le dita, mentre
osservava una microscopica lacrima rotolare oltre le sue ciglia scure.
- Ho ventitre anni e sono incinta. - Ripetè,
come un tetro ritornello. - ... Di un vigliacco che se l'è squagliata appena lo
ha saputo, per giunta...! -
Non fece nulla, assolutamente nulla
per fermarlo.
Anzi, quando lo sentì avvicinarsi, si accucciò tra le sue braccia.
Cercandolo.
Istintivamente.
- Sono una maledetta deficiente. - Sibilò.
Vicino a Kevin si sentiva più sicura...
Forte abbastanza da arrabbiarsi con sè stessa.
Sussultò leggermente, quando sentì la mano di lui insinuarsi fra i suoi
capelli. Le accompagnò una ciocca dietro l'orecchio, lasciando, poi, correre le
dita fin sotto al mento.
- Ne sei certa? - Abbozzò, sollevandole appena il viso.
Coco non rispose. Frugò con la mano nella borsetta di stoffa colorata,
estraendone un foglio mezzo stropicciato.
- Ho fatto due di quei test di gravidanza con le righe e i pallini colorati... E li ho buttati
entrambi, senza avere il coraggio di guardare il risultato. - Sussurrò, mentre
Kevin osservava il referto. - Ha dovuto sbattermelo in faccia un dottore, perchè ci credessi davvero. -
Si morse il labbro, inspirando profondamente.
La carta era arricciata, come se fosse stata tenuta in mano per ore. E,
in alcuni punti, l'inchiostro della stampante era leggermente sbiadito da
piccoli aloni chiari.
Gabrielle ci aveva pianto, su quelle quattro righe e mezza.
Aveva strizzato quel foglio tra le dita per un tempo infinito, nella
vana speranza che, in quel modo, il suo contenuto potesse cancellarsi.
Kevin lo sapeva.
Anche se lei non glielo aveva mai detto e lui non l'aveva vista, in quei
momenti.
Lo sapeva e basta.
Rafforzò la presa sul suo corpo minuto e la sentì rabbrividire, quando
la stoffa della t-shirt chiara le si arricciò intorno ai fianchi, permettendo
alle sue dita di sfiorarle la pelle tiepida.
- Sono al secondo mese, ormai. - Soffiò. - E sono sola. -
- No. Questo no. - La fermò. -
Tu hai me. E mi avrai sempre, capito, scricciolo? Sempre. -
Coco sospirò, scrollando appena le spalle.
- Tu non sei il padre di mio figlio, però... - Mormorò, con voce amara.
Kevin abbassò lo sguardo e lasciò cadere le braccia lungo i fianchi,
strizzando i pugni tanto che le sue nocche sbiancarono. Impotente.
Assurdamente impotente, davanti a quell'innegabile verità.
- No..! - Esalò, poi, accorgendosi di cosa aveva appena detto. -
Scusami, Kev. Io non... Dio...! - Ringhiò, soltanto a sè
stessa. - Scusami. -
Lui scosse impercettibilmente il capo, come a dirle che non importava
affatto.
- Se potessi, te lo riporterei. Andrei a ripescarlo fino in capo al
mondo, quel maledetto stronzo! E te
lo riporterei qui... Se solo non sapessi che non ti merita affatto. - Rispose,
invece, sorridendole appena. Le sfiorò la punta del naso, in una rapida
carezza. - Se non sapessi che tu, con lui e per
lui, hai già sofferto in questo modo assurdo. -
Gabrielle trattenne il fiato, sentendo distintamente il nodo che si
sentiva in gola stringere fino al punto di non ritorno.
Quando Kevin allungò una mano a sfiorarle la pancia, accarezzandola
piano attraverso la stoffa leggera, avvertì un brivido correrle lungo la
schiena.
Un gemito inudibile le sfuggì dalle labbra socchiuse.
Una frazione di secondo più tardi chinò il capo e scoppiò in un pianto
disperatamente liberatorio, nascondendo il viso tra le mani.
Come se... se ne vergognasse.
- Sono un'idiota...! - Singhiozzò. - E non ho la minima idea di come
comportarmi... Come fare. Cosa
fare...! -
Kevin sospirò profondamente, cingendole i polsi con le dita, prima di
scostarle delicatamente le mani. Raccolse le ultime lacrime, spazzandole via
con determinazione, prima di stringerla nuovamente a sè.
