Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: mirianacantali__    18/12/2017    3 recensioni
"Perché noi siamo come la notte, così intensa, buia, paurosa. Ma quando è illuminata dalla luna... beh in quel caso è tutt'altra cosa. Siamo così sbagliati che i nostri difetti, insieme, si annullano. E non importa il blu dei miei capelli o quello biondo dei tuoi, non importa se le stelle questa sera non si vedono, perché adesso siamo noi ad illuminare questa notte tenebrosa."
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Era già passata una settimana da quando io e Paige avevamo lasciato la casa che ci aveva accolto fin da bambine.
E, sinceramente, pensavo che sarebbe stato un incubo. Invece in quel momento mi trovavo bene, stavo con una vera famiglia e frequentavo una scuola dove non tutti gli alunni erano degli orfani.
Odiavo e odio tutt'ora questa parola.
Orfano.
Suona così male, no?
Eppure, anche se non mi piaceva affatto essere definita tale, era la triste e dura realtà.

Cercai di scacciare il pensiero e dopo essermi sistemata in tempi record, mi avviai in cucina per fare colazione e poi recarmi a scuola.
"Buongiorno" salutai Austin che era intento a bere il suo cappuccino.
I suoi erano già a lavoro.
"Oh chi si vede! La mia bellissima sorellina tanto simpatica" lo fulminai con lo sguardo, ma decisi di non replicare, perché di mattina non avevo le forze per farlo.
O sono io strana o gli sono gli altri ad essere super energici appena svegli.
Austin era uno di quelli "strani" per me e in quel momento mi sembrava la copia esatta di Paige.

"Come mai bevi il cappuccino se fino a ieri quando vedevi caffè quasi vomitavi?" domandai scettica.
"Ho letto ch..." 
"No aspetta, tu, Austin Joseph Adams, che leggi? Non è scientificamente possibile" lo interruppi ed ero abbastanza divertita dalla sua faccia fintamente offesa. Infatti a parte 'aver offeso profondamente il suo orgoglio' come diceva lui, avevo anche usato il suo secondo nome che Austin odiava.
"Ti ho detto mille volte di non chiamarmi Joseph" e lo sentii borbottare qualcosa di incomprensibile. Probabilmente stava  maledicendo sua madre per avermelo detto.
"Comunque stavo dicendo che ho letto da qualche parte" e sottolineò particolarmente l'ultima parte "che il caffè rinforza la mente e aiuta la memoria" mi informò con il tono e l'espressione di qualcuno "so-tutto-io".
"Se lo dici tu" replicai. "Adesso andiamo o faremo tardi" ordinai.
Ormai andare a scuola con lui era diventata un'abitudine.

"E se io non volessi accompagnarti a scuola oggi?" ecco la sua vendetta.
'Non lo sopporto' borbottai infastidita con voce molto bassa, ma dal sorrisetto soddisfatto sul suo viso capii che mi aveva sentito.

Così presi lo zaino e uscì di casa sbattendo la porta. 
Misi gli auricolari e mi incamminai verso scuola, anche se a passo molto lento perché il giorno precedente avevo ripreso, dopo molto tempo, i miei allenamenti e adesso avevo dolori in tutto il corpo.

Poco dopo, nonostante la musica, riuscii a sentire il rombo di un motore affiancarmi.
Mi voltai e vidi Austin che si era fermato e aspettava che io facessi lo stesso.
Ma io ripresi a camminare con passo più veloce e lo sentii gridare: "Kayla, aspetta. Stavo scherzando"
Non volevo fermarmi, ma fui costretta a rallentare poco dopo a causa di una forte fitta alla gamba.
Nel frattempo mi raggiunse e, visto che la mia voglia di opporre resistenza era pari a zero, salii sulla moto.

Nessuno parlò per i primi minuti. Non fu un silenzio imbarazzante perché ormai a quei litigi ci eravamo abituati. Solo che avevamo bisogno di un po' di tranquillità per riordinare le idee e poi riderci sopra, perché in fondo queste erano stupidaggini di nessuna importanza.

"Posso farti una domanda?" gli chiesi tenendo gli occhi chiusi con la testa appoggiata alla sua spalla.
Sono sempre stata molto curiosa e anche in quell'occasione desideravo soddisfare le mie curiosità.
Lo vidi, attraverso lo specchietto retrovisore, annuire.
"Come mai hai deciso di comprare una moto e non una machina? 
Voglio dire l'auto è molto più comoda. Puoi portarci chi vuoi e se piove non ti bagni."

Non mi rispose. La visiera scura del casco non mi permetteva di osservare la sua espressione, ma pensai che era intento a riflettere.

Poi, d'improvviso, accelerò.

E io capii solo dopo la tacita risposta che voleva darmi. 

Perché le emozioni che provavi sopra una moto andavano ben oltre la preoccupazione di bagnarsi per la pioggia o la scomodità del sellino.
Ciò che Austin voleva dirmi era che quando stavi lì sopra ti sentivi davvero libero, ma non tutti potevano capirlo.

