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Autore: edoardo811    21/12/2017    3 recensioni
Hai mai visto il mondo, ragazzo?
Avere degli ideali, credere nella propria causa, credere nella giustizia è ciò che ha sempre caratterizzato Robin. Lui è un eroe, un eroe per la sua gente, un eroe per i suoi amici, un eroe per le persone che ama.
Ma quante sfaccettature può davvero avere la parola "eroe"? Si è eroi solamente perché si combatte il crimine? Robin è sempre stato convinto di questo. Non si può fare del bene comportandosi come criminali. Un assassino non può, non potrà mai, essere un eroe.
Non può.
Ma sarà davvero così?
Cosa diresti, se te lo mostrassi io?
Genere: Azione, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Robin, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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I

Hero of War

 

 

 

 

 

«Siamo qui in diretta dalla cinquantaduesima, poco distante da una delle filiali della Banca Centrale di Jump City, dove la situazione pare essersi ormai congelata da trenta minuti a questa parte» cominciò a dire una donna con un microfono in mano di fronte all’obiettivo di una telecamera.

Questa si voltò poi di profilo, per mostrare a chi si trovava dall’altra parte dello schermo una strada piena zeppa di auto della polizia, civili e altri giornalisti, tutti stipati contro un posto di blocco creato dagli agenti, i quali cercavano di intimare ai cittadini di allontanarsi dalla strada.

«E sono sempre trenta i minuti che Jump City intera ha trascorso osservando questa preoccupante scena con il fiato sospeso» riprese la giornalista, tornando ad osservare la telecamera. «Pare che i rapinatori che hanno fatto irruzione nell’edificio mezz’ora fa’ abbiano degli ostaggi con loro, e che la polizia non possa fare nulla per salvarli. Come potete osservare...»

L’inquadratura tornò sulla strada, più precisamente sui furgoni blindati delle squadre antisommossa e sugli elicotteri che sorvolavano la zona. «... i nostri agenti sono pronti ad intervenire, ma la paura che qualche civile innocente possa rimanere coinvolto è alta. Per questo, pare che stiano per cedere ai ricatti dei rapinatori, i quali hanno chiesto di poter uscire indisturbati con la refurtiva e poter fuggire con un’auto in cambio della vita degli ostaggi.»

L’obiettivo centrò ancora una volta la donna. «Non possiamo sapere per quanto ancora la situazione rimarrà in questa fase di stallo, possiamo solamente sperare che la giustizia riesca a trionfare ancora una volta. Ricordiamoci inoltre che i nostri eroi, i Teen Titans, non sono ancora intervenuti, e che forse la loro presenza potrebbe ancora riuscire a ribaltare le sorti della...»

Un aumento repentino del rumore e del brusio generato dalla folla fuori dalla banca fece girare di scatto la giornalista, la quale, rimase a bocca aperta a sua volta quando vide diverse decine di persone correre fuori dalla banca. Uomini e donne, alcuni dei quali tenevano perfino in braccio i loro figli, stavano scendendo a perdifiato le scale che portavano alla strada, per poi venire accolti da dei ben più sorpresi agenti di polizia.

«Santo cielo!» esclamò la donna. «Gli ostaggi stanno uscendo! Vieni Phil, andiamo a vedere!»

La giornalista e il cameraman cominciarono a correre. L’inquadratura tremolò per tutto il tragitto, fino a quando la donna non si fermò di fronte alla massa di civili.

«Fateci passare!» gridò, cercando di farsi sentire sopra la folla. «Sono di Channel Five, spostatevi! Dobbiamo intervistare gli ostaggi e il capo della polizia!»

Le sue proteste parvero non essere udite da nessuno, perché la folla non fece altro che fare ancora più rumore, per la disperazione dei poliziotti che ormai non sembravano più come fare per mantenere la calma.

«Per favore, state indietro» cercava di dire uno di loro, gesticolando. «Non siete autorizzati a passare!»

La giornalista riuscì a farsi largo tra le persone, seguita da un barcollante Phil, fino a quando non riuscirono a raggiungere uno dei poliziotti. «Agente! Che cos’è successo? Come hanno fatto gli ostaggi ad uscire? È stato merito di qualche azione dell’antisommossa? Hanno aggredito i rapinatori alle spalle?» domandò la giornalista, porgendogli il microfono.

«No!» esclamò il poliziotto, quasi adirato. «Noi non abbiamo...»

Un boato gigantesco lo fece interrompere. Il cameraman sollevò la macchina da ripresa, per poi inquadrare una nuvola di fumo nero come la pece e striato di arancione uscire dall’ingresso della banca, assieme a pezzi di vetro, cemento e calcinacci.

All’esplosione si susseguirono le urla spaventate delle persone che cominciarono a fuggire, mentre i poliziotti si guardavano attorno, uno più basito dell’altro.

«Oddio...» sussurrò la giornalista, osservando il fumo nero come in trance. «Ma che sta succedendo la dentro?»

 

 

***

 

Dieci minuti prima

 

 

«D’accordo ragazzi, la situazione pare essere più critica del previsto. I rapinatori sono ben armati, ben equipaggiati e hanno decine di ostaggi, tra cui dei bambini. Dobbiamo essere il più cauti e attenti possibile. Ricordatevi: i civili hanno la priorità. Non possiamo permettere che nemmeno uno solo di loro si faccia del male. Perciò, se dovete scegliere tra il catturare uno dei rapinatori e proteggere un ostaggio, voi scegliete la seconda. I soldi di questa banca non valgono le vite delle persone. Stella e Corvina, a voi lascio il compito di liberare gli ostaggi. Cyborg, BB ed io ci occuperemo dei rapinatori. Tutto chiaro?»

I quattro ragazzi annuirono alle parole del loro leader, il quale fece un cenno di assenso a sua volta. «Bene, andiamo!»

Il gruppo, dapprima riunito sul tetto della banca, si divise: le due ragazze si teletrasportarono dentro grazie ai poteri di Corvina, BB si tramutò in un insetto e si infilò nel condotto di areazione, mentre Robin e Cyborg salivano sulla scala antincendio dietro all’edificio per poi entrare dentro passando per una finestra.

Il leader e il ragazzo bionico si infiltrarono in silenzio dentro un ufficio. Uscirono da esso e proseguirono lentamente verso l’atrio, dove i rapinatori si erano rintanati. Schiena contro il muro, Robin guidò il compagno, fino a quando non raggiunsero la fine del corridoio che conduceva alla loro destinazione. Fece un cenno a Cyborg di aspettare, poi si sporse sull’ampia sala. Sgranò gli occhi sotto la maschera. Ciò che vide lo lasciò atterrito.

Un cadavere giaceva sulle piastrelle del pavimento, una chiazza di sangue si era formata sotto di lui. il pensiero che potesse essere quello di un innocente fece scattare Robin come una molla. Il moro si fiondò verso l’atrio, seguito da un Cyborg sorpreso dal suo repentino cambio di umore.

Il ragazzo imprecò nella propria mente per tutto il tempo, temendo di essere arrivato tardi, ma non appena fu più vicino al corpo si rese conto che non poteva essere quello di un civile; nessuna persona normale sarebbe andata in banca vestito di nero, con indosso un giubbotto antiproiettile e un passamontagna.

Quello era uno dei rapinatori. Robin non seppe dirsi se era sollevato oppure no da quella scoperta. Anche se non si trattava di un innocente, era pur sempre morta una persona. Anzi, non solo una. Nel giro di pochi istanti il leader si rese conto che a terra supini giacevano altri quattro corpi, ognuno dei quali con le stesse caratteristiche del primo. Borsoni pieni zeppi di banconote si trovavano rovesciati per terra, con il loro contenuto sparso ovunque.

Robin cominciò a non capire più nulla di cosa stesse succedendo, quando alle sue spalle giunsero Cyborg e anche gli altri tre membri del gruppo.

«Sono i rapinatori» osservò il robot, perplesso. «Ma chi è stato a fargli questo?»

«E dove sono gli ostaggi?» fece eco Corvina, guardandosi attorno diffidente, nascosta sotto al suo cappuccio. Solo in quel momento Robin si rese conto che sia nell’atrio che dietro gli sportelli non si trovava nessuno; oltre a loro, e i cadaveri dei rapinatori, non c’era nemmeno un’ombra.

«Ho pensato io a tutto.»

Una voce improvvisa fece trasalire i cinque ragazzi, mentre uno dei corpi dei rapinatori iniziava improvvisamente a muoversi. Sotto gli occhi atterriti dei Titans, costui iniziò lentamente a rialzarsi in piedi. Si resero ben presto conto che questo non aveva proprio le stesse caratteristiche degli altri. I suoi pantaloni non erano neri, ma mimetici, e sotto al giubbotto antiproiettile portava una maglietta grigia, troppo stretta per contenere il suo fisico molto robusto e palestrato. Aveva il capo rasato, con una lieve traccia di peluria castana che un tempo probabilmente aveva dovuto formare il cuoio capelluto, gli occhi chiari e una barba molto corta e curata. Una collana color argento gli circondava il collo, andando a sparire sotto al giubbotto.

Si appoggiò il proprio fucile su una spalla, mentre teneva l’altra mano sopra un fodero appeso alla cintura, dal quale spuntava il manico di un qualche coltellaccio.

«Ho fatto fuori i ladri e ho detto agli ostaggi di uscire» disse, sorridendo freddamente al gruppo di ragazzi. «Così potevo avervi tutti per me.»

«Chi sei?!» Robin scattò subito sulla difensiva, imitato da tutti i suoi compagni.

Quello per tutta risposta afferrò la collana, sollevandola e mostrando loro due targhette appese ad essa. Robin le riconobbe all’istante: targhette militari.

«Sergente Troy "Steen" McMark, 75esimo reggimento dei Ranger, eroe di guerra pluridecorato prima, disertore codardo ed infedele dopo.» Lasciò andare la collana, che andò a tintinnare contro il suo petto. «È un piacere conoscervi.»

Robin sgranò gli occhi. Un militare. Anzi, no, un disertore. Quindi doveva sicuramente essere anche un ricercato. Che ci faceva lì? Che cosa voleva da loro?

«Un ranger? Come quello dei parchi?» interrogò Stella, con aria confusa.

L’uomo non parve gradire la domanda, perché non appena la udì un occhio gli tremò. «Quale parte di "eroe di guerra" non ti è chiara?»

«È un militare, Stella» spiegò Corvina, con voce atona, mentre teneva una mano puntata verso Troy.

«Oh.»

«E un eroe di guerra!»

«Abbiamo capito, bestione.» BB liquidò la faccenda con un gesto della mano, per poi indicarlo. «E comunque se davvero fossi un eroe non avresti disertato! Sei solo il classico megalomane con manie di protagonismo, e se devo essere sincero sto sinceramente cominciando a stancarmi di voi!»