Era bello sentirsi amata.
Nei suoi occhi vedevi il mare...
Cenerentola innamorata.
- Che cosa faccio, Kevin...? Come ce la si assume una responsabilità del
genere? Io... Io non ne sono capace.
- Mormorò, appoggiando il capo contro la spalla di lui.
Avrebbe voluto avere la risposta pronta... Se solo ne fosse esistita
una.
Mentre lasciava che Gabrielle allungasse le gambe davanti a sè, addossandole alle sue, un cameriere piuttosto giovane
gli si avvicinò, battendogli gentilmente sul braccio.
- Scusami. - Esordì. - Non so cosa abbia la tua amica, però se poteste
fare un po' più piano...! E poi questo è
un divanetto, non un sofà. Non credo
siate nella posizione appropriata. -
Lo fulminò con lo sguardo, trattenendo con ferma delicatezza le ginocchia di
Coco quando le sentì scivolare via.
- Non ti preoccupare. - Replicò, annuendo appena. - Piuttosto, mi
porteresti un bicchiere d'acqua? Grazie. - Detto questo si voltò, riprendendo
ad ignorarlo completamente.
- Non dovevi...! - Sussurrò lei, apprensivamente, quando l'altro si fu
allontanato.
- Scusa... - Soffiò, chinandosi a parlarle all'orecchio. -
Ma mi infastidisce troppo, che mi impediscano di starti vicino. - Bisbigliò,
strappandole un piccolo sorriso.
Abbassò gli occhi chiari sulla mano di lui, che gliela teneva ancora
poggiata sulla gamba e la accarezzò, prendendo a giocherellare con la sua
fedina d'argento.
Come faceva sempre, durante le loro chiacchierate infinite... Ne seguì
il contorno con le dita sottili, avanti e indietro.
- Se solo Pierre ti somigliasse un pochino di più... - Abbozzò,
sfregando la doppia fila di borchiette. - Forse
sarebbe ancora qui...! - Scrollò le spalle, sollevando timidamente lo sguardo.
Si inumidì le labbra, sentendo distintamente il sapore di una lacrima.
- Ma lui... Non mi amava abbastanza. Probabilmente non mi ha mai
amata...! - Concluse, amara. - Mentre io... Stupida. - Sibilò. - Stupida.
Stupida. Stupida. -
- Eri tanto innamorata di lui? - Domandò Kevin, sollevando la mano e
portandola, palmo a palmo con quella di lei, all'altezza dei loro nasi.
Coco arricciò il naso, flettendo le dita contro le sue.
- Non lo so... - Esordì. - So solo che mi faceva sentire bene, all'inizio. Aveva un sacco di
premure... Tu hai le mani un po' ruvide! - Aggiunse poi, come se si fosse
completamente dimenticata del discorso precedente.
Kevin ridacchiò, scrollando la testa ricciuta.
- Colpa della chitarra... - Le spiegò. - Dovrei usare il plettro più
spesso. -
- Forse... A me piacciono tanto
le tue mani. - Arrossì improvvisamente, davanti all'espressione incuriosita di
lui. - Cioè...! Sono sempre calde e... grandi.
Beh, riescono perfettamente ad avvolgere le mie. - Soffiò, portandosi una
ciocca di capelli dietro l'orecchio.
A tuo padre non riesci a dirlo,
proprio a lui... fiero di sua figlia.
Hai paura e non vuoi ferirlo,
in poltrona, mentre sbadiglia.
Di tua madre, poi, ti vergogni...
Non vuoi dirle che ti piaceva
far l'amore, scambiarsi i sogni.
Lei lo ha fatto perché doveva.
- L'hai detto a qualcun'altro...? - Stringendogliele, quelle mani, Kevin
la riportò alla realtà. - Monmon... i tuoi genitori.
Lo sanno? -
Gabrielle scosse lentamente il capo, in uno sconsolato gesto di diniego.
- Mio padre non lo sento da... beh, da quando me ne sono andata. Non
credo di esistere nemmeno più, per lui. - Sorrise amaramente. - Non sarebbe
carino ricordarglielo, dopo sette anni,
sollevando il telefono... per dirgli cosa, poi? "Ciao papà, sono Coco, ti ricordi di me? Aspetto il bambino di un padre
inesistente." Dai... - Sospirò, infastidita.
