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Autore: Arya Tata Montrose    22/12/2017    2 recensioni
Studentessa fuori sede, Levy torna a casa per le vacanze. Gajeel le chiede di incontrarsi quella sera, nonostante avessero appuntamento per la successiva
★ Questa storia partecipa all’iniziativa “Calendario dell’Avvento 2017!” a cura di Fanwriter.it"
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gajil Redfox, Levy McGarden
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Neve a  Magnolia
 
 
 
Magnolia era diversa da qualsiasi città avesse mai visitato; l’opposto di Crocus, così seria e ancor più laboriosa con le feste ormai prossime, sempre frenetica e attiva. Era bello studiare lì, ma casa era altrove. Le era sempre piaciuta l’atmosfera che aveva Magnolia sotto Natale. Pareva quasi magica, con le luminarie che sovrastavano ogni via della città, una primavera di fiori al neon, canzoni allegre e odore di biscotti che ti seguiva ovunque. Levy amava inspirarlo assieme al profumo della neve o di una tazza di cioccolata calda, mentre le si gelavano le orecchie ed il naso in giro per la città.
Sedeva tranquilla sulla sua panchina preferita,  le luci del parco che illuminavano la sera nuvolosa che prometteva neve e la cioccolata del suo locale preferito a scaldarle le mani. Osservava il cielo, ascoltando la musica delle giostre poco lontane diffondersi attraverso il chiacchiericcio sommesso che animava le vie del parco. Levy se ne beava, riempiendosi di nuovo di quell’atmosfera che tanto le era mancata a Crocus e che ora le pareva amplificata. 
Era tornata quella mattina presto e Lucy era andata a prenderla all’aereoporto con il pick-up di Natsu. L’aveva portata prima a casa sua e poi da Erza, dove aveva trovato pronte ad accoglierla anche Cana, Mira, Juvia e persino Evergreen, per festeggiare il suo ritorno e per passare un po’ di tempo insieme e farsi raccontare tutto prima della festa della sera dopo, nonostante sapessero già tutto dalle frequenti videochiamate che facevano ogni settimana. Aveva passato la giornata con loro e poi era tornata a casa, a riposare e disfare le valigie. L’abito per la festa dell’indomani l’aveva già scelto con cura con le ragazze, ed ogni dettaglio era stato accuratamente progettato dalle loro menti diaboliche combinate.
Frugò in tasca e diede uno sguardo veloce al cellulare, controllando l’ora o se ci fossero messaggi. Gajeel l’aveva chiamata qualche ora prima per chiederle di incontrarsi quella sera al parco, proprio alla sua panchina preferita, ed ora era in ritardo. Non se ne preoccupò più di tanto: uno dei motivi per cui stavano così bene insieme, scherzavano sempre, era che nessuno dei due fosse mai puntuale; Lucy non era così fortunata, perché lei, puntuale come un orologio, era la migliore amica e la fidanzata di due dei più grandi ritardatari che avesse mai conosciuto, come diceva lei. Le venne da ridere, al pensiero, incurvando appena le labbra prima di prendere un sorso della sua ottima cioccolata calda. Un’altra cosa di Magnolia che amava era il sapore del cibo, assolutamente incomparabile con quello di Crocus; durante le ore di videochiamate che spendeva soprattutto con Lucy e Gajeel se ne lamentava sempre e ogni volta che Levy tornava Gajeel ed i loro amici la portavano a mangiare da Mira e, le sere successive, Levy faceva un sistematico giro delle loro tavole, un invito per sera, per passare con lei quel poco tempo che le vacanze concedevano loro.
Si strinse un po’ nella sciarpa che portava morbidamente avvolta al collo, cercando un po’ di conforto tra le sue spire di lana, leggermente inumidite dalla neve che iniziava a cadere. Sollevò lo sguardo sulle persone che percorrevano il viale del parco, coppie e famiglie dirette alle piazzole con le giostre e le bancarelle che vendevano dolci di ogni sorta. Le comparve una smorfia sul volto, constatando di aver finito la sua cioccolata. Un po’, in quel momento, capiva Lucy e i suoi rimproveri per i ritardi: per quanto adorasse Magnolia e quel parco, Levy avrebbe tanto voluto essere a casa a riposare, stretta nella poltrona davanti al caminetto o immersa tra mille bolle nella vasca da bagno. 
Aveva appena infilato la mano nella tasca, pronta a prendere nuovamente il cellulare per scrivergli un messaggio, quando la voce di Gajeel la interruppe. «Ehi, Gamberetto!»
Levy, volgendo lo sguardo nella direzione da cui proveniva, lo trovò a camminare tranquillamente dietro una famiglia di quattro persone che passeggiava per il viale. Nella sua voce, però, c’era qualcosa che tradiva una certo affanno, come avesse corso per arrivare fino a lì. La ragazza sorrise: probabilmente era esattamente così.