«Accidenti, quel nano da giardino parla? Credevo che fosse una decorazione» ribatté l’uomo, per poi rivolgersi al diretto interessato: «Ehi, fammi un favore, tornatene nei libri da sfigati in sovrappeso dai quali provieni e lascia che siano i grandi a parlare.»

«Ma come osi?!» ululò il verdolo, pronto a partire all’attacco ma prontamente afferrato per una spalla da Cyborg, che gli fece cenno di calmarsi.

«Che cosa vuoi?» riprese Robin con tono più calmo, cercando di appianare gli animi. «Perché hai ucciso queste persone?»

«L’ho già detto, perché non volevo che si intromettessero.» Troy abbassò il fucile, afferrandolo saldamente con entrambe le mani. «Perché volevo affrontarvi da solo.» Puntò l’arma, facendo serrare la mascella a Robin, poi proseguì alzando la voce: «Allora, accettate la sfida?!»

Il leader dei Titans strinse i pugni. Un altro mercenario psicopatico era l’ultima cosa che avrebbe voluto affrontare, ma a quanto pareva non aveva scelta. «Hai ucciso delle persone, e per giunta sei un disertore. Anche se questa cosa non dovrebbe essere roba che mi riguarda, rimani comunque un assassino, nonché un criminale. E pertanto noi non possiamo lasciarti andare.» Robin erse completamente, per poi puntare un indice verso il soldato. Nella sua altra mano, l’asta telescopica iniziò ad allungarsi. «Titans, andia...»

«Solo un momento!»

La voce di Troy lo fece interrompere all’improvviso. L’uomo di fronte a loro allungò una mano verso la cintura, per poi estrarre da esso un piccolo oggetto, simile ad un telecomando. Lo sollevò e lo mostrò ai cinque ragazzi, sorridendo meschino. «Mi sono dimenticato di dirvi una cosa. I rapinatori avevano rinchiuso degli altri ostaggi nel caveau della banca, nel seminterrato, e hanno disseminato l’edificio con esplosivi al C4 prima del mio arrivo, per poterla mettere in quel posto alle squadre antisommossa se avessero cercato di irrompere. Non so di preciso quanto esplosivi ci siano, né dove li abbiano messi, ma so che c’è un solo detonatore per farli brillare tutti quanti, ed è quello che ho tra le mie mani in questo momento.»

I cinque ragazzi sussultarono quando udirono quell’affermazione, Robin si fece male alla mano da quanto strinse la propria arma.

«Ma potete stare tranquilli, io non intendo usarlo» proseguì Troy, anche se dalla sua espressione sembrava di tutt’altro avviso. «Magari sto mentendo, e non ci sono davvero esplosivi. Magari, invece, ci sono davvero, ma non intendo realmente rispettare la parola data e li farò brillare lo stesso. Non garantisco nulla. Ma se dovessi darvi un consiglio, vi direi di darvi una mossa.»

Il leader dei Titans serrò la mascella, mentre l’ex militare puntava lo sguardo proprio su di lui, osservandolo con aria di sfida. Ci volle ben poco prima che Robin intuisse le sue intenzioni. Si voltò verso i propri compagni. «Ragazzi, non possiamo correre rischi. BB e Corvina, scendete di sotto a controllare, cercate gli esplosivi e neutralizzateli, io Stella e Cyborg lo affronteremo e cercheremo di recuperare il detonatore.»

I due Titani annuirono. «Fate attenzione» si raccomandò Corvina.

«Anche voi» rispose il leader, mentre i suoi compagni si staccavano dal resto del gruppo.

Robin li guardò allontanarsi, poi riportò lo sguardo su Troy. Non sapeva se stava mentendo o no, sapeva solo che se c’erano davvero altre vite innocenti in pericolo, non poteva ignorarle. Così come non poteva ignorare il fatto che quel tizio avesse tra le mani lo strumento che avrebbe potenzialmente potuto far saltare in aria tutti loro.

«Ah, ricordo anch’io i tempi in cui i civili avevano la priorità assoluta» commentò l’uomo con falsa aria nostalgica, mentre metteva via il detonatore e bracciava di nuovo il fucile. «Tsk. Potevamo massacrare a sangue freddo tutti i talebani che volevamo, ma guai anche solo a chi sfiorava uno di quei dannati spioni. Quanta ipocrisia.»

«Adesso basta Steen.» Robin roteò l’asta, per poi mettersi in posizione da combattimento. «Non siamo qui per chiacchierare.»

«Oh, vedo che hai fretta di andare al sodo.» L’ex militare si sgranchì il collo. «Benissimo, vi accontento subito!» Sollevò il fucile ed aprì il fuoco. Nello stesso momento, i tre ragazzi si sparpagliarono.

Stella si alzò in aria, per poi tempestare il sergente con i suoi dardi verdi, gli occhi che brillavano della medesima luce. «Perché ce l’hai con noi?!» domandò, con voce adirata. «I militari non dovrebbero difendere il proprio paese?!»

Steen rotolò di lato per evitare gli attacchi, poi si rialzò e riprese a spararle addosso. «Non so in quale mondo fatato tu viva, signorinella, ma si vede proprio che tu non hai la più pallida idea di cosa sia la guerra, da queste parti!»

Cyborg gli sparò con il proprio cannone, ma anche questo colpo andò a vuoto.

«Carino quel gingillo, chi te lo ha dato in dotazione?» domandò Troy, spostando l’attenzione su di lui.

Fori di proiettile tappezzarono le pareti della banca, mentre il ragazzo bionico si spostava per evitarli. «Io!» rispose, prendendo di nuovo la mira con il cannone.

Il militare schivò ancora una volta il raggio azzurro accecante, che andò a distruggere uno degli sportelli al fondo dell’atrio. Alle sue spalle arrivò Robin, che gli scagliò diversi birdarang esplosivi. Questi si conficcarono nel pavimento ai suoi piedi e detonarono, sbalzandolo via e facendolo gridare di sorpresa. Steen ruzzolò a terra, privato del suo fucile, ma non ci mise molto per rialzarsi tossendo.

«Ah, è così che la vuoi mettere?» domandò, sghignazzando nonostante i graffi sul volto. «Benissimo!» L’uomo mise mano alla cintura ed estrasse una granata. Se la avvicinò alla bocca e tirò via la spoletta con i denti. «Al volo!»

Robin vide l’oggetto avvicinarsi a lui e sgranò gli occhi. Lo colpì con l’asta a mo’ di mazza da baseball, scagliandolo verso una parete della stanza. «Attenti!» gridò a Cyborg e Stella, la quale generò una barriera di energia verde attorno alla granata, che esplose senza generare nessun danno ingente.

Il leader dei Titans tirò un sospiro di sollievo, ma quella sua distrazione permise a Steen di rialzarsi e dirigersi verso di lui. Il sergente estrasse il coltello da combattimento dal proprio fodero e aggredì il ragazzo, che si difese prontamente con l’asta.

«Hai dei bei riflessi, complimenti» biascicò l’uomo, con un ghigno. Robin serrò la mascella, poi gridò e scansò l’arma di Troy con l’asta, dopodiché sferzò l’aria cercando di arrivare al suo volto, ma quello si ritrasse balzando all’indietro. «Dì un po’, hai mai visto il mondo?»

Quella domanda spiazzò il ragazzo. «Che vuoi dire?» domandò, diffidente.

«Mai pensato di arruolarti?» spiegò McMark, tornando all’attacco. «Così potresti vedere il mondo!»

Il moro scansò diverse accoltellate, poi lo allontanò con un calcio. «Grazie per la proposta, ma non sono interessato!»

Steen barcollò, tuttavia non parve provare dolore per il calcio, quanto più per quella risposta. «Davvero? Perché no? Non lo sai che è veramente divertente?»

«Ma che stai dicendo?!» ribatté il ragazzo meraviglia, sempre più accigliato. Non sapeva a che gioco quell’uomo stesse giocando, ma non gli piaceva. Per niente.

«Stai scherzando? Ricevere una medaglia per aver pestato a sangue un povero innocente? Cosa c’è di meglio?»

Robin si fermò, sgranando gli occhi. Quel tizio non poteva dire sul serio. Il calcio che ricevette al ventre non gli permise di poter ragionare su quella risposta troppo a lungo. Il ragazzo crollò a terra, facendo un verso di dolore.

«Mai abbassare la guardia, soldato. Se fossimo stati in un campo di battaglia, ora staremmo mandando le tue piastrine al quartier generale.»

«Finiscila con le metafore…» mugugnò Robin, rialzandosi in piedi, mentre veniva affiancato da Stella e Cyborg.

Non appena notò i tre, Steen storse il naso. «Mi sto stancando di combattere in inferiorità numerica…»

Prima che uno dei ragazzi potesse rispondere, i loro comunicatori cominciarono a suonare. Cyborg rispose al proprio, mentre Robin e Stella continuavano a tenere sotto controllo il militare.

«BB? Che succede?» domandò il ragazzo bionico.

«Ragazzi! Il caveau è davvero pieno di esplosivi, ma non c’è nessun civile qui dentro! Corvina sta ancora setacciando la zona, ma sembra proprio che…»

Robin smise di ascoltare quando si accorse del sorrisetto che era apparso sul volto di Steen. «Beh, direi che il nostro tempo sta iniziando ad esaurirsi…» borbottò, per poi sollevare il detonatore che aveva messo da parte fino a quel momento. Non appena lo vide, il leader dei Titans sgranò gli occhi. «BB, Corvina, dovete uscire da lì ora!» urlò, interrompendo il discorso tra Cyborg e il mutaforma.

«Credo proprio che "ora" non sarà abbastanza.» Steen spostò lo sguardo su Robin, per poi sorridergli un’ultima volta. «Ci vedremo presto, soldato.»

Il militare premette il pulsante.

 

***

 

«Fortunatamente non ci sono state vittime durante la rapina, eccezion fatta che per i rapinatori stessi, tutti trovati privi di vita a seguito di colpi di arma da fuoco. I Teen Titans hanno asserito di non essere i veri responsabili dell’accaduto e, anzi, stando alla ricostruzione degli inquirenti è probabile che uno dei rapinatori si sia ribellato contro ai propri compagni per poter tenere la refurtiva tutta per sé, tuttavia fallendo. Gli esplosivi piazzati all’interno della banca sono stati rinvenuti per metà già precedentemente disattivati, mentre i rimanenti, malgrado la fitta coltre di fumo generata, non hanno arrecato danni particolarmente ingenti all’edificio, che è rimasto quasi del tutto intatto. Stando ad alcune dichiarazioni rilasciate dai vari testimoni presenti, pare che…»

Robin spense la televisione, affondando il volto tra le mani.