- Sì, scusa. - Annuì lui. - Di tua madre non ne parliamo... -
- Oh, lei...! Non capirebbe sicuramente. Qualunque cosa l'abbia spinta a
mettere al mondo me e mia sorella, credo somigliasse più al senso del dovere che all'amore materno.
-
- E Monique... - Abbozzò.
- Monique dovrà saperlo, se... Se decido di... - Si fermò, agitando
violentemente la testa. - Ma non posso...! Darebbe fuori di matto. Dopo quello
che ha passato con Lulù... Mi ucciderebbe.
No. Lo sai solo tu, Kev. -
Assentì silenziosamente, osservando gli occhi azzurri di lei farsi
lucidi per l'ennesima volta.
La guardò stringersi nelle braccia sottili, piccola e fragile quasi più
del solito.
Era incredibile come la meraviglia
di una nuova vita potesse portare tanto dolore e tanta paura.
Fece leva sul cuscino rigido, per spingersi ulteriormente verso di lei.
- Scricciolo... - Esordì, prendendole delicatamente il viso tra le mani
e costringendola con dolce decisione a guardarlo. - Vuoi tenerlo...? -
Sospirò, lasciando che un brivido improvviso le scuotesse le spalle
minute.
- Non lo so. - Ammise, inumidendosi le labbra secche. - Ho troppa paura
per decidere. -
Il rumore secco del vetro che cozzava col piano di plexiglass riscosse
momentaneamente Kevin dai suoi pensieri. Il cameriere, ancora stizzito, girò i
tacchi senza nemmeno aspettare di essere ringraziato.
Scrollò le spalle, porgendo il bicchiere a Coco, che prese a bere
piccoli sorsi di acqua ghiacciata.
- Se lo tengo, dovrò essere in grado di dargli un futuro. Di garantirgli
una vita... E io non credo di sapere
come si fa. - Continuò. - Dall'altra parte, l'idea di un aborto mi terrorizza.
Sarà stupido, ma non mi è mai piaciuta l'idea che mi aprissero in due...! -
- Non è affatto stupido. - La rassicurò, stringendola per l'ennesima
volta tra le braccia.
Per quanto la tenesse vicina, non riusciva a placare il tremolio
profondo e irregolare che l'agitava. Le accarezzò lentamente la schiena e le
braccia nude, seguendone il profilo morbido con le dita.
- Tu che cosa faresti...? -
Cosa vuoi, che ti posso dire?
Non so darti nessun consiglio...
Forse devi solo sentire
se davvero lo vuoi un figlio.
Di un amore una volta sola,
di un amore che non è amore.
E la notte ci pensi ancora,
mentre piangi e non sai che fare...
- Non ne ho idea. - Quelle
quattro parole gli affiorarono alle labbra quasi autonomamente, quasi fosse
stato il suo corpo ad imporgli di pronunciarle.
Per l'ennesima volta desiderò ardentemente di avere una risposta sicura.
Tranquillizzante... Giusta
semplicemente.
Una risposta che, sfortunatamente per lui, non esisteva proprio.
- La sola cosa che so è quello che, credo, ti direbbe mia madre. - Riflettè, cercando di ripescare negli anfratti della sua
memoria il ricordo del discorso che Denise gli aveva fatto, quando aveva
scoperto di essere incinta del piccolo e del tutto inaspettato Frankie.
"Io e tuo padre non l'abbiamo
cercato, questo bambino." Gli aveva rivelato. "Non come abbiamo fatto con te e i tuoi
fratelli. E' capitato. E io avevo molta paura, lo ammetto."
Poi gli aveva stretto le mani e aveva snocciolato così, come se nulla
fosse, una piccola ricetta della
felicità.
"Poi, però, mi sono fermata.
Stop totale. E ho pensato, parecchio.
Ho pensato a cos'era che veramente volevo... La risposta è arrivata da sola.
Anzi, arriverà. Tra sette mesi e
mezzo."
- Coco... - Mormorò, avvolgendola completamente nel suo abbraccio. - Tu
lo vuoi questo bambino? -
- Io non lo so...! - Replicò lei, stizzita. - Te l'ho- -
- No. - La fermò. - Non sto parlando del tenerlo o meno. Sto parlando di
quello che senti per lui... o lei. - Soffiò, poi, con un piccolo sorriso.