«Sei ancora vivo, vedo» scherzò, alzandosi per abbracciarlo di slancio. Sentire le sue braccia cingerla forte dopo tanti mesi era una sensazione meravigliosa, che valeva ogni minuto in cui l’aveva atteso seduta su quella fredda panchina. Quanto le era mancato. «É bello vederti» 
«Anche per me, Gamberetto. Sei gelida, diamine.» E strinse l’abbraccio, sollevandola da terra. Le gambe rimanevano penzoloni, ma Gajeel la teneva stretta, impedendole di scivolare. Rimasero così per qualche secondo, beandosi del calore e del profumo l’uno dell’altra, incuranti che qualcuno potesse indugiare su di loro con lo sguardo mentre passavano dal viale. 
Nonostante si sentissero quasi ogni giorno, quell’abbraccio fu come una nuova boccata d’aria. Aria vera, fresca, pulita. Levy si sentiva leggera, liberata dallo stress che la seguiva ogni giorno, dal freddo che iniziava a penetrarle fin dentro nelle ossa, dalla cappa di tristezza che ogni tanto l’affliggeva assieme alla nostalgia.
Quando si staccarono e Gajeel la rimise a terra, il viso di Levy era visibilmente contrariato. «Se qualcuno fosse stato in orario…» lo rimbrottò.
Non capì cosa borbottò in risposta, probabilmente qualche scusa e qualcosa riguardante una rissa con Natsu e gli altri, ma il broncio di Levy immediatamente si sciolse in un nuovo sorriso. Era troppo felice di rivederlo, finalmente. 
«Non ce la facevi, eh, ad aspettare domani?» lo punzecchiò e per dare maggiore enfasi gli puntellò un dito sulla spalla. 
«Come no, Gamberetto. Volevo solo darti il tuo regalo di Natale.» Le porse una pacchettino di carta blu, abbellito da un nastrino giallo canarino. Lucy gli aveva assicurato che le sarebbe piaciuta come confezione e, come una nonna, scherzavano sempre, avrebbe tenuto con cura entrambi per poterli riutilizzare. Ritrasse immediatamente la mano dietro la schiena. «Se preferisci, però, te lo posso dare domani, come eravamo d’accordo.»
Levy gonfiò le guance, strappando a Gajeel uno dei suoi soliti ghigni. Si chinò verso di lei, in modo che i loro visi fossero alla stessa altezza e qualcosa, nei suoi occhi cremisi, fece intuire a Levy cosa stesse architettando. Fu come uno scintillio e non ci fu nessun bisogno che Gajeel dicesse alcunché: Levy si sporse verso di lui quel tanto che bastava a far incontrare le loro labbra fredde in un bacio che sapeva di neve.
Ogni tanto, a Crocus, Levy si passava un dito sulle labbra, immaginando – ricordando – come fossero quelle di Gajeel sulle sue, come i denti appuntiti sembravano scomparire al contatto, come fossero morbide e sottili, quanto le piacesse il loro sapore di ferro.
Sembrò durare solo un breve istante; un intenso, desiderato istante in cui quel sapore tornò più vivido che nella sua memora, accentuato come ogni volta che lo vedeva di nuovo. Un lieve sorriso si palesò ai suoi occhi quando li riaprì, che mostrava i canini bianchissimi del ragazzo. 
«Ottima risposta, Gamberetto.» Gajeel ghignò e le porse nuovamente il pacchettino. «Aprilo ora» la fermò, vedendo che lo stava riponendo. 
Gli occhi di Levy si spostarono dalla confezione a quelli di lui, come a chiedere se avesse sentito bene, una spiegazione, per poi tornare immediatamente alla scatola, senza attendere risposta alcuna. Vi si soffermò alcuni secondi, cercando il metodo migliore per scartarlo senza rompere la carta. Sotto, vi trovò una scatoletta di cartone del medesimo blu zaffiro e, con una nuova occhiata, ottenne l’incoraggiamento per aprirlo. Se la confezione era così bella, Levy non avrebbe potuto immaginare cosa avrebbe potuto nascondere. Riconosceva quella scatola come una di quelle del piccolo laboratorio di Gajeel e le si illuminarono gli occhi; qualsiasi cosa ci fosse, l’aveva fatta lui e questo la rendeva speciale a prescindere – nonostante già sapesse quanto fosse bravo nel suo mestiere.
Guardò il ragazzo ancora una volta prima di aprire la scatola, ora per ringraziarlo, in silenzio. Levy conosceva bene le parole, il loro peso; le calibrava attentamente, quando parlava, e sapeva quando era meglio che non fosse la voce a dar loro vita. Il silenzio sapeva essere più forte delle parole, a volte.
L'interno color zaffiro metteva bene in risalto il grigio del metallo con cui era costruito il piccolo drago. Se ne stava come appollaiato su un trespolo, incurvato a seguirne la forma, poggiandovi ognuna delle dettagliate zampe artigliate. Le ali erano semiaperte, mostrando così quanto magnifica fosse la bestia.
«È un orecchino» le disse. «La coda passa nel buco, il resto si tiene ad incastro» Non le chiese se le piacesse, nonostante avrebbe voluto farlo – stava combattendo contro se stesso per tacere –: si vedeva dai suoi occhi. E poi... 
