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Autore: Lupe M Reyes    19/12/2017    2 recensioni
A Blair piace fare i turni di notte alla biblioteca dell'Arca. Fino alla sera in cui il Cancelliere Jaha non si presenta alla sua porta... Per impedirgli di inviare sulla Terra John Murphy, Blair cede al ricatto e contribuisce al progetto sui Cento. Ma l'incontro con Bellamy Blake cambierà ogni equilibrio. Fino al giorno in cui non diventerà lei stessa la persona numero 101 a raggiungere la Terra.
[Arco temporale: prima stagione]
Personaggi principali: Blair (personaggio nuovo), Murphy, Bellamy, Raven, Clarke, Jaha
Personaggi secondari: Finn, Octavia, Kane, Abby, Sinclair, Jasper, Monty
Genere: Drammatico, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, John Murphy, Raven Reyes
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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26. PUNTI DI VISTA
 

Quel giorno, il giorno dell’evacuazione, Bellamy aveva smontato il turno di guardia prima dell’alba. Aveva percorso il campo addormentato e silenzioso fino alla sua tenda, si era steso, si era tirato addosso una coperta ed era rimasto ad occhi aperti a fissare il vuoto per due ore, cullato dal russare sommesso di Jasper, prima di rendersi conto che per quanto sonno avesse, non sarebbe mai riuscito a crollare. Il suo cervello viaggiava troppo velocemente, e per giunta in circolo.
Cercava gli argomenti per convincere Clarke a non abbandonare il campo base, a non dar seguito all’accordo preso con i Terrestri.
Bellamy era sicuro si trattasse di una trappola: i Terrestri li avrebbero aspettati al di là della recinzione, la recinzione che li avevi tenuti al sicuro fino a quel momento, e li avrebbero massacrati appena messo un piede fuori. Finn e Clarke si stavano illudendo. Fidarsi dei Terrestri, dopo tutto quello che avevano cercato di fare per trucidarli, dal primo giorno del loro arrivo… Era pura follia.
Raven era la sola che lo ascoltasse. Aveva installato le mine sottoterra con la precisione di un chirurgo, decisa a sostenere l’idea del barbecue come la loro sola possibilità di salvezza.
Bellamy sapeva di non avere una sola chance di far cambiare idea a Clarke, alla riunione che avrebbero avuto quel giorno. Aveva imparato a conoscerla, ormai. Gli sembrava di essere circondato da donne testarde, su cui nessuna delle sue ragioni riusciva mai a fare breccia.
Clarke era un sergente, Raven era la definizione di inflessibile, sua sorella si ribellava a qualsiasi ordine con una caparbietà che lo sconvolgeva, e Blair…
Blair Foer la bibliotecaria gli aveva puntato addosso prima una pistola, e poi un bisturi. Lo aveva preso a schiaffi e lui portava ancora sul braccio un graffio lungo una spanna – e non avrebbe saputo dire quando gliel’aveva fatto, se nel bosco mentre si azzuffavano o lottando quando voleva costringerlo a farsi visitare da Clarke. L’unica cosa certa era che fosse opera sua. Si chiese quand’era stata l’ultima volta che erano riusciti a toccarsi senza farsi del male.
Blair aveva sempre una specie di broncio, l’espressione di chi sta ragionando a cento chilometri orari anche mentre cerca di tagliarsi le unghie con un coltello. La piccola ruga tra le sue sopracciglia lo incantava come i fianchi perfetti di un’altra non riuscivano a fare. Era ipnotizzato dalla cadenza delle sue frasi piene di subordinate complesse come da una musica stregata.
Era troppo magra per lui. Aveva gli occhi di un banale castano giallastro, i capelli stopposi, le occhiaie viola e profonde, la pelle bianchiccia. La sua voce non era seducente, né lo erano i suoi movimenti. Sorrideva una volta ogni dieci giorni e ti avrebbe fatto lo scalpo pur di fare quel che le pareva.
E lui si ritrovava comunque a cercare il suo sguardo ogni volta che sorgeva un problema, di fronte ad ogni dubbio – anche quando sapeva che Blair era dall’altra parte del campo. Era un riflesso che non riusciva più a controllare. Voltava la testa in direzione di una Blair immaginaria, come se la sua stupida mente desse per scontato che lei era sempre al suo fianco e che gli sarebbe bastato allungare una mano per toccarla. Le sue dita sfioravano l’aria, il vuoto, e lui continuava a chiedersi, sorpreso, Ma dove sei? Dove sei?