Gabrielle sussultò impercettibilmente, abbassando lo sguardo sulla sua
pancia e, per un istante, la immaginò più gonfia
e tonda. Strizzò l'orlo della t-shirt, tornando a fissare Kevin, quasi con
vergogna.
Lui lasciò correre la mano sulla sua, accarezzandole piano il dorso con
le dita e spingendola a rilassarla, contro la pelle tesa. Appena sotto
l'ombelico.
- Io e Pierre l'abbiamo fatto soltanto una volta. Una sola. - Bisbigliò,
in un fil di voce. - E non sono nemmeno certa di averlo voluto davvero...! -
Kevin sentì il respiro bloccarsi a metà strada tra i polmoni e la gola,
mentre un terrificante, rabbioso senso di panico gli strizzava lo stomaco.
- Ti ha forzata, in qualche modo? - Ringhiò.
- No, questo no. - Replicò lei, scuotendo appena il capo. - Ma... l'ho
semplicemente assecondato, penso. -
Esitò, chiedendosi se fosse effettivamente il caso di continuare e
concludere quella frase.
Furono gli occhi verdissimi di lui, lucidi dietro le ciglia scure, a
schiacciare definitivamente ogni suo tentativo di resistenza.
- So che è infelice come paragone, ma... Con Joe era un'altra cosa. -
Kevin sorrise, tornando a poggiarle la mano sulla gamba. E scatenò un
brivido lungo la sua schiena, quando aumentò leggermente la stretta.
Mai come in quel momento, Coco era stata consapevole del contatto con un
altra persona. Sentiva il calore delle dita di lui, una spanna abbondante sopra
il suo ginocchio, come se le sfiorasse la pelle nuda.
- Ho capito. - Annuì, facendo scivolare la mano un po' più in alto, in
una lenta carezza.
- Kevin...! - Soffiò, arrossendo impercettibilmente.
- Per te è complicato già solo accettare di essere incinta. Se avessi
anche un solo motivo per affezionarti a questo bambino, sarebbe immensamente
più facile. - Si fermò, mordendosi il labbro. - Se fosse figlio di Joe... -
Gabrielle soffocò una risatina amara, chinando il capo e prendendo a
giocherellare coi bottoni della camicia di lui. Lasciò correre le dita fin
quasi al colletto inamidato, fermandosi con la mano contro il suo torace,
all'altezza del cuore.
- E' esattamente la scusa che
ha usato Pierre. -
Strizzò la stoffa leggera, contraendo rabbiosamente il pugno.
- Quando l'ha saputo, mi ha detto chiaro e tondo che, per quanto ne
sapeva, il bambino poteva essere tranquillamente di "quel moccioso", come gli piaceva chiamarlo. - Sibilò. - Mi ha
anche, velatamente dato della puttana,
a ripensarci col senno di poi. -
- Animale. - Si lasciò
scappare Kevin, tra i denti. - Non è possibile che sia di Joe...! -
- No che non lo è. - Continuò Coco, con voce liquida. - Io e tuo
fratello abbiamo fatto l'amore per l'ultima volta, la notte prima di lasciarci.
Pierre l'ho conosciuto una settimana dopo. Ci è voluto quasi un intero mese perchè... Beh, perchè. - Abbozzò. - I tempi non coincidono, neanche
volendo... Ma, pur di non assumersi questa responsabilità, mi avrebbe accusato
di essere andata con chiunque. Joe ho continuato a vederlo spesso, lo sai. Era
soltanto la scusa più comoda. -
Afferrò il bicchiere e finì quel che restava del suo contenuto, a
piccoli sorsi nervosi.
Mentre una lacrima amara si infrangeva contro il bordo di vetro.
- Il figlio è suo, per quanto Pierre non lo riconoscerebbe, nemmeno se
gli sbattessero l'esame del DNA sotto al naso...! - Singhiozzò.
- Quindi abortirai...? - Bisbigliò lui, quasi intimorito.
Lei annuì meccanicamente, facendo tintinnare il cristallo contro il
marmo del tavolo, quando lasciò il bicchiere nuovamente al suo posto.
- In fondo è un'operazione fondamentalmente semplice e non me ne accorgerò
nemmeno. - Sospirò. - Risolverà tutti i miei problemi. -
Istintivamente Kevin portò entrambe le braccia attorno alle sue spalle
minute, stringendola ancora, come se fosse impossibile per lui starle lontano
per più di una scarsa manciata di secondi.