«Lo adoro.» Un sussurro. «Grazie, è stupendo.»
Levy aveva gli occhi lucidi, pronti per piangere lacrime di gioia trattenute a stento. In quell’istante vi si sentiva soverchiata, come se quella panchina, quell'angolo di parco fosse avvolto da una cupola di felicità tutta loro, che escludeva qualsiasi altra persona da quel loro piccolo, speciale momento insieme dopo tanti mesi di lontananza. Di nuovo lo abbracciò, seppellendo il viso nella sua giacca, strofinandolo un poco e stringendo Gajeel quanto più poteva. 
Un leggero moto d'imbarazzo s'impossessò di lui, colorandogli ulteriormente le guance già rosse per il freddo. Adorava quando Levy faceva così, regalandogli affetto in un modo che, dopo anni gli sembrava nuovo e a cui non credeva si sarebbe mai abituato – era stato solo troppo a lungo, per permettersi il lusso di farlo. Ricambiò la stretta, un sorriso sincero ad accompagnarla. Fu grato che non potesse vederlo, così intenerito da lei e da tutto l'amore, la gioia, il colore che aveva portato alla sua vita grigia. 
«Ora sembri più un koala che un gamberetto» la punzecchiò e lei, per tutta risposta rafforzò la stretta.
Lei emise un risolino e Gajeel maledisse l’attimo in cui si era staccata da lui ed al calore del suo corpo stretto a lui si era sostituito il gelido soffio dell’aria d’inverno, impietosa e carica di neve. Levy aprì nuovamente la scatola, questa volta estraendo il gioiello e rigirandolo tra le mani per qualche secondo, percependo sotto ai polpastrelli ogni intarsio finemente inciso nel metallo, delicato come mai ci si sarebbe potuti aspettare dalle grandi, callose mani del suo creatore. Si rivolse di nuovo a lui, gli occhi che parevano più grandi del solito, lucidi di una gioia che non aveva la minima intenzione di contenere. 
«Come sto?» gli chiese. 
Gajeel scosse un poco la testa, rendendosi improvvisamente conto che l’orecchino fosse passato dalle sue mani ad adornarle l’orecchio sinistro. 
«Bene» rispose, un attimo di ritardo in modo da mascherare quello di smarrimento. E poi le stava bene, davvero bene. Si prese un momento per complimentarsi con se stesso dell’effettivamente sublime lavoro che aveva fatto con quel pezzo di metallo. Su di lei, poi, faceva un effetto addirittura migliore.
«Gajeel?» Si sentì richiamare dalla sua voce sottile. 
«Mh?»
«Beh, è tardi. Ti va di venire a cena da me? Non ho idea di cosa possa essere rimasto in casa, ma una pizza possiamo sempre ordinarla…» 
Prima che potesse finire di parlare, Gajeel aveva già iniziato a scuotere la testa. «Ho prenotato da Mira» disse ed ogni ombra di dubbio sul volto della ragazza divenne nuova sorpresa.
«Da Mira?» ripetè, a chiedere conferma. Da Mira era il lussuoso ristorante che i fratelli Strauss gestivano e che in poco tempo era diventato uno dei locali più chic dove mangiare a Magnolia. Di solito ci andavano tutti insieme perché, nonostante il prezzo ridotto per i familiari che Mira ed i suoi fratelli applicavano loro, il locale rimaneva abbastanza caro per le loro tasche, e mai era successo che ci andassero solo loro due.
Gajeel ghignò in risposta, facendo tintinnare le chiavi della moto appese al dito e accennando con la testa alla direzione in cui era parcheggiata. 
«Andiamo?»
Qualche minuto dopo sfrecciavano sulle strade che iniziavano ad ammantarsi della neve che stava attecchendo, Levy stretta alla sua schiena come la prima volta che l'aveva fatta salire in sella, quasi volesse recuperare quei mesi di assenza e abbracci mancati. Gajeel ghignò, sentendo le sue dita sui fianchi e accelerando ancora un po'. Levy dovette ammettere a se stessa che persino la sua folle guida le era mancata. Poggiò la testa sulla sua schiena e si godette anche quel piccolo momento, uno dei tanti che tornata a Crocus avrebbe rievocato con un tiepido sorriso. Persino la neve a Magnolia era speciale: piccoli, gelidi petali che riscaldavano il cuore

 
Angolino autrice
Buonsalve a tutti! Anche se, come al solito, per il rotto della cuffia, sono qui con la mia storiella di Natale e non poteva non essere sui miei due adorati Metallaro e Fata Turchina. 
Dato che per me non è stato un bel periodo è stata un po' difficile da scrivere, ma tutto sommato sono molto felice del risultato. Un grazie specialissimo a Nana Luna che mi ha aiutato tantissimo in ogni fase di questa storia e uno a tutti voi che mi leggete!
Spero vi piaccia e Buon Natale!
Tata
   
 
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