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Autore: lady lina 77    23/12/2017    2 recensioni
Elke abbassò lo sguardo sulla sua mano, sul suo polso che ancora Mattheus stringeva. Era un uomo a volte duro, a volte irriverente, il più delle volte strafottente, ma una cosa l'aveva colpita fin dal primo istante in cui lui aveva sfiorato la sua mano dieci giorni prima, fermandola quando stava per scoccare una freccia contro i sei arcieri del villaggio che l'avevano attaccata: il tocco di Mattheus era delicato, gentile, buono; non vi era traccia di possesso, forza o prepotenza ed era opposto al suo modo di fare tanto scontroso e cinico. Mani gentili, ma di una persona che per la maggior parte del tempo si faceva beffe del suo prossimo. Eppure, quando era serio, Mattheus sembrava quasi un'altra persona, saggia e, sotto un'apparente durezza, gentile. Scosse la testa, turbata, rendendosi conto forse per la prima volta che sarebbe stato difficile conoscere per davvero quello stregone. Sotto la sua scorza tanto dura, doveva nascondersi un mondo ben più complesso e sconfinato di quel che appariva. Spesso la prendeva in giro, ma anche in quegli istanti, se si stava bene a ragionare sulle sue parole, Mattheus non faceva che darle insegnamenti.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo diciannove



Non avrebbe voluto ripercorrere quella via, né tanto meno entrare in quella casa del centro davanti al convento dove viveva Elke, ma l'insistenza della signora Ziegler, moglie di uno dei conti più influenti e potenti della città, che l'aveva pregato di portare a casa loro trenta ampolle della sua acqua per curare la gotta del marito, l'avevano costretto a farlo: non solo perché un conte poteva pagare cifre interessanti per ottenere quel che voleva, ma anche perché avrebbe anche potuto essere un buon trampolino di lancio verso altri nobili di Bozen con cui concludere affari in futuro.

Era stato un buon pomeriggio quello, gli aveva regalato un guadagno interessante e cospicuo. Se uno ha tanti soldi da spendere per un capriccio, dopo tutto, perché non approfittarne gonfiando un po’ i prezzi?

Dopo aver ridisceso le scale del palazzo degli Ziegler, uscì con circospezione sulla strada, osservando chi stazionava davanti al convento. Quando era arrivato, poche ore prima, non c'era nessuno e, con un po’ di fortuna, non avrebbe trovato nessuno neppure adesso. Si sentiva stupido e si stava nascondendo come un ratto senza motivo, ma non se la sentiva di rischiare di ritrovarsi davanti Elke. Si rese conto che non avrebbe saputo cosa fare in quell'eventualità e se ne stupiva: lui aveva sempre avuto la risposta pronta e la lingua più lunga di tutti, il tutto accompagnato da una sicurezza incrollabile davanti alle altre persone. Elke invece sapeva mettere a nudo ogni sua debolezza e non voleva gestire dei sentimenti tanto contrastanti e forti da spaventarlo. Voleva abbracciarla, voleva sentire la sua voce, voleva sentirla ridere e scherzare con lui come una volta e allo stesso tempo ne aveva paura, perché queste non sarebbero state di certo le sue reazioni, se l'avesse avuto davanti. Non sapeva cosa Elke provasse per lui, quali ricordi conservasse del periodo vissuto insieme a Pennes e nemmeno se l'aveva perdonato per il modo in cui si era comportato con lei. Non sapeva nemmeno se desiderasse vederlo e preferiva nascondersi, piuttosto che scoprirlo.

Sbirciò in strada e maledisse il destino e la sua enorme sfortuna perché Elke era lì intenta a spalare la strada e le scale del convento da neve e ghiaccio, esattamente come due giorni prima. Probabilmente era un lavoro che le ragazze del convento facevano a turno e lui era capitato, per la seconda volta, proprio quando c'era lei. Non era sola, con lei c'era un'altra ragazza che però non era la stessa a cui aveva consegnato la statuetta il giorno prima. Era più giovane e minuta, con lunghi capelli rossi e una marea di lentiggini in viso. Poteva avere forse quindici, sedici anni al massimo ed era talmente magra che Mattheus si chiese come potesse fare un lavoro tanto pesante, per di più al freddo.