- Ne sei sicura? - Soffiò, contro la sua fronte fredda.
Gabrielle non rispose. Si accucciò contro di lui, strizzando gli occhi,
in un inutile tentativo di cancellare quello che le stava attorno.
Ma non è vero che sei sbagliata,
nei suoi occhi vedevi il mare,
cenerentola innamorata.
- Non ho motivo di tenere questo bambino. - Mormorò. - Non posso dargli
niente di quello che chiederebbe: nè una vita degna di
questo nome, nè un padre... Niente. -
Lui esitò, ma rimase zitto. E Gabrielle accolse quel silenzio come la
conferma che stava compiendo uno sbaglio... Un grosso sbaglio.
Il colpo di grazia alle sue già precarie certezze.
Si alzò di scatto, liberandosi della tenera stretta di lui. In piedi
accanto al tavolino, prese a torturare il bordo della tovaglietta di tessuto
sintetico, strizzandola tra le dita.
- Scusami. - Pigolò. - So che, per te, sto per commettere una specie di
orrendo crimine. Che tuo padre ti ha cresciuto secondo l'idea che questo sia un
abominio... - Mosse un piccolo passo
indietro, prendendo un respiro profondo.
Poi si inumidì le labbra, senza smettere di fissarlo negli occhi.
- Non avrei mai dovuto chiederti nulla... E' un problema mio. Scusami, Kevin. -
Detto questo si voltò rapidamente e, prima che lui potesse fare qualsiasi
cosa per fermarla, schizzò fuori dallo Starbucks
ancora affollato.
- Gabrielle...! -
Scattò immediatamente, urtando il piano col ginocchio.
Rovesciò malamente quel che rimaneva del contenuto di due bicchieri di
cappuccino, ma non prestò la minima attenzione né a quelli né ai richiami
risentiti che il cameriere di poco prima prese a rivolgergli dall'altro lato
della sala.
Al Diavolo.
Sgusciò rapidamente tra le sedie di vimini e piazzò un biglietto da
venti dollari sul bancone lucido, senza nemmeno aspettare che potessero
calcolare il resto.
Quando usciamo dal ristorante,
sembri ancora più piccolina...
C'è una luna come un gigante
e parlando, è già domattina.
Sotto il muro dell'ospedale,
che terribile decisione...
Piccolina fra il bene e il male,
piccolina su quel portone.
Fuori dal locale, una luna grande e bianca quanto un dolce di zucchero,
illuminava una sfilza di automobili all'apparenza tutte uguali.
La penultima sulla destra era di un grigio talmente pallido da sembrare
argentato.
Appoggiata alla portiera anteriore, stretta nelle braccia sottili, Coco stava
immobile. I lunghi capelli scuri le ricadevano ai lati del viso, lungo le
spalle minute. Aiutandola a confondersi, quasi, con la notte attorno a lei.
Kevin percorse l'intera lunghezza del marciapiede, correndo tanto in fretta
da farsi bruciare la gola e rallentò soltanto quando le fu abbastanza vicino,
da non permetterle di scappare di nuovo.
- Coco...! - Soffiò, col fiato spezzato.
Lei alzò lo sguardo ad una lentezza disarmante, rivelando le guance
pallide, segnate da enormi lucciconi. Una lacrima le rotolò lungo il mento,
riflettendo la luce gialla dei lampioni, prima di perdersi sul cemento secco.
- Non... Non ho le chiavi. - Bisbigliò, in un fil di voce, serrando la
presa attorno alla maniglia.
Lui scosse appena il capo, lasciandosi scappare un sorriso.
E mosse un unico passo in avanti, prima di chinarsi a catturare le sue
labbra asciutte in un bacio assurdamente delicato, appoggiando le mani alla
carrozzeria ancora tiepida.
Bloccandola tra il proprio corpo e la macchina.
Gabrielle sussultò, sollevando le braccia in un incosciente tentativo di
trovare un appiglio e piantò le sue dita gelate all'attaccatura del collo di
lui.
Lo spinse leggermente all'indietro, per quel poco che riuscì ad imporsi
di farlo.
- Hai freddo? Sei ghiacciata...! - Soffiò Kevin, staccandosi quanto bastava
per parlarle.
Agitò lentamente il capo, sfiorando inavvertitamente la punta del naso
di lui con la propria.
- Kev... - Mormorò, soffocando l'ennesimo brivido.