La luce del sole appena nato filtrava timidamente dall’ingresso della tenda, sfiorandogli il viso. Bellamy si arrese. Si alzò, indossò la giacca, afferrò il fucile, incastrò le munizioni alla cintola e uscì, camminando nel solo modo in cui sapeva muoversi, marciando.
 
“Ho bisogno della consulenza di un tecnico.”
La ragazza accucciata dietro il computer non alzò nemmeno gli occhi, mentre le sue mani continuavano a lavorare. Non lo degnò di una risposta.
John inspirò, profondamente. Si era ripromesso di fare il bravo e non prenderla a parolacce già dal primo minuto. Pur di ottenere quel che voleva, era disposto a fare buon viso a cattivo gioco. Perfino con Raven Reyes.
John si schiarì la voce con ostentazione. Due volte.
“Ho detto…”
“Monty è alla navicella.”
“Ho bisogno di un tecnico competente.”
“Perché? Hai finito di molestare le minorenni?”
“Sono tutti minorenni, qui.”
“Non io.”
John si sistemò meglio lo zaino sulle spalle. La coda di cavallo di Raven dondolava, mentre lei continuava a muoversi, nervosa.
John sapeva di non essere la persona più simpatica dell’Arca, tantomeno la più simpatica sulla Terra. La gente gli riservava un trattamento freddo, quando non addirittura ostile. Raramente veniva guardato negli occhi e ancora più raramente gli veniva dedicato un sorriso.
Ma su nessuno faceva effetto come su Raven Reyes, la sua super donna.
John si sentiva un elemento chimico a contatto con il suo gemello invertito, con cui non poteva fare a meno di innescare una reazione esplosiva. Anche se cercava di essere il meno fastidioso possibile, anche se si impegnava a non darle nessun appiglio per scattare, lei diventava elettrica al suo avvicinarsi, e le sfrigolava la pelle nell’udire la sua voce, scintille crepitavano se solo si sfioravano.
Sapeva di non essere amato da nessuno, ma quella donna lo odiava per davvero.
John scosse la testa, chiedendosi se ormai fosse troppo tardi per ottenere altro da lei, al di là di quell’astio bruciante. Fece per riprendere il discorso, quando lei lo interruppe:
“Lo sai che stiamo partendo, Murphy?”
“Le notizie corrono.”
“Non dovresti andare a prepararti?”
“Tu non dovresti andare a prepararti?”
Raven non lo stava guardando in faccia, molto presa da qualsiasi cosa stesse combinando con i suoi cavi e giraviti.
“Prima sto verificando che il piano B regga, casomai il piano A si rivelasse un errore.”
“Non hai smantellato le mine?”
“Non ci penso nemmeno. Non mi fido dei Terrestri, sono della stessa opinione di Bellamy. Credo sia un’imboscata.”
Raven si portò le mani sui fianchi, dopo essersi tirata su le maniche della giacca fino ai gomiti. John la fissava, al di là del computer e attraverso il gelo che la ragazza gli stava riservando. Si lasciò vincere dall’istinto e fece qualche passo avanti, finché la sua pancia non toccò il tavolo. La lastra di metallo che li separava gli sembrò messa lì apposta per proteggerli.
“Sono d’accordo.”,
disse, senza la minima sfumatura di ironia.
Raven non riuscì a mascherare in tempo la sua reazione, così deliziosamente spontanea. Lo guardò - finalmente lo guardò - a bocca aperta, a metà tra la sorpresa e… e un qualche sentimento che era impossibile decodificare. John non riuscì a trattenersi, e le sorrise.
“Incredibile, eh? Siamo d’accordo su qualcosa, super donna.”
Raven si perse per ancora qualche momento nei suoi occhi. John non l’aveva mai vista meno padrona di sé. Gli sembrò più giovane, più piccola, meno irraggiungibile. Pregò che quell’istante durasse il più possibile e cercò di concentrarsi per assaporarlo fino in fondo. Raven Reyes ad armi deposte, di fronte a lui.
Raven Reyes ad armi deposte, di fronte a lui!
Era straordinario e lui era del tutto impreparato a quello spettacolo. Sentiva il cuore battere fin sotto la gola. Non seppe fare altro se non ripetere Ti supplico, non ti svegliare, ti supplico, non ti svegliare, e restare imbambolato a restituirle lo sguardo, fino a non vedere altro se non quei due meravigliosi occhi scuri.