Guardò Elke mentre con la pala, cercava di rompere lo strato di ghiaccio che si era formato sulle scale e che, dalla faccia stravolta della ragazza, doveva essere duro come la roccia d'alta montagna.

"Dannazione, non si scioglie nemmeno col sale, questo ghiaccio sembra indistruttibile!". Elke sbottò, picchiando il bastone della pala su uno degli scalini.

La ragazzina dai capelli rossi sospirò, affranta, sfregandosi le mani per scaldarsi dal freddo pungente. "Come facciamo? Dobbiamo pulire la strada e poi il refettorio e non finiremo mai di questo passo".

"No, infatti!". Elke sorrise, un sorriso impercettibile che sfuggì alla ragazzina, ma non a Mattheus.

"Senti Olga, ho un'idea! Entra e inizia tu le faccende in refettorio e io proseguirò da sola qui. Spargerò altro sale e prima o poi il ghiaccio si scioglierà. Così tu potrai stare al caldo e ti porterai avanti col lavoro e io, quando avrò finito, verrò dentro a darti una mano. In due, qua fuori, siamo perfettamente inutili come vedi".

"Davvero posso andare a lavorare dentro?".

Elke annuì. "Certo, non c'è problema".

Mattheus alzò gli occhi al cielo. "Dannazione Elke, tu dalla vita non hai imparato proprio niente!".

Era talmente frustrato che sarebbe uscito allo scoperto solo per urlarle in faccia che decidere di lavorare al freddo, quando invece avrebbe potuto evitarlo ed entrare lei stessa nel convento, era la cosa più idiota che avesse mai fatto. "Non imparerai mai, ragazzina...".

La piccola Olga annuì, correndo verso l’interno. Mattheus era convinto che Elke si sarebbe rimessa subito a lavorare, ma con suo stupore non lo fece. La ragazza si guardò attorno con aria guardinga, come per controllare che non ci fosse nessuno, e poi fischiò.

Mattheus si accigliò. Era un richiamo per qualcuno, quello? Era come se Elke avesse deciso deliberatamente di rimanere da sola in strada, ora che ci pensava. Forse non era così altruista e follemente ingenua come aveva pensato pochi istanti prima: era cambiata e si rese conto che forse doveva cominciare a guardarla con occhi diversi. Questo in un certo senso lo riempiva d'orgoglio ma anche di tristezza perché forse quella ragazzina dolce e ingenua di tre anni prima non esisteva più. Sospirando si rannicchiò dietro al muro che lo nascondeva alla visuale ed attese, curioso di sapere cosa sarebbe successo.

In due minuti, da una porticina laterale, comparve Helena, l'amica di Elke a cui aveva dato la statuetta il giorno prima. Imbacuccata in un vecchio e logoro mantello e con in braccio una bimbetta di pochi anni, la ragazza sgattaiolò vicino ad Elke. "Sicura che non ci sia nessuno e che Olga si sia tolta dai piedi?".

Elke annuì, prendendole dalle braccia la bambina. "Certo! E ora sbrigati a sparire che se qualcuno si accorge che hai preso Anna dall'orfanotrofio saranno guai per te e anche per me che ti sto coprendo le spalle. Cerca di tornare presto".

Con un gesto veloce, Helena si calò il cappuccio del mantello sulla testa. "Ma certo, non voglio mica rapirla! Voglio solo fare una passeggiata in piazza con lei per farle vedere l'albero addobbato. Sarò di ritorno prima che qualcuno si accorga della sua assenza”.

Elke sospirò, ridandole in braccio la bambina. "Sparisci" – le intimò, nervosa.