- Sì..? -
- Kevin. - Ripetè,
cercando di continuare a respirare regolarmente.
- Cosa c'è, scricciolo? - Sussurrò, improvvisamente preoccupato. Le sue
labbra tornarono a tendersi in una smorfia apprensiva.
Serrò la presa attorno al colletto della sua camicia, facendo stridere
il tessuto leggero sotto le unghie.
- Non c'è bisogno che tu agisca per pietà.
- Sollevò il capo, osservando timidamente la sua espressione farsi più
rilassata.
- No. - Lui agitò appena la
testa, scuotendo la massa di ricci ribelli.
Coco soffocò un gemito, mordendosi il labbro in un malcelato tentativo
di dissimulare il senso di vuoto che
le era esploso dentro.
- Ecco. - Riprese, riappoggiandosi completamente alla Lamborghini. -
Io... Io credo di potercela fare. Da sola,
intendo...! E con l'operazione e tutto quanto... E' sufficiente che mi spieghi
come si arriva da qui all'ospedale più- - Sobbalzò, quando la mano di lui si
posò sulla sua bocca ancora socchiusa, arginando quel disperato fiume di
parole.
- Io ti amo. -
Sorrise, nel vedere i suoi occhi chiari spalancarsi per la sorpresa.
Poi si chinò leggermente in avanti e prese a bisbigliarle all'orecchio,
lasciando scivolare lentamente le dita e rendendole la possibilità di parlare.
- Ti amo da morire... -
Soffiò, solleticandole la pelle col suo respiro caldo e regolare. - E rispetterò la tua decisione, qualunque essa
sia e a prescindere dalle mie idee o da quelle di mio padre. Se hai deciso di
abortire, sarò io ad accompagnarti in clinica. Ti starò accanto in ogni caso,
Gabrielle. In ogni, maledettissimo
caso. -
Lei si portò entrambe le mani al viso e sollevò piano lo sguardo,
fissandolo con totale incredulità, ancora bloccata tra le sue braccia.
- Mi...? - Abbozzò, sentendo un improvviso, intenso calore all'altezza
dello sterno.
- Sì. - Annuì lui. - Dal primo
giorno. -
Una leggera scossa le corse lungo la schiena, riportandola velocemente
indietro di due anni e mezzo.
Un teatro vuoto, il bagliore fioco delle luci di servizio e due occhi
incredibilmente verdi. Rimasti tenacemente immutati
per tutto quel tempo.
- Con Pierre... - Ricominciò, mentre il calore saliva al viso e un
rossore delicato le imporporava le guance.
Kevin annuì di nuovo, sorridendo con fare teneramente esasperato.
- Quando stavi con Pierre, ti amavo. Quando stavi con Joe, ti amavo.
Prima ancora... Ti amavo. Ti ho sempre
amata, Coco. -
- Kev... - Mormorò lei, senza fiato.
Una folata di vento li investì, sollevando qualche foglia secca. Coco si
strinse nelle braccia, sfregandosele lentamente con le mani fredde. Senza dire
nulla, lui si sfilò il maglione e lo poggiò sulle sue spalle tremanti.
- Mettitelo, scricciolo. - Indietreggiò, lasciandole lo spazio per
muoversi e staccare finalmente la schiena dal finestrino a cui aveva aderito
quasi completamente. - Se vuoi andare in ospedale, ti ci porto. -
Lo osservò estrarre le chiavi dell'automobile e avviarsi al posto di
guida, comportandosi con una naturalezza quasi surreale, dopo quanto le aveva
appena detto.
Con il cuore che batteva ancora a mille, si infilò il dolcevita di soffice
cachemire grigio, lasciandolo cadere morbidamente sulle proprie spalle. Era
decisamente grande per lei.
Lo scollo leggermente a v pendeva tutto da un lato, scoprendole la
spalla e le maniche erano tanto lunghe da lasciar intravvedere appena uno
scampolo delle dita sottili.
E poi aveva il suo odore. Profumava di lui in maniera quasi soffocante.
Si raggomitolò sul sedile, tirandosi le gambe al petto dopo aver fissato
la cintura di sicurezza, proprio mentre Kevin metteva in moto.
- C'è una clinica a dieci minuti da qui. Bisogna solo vedere se... -
Esitò. - Lo fanno. -
Le accarezzò i capelli e riportò la mano al volante, girando il primo
angolo. Una vecchia canzone pop risuonò dall'autoradio, riempiendo il silenzio
dell'abitacolo.