Troy "Steen" McMark.  Non aveva mentito, era davvero stato un soldato pluridecorato, nonché un disertore, ancora in quel momento ricercato da tutte le autorità del paese. Svanito per mesi, come un fantasma, oramai le forze dell’ordine avevano quasi finito con il dimenticarsi di lui. Probabilmente, se Steen stesso non avesse deciso di uscire fuori dal buco in cui si era rintanato, non si avrebbero mai più avuto sue notizie. Ma perché proprio a Jump City? Perché aveva deciso di mostrarsi proprio lì, e di affrontare proprio loro, i Teen Titans?

Loro non avevano mai avuto a che fare con un militare, e di certo non spettava a loro dover consegnare dei disertori alla legge. Quello era un campo non di loro competenza. Era anche vero, però, che con il tempo McMark era passato da semplice disertore a criminale a tutti gli effetti. Dopo una breve ricerca, per Robin era stato facile trovare tutti i reati di cui l’ex militare si era macchiato, da semplici furti ad aggressioni varie ai danni di poliziotti e cittadini, anche se nessun omicidio, fortunatamente, rientrava tra questi crimini.

Anche se, cercando di scavare più a fondo, Robin aveva scoperto che le azioni che aveva compiuto e che lo avevano reso un criminale, non erano nulla se paragonate a quelle che, invece, lo avevano reso l’eroe di guerra di cui tanto si era vantato.

La guerra in cui aveva combattuto, la quale nemmeno aveva un vero e proprio nome, era stata una delle più sporche che fossero mai esistite, ragion per cui Robin non ne aveva mai sentito parlare prima. Una serie di blitz antiterrorismo in Afghanistan, che si erano trasformati ben presto in un vero e proprio massacro da ambo le parti, dove centinaia di Ranger, terroristi e perfino cittadini innocenti avevano perso la vita. Quasi tutto era stato insabbiato, ma nessun firewall sarebbe riuscito a fermare i database dei Titans, anche se Robin non era nemmeno sicuro di quanto legale fosse ciò che stava facendo. Un conto era occuparsi di criminali qualsiasi, ma ora si stava immischiando con qualcosa di molto più grosso di lui, mentre, scavando sempre più a fondo, scopriva cosa davvero fosse accaduto all’ex sergente.

Man mano che scorreva tra i dati, al giovane veniva da socchiudere gli occhi, e questo non solo per via della luce accecante del monitor all’interno della stanza buia.

Foto, video, reperti, perfino delle banali descrizioni sulle missioni effettuate, ognuna di queste cose era un qualcosa di grottesco a dire poco. Da uomini innocenti che venivano torturati, umiliati, non solo dai terroristi, ma soprattutto dagli stessi Ranger, ad esecuzioni pubbliche di quelle che venivano ritenute delle spie del governo americano.

In più di un’occasione il ragazzo fu costretto a distogliere lo sguardo, disgustato. Uomini, donne, anziani, perfino bambini: non c’erano distinzioni.

Aveva sempre saputo, come tutti, che la guerra era una schifezza, che non c’erano regole. Ma mai fino a quel punto.

«Allora, intendi parlare, oppure no?» Questo era McMark, che stava interrogando un uomo dalla carnagione scura, sicuramente un afgano, legato ad una sedia. Era senza maglietta, lasciando ben visibili le abrasioni, i tagli e le ferite sparpagliate lungo tutto il torace. I capelli neri erano crespi, intrisi di sudore e del sangue che ricopriva diverse zone del suo volto. Il suo sguardo era terrorizzato. Probabilmente erano ore che lo stavano torturando. Mormorò qualcosa di incomprensibile, probabilmente nella sua lingua nativa, e per tutta risposta si beccò un pugno in pieno volto, facendogli emettere un grido strozzato, mentre un dente saltava via dal proprio posto.

«Fottuto animale, lo vuoi capire o no che io la tua lingua non la capisco?»

L’afgano chinò il capo, iniziando a singhiozzare, scuotendo il capo e mormorando ancora qualcosa nella sua lingua, solamente per poteri prendere un altro pugno. «Posso andare avanti così tutto il giorno, lo sai? Tu, passami la fiamma ossidrica.»

Un altro soldato apparve nell’obiettivo, porgendo l’oggetto richiesto al sergente, che lo accese immediatamente. «Allora, ti è tornata la memoria?» domandò, ondeggiando l’oggetto di fronte all’uomo legato, che sgranò gli occhi ed iniziò a dimenarsi, cominciando ad urlare.

«Lo prenderò per un no.»

Robin chiuse il video un attimo prima che Steen avvicinasse la fiamma al volto dell’uomo. Serrò gli occhi e congiunse le mani di fronte al suo volto, mascherando un’espressione di disgusto misto a dolore. E quello non era nemmeno l’unico video che aveva trovato. Ce ne erano a decine, centinaia, con protagonisti proprio Troy e dei malcapitati che chiaramente non sapevano nulla.

Come poteva, quell’uomo, essere definito eroe? Ma avevano una vaga idea di ciò che aveva fatto a quelle persone? Naturalmente lo sapevano, del resto quei video venivano spediti proprio al loro quartier generale.

E la cosa peggiore era che non era un ricercato per via di quelle azioni, no. Era ricercato proprio perché aveva deciso di abbandonare quella vita, anche se Robin non riusciva a capire perché lo avesse fatto. A giudicare da come gliene aveva parlato, non sembrava che tutto ciò gli fosse mai dispiaciuto. Ma allora perché? Perché aveva disertato, perché aveva scelto di infrangere la legge, anziché continuare a fare ciò che gli piaceva?

«Robin.»

Una voce bassa lo chiamò all’improvviso. Il ragazzo drizzò il capo, per poi notare Corvina in piedi esattamente di fronte alla sua scrivania, le braccia conserte, il cappuccio abbassato. Non appena la vide, Robin si sentì nuovamente sollevato del fatto che sia lei che BB fossero riusciti ad uscire indenni dall’esplosione nel caveau, grazie proprio ad un portale della ragazza.

«Cosa c’è?» domandò, cercando di darsi un contegno dopo quanto visto.

«Ti sei chiuso qui dentro dal momento in cui siamo tornati alla torre. Gli altri si domandavano cosa stessi pensando, ma erano troppo spaventati dall’idea di disturbarti.»

Malgrado la situazione, Robin abbozzò un sorriso. I suoi compagni, perfino Stella, ormai sapevano meglio di lui che quando si impuntava su qualcosa, era difficile farlo schiodare da essa senza farlo innervosire.

«E tu non avevi paura?»

Corvina scrollò le spalle, senza rispondere, al che al ragazzo venne da sorridere in maniera più pronunciata. Del resto, certe volte nemmeno lei era molto trattabile. Si somigliavano parecchio sotto quel punto di vista.

«Allora, hai scoperto qualcosa?» le domandò lei, facendolo tornare serio all’improvviso.

Il leader chinò il capo, sospirando rumorosamente. «Più di quanto avrei voluto.»

La maga fece il giro della scrivania, mettendosi in piedi accanto a lui, sempre con le braccia conserte, mentre Robin le mostrava il monitor del computer. «Tieniti forte, Corvina. Questa non è roba leggera.»

Pure la dura Corvina, di fronte a quelle immagini, non riuscì a trattenere delle smorfie infastidite e disgustate. «Ma… è terribile…» mormorò. E non aveva nemmeno visto tutto. Non appena Robin le mostrò uno dei video di Troy, la ragazza distolse lo sguardo. «Togli quella schifezza, Robin.»

«Scusa.» Il ragazzo chiuse la finestra, per poi abbandonarsi contro la sedia e sospirare. Scosse lentamente il capo, ancora scosso e disgustato da ciò che aveva visto. «Com’è possibile che quell’uomo sia ritenuto un eroe? Gli eroi non torturano le persone, e di certo non le uccidono.»

«Credo… credo che anche lui se lo sia chiesto.»

Robin sollevò un sopracciglio, voltandosi verso la maga. «Come?»

«Beh…» Corvina si strinse nelle spalle, pensierosa. «Voglio dire che non penso tu sia l’unico a credere che ciò che Steen ha fatto sia terribile. Anche lui lo sa. Perché avrebbe disertato, altrimenti?»

Il leader corrucciò la fronte, perplesso. Quella era un’ipotesi che non aveva considerato, ed effettivamente, la sua compagna non aveva tutti i torti. Se davvero Troy avesse apprezzato quella vita, non l’avrebbe abbandonata così, autoproclamandosi nemico dello stato, per giunta. Forse… forse anche lui, all’inizio, aveva creduto di essersi arruolato per una causa in cui credeva, salvo poi essere smentito quando il vero volto della guerra aveva preso forma di fronte a lui.

Chiunque ne sarebbe uscito devastato.

Robin si prese il mento, pensieroso. «Dobbiamo trovarlo, Corvina. Magari, se riuscissimo a parlare con lui, potremmo capire che cosa vuole davvero.»

«Sempre se accetterà di parlare con noi. Sembrava più interessato a farci del male che ad altro…»

Il leader riuscì a sorridere ancora una volta. Se Corvina riusciva comunque a fare quei suoi commenti negativi, allora voleva dire che non era poi così scossa da quella situazione.

«Si è fatto tardi, ormai» commentò ancora la ragazza, osservando il cielo scuro fuori dalla finestra. «Forse è meglio andare a dormire.»

Robin annuì. «Sì, hai ragione» rispose, mentre Corvina si avviava verso la porta. «Buona notte.»

«Buona notte.»

Rimasto da solo, il giovane spense il computer con un sospiro. Parlare un po’ con Corvina lo aveva fatto stare meglio, doveva ammetterlo, anche se le sue preoccupazioni erano ancora lungi dallo svanire.

Fu solamente quando anche Stella entrò nella sua stanza, diversi minuti dopo, che lui riuscì a sciogliersi del tutto. La ragazza congiunse le mani di fronte alla vita, sorridendogli in maniera calorosa. Il moro si alzò in piedi, andando a stringerla tra le sue braccia.

«Lo troveremo, Robin, vedrai» mormorò lei, posando il mento contro il suo petto.

Robin annuì, appoggiando la fronte sui suoi capelli e facendo il pieno del dolce odore che la sua amata emanava. «Lo so.»

 

***

 

Robin osservò silenziosamente il palazzo in fiamme e le automobili, nelle medesime condizioni, di fronte ad esso. La luce arancione emanata dall’incendio riscaldava il freddo e buio cielo senza stelle di quella notte. Le sirene delle ambulanze, delle volanti della polizia e della camionetta dei pompieri risuonavano in lontananza. Una folla di curiosi si era radunata ai piedi dell’edificio, intenta ad osservare sorpresa quell’incendio che, sicuramente, non poteva essere dovuto ad un guasto elettrico.

A che gioco stai giocando, Steen?

