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Autore: Hiroshi84    19/12/2017    2 recensioni
'Iniezioni di humour' rappresenta una serie di racconti di natura autobiografica datati anni Duemila.
Tali testi, li trascrissi dentro un file in formato DOC e che successivamente travasai in una chiavetta USB. Di recente, nel riutilizzare tale dispositivo e nel riaprire la cartella in questione, ne ho tratto quattro pubblicazioni al fine di presentarle su EFP Fanfiction.
Genere: Comico, Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In quell'anno lavoravo dai Palazzo in qualità di commesso/magazziniere in un negozio di articoli casalinghi, precisamene per il quarto anno consecutivo e presto mi sarei licenziato in quanto ero in attesa di essere chiamato per il servizio militare.
Lavorare in quel negozio non mi dispiaceva affatto, ma c'erano parecchie note negative, a cominciare dagli orari di chiusura quasi mai rispettati, una salario piuttosto basso che si attestava sulle 240 euro al mese, l'intransigenza e la severità dei dispotici titolari ed infine i clienti che mi facevano andare fuori di melone in svariate occasioni.
In un tardo pomeriggio, mentre stavo sistemando in uno scaffale delle caffettiere e dei thermos, entrò una signora di mezza età dall'aria chiaramente borghesotta.
Non mi fu difficile etichettarla tale per via del ‘Buonasera!’ detto in maniera immodesta, dall'andatura rigida come se gli avessero piantato un palo nel culo e dal suo elegante completo grigio, lo stesso grigio dei suoi capelli.
Con circospezione cominciò a guardare in giro toccandosi più volte con il pollice e l'indice la montatura dorata degli occhiali e pregai mentalmente che non venisse a disturbarmi.
Riconoscevo praticamente fin da subito gli scocciatori e ahimè le mie preghiere non furono ascoltate.
«Mi scusi, sto cercando un aprimitili!» esordì.
«Un apri che?» chiesi, non afferrando cosa intendesse dire.
«Un aprimitili!» disse ancora.
«Un aprimirtilli?» storpiai erroneamente
«Un aprimitili!» mi corresse.
«Un aprimitili?» ripetei alzando gli occhi alla Leo, personaggio interpretato da Carlo Verdone in “Un sacco bello.”
Non ne venni a capo, la cliente non solo non mi aiutò ad identificare l'arnese dal nome curioso ma continuò la tiritera con frasi del tipo:
«Oh insomma, non le sto chiedendo nulla dell’altro mondo, desidero un semplice aprimitili!» - «Come fa a non sapere cos'è un aprimitili? È o non è un commesso in questo casalinghi?» - «Vuole che le faccia un disegnino?»
Non mi restava che affidarmi all’aiuto ad uno dei due anziani titolari, un azione che avrei preferito evitare in quanto avevano la tendenza di lamentarsi e di rimproverarmi aspramente se non riuscivo a servire adeguatamente i clienti.
«Signora Ada, la cliente desidera un aprimitili…» esposi non completando la frase temendo una sua prevedibile reazione non positiva.
«Aprimitili? E che è? Secondo me hai capito male!» mi disse sbuffando la vecchia.
La borghesotta ci squadrò con fare altezzoso e poi sdegnato, ci mancò poco che ci identificasse come degli incompetenti.
Persino il marito della proprietaria fu chiamato in causa ma si sentì anche lui in difficoltà e sollecitò la cliente nel dire in parole povere cosa fosse l'oggetto in questione apparentemente sconosciuto.
Non c’era verso, l’essere sibillina e la bastardaggine di quella lì proseguiva ad oltranza, sembrava farlo apposta.
Finché Pino, uno dei due figli dei titolari, essendo un esperto ed un perfetto conoscitore delle attrezzature casalinghe, avendo prestato in qualche modo attenzione alla situazione creatasi, lasciò per un attimo in sospeso un'altra cliente e andò a risolvere l’enigma.
«Giuseppe, la signora vuole un apricozze, i mitili sarebbero i molluschi!» mi informò acidamente e rimproverando il sottoscritto di peccare di ignoranza.
Inutile dire che i Palazzo diedero appoggio al figlio facendomi sentire un imbecille dopo che nemmeno i due coniugi stessi sapevano che fondamentalmente l'aprimitili rappresentava un maledetto coltellino.
La donna in “grigio” fu servita e finalmente si levò dalle scatole.
E dulcis in fundo, verso l'orario di chiusura, un'altra signora attempata volle da me un particolarissimo set, utilizzato ad esempio per la fondue di formaggi, di carne o per la cioccolata, ahimè collezionando immancabilmente l’ennesimo rimbrotto da parte dei titolari.
Fu la prima volta che sentii parlare dell’elvetico set da fonduta formato da un caratteristico caquelon, (una pentola in ghisa, terracotta o porcellana) un prodotto prevalentemente adoperato dagli svizzeri, dai piemontesi e dai valdostani di cui stranamente eravamo forniti.
Inutilmente provai a giustificarmi con i Palazzo sostenendo che nessuno nasce imparato, del resto non avevo molta dimestichezza del mondo della Cucina e soprattutto una totale conoscenza di tutti gli articoli del negozio.
 
Rincasando, mia madre si accorse fin da subito che quella sera apparivo più avvilito e spossato del solito.
«Peppe, com'è andata la giornata? Hai fame?», mi domandò preoccupata, «Ti ho preparato le cozze!»
«Non ti ci mettere pure tu, mamma. Oggi sono proprio cotto, anzi no, fuso... come una fondue!»
 
   
 
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