***
Kevin litigò con almeno dieci infermiere di sei tra ospedali e pronti
soccorsi diversi, prima di riuscire a trovare un medico disposto a fare a
Gabrielle gli esami necessari per poi procedere all'operazione.
Sembrava che si divertissero a piazzare agli ingressi le persone più
irritanti e indisponenti possibili. Giusto per rendergli ancora più difficile
quel maledetto compito.
Alle cinque e quarantacinque del mattino, finalmente, tornò da lei con
in mano un modulo e un vecchia biro mezza scarica rubata all'ingresso.
Coco sonnecchiava, raggomitolata contro il finestrino chiuso. La testa
appena inclinata e le labbra socchiuse. Sorrise, concedendosi di osservarla
ancora per qualche secondo.
Poi aprì la portiera e si allungò sul sedile, scuotendola leggermente
per la spalla.
- Mmmmh... - Mugolò lei, stropicciandosi gli
occhi.
- Ehi, ci siamo, scricciolo. - Le sussurrò, accarezzandole la fronte
pallida. - Mi hanno dato questo da compilare e poi dobbiamo presentarli al
paramedico all'ingresso. - Spiegò, allungandole il foglio.
Coco lo strinse fra le dita tremanti e lesse le poche righe che vi erano
stampate.
"Dichiaro di essere
maggiorenne e consenziente. Dichiaro di assumermi la responsabilità della
decisione. Dichiaro di essere sicura di volerlo."
{ Beh, almeno maggiorenne lo sono sicuramente.}
Riflettè
amaramente, uscendo dall'automobile. Stirò le braccia sopra la testa,
respirando l'aria umida, già profumata di mattino. Kevin le fu accanto
immediatamente.
Senza proferire parola, Gabrielle afferrò la bic
che lui le stava porgendo e firmò il documento, lasciando una piccola sbavatura
blu sul suo palmo bianchissimo.
Era arrivato il momento.
- Io vado da sola, Kev. - Soffiò, ripiegando malamente il pezzo di
carta.
- Coco...! - Esalò, afferrandole le braccia.
Lei si divincolò e mosse un passo indietro, sciogliendo la presa.
- Se entrassi con me, ti farebbero mille domande. E comunque non ti
lascerebbero passare. - Soffiò. - Non è una bella cosa, quella che sto andando
a fare... Lascia che guardino e giudichino solo me. Tu non c'entri... Tu lo
consideri sbagliato. Come loro. -
Aggiunse, scuotendo la testa. - Non voglio che ti fissino come se fossi un
mostro. Perchè, credimi, sei tutto, tutto fuorchè
quello, Kevin. -
Una lacrima microscopica rotolò oltre le ciglia scure, bagnando il
modulo.
Poi Gabrielle corse via velocemente, attraversando l'ampio spiazzo di
ciottolato chiaro. Si fermò davanti all'imponente ingresso, incredibilmente
piccola, al confronto.
La osservò, stretta nel suo maglione scuro che, sopra i jeans larghi che
indossava la faceva sembrare perfino più bassa e sottile del solito.
Fragile. Indifesa. Proprio come la creatura a cui doveva trovare il
coraggio di dire addio.
Avrebbe pagato qualunque prezzo per poterla sollevare dal peso di dover
fare quella scelta.
Una scelta in cui il confine tra bene e male non era così netto.
Non lo era affatto.
Poi ti fermi e ritorni indietro.
Nel mio cuore me l'aspettavo...
Mentre l'alba ci appanna il vetro,
tu sorridi a un amore nuovo.
Con il sole ti porto a casa
ed in macchina vuoi cantare.
Sei felice come una sposa...
Coco rimase ferma sotto quella luce al neon per un tempo che gli parve
infinito. E la fissò tanto a lungo e intensamente da farsi bruciare gli occhi.
Poi, improvvisamente, lei si voltò di scatto e tornò indietro.
Come guidata da una forza invisibile. Le sue scarpe di vernice rossa ticchettavano
selvaggiamente sui ciottoli arrotondati.
- KEVIN...! - Sentì distintamente la voce sottile chiamare il suo nome
e, come ipnotizzato, si staccò dalla fiancata dell'auto e le andò incontro.