Raven all’improvviso scrollò le spalle e tornò a testa bassa, infilò le mani in una cassetta e ne estrasse un martello.
“Che vuoi, Murphy?”
La magia si era già estinta. L’armistizio tra loro era durato meno di un attimo. John non credeva sarebbe riuscito a dimenticarsene. Si costrinse a smettere di guardarla e rispose.
“Sono qui per Blair.”
 
Bellamy pensò che la mancanza di sonno gli stesse giocando un brutto scherzo. La riunione, rivedere Blair, l'evacuazione... Lo stress gli stava facendo avere un'allucinazione, non c'era altra spiegazione, ne era certo. 
Perciò invece di premere il grilletto e uccidere il Terrestre che aveva trovato ai margini del campo, battè le palpebre un paio di volte. Poi scosse la testa. Poi si strofinò gli occhi sulla manica della giacca.
Il Terrestre aveva la pelle scura e la testa rasata. Pelli di animale lo coprivano da capo a piedi e un’ascia bipenne continuava a roteare nella sua mano sinistra. Nonostante il trucco nero con cui si era dipinto il viso, lo riconobbe in un attimo: era l’uomo che avevano catturato e torturato per giorni, quello che John era riuscito a piegare dopo un silenzio di ore e ore, per farsi consegnare l’antidoto, quando l’epidemia aveva contagiato il campo a causa sua.
Quell’idiota era già stato preso una volta per essersi spinto troppo vicino al campo ed ora eccolo lì, dentro la recinzione. Forse pensava sarebbe riuscito a scappare di nuovo.
Bellamy sollevò il fucile e puntò dritto alla testa. Attraverso il mirino vide il Terrestre voltarsi e sillabare, rivolto a qualcuno dietro di sé. Quel qualcuno lo affiancò, entrando nel suo campo visivo. Bellamy credette di svenire.
 
Raven gli stava spiegando il funzionamento delle schede di memoria, dei bracciali, dell’archivio di libri a cui Blair aveva lavorato. Lo stava facendo con grande precisione e minuzia di particolari, e John si chiese se stesse insistendo tanto sul tecnicismo per farlo sentire ancora più cretino di quanto lui stesso si sentisse. La guardava sollevare i bracciali, connetterli ai cavi maestri e a device sempre più piccoli, digitare sul computer… E non sentiva davvero quel che stava dicendo.
Raven era un robot di un’efficienza che rasentava la malattia mentale, un mulo caparbio incapace di tentennare, era così sicura di sé che era difficile considerarla una ragazza; quella che aveva davanti era una donna. Con buona pace di tutte le altre, che potevano pure essere straordinarie, ma erano tutte ragazze. Anche Blair.
E non era normale che oltretutto fosse anche così bella. Era ridicolo.
Certo, era dura e difficile come una lastra di titanio incastrata tra le costole, che se ne stava lì con la sola funzione di tagliarti il respiro a metà. Ma non era possibile essere un maschio e non rendersi conto di quanto assurdamente bella fosse. L’unica del campo che potesse competere con lei forse era la sorella di Blake, non fosse era completamente pazza.
Ma Raven Reyes, con le sue ciglia infinite e labbra perfette, ti costringeva ad osservarla sempre per un secondo di troppo. E grazie al cielo era la più freddolosa femmina dell’universo, che indossava la sua giacca rossa anche mentre Cecilia passeggiava per il campo mezza nuda. Ci mancava soltanto avere la visuale completa di quel che i vestiti cercavano di nascondere – senza riuscirci: aveva un fisico che prendeva a sberle la proporzione aurea, ridefinendo i canoni della bellezza.
Tutti i ragazzi del campo avevano fatto almeno un sogno su Raven Reyes. Anche quelli che di lei avevano più paura non erano riusciti a non desiderarla, almeno il tempo di un incubo felice. John Muprhy avrebbe voluto fare eccezione, ma non aveva abbastanza autocontrollo per impedirselo.
Ogni volta che si incontravano litigavano a sangue, mentre una minuscola porzione del cervello di lui stava lì a dirgli che invece che azzannarla alla gola avrebbe potuto morderle il collo.
Raven fece schioccare due dita sotto il suo naso.
“Murhpy, sei vivo?”
John scosse la testa con energia, tornando nel presente.
“S-sì. Sì, ci sono. Cosa stavi dicendo?”
Raven inclinò la testa, stringendo le labbra.
“Non stavi ascoltando?”