Non poteva avere la certezza che fosse stato proprio l’ex militare a fare tutto quello, ma se non lui, allora chi? Che senso aveva dare fuoco a quell’edificio, visto che quello era un vecchio palazzo abbandonato e non c’era nessuno al suo interno? Nessun criminale di loro conoscenza avrebbe avuto nulla da guadagnare facendo una cosa simile. Quel gesto era servito per attirare la loro attenzione e basta. Infatti, a conferma delle sue ipotesi, Troy sbucò fuori quasi dal nulla, apparendo sulla cima di quel palazzo con un lanciarazzi a tracolla. Sorrise ai ragazzi, scrutandoli dall’alto, mentre le fiamme sotto di lui riflettevano sulle lenti dei suoi occhiali da sole a goccia neri.

«Mi dispiace di avervi disturbati a quest’ora così tarda, ma noi avevamo ancora un conto in sospeso, e io non sono particolarmente famoso per la mia pazienza. Immagino che ormai lo abbiate capito per conto vostro.»

Il leader strinse i pugni, mentre alle sue spalle alcuni dei suoi compagni grugnirono infastiditi. Il giorno precedente, dopo essersi riposato a dovere, aveva parlato anche con Stella, BB e Cyborg di cosa aveva scoperto sul Ranger, perciò anche loro oramai erano perfettamente a conoscenza di cosa quell’uomo aveva fatto in Afghanistan.

«In ogni caso, non posso fare a meno di notare di essere ancora una volta in inferiorità numerica. Qual è il problema, ragazzo, non hai il coraggio di affrontarmi da solo?» proseguì Troy, volgendo un’occhiata verso di Robin, il quale serrò la presa sulla sua asta da combattimento.

«Per fortuna mi sono preparato. Ecco, ho un regalo per voi.» Steen mise mano alla cintura, estraendo un oggetto impossibile da identificare, per poi lanciarlo verso di loro.

«Corvina!» esclamò Robin, temendo che si trattasse di una granata. La maga non si fece attendere e con la propria magia bloccò l’oggetto a mezz’aria, isolandolo dentro una bolla scura.

«Rilassatevi, di tanto in tanto» li canzonò McMark, sghignazzando. «I walkie talkie non hanno mai ucciso nessuno.»

Robin sollevò un sopracciglio, mentre Corvina avvicinava l’oggetto a sé, con cautela. Non appena fu abbastanza vicino, poterono tutti constatare che si trattava davvero di una radiolina, e non di un esplosivo.

«L’ho spento poco fa, dall’altra parte c’era qualcuno che non la smetteva di piagnucolare. Non saprei, magari voi potreste capire che cosa vuole.» Troy sorrise meschinamente ancora una volta, facendo irrigidire il leader dei Titans.

«Accendilo» ordinò. Corvina annuì e lo azionò.

Poterono udire alcune interferenze, prima che una voce riuscisse a farsi sentire dall’altra parte. «C’è… c’è qualcuno…? Mi sentite…? Vi prego, c’è qualcuno…?»

Il gruppo sussultò. Una ragazza, dal tono decisamente spaventato, stava chiamando aiuto, e a giudicare dalla fatica con cui parlava, era chiaro che era da diverso tempo ormai che lo stava facendo. «Ti sentiamo» esordì Corvina, mentre Robin continuava a tenere gli occhi incollati su McMark, il quale non si era più mosso di un millimetro.

«Grazie al cielo! Vi prego, dovete…» la ragazza si interruppe a causa di diversi colpi di tosse, poi riprese: «… dovete aiutarmi…»

«Dove ti trovi? Che sta succedendo?»

«Io… io non lo so. È tutto buio… c’è… del fumo… fa caldo…»

Robin sgranò gli occhi, non mettendoci molto per mettere insieme i pezzi. Qualcuno era dentro quell’edificio in fiamme. Forse non era davvero abbandonato, o forse, quello che temeva, era stato proprio Steen a rapire quella ragazza e a chiuderla là dentro chissà dove. Diceva di non vedere niente, che era tutto buio, e non sapeva nulla dell’incendio, quindi era probabile che fosse chiusa dentro qualche armadio, o comunque un luogo chiuso dal quale non poteva uscire.

«Robin, che facciamo?» domandò Cyborg. «Non posso rintracciare la fonte di calore della ragazza in mezzo a quell’incendio.»

«Aspettate, dite che la ragazza è lì dentro?» domandò Beast Boy, indicando il palazzo.

«E dove altro potrebbe esserci del fumo?» domandò Corvina, roteando gli occhi.

«Dico solo che potrebbe essere una trappola, come la storia degli ostaggi in banca.»

«Non possiamo esserne sicuri» replicò ancora una volta la maga, per poi osservare il leader. «Tu che ne pensi?»

Il moro sospirò. «Penso che non abbiamo altra scelta, dobbiamo separarci.» Sapeva che così facendo avrebbe fatto il gioco di Steen, ma non aveva altra scelta. «BB, Cyborg e Corvina, voi cercate quella ragazza. Con le vostre capacità combinate non credo che avrete problemi. Stella ed io inseguiremo Steen.»

BB e Cyborg annuirono.

«Va bene» esordì Stella, sollevandosi da terra.

Corvina, invece, lo osservò. «Fate attenzione» disse semplicemente, anche se, a giudicare da quello sguardo rivolto a lui in particolare, il suo sembrava più un "fai attenzione". Non era difficile da comprendere il motivo della sua preoccupazione, visto che Troy sembrava avercela con lui in particolare. Probabilmente, il militare aveva altri stratagemmi in serbo per separarlo dai suoi compagni. 

Il leader estrasse il rampino dalla propria cintura, per poi spararlo sul tetto. Si lasciò trascinare, coprendosi dalle fiamme che spuntavano fuori dalle finestre con il proprio mantello. Accanto a lui, Stella volò verso la cima del palazzo senza alcuna difficoltà. Atterrarono uno accanto all’altra e, malgrado il fumo dell’incendio che rendeva difficile vedere, scorsero Steen sul fondo del tetto, quasi verso la sporgenza. Questo sorrise loro, per poi voltarsi e saltare sul tetto del palazzo accanto, svanendo dalla visuale.

«Andiamo» esordì Robin, partendo all’inseguimento.

Saltò di tetto in tetto, di palazzo in palazzo, accompagnato da Stella. Steen era veloce, ma loro stavano lentamente guadagnando terreno. La ragazza aliena cercò di colpirlo diverse volte con alcuni dei suoi dardi, ma Steen riuscì a salvarsi da ciascuno di essi. Si ritrovarono verso il fondo della strada, dove non c’erano più palazzi su cui saltare. McMark si fermò, osservando il vuoto di fronte a sé, grugnendo. Dietro di lui, Robin e Stella sopraggiunsero. Il leader sollevò la propria arma. «Arrenditi, Steen! Non puoi più scappare adesso!»

L’uomo sogghignò. «E chi ha detto che voglio scappare?!» Slacciò il lanciarazzi dalla tracolla, per poi puntarlo verso di loro. Robin spalancò le palpebre, un attimo prima che un razzo li raggiungesse con un fischio. «Stella attenta!» gridò, mentre si proteggeva con il mantello. La ragazza urlò per la sorpresa, ma riuscì comunque a generare una barriera protettiva, grazie alla quale uscì indenne dall’esplosione.

Una nube di fumo si sollevò poco dopo, ma non appena si diradò i due ragazzi riapparvero alla visuale, con il fiato grosso, ma vivi. Si scambiarono una rapida occhiata per accertarsi l’uno delle condizioni dell’altra, poi si sorrisero, scambiandosi un cenno. Ci voleva ben altro per coglierli alla sprovvista. Osservarono Steen, tornando seri. Robin piegò le gambe, pronto a combattere, mentre l’energia verde illuminava gli occhi e le mani di Stella. Troy li osservò inespressivo, per poi sorridere nuovamente. Nel momento stesso in cui lo fece, un altro fischio ruppe il silenzio, ed un altro razzo frustò l’aria, tuttavia questa volta non poteva essere stato Steen a spararlo.

Il leader spalancò nuovamente gli occhi, ma ormai era troppo tardi.

Il tetto esplose sotto i loro piedi.

 

***

 

Corvina serrò la mascella infastidita, mentre il calore delle fiamme la facevano sudare come una fontana, ed il fumo le faceva lacrimare gli occhi. Malgrado si fosse isolata in una bolla di magia nera, e nonostante avesse soffocato diversi focolai sempre con i propri poteri, quell’incendio era davvero troppo grosso. Quel palazzo sarebbe stato fortunato a reggersi ancora in piedi dopo quella notte. Più passavano i minuti, più dubitava che davvero avrebbero trovato qualcuno lì dentro. Qualcuno di vivo, perlomeno.

I suoi poteri si erano rivelati inutili fino a quel momento. Aveva provato a percepire altre presenze, ma al di fuori di quella di Cyborg e BB, intenti a cercare la ragazza in altre zone dell’edificio, nulla. Eppure, la voce femminile continuava a chiamarli, ad implorarli di aiutarla, si era perfino messa a dire di riuscire a sentire il crepitio delle fiamme. Doveva anche considerare che era troppo occupata a non morire bruciata per potersi concentrare a pieno sull’individuare presenze di persone che non conosceva.

Entrò nell’ennesima camera da letto, vuota, saccheggiata da molto prima che quell’incendio divampasse. Le fiamme stavano divorando le pareti, il pavimento e il poco mobilio che rimaneva. Tutto quanto… tranne che per una piccola cassaforte posata a terra, socchiusa. Corvina schiuse le labbra e si avvicinò all’oggetto. Troppo nuovo, e troppo… ignifugo, per potersi trovare lì, in bella mostra, proprio in mezzo ad un incendio. Sentì puzza di bruciato da lontano un miglio, ma non era dovuto alle fiamme. Aprì lo sportello della cassaforte, attenta a non bruciarsi toccando il metallo rovente, per poi sgranare gli occhi.

Al suo interno trovò la radiolina con la quale stavano comunicando ed un cellulare, collegati tra loro tramite un cavo. Corvina serrò i pugni fino a farsi male, dopodiché afferrò gli oggetti e li scollegò. Dal walkie talkie fuoriuscì la voce di Cyborg, al quale avevano consegnato quello che Troy aveva dato loro, mentre dal cellulare uscì, in vivavoce, quella della ragazza che stavano cercando.

«Continua a parlarmi» stava dicendo il robot. «Resta vigile.»

«Ci… ci provo…» mormorò la ragazza che, ormai Corvina aveva capito, stava chiaramente fingendo. Non c’era nessuno in pericolo, lì dentro. Steen li aveva fregati, di nuovo. Avevano collegato assieme la radio con il cellulare, in modo che non potessero sentire la voce della ragazza tramite l’altoparlante, ed ora questa stava comunicando con loro chissà da dove.

«Chi diavolo sei?» domandò la maga, cercando di contenere la rabbia, avvicinandosi il telefono all’orecchio.

«Cos… Corvina? Perché ti sento tramite la radiolina?»