Mattheus scosse la testa, preoccupato. Ora cominciava, a sprazzi, a capire la situazione. E non gli piaceva affatto. Helena stava portando via dal convento, senza permesso, una bambina che probabilmente era sua figlia o comunque qualcuno a cui era legata e Elke le stava dando una mano, coprendola. Se qualcuno si fosse accorto dell'assenza della bambina entrambe avrebbero passato guai non indifferenti. Non che non approvasse quel che stavano facendo, ma stavano sfidando la sorte senza avere i mezzi per fronteggiare eventuali conseguenze. Però... Sorrise. Elke era rimasta la persona coraggiosa di una volta, irresponsabile, ma con più fegato di mille uomini messi insieme. Era stata una buona amica per lui e non aveva alcun dubbio che fosse una buona amica anche per quella Helena e che per lei fosse disposta anche a correre dei rischi, se necessario. Questa era Elke, una persona dall'animo buono e gentile. Non era cambiata poi così tanto da quando viveva con lui, dopotutto.

Improvvisamente la porta del convento si spalancò, sbattendo con violenza contro il muro e facendo sobbalzare sia lui che le due ragazze.

Mattheus deglutì, mentre una strana ansia prendeva possesso di lui.

La suora di due giorni prima, quella che aveva obbligato Elke ed Helena a portare una quantità enorme di patate, era di nuovo davanti a loro e aveva una faccia talmente minacciosa e rossa d'ira da far tremare persino lui che non c'entrava nulla. Si accucciò dietro il muro, pronto ad intervenire se fosse stato necessario.

La suora scese le scale, lentamente, a dispetto della furia che si leggeva sulla sua espressione, quasi amasse il vedere il terrore dipinto sullo sguardo delle ragazze al suo cospetto.

Quando fu davanti a loro sulle prime non disse nulla, mentre un silenzio pensante cadeva fra di loro. D'improvviso la suora si avventò contro Helena, con violenza, dapprima strappandole dalle braccia la bambina che di tutta risposta scoppiò a piangere terrorizzata, per poi farla stramazzare a terra con un forte pugno nello stomaco.

Helena tossì e lacrime involontarie le solcarono il viso, mentre Elke la osservava con terrore.

La suora piantò gli occhi su di loro, facendo vagare lo sguardo dall'una all'altra, senza sosta, mentre i pianti della piccola spezzavano il silenzio del pomeriggio.

"Non avete pudore, razza di svergognate! Venite qui a mangiare e dormire gratis usufruendo della mia carità, infrangete le mie regole e pensate di fregarmi. Solo due creature del demonio come voi potrebbero farlo, maledette! Rapire una piccola innocente, strapparla dal nido sicuro del convento per portarla chissà dove, a fare chissà cosa. Non riesco nemmeno ad immaginare cosa avreste potuto fare a questa bambina che fino a ieri aveva pure la febbre. Siete due maledette irresponsabili!".

"E' mia figlia!" urlò Helena, rialzandosi a fatica da terra, con la mano poggiata sullo stomaco ancora dolorante. "Non la sto rapendo, Anna è mia!".

"Tu...". La suora si avvicinò a lei, minacciosa, stringendo convulsamente a se la piccola. "Anna la hai affidata a noi ed è l'unica cosa buona che hai fatto per lei, razza di svergognata. E' una creatura pura e innocente che rischia di contaminarsi a contatto con un'anima corrotta come la tua, Helena. Per Anna sarebbe stato meglio che tu fossi morta il giorno in cui l'hai partorita".

"Come osate?".

Helena fece per affrontarla, corpo a corpo, rossa d'ira come e più della suora. Mattheus poteva comprenderne sia lo stato d'animo che la rabbia dell'essere privata della sua bambina e la frustrazione di non poter sfuggire a quella situazione di miseria che la costringeva a vivere in quel posto. Era in un vicolo cieco. Osservò Elke, rimasta per un attimo in disparte, sperando invano stesse zitta e non si intromettesse peggiorando la sua già precaria situazione.