“Stavo ascoltando, ma era complicato. Dimmi solo se i libri sono salvi o no.”
Raven sospirò, allontanandosi da lui. Staccò il bracciale metallico dal computer e glielo porse, guardando altrove.
“Puoi correre dalla tua bella a fare la figura dell’eroe.”
John barcollò, tanta era la felicità che si sentì rovesciata addosso.
“Sul serio?”
“Basta collegarli ad un computer qualsiasi, il contenuto è…”
“Sì! Grazie!”
Le sfilò il bracciale di mano, lo cacciò nello zaino più in fretta che riuscì e richiuse la zip. Se lo caricò in spalla e prese l’uscita.
Tornò indietro quel tanto che bastava a incrociare un’ultima volta gli occhi di Raven, che lo aspettavano.
“Grazie, super donna. Davvero.”
“Smamma, Murphy. C’è gente che deve lavorare.”
 
Octavia fu la prima ad accorgersi di essere sotto tiro. Fu abbastanza veloce da rendersi conto che era suo fratello a tenere in braccio il fucile, prima che il Terrestre al suo fianco potesse sollevare l’ascia e lanciarla addosso a Bellamy.
Lui era rimasto immobile sul posto, incapace di reagire di fronte all’immagine che si era trovato davanti. Sua sorella con un Terrestre. Sua sorella con il Terrestre.
Gli fu chiaro finalmente come fosse riuscito ad evadere dalla navicella. Aveva senso: senza l’aiuto di qualcuno all’interno del campo gli sarebbe stato impossibile svignarsela, sotto gli occhi di cento persone. Era stata Octavia a liberarlo. Restava da capire perché l'avesse fatto.
Bellamy si costrinse a fare qualche passo avanti. Mentre si avvicinava, prese sicurezza. Quando li raggiunse, afferrò Octavia per un braccio e la trascinò al coperto, dentro il tunnel che avevano costruito per uscire di nascosto dal campo, lo stesso da cui dovevano essere spuntati loro due. Il Terrestre li seguì.
Senza lasciarla andare, si portò il viso della sorella il più vicino possibile e sebbene avesse voglia di mettersi a gridare, Bellamy sussurrò:
“Cosa diavolo ci fai con lui?”
Octavia cercò di liberarsi dalla stretta, invano. Continuarono a strattonarsi a vicenda, finché la ragazza non ebbe la meglio. Il Terrestre le stava a fianco, controllando alle sue spalle che nessuno li avesse visti.
“Lui è Lincoln.”
“E?”
“Ed è venuto ad avvertirci.”
Gli occhi di Bellamy raggiunsero il Terrestre. Se lo ricordava più piccolo; quando era mezzo nudo incatenato e sanguinante faceva meno impressione. Lì, nel cunicolo scavato nella terra, con l’ascia, il trucco, le pellicce, sembrava alto due volte tanto e più grosso di lui di una tonnellata. Eppure restava fermo e tranquillo accanto a sua sorella, fissando prima uno poi l’altra, in silenzio.
“Avvertirci di cosa?”
“Avevi ragione tu, Bell. È un’imboscata. I Terrestri non hanno mai avuto intenzione di lasciarci andare, anche se rispettiamo il loro patto. Appena usciremo…”
“…ci ammazzeranno.”
Gli occhi blu di Octavia riuscivano a risplendere anche nella penombra. La ragazza annuì.
“Se è così devo avvertire Clarke.”
“Non c’è tempo, Bell. Dovete muovervi subito e prepararvi all’attacco. Trova Raven, per il barbecue. È la vostra sola speranza.”
Vostra?”
Octavia lo guardò e lui per un momento la vide tornare la sorellina indifesa che aveva conosciuto per tutta la vita, prima di scendere sulla Terra, prima che Octavia cominciasse a trasformarsi, temprata dalla sofferenza e dalla lotta per la sopravvivenza, e finalmente libera di essere chi forse era sempre stata.
Lei gli prese il viso tra le mani.
“Io vado via con Lincoln. Lui mi terrà al sicuro.”
“Che cosa?”
“Andremo verso la costa, lì c’è una…”
“O, di che stai parlando? È un Terrestre!”
“Io lo conosco, Bell. Mi fido di lui.”
“Che significa che…? O, io non…”
“Se c’è qualcuno che può difendermi, quello è lui. È venuto fin qui per avvertirci, no? Sta rischiando la sua stessa vita per me, te ne rendi conto?”