«Perché ci hanno presi in giro, Cyborg. Uscite subito da qui, prima che questo posto vi crolli in testa. E tu, rispondi! Chi sei? Dove ti trovi davvero?!»

Un verso di sorpresa provenne dal telefonino, immediatamente seguito da una tiepida risatina. «Immagino che in questo momento tu ti stia sentendo parecchio stupida.»

«Non ho tempo da perdere» ringhiò ancora la maga, mentre distruggeva il walkie talkie con la propria magia, interrompendo brutalmente qualsiasi cosa Cyborg le stesse dicendo. «Chi sei? Perché lavori con Steen?»

«Perché dovrei risponderti? Potrei chiudere la telefonata proprio adesso, senza dire nulla. Mi godrei i soldi che mi sono beccata per questo lavoro e la farei tranquillamente franca.»

«Se davvero lo avresti voluto, lo avresti già fatto» replicò la maga, uscendo dall’edificio passando per la finestra. Un’altra risata provenne dall’altro capo della cornetta.

«Hai proprio ragione. È solo che è troppo divertente sentire il tuo tono di voce arrabbiato. Comunque sia, siccome in questo momento mi fai anche un po’ pena, posso dirti che non abbiamo mai lavorato con Steen prima d’oggi. Non avevamo nemmeno idea di chi fosse, fino a quando non si è presentato da noi con una barca di soldi, chiedendoci di aiutarlo con questa messa in scena. Però voglio essere onesta: se avessi saputo che prendervi in giro sarebbe stato così divertente, non li avrei nemmeno accettati tutti quei contanti. Beh, pazienza, ormai è andata così.»

«"Abbiamo"?» domandò la maga. «Perché, quanti siete?»

«Ora mi stai davvero chiedendo troppo, mocciosa. La mia parte d’accordo io l’ho rispettata. Ho attirato voi fessi verso di me, permettendo a Troy di poter mettere le mani sul vostro capetto in tutta tranquillità. Ops, immagino che forse non avrei dovuto dirlo…»

Corvina sgranò gli occhi. Come aveva temuto, Robin era davvero finito nel mirino di Steen. Quell’uomo non ce l’aveva con loro, ce l’aveva con lui e basta. «A questo punto credo che anche il mio partner abbia finito con la vostra amichetta dai capelli rossi…»

«Che cosa?!» La maga scattò. «Chi è il tuo partner? E come fate a sapere che Stella è rimasta con Robin?!»

«Siamo rimasti in contatto per tutto questo tempo. Credevi davvero che Steen avrebbe affrontato voi cinque tutto da solo? Non sarebbe stato corretto, non trovi?» Un’altra risatina. «Sarebbe anche ora che voialtri impariate a non affidarvi troppo alla superiorità numerica.»

Corvina serrò la mascella, mentre la ragazza riprendeva a ridere. Ringhiò di rabbia e scaraventò via il cellulare, rendendosi conto che, continuando a parlare con lei, non avrebbe fatto altro che perdere tempo. Non c’erano più informazioni che potesse fornirle, oramai, e non era in vena di essere derisa. Aveva cose più importanti da fare.

«Devo trovare Robin» affermò, per poi sfrecciare verso il punto in cui aveva visto i suoi due compagni dirigersi mentre inseguivano Steen.

 

***

 

Robin tossì, rimettendosi lentamente in ginocchio. Era riuscito a proteggersi con il proprio mantello a stento. L’esplosione lo aveva sbalzato via, ferendolo molto di più di quanto avrebbe creduto.

E non appena si rese conto di Stella e delle sue condizioni anche peggiori, uscì di testa: «STELLA!»

L’aliena non era nemmeno riuscita a proteggersi. Il razzo l’aveva colpita direttamente, senza che lei potesse fare nulla. Le prese il volto tra le mani, osservandola quasi in lacrime. «Stella… Stella no…»

La ragazza gemette all’improvviso, facendolo sussultare. Solo in quel momento si rese conto del petto di lei che ancora si alzava e abbassava. Era viva. Ferita, parecchio anche, ma viva. Un sospiro di sollievo, molto più rumoroso di quanto avrebbe voluto, uscì dalle sue labbra. Se avesse perso Stella in quel modo non se lo sarebbe mai e poi mai perdonato. Strinse con forza la ragazza tra le sue braccia, accarezzandola e spostando le ciocche di capelli che le avevano ricoperto il volto in maniera disordinata.

«Finalmente possiamo discutere da soli.» La voce alle sue spalle lo fece irrigidire come un chiodo. Si voltò, osservando furibondo prima Steen e poi, invece, parecchio sbigottito l’individuo che si trovava al suo fianco. Un uomo dai lunghi capelli biondi e la barba incolta, che lo facevano quasi sembrare un vichingo, vestito con una tuta grigia scura, quasi metallizzata, che riluceva sotto la scarsa luce della luna. A tracolla, teneva un lanciarazzi proprio come McMark. A quel punto, Robin realizzò chi li avesse appena ridotti in quelle condizioni. Quel tizio doveva essere stato in combutta con Steen fin dall’inizio.

«Hai fatto un bel lavoro, Minho» disse il militare, rivolgendosi al suo compare. «Ma da qui posso andare avanti anche da solo.»

Il biondo annuì. Diede loro le spalle e cominciò ad allontanarsi, mentre Troy aggiungeva: «E fai i complimenti a tua sorella da parte mia. È davvero un’attrice nata.»

Minho non rispose nemmeno. Sollevò una mano in cenno di saluto, dopodiché saltò giù dal tetto, sulla scala antincendio, e cominciò a scendere. Robin lo osservò basito per tutto il tempo, cominciando a non capirci più nulla.

«Hai visto, ragazzo? Anche io ho portato gli amici.» Troy sogghignò, mentre il leader stringeva i pugni. Cercò di alzarsi in piedi e di colpirlo con un pugno, ma l’uomo parò facilmente il suo attacco e lo spedì a terra con un potentissimo destro. Robin sentì i denti vibrare, mentre il mondo si girava su sé stesso. Crollò al suolo, gemendo per il dolore, mentre Steen lo osservò dall’alto, con espressione quasi severa.

«Sai, anche io avevo la tua stessa energia, da giovane. Credevo nel mio paese, nella giustizia, volevo lottare per il bene e per proteggere i più deboli, proprio come te. E loro l’hanno notato. Hanno notato la mia energia, la mia determinazione. Mi hanno detto che avrei visto il mondo, che mi avrebbero ricompensato per le mie azioni. Mi hanno detto che sarei stato un eroe per il mio paese. Mi hanno detto che avrei semplicemente dovuto fare ciò che amavo, e che in cambio avrei ottenuto tutto quello che avessi potuto desiderare. Ed era vero, oh, se era vero. Ovunque andassi, la gente poteva vedere la mia uniforme e le mie medaglie in tutto il loro splendore. Mi offrivano il caffè, il pane, potevo parcheggiare la macchina nel fottuto parcheggio per gli handicappati, potevo fare qualsiasi cosa. Sorrisi, pacche sulle spalle, donne. Tutto questo semplicemente perché proteggevo il mio paese.»

Steen si chinò accanto a lui, sempre senza mutare la propria espressione. «E credo che tu sappia in cosa consisteva "proteggere il nostro paese", giusto?»

Realizzando che quella non si trattava di una domanda retorica, Robin annuì lentamente. «Hai… torturato delle persone innocenti…»

«Innocenti?» Troy si alzò in piedi, cominciando a ridere di gusto. «Quelle non erano innocenti. Non erano nemmeno "persone". Erano delle bestie. Io ho solo fatto un favore al mondo intero sbarazzandomene.»

«Ma… ma che stai dicendo?!» Robin lo osservò scioccato. «Erano esseri umani! Come me e te! Avevano vite, amici, famiglie, figli…»

«E noi non ne avevamo a casa, ad attenderci?!» scattò Steen, ammutolendolo. «Era o noi o loro, ragazzo. Io non volevo morire. Non a causa di quella feccia.»

Robin si rimise lentamente in ginocchio, tossendo per il dolore, mentre scuoteva il capo. «Ti hanno fatto il lavaggio del cervello, Steen…»

«Era la maledetta guerra, ragazzo!» replicò Troy, con uno strano tono di voce, mentre si inginocchiava esattamente di fronte a lui, togliendosi gli occhiali. Lo osservò brevemente con i suoi occhi azzurri così chiari da sembrare grigi. «Non era un gioco! Avevamo ordini da eseguire, avevamo…»

«Tu hai disertato!» esclamò il moro, interrompendolo. «Perché lo avresti fatto se tu stesso non pensavi, nel profondo, che tutto quello era sbagliato?!»

«No, ragazzo, no. Tu non capisci. Mi avevano dato le chiavi per il mondo, mi segui? Ce le avevo, erano proprio nelle mie mani.» McMark batté il pugno sul proprio palmo. «Erano qui! Ma erano troppo per me. Credevo che mi sarebbero piaciute la gloria ed il rispetto, ma in realtà non hanno mai fatto per me. Non sono mai stato tipo da queste cose, io. Me ne sono andato perché non riuscivo più a gestire tutto quello. Questa vita qui, che sto facendo ora, è molto più semplice e se non altro non rischio nemmeno più la vita.»

Ora davvero Robin non ci stava capendo più niente. «Che cosa vuoi da me?!» domandò, esasperato. Dove diamine stava andando a parare quella conversazione? Perché gli stava raccontando tutte quelle cose? Come se fosse stato lui a chiedergliele, o se quantomeno gli importassero.

«Voglio solo aiutarti, ragazzo. Te l’ho già detto, io ero come te, da giovane. Voglio insegnarti come funziona il mondo. Non devi fare il vigilante mascherato per essere un eroe. Ti basta semplicemente indossare un uniforme. Non ti piacerebbe vedere il mondo? Perché se vuoi, posso mostrartelo. Devi solo…»

«Robin!»

Il ragazzo si voltò, probabilmente non si era mai sentito così sollevato di sentire la voce di Corvina chiamarlo. La maga stava volando verso di loro a grande velocità, poteva vedere perfino da quella distanza i suoi occhi già illuminati di bianco.

«Dannazione» imprecò Steen, per poi afferrare Robin per la spalla, costringendolo a guardarlo. «Domani notte, al molo. Vieni da solo.» Si separò da lui, per poi iniziare a correre verso la stessa scala antincendio che aveva preso il suo compare. Il leader lo seguì con lo sguardo, non sapendo più cosa pensare, specialmente dopo quell’ultima frase. Poco dopo, Troy era già svanito dalla visuale.

«Robin, stai bene?» domandò Corvina arrivando proprio in quel momento e chinandosi accanto a lui. La stretta calda e confortevole della maga fu quasi una manna dal cielo dopo quella molto più secca e dura di Steen. «Vuoi che lo insegua?»

«No… Stella è ferita» riuscì a mugugnare lui. Corvina sussultò, accorgendosi solo in quel momento della ragazza svenuta.

