Mosse qualche passo incerto, avvicinandosi al letto e sedendosi sul bordo, allungandosi per rubare una delle cuffie e portarla al proprio orecchio: si aspettava un ritmo stordente, massacrante.
Quando studiava era solito mettere quei brani fastidiosi, urlati da voci maschili cariche di odio. Le note della “sonata al chiaro di luna” di Beethoven gli strapparono una smorfia infastidita. Il malessere gli salì fino alle labbra, riempiendogli la bocca di un sapore amaro.
Sangue. Un cadavere. Allontanò la cuffia, chiuse gli occhi un secondo, cercò di ricomporsi.
Quando li riaprì, si ritrovò ad incrociare due pozzi azzurri, limpidi.
Labbra sottili, tirate in un sorriso stentato. Semichiuse. Pronte per essere baciate.