Il Terrestre, che fino a quel momento non aveva aperto bocca, distolse lo sguardo da Octavia e lo rivolse a Bellamy.
“Prima di toccarla, dovranno uccidermi.”
La voce di Lincoln vibrò profonda e chiara.
Bellamy cercò di deglutire, invano. La sicurezza che lesse negli occhi dell’uomo lo spaventò.
Era la prima volta che vedeva qualcuno amare sua sorella quanto l’amava lui. Si sentì follemente geloso.
Lasciò cadere il fucile e mise le mani su quelle di Octavia, i cui occhi si erano riempiti di lacrime.
“Vieni con noi.”,
lo pregò, con la voce rotta. Quella di Bellamy le fece eco, a sua volta spezzata, a sua volta distorta dal dolore:
“Non li posso lasciare.”
Octavia si gettò tra le sue braccia e Bellamy strinse finché non seppe di farle male.
“Quando la battaglia sarà finita, seguite il piano dell’evacuazione. Venite sulla costa. Ditelo anche a Jaha.”,
mormorò Octavia al suo orecchio. Lui annuì, strofinando la guancia bagnata di lacrime contro i capelli della sorella.
Lei si staccò, senza lasciarlo andare del tutto, ancora con le mani aggrappate alle sue.
“Ti aspetterò lì.”
Bellamy sapeva che ogni secondo era vitale. E se fregò.
Si prese un minuto intero per restare occhi negli occhi con la sola donna che sarebbe sempre stata il vero amore della sua vita. Octavia aveva smesso di piangere e la sua espressione era tornata decisa, forte. Gli stava stritolando le mani.
“O, quando abbiamo litigato ho detto…”
“Bell, non importa.”
“No, ascoltami. Ho detto che la mia vita era finita quando sei nata tu. La verità è che non è mai cominciata fino a quel giorno.”
La guardò combattere con l’istinto di abbracciarlo ancora, di implorarlo di nuovo di seguirli.
“Ti voglio bene, Bell.”
Lincoln appoggiò una mano sulla spalla di Octavia e lei cercò di ricomporsi, di riaversi abbastanza da scappare lontano.
Bellamy si sentiva distrutto in mille parti, come se stessero per strappargli via un pezzo, un pezzo senza il quale non era certo di poter sopravvivere. Aveva dedicato la sua vita a proteggere sua sorella e non riusciva a concepire che potesse esistere una versione di se stesso senza di lei. Non avrebbe saputo che senso darsi, se davvero c’era qualcun altro a prendersi cura di lei. Se lei stessa era cresciuta abbastanza da non avere bisogno di nessuno.
Bellamy seppe, in quel tunnel, sottoterra, che non importava: sua sorella, sua responsabilità. Niente avrebbe potuto riscrivere quella verità, la certezza che gli aveva dato una mappa e la forza per muoversi da quando era appena un bambino.
Pregò in cuor suo che il Terrestre, Lincoln, si dimostrasse inflessibile in battaglia come si era dimostrato sotto tortura. Sperò con tutte le sue forze che la guida di un Terrestre si rivelasse la strategia migliore per mettersi in salvo, che riuscissero ad attraversare la foresta e raggiungere il mare. Per la prima volta non avrebbe avuto nessun controllo sul suo destino, doveva lasciarsi convincere da lei che ce l'avrebbe fatta da sola.
Lasciò le mani di Octavia sapendo che non l’avrebbe mai lasciata davvero. E che avrebbe fatto qualsiasi cosa in suo potere perché le sue ultime parole non fossero una bugia:
May we meet again.”






19/12/17
Sì, sono ancora viva! ^^
CHIEDO SCUSA per il MOSTRUOSO RITARDO. Proprio ora che avrei più tempo mi sono ritrovata a scrivere così in ritardo! 
Beh, spero che questo capitolo speciale, con un punto di vista rovesciato sui nostri maschietti preferiti, vi sia piaciuto. Dal prossimo torniamo a regime, per la conclusione della storia sarà Blair la protagonista. Come spero si sarà capito, come linea temporale siamo tornati leggermente indietro rispetto al capitolo precedente: vediamo come hanno vissuto alcuni momenti della giornata Bellamy e John prima dell'aggressione dei Terrestri. 
A presto!, e come sempre grazie per le letture e le recensioni, mi fate felicissima (e mi spingete a fare sempre meglio - o almeno a provarci)!
LRM
   
 
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