«Oh no» mormorò, concentrandosi subito su di lei. Dopo una breve analisi, tuttavia, la maga si tranquillizzò. «Tranquillo, sono perlopiù ferite superficiali. Niente di grave. Posso guarirle facilmente.» Corvina posò una mano sul ventre di Stella, mentre la sua magia nera cominciava a fuoriuscire dal palmo, occupandosi del resto. In poco tempo tutte le ferite svanirono dal corpo dell’aliena, facendolo tornare al suo solito splendore.

Robin si sentì incredibilmente sollevato quando vide l’ottimo lavoro svolto dalla sua compagna. Come al solito, Corvina non si smentiva mai. Sgranò gli occhi, tuttavia, quando la ragazza posò una mano proprio sulla sua guancia. La osservò stranita, ma questa troncò sul nascere qualsiasi discussione: «Tocca a te adesso» disse semplicemente, prima di cominciare a guarire anche lui.

«A… ahh…» borbottò lui, mentre un incredibile sensazione di sollievo cominciava ad avvolgere il suo corpo intorpidito. Doveva essere molto più malconcio di quello che aveva creduto, perché la sua guarigione stava impiegando molto più tempo di quella di Stella. Corvina fece scivolare il pollice lungo la sua guancia, trasmettendogli uno strano brivido, dopodiché la maga allontanò la mano. Robin batté le palpebre un paio di volte, disorientato, poi si rese conto di non provare più alcun dolore. Sorrise alla maga, sinceramente grato del suo aiuto e, soprattutto, della sua presenza in quel momento.

«Che è successo qui, Robin? È stato Steen a ridurvi così?»

Il ragazzo si rabbuiò non appena ripensò a ciò che era appena accaduto. Scosse la testa, con un sospiro. «No. Ci hanno teso una trappola.» Accarezzò Stella tra i capelli, osservandola rammaricato. Non era riuscito a proteggerla. Se non fosse stato per Corvina, ora la rossa si sarebbe ancora trovata in condizioni critiche. Si era fatto ingannare come un idiota, e la sua negligenza per poco non aveva costato la vita della sua amata. Se davvero l’avesse persa… non aveva idea di che cosa avrebbe potuto fare. «Steen aveva un complice di nome Minho, che ci ha attaccato alle spalle con un lanciarazzi. Non ho la più pallida idea di chi fosse, però. E voi? Avete trovato la ragazza?»

Corvina fece una smorfia. Fece per parlare, ma un’altra voce lì interruppe, chiamandoli a gran volume: «Ehi, ragazzi!»

I due titans si voltarono, per poi scorgere BB, tramutato in uccello, volare verso di loro. Ritornò in forma umana appena atterrato sul tetto: «Va tutto bene qui? Cos’è successo? Dov’è finito Steen? E… oh cavolo, che è successo a Stella? Sta bene?»

Robin ignorò le domande. Prese Stella tra le sue braccia, per poi alzarsi in piedi. Dopodiché, osservò serio in volto prima la maga, che si era rialzata a sua volta, sempre nascosta dietro il suo cappuccio, e il mutaforma. «Credo che ora faremmo meglio a rinviare le domande a più tardi. Torniamo alla torre e dopo…» Il ragazzo esitò, ripensando alle parole di Steen.

«Al molo. Vieni da solo.»

«… e dopo potremo studiare la nostra prossima mossa.»

 

***

 

«Non puoi farlo, Robin.» Corvina incrociò le braccia, osservandolo severa. «Dopo tutto quello che è accaduto, vuoi davvero affrontarlo da solo?»

«Ha fatto del male a Stella. Non potrò mai perdonarlo per questo» replicò lui, severo in volto, mentre finiva di indossare una tuta del tutto nuova, senza mantello, con delle rifiniture nere e gialle al posto di quelle verdi. A differenza della prima, questa era interamente costituita del materiale del suo mantello, pertanto era a prova di proiettili, esplosioni e lo avrebbe anche aiutato ad incassare meglio i colpi. L’unica arma a cui avrebbe dovuto prestare maggiore attenzione era il coltello del soldato, che probabilmente quella sera sarebbe stato anche più affilato del solito. Steen sembrava solo intenzionato a parlare, a differenza sua, ma Robin dubitava seriamente che il soldato non sarebbe arrivato pronto per combattere.

«Ma non puoi accettare in questo modo la sua proposta! Cosa ti fa credere che questa non sarà un’altra trappola? Ci ha già ingannati due volte!» Corvina, l’unica con cui Robin aveva parlato più nel dettaglio dei fatti accaduti la sera precedente, cercava di farlo desistere da diversi minuti ormai, ma lui per tutto il tempo era rimasto inamovibile. Apprezzava le preoccupazioni della compagna, davvero, ma non sarebbe più tornato indietro: Steen voleva finirla, e lui lo avrebbe accontentato. Inoltre, quella faccenda era decisamente diventata personale, dopo tutto quello che era accaduto. Anzi, probabilmente, lo era sempre stata, almeno per McMark. L’unico bersaglio dell’ex militare, fin dall’inizio, alla fine era sempre stato Robin. Anche nella banca, Steen aveva chiaramente studiato tutto per farlo rimanere da solo con lui, anche se non aveva funzionato. Beh, era giunta l’ora di smetterla di rimandare l’irrimandabile: se Troy voleva Robin, allora lo avrebbe avuto. Sarebbe finito tutto quanto, quella sera. Gliel’avrebbe fatta pagare per ciò che aveva fatto. Se non fosse stato per lui, Stella non si sarebbe mai trovata sdraiata in un lettino priva di sensi.

«Non lo farà, Corvina» riprese, infilando i birdarang nella cintura. «Non ne ha motivo. Probabilmente con lui ci saranno Minho e sua sorella, ma credo che loro interverranno solamente se anche voi ci sarete. Lui non vuole che altri si impiccino. È una faccenda tra me, Steen e nessun altro.» Il ragazzo si infilò due paia di guanti grigi metallizzati, accompagnati da due copri avambracci del medesimo colore.

«Allora lascia venire anche me» insistette la maga, per poi rivolgergli uno sguardo determinato. «Se non vuoi che mi intrometta nella vostra faccenda, mi sta bene. Ma lascia almeno che ti guardi le spalle. Se quei due proverranno ad intervenire, allora ci penserò io a loro.»

Robin assottigliò le labbra, osservando la compagna. Non credeva davvero di avere bisogno di aiuto, ma sapeva anche che quando Corvina si metteva in testa qualcosa, sapeva essere perfino peggio di lui. Inoltre, se c’era qualcuno di adatto per quel tipo di ruolo, quella era sempre la maga. Non avrebbe agito di impulso come avrebbe fatto BB, avrebbe tenuto sotto controllo le sue emozioni, a differenza di Stella, che invece non avrebbe esitato un solo istante se avesse visto il suo amato in difficoltà, e sicuramente sapeva come non farsi scoprire, a differenza del ben più grosso e luminoso Cyborg. E poi, Corvina era una che manteneva la parola data: aveva detto che non sarebbe intervenuta, pertanto non lo avrebbe fatto, ne era certo.

E per finire, ormai lei era dentro quella faccenda tanto quanto Robin. Aveva guarito lui e Stella, era stata la prima a cui lui aveva mostrato il vero lato di Steen, quella con cui aveva discusso sulle possibili vere intenzioni di quest’ultimo, ed era l’unica ad essere a conoscenza del fatto che McMark, in realtà, voleva Robin solamente per via della loro apparente "somiglianza". Nemmeno a Stella aveva raccontato della loro conversazione su quel tetto. Corvina era stata l’unica, e lui non era nemmeno sicuro del perché. Semplicemente… dentro di sé, aveva sentito che rendere partecipe solamente la maga era la scelta più giusta.

Nonostante la amasse, Robin non credeva di avere un’intesa tale da poterne parlare con Stella. Solamente Corvina poteva capirlo davvero, proprio com’era accaduto quando lui credeva che Slade fosse ancora vivo, cosa che effettivamente si era rivelata veritiera.

Ciò che era accaduto con Slade, ora si stava ripetendo con Steen. L’unica differenza era che, questa volta, Robin sarebbe stato pronto. Per quanto grosso e pericoloso, Troy non sarebbe mai stato all’altezza di Slade.

Annuì, volgendo un cenno d’intesa con il capo alla propria compagna. «D’accordo allora, puoi venire anche tu.»

Per la prima volta da quando tutta la faccenda Steen era iniziata, Robin la vide sorridere sotto il cappuccio. «Bene. Andiamo.»

 

***

 

Il leader avanzò in silenzio, nel viale scarsamente illuminato che costeggiava il mare. Il rumore delle onde, della corrente e l’odore salmastro dell’acqua riempivano l’aria, mentre una tiepida brezza faceva ondeggiare i suoi capelli neri. Decine e decine di imbarcazioni erano ormeggiate alla sua sinistra, mentre centinaia, forse migliaia, di container erano depositati li uni sopra gli altri alla sua destra, creando un insieme grosso più di un quartiere, in cui verde, rosso, blu, giallo, grigio e nero si mescolavano e smarrivano a perdita d’occhio. Sapeva bene che, in mezzo a quella distesa, la sua compagna lì ad osservarlo, nascosta in mezzo alle tenebre. Doveva ammetterlo, l’idea che anche Corvina si trovasse lì insieme a lui riusciva a farlo sentire meglio. Se non altro, ora poteva essere sicuro al cento percento che non avrebbe ricevuto attacchi alle spalle.

Steen apparve praticamente subito, senza nemmeno dargli il tempo di credere che non si sarebbe nemmeno presentato, e a giudicare da dove si era appostato, sembrava che fosse giunto lì da ben prima di lui. «Allora sei venuto» commentò, scrutandolo dalla sua postazione sopra la cabina di un grosso macchinario per il trasporto merci, a più di trenta metri di altezza. «Cominciavo a temere di doverti venire a prendere io stesso.»

«La prossima volta faresti meglio a dirmi un’ora più precisa» replicò Robin, mentre estraeva la sua asta da combattimento.

L’ex militare rise. «Beccato in pieno.» Saltò giù dal cabinato, aggrappandosi al cavo di ferro del gancio della gru, per poi utilizzarlo a mo’ di fune per scendere. Mancavano ancora almeno tre metri di altezza tra la fine della sua corda improvvisata ed il suolo, ma per l’uomo fare quell’atterraggio decisamente scomodo non parve un problema. Cadde in piedi, per poi rialzarsi sgranchendosi il collo. Solo quando gli fu davanti, Robin si accorse della mitragliatrice MG36 che portava a tracolla e delle due pistole nascoste nelle fondine appese alla cintura, insieme al suo coltellaccio. Come immaginava, Steen era venuto armato. Poteva anche essere fuori di testa, ma non era certo stupido: sapeva meglio dello stesso Robin che il leader non si sarebbe mai messo ad ascoltarlo senza prima combattere. Ed era proprio quello che il moro intendeva fare.