Prese a correre ad una velocità assurda, come se non potesse resistere
un secondo di più, senza stringerla fra le braccia... Se averla vicina, il più
vicina possibile, fosse una questione assolutamente vitale.
La raggiunse immediatamente, cingendole la vita con tanta foga che quasi
la sollevò di peso da terra. La abbracciò, colmando definitivamente ogni
millimetro di distanza rimasto fra i loro corpi.
- Kevin... - Ripetè lei, aggrappandosi alle
sue spalle.
Senza lasciargli nemmeno il tempo di capire, tuffò una mano nel
groviglio di riccioli scuri e lo attirò in avanti, premendo la bocca contro la
sua.
Si lasciò accarezzare, arrendevole, dandogli il tempo di realizzare e
ricambiare il bacio.
E lui ricambiò. Lentamente, spingendo le labbra tiepide su quelle di lei
con tenera delicatezza.
La invitò ad inclinare il capo leggermente all'indietro, passandole una
mano sulla guancia bollente e approfondì il contatto, mentre le sue dita
solleticavano la pelle tesa del collo niveo.
- Ti amo... - Mormorò Coco,
contro la bocca di lui, quando si staccarono il minimo indispensabile per
riprendere fiato. - Ti amo e questo bambino lo voglio tenere. E basta... E' mio figlio. -
Lo guardò, arrossendo e cercando di placare il respiro affannoso.
Kevin sorrise, prendendole il viso fra le mani e depositandole un altro delicatissimo
bacio a stampo sulle labbra. Poi un altro.
E un altro ancora.
- Lo sapevo. - Soffiò. - Sì. Lo
sapevo. -
Il suo sguardo era incredibilmente dolce.
La abbracciò, sfiorandole la schiena attraverso la stoffa pesante del
maglione e la tenne stretta, assaporando ogni secondo di quella vicinanza.
Le sfiorò la fronte con un bacio, prima di prenderle la mano e condurla
nuovamente alla Lamborghini. Aprì la portiera dal lato del passeggero, ma la
fermò prima che potesse salire, trattenendola per il polso minuto.
- Mi permetterai di aiutarti a crescerlo...? - Domandò, quasi col timore
di dire qualcosa di sbagliato.
Gabrielle abbassò lo sguardo, nascondendo gli occhi lucidi.
- Se puoi amarlo... - Pigolò, stringendo le dita sul bordo del
finestrino.
- Lui... o lei, è parte di te. Come potrebbe essere diversamente? -
Replicò.
- E allora credo che morirò di
felicità. - Sospirò Coco, sorridendo.
Lo osservò timidamente, inclinando appena il capo.
- Eh no. - Rise lui, facendo scivolare due dita a sollevarle il mento. -
Non adesso che sei finalmente mia. -
Le sfiorò la punta del naso con le dita, strappandole un sorriso.
Le rubò un altro bacio, prima di decidersi a sedersi al volante.
***
Coco si mosse impercettibilmente, sistemando meglio la testa contro la
spalla di Kevin.
La strinse di più, assicurandosi che fosse comodamente appoggiata a lui.
In due sul sedile posteriore di un automobile si stava stretti, eppure
anche così, con la schiena premuta contro la portiera rigida e un ginocchio
praticamente incastrato contro lo schienale del passeggero, si sentiva benissimo.
Perchè Coco era lì. Seduta tra le sue gambe e premeva
delicatamente contro di lui, con il suo piacevolissimo calore.
Tornò a coccolarla, accarezzandole la pancia liscia, sotto la maglia.
Uno scampolo di cielo rosa e azzurro si spinse oltre i tetti delle case,
un aereo sfrecciò sopra le loro teste, tagliandolo con la sua scia bianca.
Il finestrino mezzo aperto si appannò di condensa, lasciando entrare uno
spiffero di aria fresca.
La radio trasmetteva una canzone decisamente d'altri tempi.
Gabrielle scarabocchiò qualcosa sul vetro umido col dito, sorridendo e prese
a canticchiare a bassa voce.
- Quand il me prend dans ses bras,
il me parle tout bas... Je vois la vie en rose.* -
Perché adesso lo sai che fare.
Perché adesso ti senti amata
e dai tuoi occhi si vede il mare...
Cenerentola innamorata.
(Cenerentola Innamorata - Marco
Masini)
* (Quando lui mi prende fra le sue braccia, mi
parla piano. Io voglio una vita tutta rosa.)