'Il vento che ti punge la pelle, la velocità che ti svincola da ogni sicurezza, la schiena abbassata sul manubrio e il polso che vibra, questo è quello che si prova' avrebbe voluto dirmi il ragazzo che stava davanti a me.
Sapeva però che le parole non sarebbero state efficaci, così aveva preferito mostrarmelo.

Quando arrivammo alla Midwood, io scesi e tolsi il casco.
Quando anche lui fece lo stesso mi disse: "Hai capito adesso perché?"

Poi se ne andò, lasciandomi lì e non aspettò nemmeno una mia risposta.
Aveva capito, infatti, che non l'avrebbe mai ottenuta.

•••
Dopo essermi ripresa dal mio stato di trance raggiunsi Paige che mi aspettava davanti l'entrata principale.
Accanto a lei Justin stava immobile in tutta la sua bellezza. Quel giorno era anche più bello del solito. Portava un jeans scuro aderente, una camicia e un giubbotto di pelle. 
I capelli poi... in quel modo scompigliati pensai.
'Si e poi cos'altro? Non è che...'
Ecco che la mia coscienza si faceva sentire, ma in quel momento le fui grata. 
Stavo facendo pensieri poco consoni.

"Tu sei pazzo! Come fai a non sentire freddo? Io sembro un eschimese." Urlavo contro Justin indicando il mio cappotto e la mia sciarpa
"Oh ma buongiorno anche a te. Comunque non è che io non senta freddo, è che.."
"Si si ho capito, è che vestito in questo modo ti senti più figo. Stai tranquillo che non lo sei." dissi con sufficienza.
'Ma sei seria? Ti senti quando parli?'
Zitta coscienza. Shh

Purtroppo la sua vena ironica non era scomparsa, anzi tutto il contrario.
"Oggi il puffo si è svegliato di buono o cattivo umore?" mi provocò.
E poi che razza di soprannome è 'puffo'? 
"Se non la smetti te lo faccio capire da solo" gli risposi acida.
"Non ti piace il nome puffo?. È così carino.
E poi ti si addice. Non capisco perché quel colore di capelli, è bruttissimo. Non potevi farli, che so, neri, castani, biondi o persino il rosa sarebbe sembrato carino. Ma quel blu proprio..." mi disse con espressione divertita e provocatoria.
'Cerca di restare calma' mi ripetevo, mentre la rabbia cresceva dentro di me.
Non volevo dargli nessuna soddisfazione.
"Andiamo Paige? Abbiamo lezione e non voglio perderla" decisi di ignorarlo.
"No dai, aspettiamo ancora qualche minuto prima di entrare" si lamentò 
"Voglio assolutamente vedere Austin. Dov'è? Perchè non è con te?" 
"Ti ho detto di andare" ordinai con tono freddo e distaccato.
Paige mi seguì senza fiatare mentre quel cretino se la rideva sotto i baffi.

"Oh allora ciao mio piccolo puffo" sentì urlare non appena mi allontanai e poi una forte risata.

Mi girai solo una volta per osservarlo quando ormai ero già fuori dal suo campo visivo. Lo vidi circondato da un gruppo di ragazze. Ecco non perdeva tempo.
Anche la mia amica lo vide e mi guardò con uno sguardo sconsolato, quasi compassionevole. 
Ma io non avevo bisogno assolutamente della compassione della gente, tanto meno della sua.
Non mi interessava quello che faceva Justin o con chi stava.

•••

Dopo l'ultima ora di educazione fisica in cui avevo dato il massimo per espellere un po' del mio astio, andai negli spogliatoi insieme alla mia migliore amica per cambiarmi. 
Nel corridoio che separava la palestra dagli spogliatoi vidi Justin con una ragazza mai vista, i capelli scompigliati e la camicia abbottonata male. Lei non era in condizioni migliori.

"Non vedo l'ora di arrivare in mensa; ho una fame" continuava a ripetermi la mia compagna, ma io non le davo ascolto troppo impegnata a trovare un modo per evitare di incontrarlo.
La mia amica non l'aveva ancora visto.

Tirai Paige per un braccio e mi catapultai, nel vero senso della parola, all'interno della prima stanza che vidi.
Ovviamente la fortuna non era dalla mia parte e quando mi girai per capire dove mi trovassi, mi apparvero davanti i ragazzi della squadra di basket.
Alcuni avevano il completo da basket con il simbolo della scuola, altri erano appena usciti dalla doccia ed erano coperti da un solo asciugamano legato in vita. 
Dopo lo shock iniziale, tutti risero, si sentirono anche alcuni fischi e il borbottio di gran parte di loro.
Mi scusai velocemente, in modo quasi incomprensibile, rossa in viso.

Feci per uscire seguita da Paige quando la porta si aprì.
"Ehi capitano, abbiamo visite" ci schernì ridendo un ragazzo con i capelli lunghi  raccolti in una coda.
Tutti lo seguirono a ruota.

Io non osai parlare. 
Ma il ragazzo davanti a me non fu della stessa opinione.

"Kayla, Paige? Cosa ci fate voi qui?"
La confusione che si leggeva sul suo volto di quello che doveva essere il capitano non era poca, mentre io temevo di poter andare in fiamme dalla vergogna.
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: mirianacantali__