Roteò l’asta, mentre Steen afferrava la mitragliatrice. «Mai portare un’arma bianca ad uno scontro a fuoco, ragazzo. Prima regola.»

Robin sorrise provocatorio. «Ed io ho una regola per te: mai sottovalutare l’avversario!»

Corse verso l’ex militare, mulinando l’asta. McMark gridò e fece per aprire il fuoco, ma Robin fu più veloce e gettò a terra un birdarang fumogeno. Malgrado la coltre grigia di fronte a lui, l’uomo premette comunque il grilletto, cominciando a sparare alla cieca. Il leader dei Titans rotolò a terra per evitare i proiettili, poi sbucò fuori dalla nube, colpendo l’avversario sulla tempia.

Steen barcollò, grugnendo per il dolore, ma mantenne comunque salda la presa sulla propria arma. Si voltò e provò a colpirlo con il calcio di quest’ultima, ma Robin si era già allontanato con un salto. A quel punto, Troy digrignò i denti, poi urlò a pieni polmoni ed iniziò a far piovere piombo su di lui. La canna della mitragliatrice rimase illuminata dalle fiammate dei proiettili durante tutto il tempo che Robin trascorse saltando ed evitandoli, sempre approfittando delle sue bombe fumogene. Malgrado la sua agilità e i suoi sotterfugi, diversi proiettili lo raggiunsero, ma furono perlopiù colpì di striscio, attutiti dalla tuta.

Corse lungo tutto il viale, usando il rampino per poi saltare sopra uno dei container e spostarsi su di essi. McMark lo inseguì, correndo sulla strada, continuando a tenere premuto il grilletto verso di lui. Il tintinnio dei proiettili che incontravano il metallo dei container, il rumore dei bossoli che cadevano a terra come pioggia e la canna dell’arma che continuava ad ululare furono gli unici suoni che si poterono udire: un baccano assordate che quasi impediva a Robin si sentire i suoi stessi pensieri, che tuttavia cessò all’improvviso con un "click". Robin smise di correre, per poi voltarsi soddisfatto verso di Steen, il quale aveva appena imprecato sonoramente, mentre cercava di ricaricare la mitragliatrice.

Il leader non gli concesse un tale lusso e saltò dalla pila di container su cui si trovava, per poi fiondarsi sul suo avversario sollevando l’asta. Troy sollevò lo sguardo e strinse i denti. Riuscì ad evitare l’attacco, deviandolo girando la mitragliatrice di piatto, ma quello era proprio ciò che il ragazzo voleva: l’arma cadde dalle mani del soldato, facendolo barcollare all’indietro. Dopodiché, Robin roteò l’asta, centrandogli il volto e costringendolo ad indietreggiare nuovamente, coprendosi il naso con una mano. Volle infierire ulteriormente, approfittando dell’attimo di distrazione dell’uomo, ma questo estrasse fulmineo le due pistole dalle fondine e ripeté la stessa procedura di poco prima, obbligandolo a desistere.

Ancora una volta, una pioggia di proiettili si abbatté sul titan, che non poté fare altro che saltare nuovamente sopra i container per sottrarsi dal pericolo.

 

***

 

Corvina seguiva lo scontro in silenzio, a debita distanza, in piedi sulla cima della pila più alta di container. Da lì poteva ammirare il porto in tutta la sua grandezza, l’enorme mare nero stagliarsi all’orizzonte, mischiandosi con il cielo delle stesse tonalità, e la grossa luna. A meno di un chilometro di distanza da lei, alle sue spalle, la città era animata dalla sua classica vita notturna, con migliaia e migliaia di persone che viaggiavano per le strade completamente ignare di quello che stava accadendo lì.

Incrociò le braccia, facendo una smorfia quando vide Steen estrarre le pistole, costringendo il suo compagno a doversi nuovamente mettere in salvo. Robin era chiaramente più abile di quell’uomo, se solo quest’ultimo non avesse avuto quelle maledette armi da fuoco, il suo leader lo avrebbe sicuramente già sconfitto. Ma malgrado Robin sembrasse avere la situazione sotto controllo, una sgradevole sensazione non sembrava voleva abbandonare il corpo della maga, che continuava a guardarsi attorno alla ricerca di scocciatori vari. Non era minimamente convinta del fatto che Steen fosse davvero venuto da solo fin lì, sicuramente si era preparato un piano B, nel caso avesse perso contro Robin.

E questo piano B, infatti, non esitò ancora molto per farsi vedere. Due individui si stavano lentamente arrampicando su un'altra pila di container, decisamente più bassa di quella in su cui si trovava la maga, che per tutto il tempo li osservò premendosi le unghie nei bicipiti. Sicuramente quelli erano Minho e sua sorella, che avevano scoperto chiamarsi Thia dopo alcune ricerche. I fratelli Vega si erano creati una reputazione piuttosto notevole commettendo furti e crimini, primo tra tutti l’aver attraversato clandestinamente il confine con il Messico, durante il loro spostamento dal loro paese natale in Sud America al nord.

Corvina si alzò in volo e scese verso di loro, lentamente, per non farsi scoprire. Atterrò sul container mentre le davano ancora le spalle, producendo un rumore che li fece voltare entrambi, con espressioni sorprese. Come immaginava, erano proprio loro due: un ragazzo biondo con i capelli lunghi, come Robin gliel’aveva descritto, e una ragazza altrettanto bionda, che a giudicare dai lineamenti era chiaramente la sorella. Quest’ultima, tuttavia, paradossalmente portava i capelli corti, con un taglio obliquo, coperti da un cappellino di lana dalle strisce bianche e gialle. Indossava una tuta nera, intervallata da strisce viola chiaro e verde acqua, mentre suo fratello aveva sempre la sua tuta grigia metallizzata.

La ragazza spalancò gli occhi celesti, osservandola. Da così vicino, osservando quei capelli color oro e quegli occhi, alla maga venne inevitabilmente da pensare a Terra. Accanto a lei, Minho afferrò il fucile che portava a tracolla, ma non glielo puntò.

«Cosa credete di fare?» domandò Corvina, con voce calma.

Thia, malgrado tutto, sorrise divertita. «Ehilà, Corvina. Dì un po’, sei ancora arrabbiata per la storia del cellulare?»

Corvina strinse i pugni, evitando di rispondere, gesto che tuttavia non fece altro che aumentare l’ilarità della sua avversaria. «Lo prenderò per un sì.»

«Non vi permetterò di attaccare Robin» proseguì la maga, ignorando la provocazione, facendo un passo verso di loro.

«Rilassati, splendore» la frenò la bionda, sollevando una mano. «Anche se Steen dovesse perdere, noi non interverremo. Ci ha pagati solamente per assistere allo scontro e assicurarci che nessuno di voi si intrometta. Immagino che il tuo fidanzato abbia chiesto la stessa cosa anche a te.»

«No» rispose Corvina, facendo una smorfia quando udì con quale appellativo quella avesse appena definito Robin. «Non è stato lui a chiedermi di farlo, io ho deciso di venire qui, perché speravo proprio di incontrarvi.» La maga allargò le braccia, mentre due globi di energia nera cominciavano a prendere forma sui palmi delle mani. «Ve la farò pagare per aver collaborato con quel criminale, e anche per quello che tuo fratello ha fatto a Stella!»

«Non ti conviene farlo» la fermò ancora una volta Thia. «Se combattessimo, finiremmo sicuramente con l’intralciare il loro scontro, e se ciò accadesse allora sicuramente Steen non la prenderà bene. Ci sarà tempo per combattere, ragazzina. Credimi, non sai quanto anch’io desideri poterti dare una bella lezione, ma questo non è né nel luogo, né il momento giusto per farlo. Ti toccherà aspettare ancora un po’ per avere il sedere preso a calci.»

La maga serrò la mascella udendo quelle ennesime provocazioni, ma la parte più razionale di lei sapeva che Thia aveva ragione. Se avessero rovinato lo scontro, Steen sarebbe sicuramente tornato a creare problemi in futuro. Se invece avessero lasciato che si concludesse, forse non avrebbero mai più rivisto l’ex militare, perché sarebbe finito dietro le sbarre. Corvina abbassò le braccia, mentre l’energia nera si affievoliva lentamente. Non avrebbe abbassato del tutto la guardia, comunque, con i due Vega. Non era così stupida.

Thia sogghignò, mentre Minho continuò ad osservarla in silenzio.

«Bene. Possiamo tornare a goderci lo spettacolo, adesso.»

 

***

 

Steen svuotò nuovamente i caricatori, ritrovandosi una seconda volta in balia dell’asta di Robin. Rimasto a mani vuote, il militare fu costretto ad estrarre il coltello, grugnendo infastidito. «Perché vuoi combattermi a tutti i costi? Io posso aiutarti!»

«Perdonami se faccio fatica a crederti» replicò Robin, evitando un affondo dritto al suo cuore, per poi rispondere a tono con l’asta.

Cominciarono un furioso scontro corpo a corpo, ossia il genere prediletto da Robin, che malgrado la notevole differenza di statura e fisico, riusciva comunque a tenere egregiamente testa all’uomo.

«Puoi essere molto di più di questo! Io posso aprirti le porte per il successo! Perché non vuoi capirlo?» insistette Steen, evitando un calcio.

Proseguirono in quel modo. Affondi, stoccate, calci, pugni, ginocchiate, parate, schivate. Quello era sicuramente uno degli scontri più duri a cui Robin avesse mai preso parte, malgrado le loro notevoli differenze nello stile di combattimento, Troy era molto più resistente di quanto il leader dei Titans potesse credere, e le, poche, volte in cui era riuscito ad andare a segno con un pugno, od una ginocchiata, aveva decisamente lasciato il segno.

«Perché vuoi limitarti ad essere un eroe solamente per questa città, quando potresti esserlo per l’intero paese?!» ribatté McMark, riuscendo ad arrivare al suo addome con un calcio, facendolo piegare in due. Sollevò il coltello, ma Robin riuscì a rialzarsi e a deviare l’affondo con il bastone.

«Perché due abbiamo concetti differenti di eroismo!» replicò Robin, ansimando per la stanchezza che cominciava a farsi sentire. «Io non voglio trasformarmi in un essere senza pietà, talmente cieco da non rendersi conto di essere diventato un mostro, solo per avere qualche pezzo di metallo senza alcun valore appeso al mio petto!»

«Pensi che sia solo questo quello che siamo noi?!» sbraitò l’uomo, infuriandosi. «Solo medaglie e cicatrici?!»

«Voi?!» domandò Robin, evitando un affondo talmente potente che fece barcollare Steen. «Non c’è nessun "voi"!» esclamò, disarmando l’uomo con una stoccata sulla sua mano. «Tu hai disertato!»

Troy parve colto alla sprovvista, sia dalla contromossa del ragazzo, che dalle sue parole. Esitò un solo istante, che gli fu fatale. Fu colpito in pieno volto e ruzzolò a terra, mugugnando per il dolore. Si rimise carponi, scuotendo la testa per ricomporsi. «Io… ho reso orgoglioso il nostro paese…»

«Davvero? Così orgoglioso di te che adesso ti sta dando la caccia per essertene andato?»

Steen sbatté un pugno sul suolo, grugnendo di rabbia, per poi alzarsi di scatto con un urlo. Robin non si fece cogliere impreparato e mirò al suo fianco con l’asta, ma l’uomo la bloccò afferrandola a mezz’aria e strappandogliela via con forza. L’arma bianca volò lontano da loro due, lasciando il moro altrettanto disarmato, tuttavia riuscì ad avere la freddezza di schivare un altro gancio.

«Io ho tradito la causa, merito di essere cercato» rantolò l’uomo, barcollando all’indietro.

«Tu non hai tradito proprio un bel niente.» Robin sollevò una mano, quasi a cercare di instaurare una tregua con lui. «Hai semplicemente capito che quello che stavi facendo era sbagliato.»

«Era per il bene della mia gente!» Steen si fiondò di nuovo su di lui. Il ragazzo serrò la mascella, poi lo scontro poté proseguire. Evitò un altro pugno, a causa del quale Steen si sbilanciò nuovamente, per poi approfittarne e sferrargli un calcio dietro le ginocchia, facendogli cedere le gambe.

«Non voglio negare che le tue intenzioni fossero buone» asserì il moro, mentre sferrava un altro calcio al suo avversario, questa volta all’addome. Steen urlò e si rialzò in piedi, proteggendosi la pancia con entrambe le braccia, respirando rocamente.

«Non voglio insinuare che tutti i militari siano dei mostri» proseguì ancora Robin, scansando un altro pugno e replicando a tono, spedendo di nuovo l’ex militare a terra.

Troy gemette e si raddrizzò aiutandosi con i gomiti, andando ad appoggiare la schiena contro la superficie di uno dei container alle sue spalle.

«Ciò che condanno, è proprio il paese per cui combatti.»

Steen tentò di rialzarsi, ma un birdarang si conficcò a pochi centimetri di distanza dal suo orecchio, piantandosi nella parete metallica del container. L’uomo sgranò gli occhi, osservando il ragazzo con ancora la mano protesa verso di lui, nella quale erano comparsi altri tre birdarang.  

«Io condanno le persone che ti danno quelle medaglie di cui tanto ti vanti, quelle che dicono di essere orgogliose di te.» Robin abbassò la mano, tuttavia non mise ancora via le armi da lancio, per fargli comunque intuire che se avesse provato a fare un passo falso, ne avrebbe pagato le conseguenze. «Quelle che mandano migliaia e migliaia di uomini che, proprio come te, credono in una buona causa, per poi trasformarli in macellai e convincerli che ciò che stanno facendo è la cosa giusta, mentre in realtà è un abominio. Quelle persone che davvero in voi vedono solamente medaglie e cicatrici. Quelle che in voi non vedono altro che dei pupazzi pronti a morire in una battaglia combattuta per motivi di cui nemmeno sono realmente a conoscenza, quelle persone senza scrupoli, pronte a trasformarvi in mostri e assassini solamente per poterne trarre un profitto. Non vi trasformano in eroi, vi trasformano in macchine, in automi privi di scrupoli e sentimenti. Non siete eroi, ma non per colpa vostra»

Robin si inginocchiò. Steen lo osservava con il fiato grosso, la bocca semiaperta, gli occhi iniettati di sangue. Non sembrava più in sé, ma il leader era certo che le sue parole lo stavano raggiungendo e probabilmente lo stavano colpendo ben più forte di qualsiasi pugno. «Non condanno voi, condanno la guerra. E sono certo che anche tu la pensi come me, nel profondo. Altrimenti non avresti insistito così tanto per farti catturare da me.»

McMark sgranò gli occhi, mentre Robin sorrise. «Ho capito il tuo gioco, Steen. Ci ho messo un po’, ma alla fine l’ho fatto. Non hai mai davvero creduto in tutto quello che mi hai detto. Anche tu sapevi che, in realtà, ciò che hai fatto è sbagliato, e volevi espiare alle tue colpe. Per questo non hai mai ucciso nessuno, tranne che quei ladri nella banca, per questo hai lasciato scappare quegli ostaggi senza che nessuno di loro si facesse del male. Anche tu volevi solamente che tutto questo finisse.»

Steen lo osservò in silenzio per diversi istanti, dopo quelle parole. Rimase immobile, impassibile, con la stessa espressione confusa e spiritata al tempo stesso, fino a quando non chiuse gli occhi, espirando profondamente. «Mi hanno detto che sarei davvero diventato un eroe. Ed io gli ho creduto, gli ho creduto per davvero. Ciò che sono diventato, invece, è stato l’esatto opposto. Volevano che fossi pronto perfino a morire per la nostra maledetta bandiera. Per loro, io avrei dovuto gettarmi nel fuoco, per quello straccio. Sparare a degli innocenti che sventolavano la bandiera bianca non era quello che volevo. Non lo è mai stato. Ma sono stato troppo cieco per capirlo subito.» Riaprì gli occhi, osservandolo attentamente. «Mi sbagliavo quando ti ho detto che da giovane ero proprio come te.» Un sorriso prese forma sul suo volto. «Tu sei molto più sveglio.»

Il suono di alcune sirene in lontananza cominciò a farsi sentire. E sembravano proprio quelle della polizia. Robin sollevò un sopracciglio, sorpreso.

«Ho detto ai miei due soci di chiamare la polizia nel caso in cui avessi perso» spiegò Steen, notando il suo sguardo.

«E cosa sarebbe successo se avessi vinto?»

«Nulla, perché sapevo che non avrei potuto vincere contro di te.»

Robin incrociò le braccia, distendendo il sorriso. Alla fine, Corvina aveva avuto ragione, Steen era davvero tornato perché non riusciva più a convivere con quello che aveva fatto. Alla fine, Troy era davvero una brava persona, alla quale tuttavia avevano portato via l’umanità.

«Hai mai visto il mondo, ragazzo?»

Il leader scosse la testa. «No. Ma se mai un giorno deciderò di farlo, lo farò con una macchina fotografica appesa al collo, insieme ai miei amici.»

Steen ridacchiò. «Bella risposta.»

Il suono delle sirene si fece sempre più vicino.

 

***

 

«Non riesco a credere che siano stati proprio i Vega a chiamare la polizia…» mugugnò Corvina, mentre osservavano gli uomini in divisa scortare Steen, ammanettato, dentro la loro camionetta.

«Io non riesco a credere che tu li abbia lasciati scappare…» replicò Robin, scoccandole un’occhiatina, tuttavia con un sorrisetto divertito. I due ragazzi erano in piedi, ad una ventina di metri di distanza dai poliziotti, l’uno accanto all’altra, la seconda con il suo solito cappuccio calato sulla testa.

La maga fece una smorfia. «Non è colpa mia se il tuo scontro con Steen è stato così acceso. Mi sono girata un attimo verso di voi e quei due erano già spariti.»

Robin ridacchiò. Il tono arrabbiato, ma anche velatamente imbarazzato di Corvina era un qualcosa di magico. «Non preoccuparti, si rifaranno vivi. Da quello che ho capito, perfino loro non vedono l’ora di affrontarci.»

Corvina annuì, anche se comunque sembrava ancora dispiaciuta per esserseli fatti sfuggire. Sicuramente avrebbe potuto inseguirli, ma aveva preferito andare da Robin per accertarsi delle sue condizioni, gesto di cui, per quanto superfluo visto che lui stava bene, non poteva davvero accusarla. Era normale che si preoccupasse delle condizioni di salute dei suoi compagni, del resto, e lui sicuramente non aveva il cuore di fargliene una colpa, come invece avrebbe potuto fare in passato. E comunque, come già aveva detto, i Vega sarebbero presto tornati, ne era certo.

«Così… era davvero come ho detto» proseguì la maga. «Anche Steen sapeva di aver fatto cose terribili…»

Il leader annuì, sospirando pesantemente. «Sì… sì, è così.» Scosse lentamente la testa. «Non riesco a credere di cosa sia davvero capace la guerra…»

«L’essere umano sa essere davvero crudele, certe volte.» Corvina si strinse nelle spalle. «Perfino mio padre impallidirebbe di fronte alle atrocità che l’uomo è in grado di compiere.»

Sorpreso, Robin si voltò verso di lei. Sentirla parlare di Trigon, specialmente dopo quello che era successo non molto tempo prima con quel demone, non era cosa da tutti i giorni. Dal canto suo, la ragazza mantenne il suo sguardo e la sua espressione inespressivi, mentre teneva i suoi occhi viola piantati sulla mascherina di lui. Infine, il moro annuì una seconda volta, senza rispondere.

«Ora però dovremmo tornare alla torre. Credo che Stella si stia preoccupando per il fatto che tu non sia ancora sgattaiolato nella sua stanza…»

Robin arrossì violentemente. «C-Cosa? Mi… mi hai visto farlo?»

Corvina abbozzò un sorriso di sufficienza, malcelato dal cappuccio. «Io vedo tutto, Robin. Ricordatelo sempre.»

«A… Aspetta, che intendi per "tutto"? Cioè, vuoi dire proprio tutto tutto?» Il leader cominciò a sentire le guance andare in fiamme. «Anche… anche… insomma… e-ehi, aspetta!»

La maga si era avvolta nella propria energia nera e stava già scomparendo nel suolo, lasciandolo da solo come un babbeo.

«Corvina!»

Quell’ultimo tentativo di chiamarla fu vano, perché la ragazza lo aveva già abbandonato. Robin si ritrovò immobile, ad osservare il suolo come in trance, continuando ad emettere strani monosillabi. Infine, si riscosse scuotendo lentamente il capo, ridacchiando.

Si accorse solo in quel momento di avere il cuore che batteva nel petto all’impazzata. Non seppe spiegarsene il motivo. Dubitava di volerlo davvero sapere. L’unica persona che era mai riuscita a fargli battere il cuore, dopotutto, era stata proprio Stella.

Di una cosa era sicuro: quella ragazza, Corvina, prima o poi lo avrebbe fatto impazzire. E, sinceramente, quel pensiero non lo preoccupava così tanto.

Osservò di nuovo la strada, dove la volante della polizia era svanita insieme a Steen. Salutò l’ex militare con un ultimo cenno del capo, ammirando, malgrado tutto, il coraggio che aveva avuto nel decidere di espiare finalmente alle sue colpe. Sotto un certo punto di vista, era stato davvero un eroe.

«Addio, Sergente.»

Il ragazzo sparò il rampino sopra una pila di container, per poi allontanarsi dal porto.

   
 
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