Quasi leggendogli nel pensiero, e facendo ovviamente il contrario di quello che sperava, Elke si avvicinò alla suora di alcuni passi. "Non voleva rapirla ma solo fare una passeggiata con la sua bambina".

"Già, due passi, mezz'ora con lei, solo io e Anna per una volta" - concluse Helena, rabbiosa e allo stesso tempo ferita.

In risposta la suora la colpì in pieno viso con un violento schiaffo, facendola ricadere a terra. La bimba scoppiò a piangere più forte di prima, spaventata, e Mattheus poteva avvertire in quelle urla il terrore e il senso di smarrimento che percuotevano quel piccolo essere vivente.

Delle donne adulte stavano litigando su chi avesse diritto a cosa perdendo di vista la questione più importante, la serenità della bambina che avevano accanto a loro.

Elke fece per avvicinarsi ad Helena, probabilmente per aiutarla a rialzarsi, ma la suora le si parò davanti.

"Avvicinati a lei, prova anche solo a pensare di aiutarla e io ti giuro che lo rimpiangerai. Lo immaginavo che c'eri tu dietro a tutto questo, l'ho sospettato fin dal primo momento in cui ho visto Olga rientrare da sola. Cercare di fregarmi è stata una pessima mossa, Elke, cerca di non peggiorare la tua situazione".

Elke la fissò per un attimo, in silenzio. Poi il suo sguardo si incupì e a dispetto di tutto quello che le era appena stato detto, si inginocchiò accanto ad Helena, cingendole la vita con le braccia per aiutarla a rialzarsi.

"Elke, non ti muovere e non osare mai più disobbedirmi!".

L'urlo feroce e rabbioso della suora fu sovrastato solo dal pianto della bambina. Ma nonostante questo, Elke non si fermò.

"Lasciatele il permesso di uscire con Anna e punitemi pure, se vi farà piacere. Ma Helena è la sua mamma e Anna è la sua bambina, ha bisogno di lei. Io avrei pregato tutti i Santi del paradiso, da piccola, perché mia madre mi portasse con lei a fare una passeggiata, non negate ad Anna questa possibilità. Vi prego".

"Lascia stare". Helena scosse la testa, osservando sconfitta sua figlia che piangeva disperata nella stretta convulsa della suora.

"Ma Helena!".

La donna scosse la testa. "Elke, fa niente, guarda come piange e com'è spaventata, portarla fuori ora non servirebbe a calmarla e a rasserenarla e nessuna delle due godrebbe della passeggiata. Vi prego suor Faustine, portatela dentro al caldo e in un posto tranquillo e punitemi come volete. Ma non davanti a lei".

Mattheus, dal suo nascondiglio, abbassò lo sguardo. Avevano vinto prevaricazione e violenza e una madre, per il bene della figlia, aveva dovuto abbassare il capo e sottostare a un'imposizione ingiusta e illogica. Il mondo era davvero crudele, soprattutto con le persone che avevano meno mezzi per affrontarlo, pensò. Rimpianse per un attimo Pennes, la sua vita semplice e la sua gente che si conosceva e, nonostante diffidenza e paure, era pronta a porgere una mano in caso di necessità. A Pennes non c'erano bimbi o anziani soli, ognuno era il figlio o il nonno di tutti e nelle difficoltà ce ne si prendeva cura. Nelle piccole comunità era così ma non nelle grandi città come Bozen.

La suora annuì, porgendole la bambina. "Cominci a ragionare, Helena. Porta Anna dentro, all'orfanotrofio, e poi vieni nel mio studio. Ti insegnerò come ci si comporta e qual è il tuo posto, una volta per tutte".

Helena si morse il labbro e non rispose. Strinse a se la piccola e poi, a testa bassa, rientrò nel convento. "Mi dispiace, Elke" - sussurrò, prima di sparire dietro la pesante porta del convento.

Suor Faustine si avvicinò ad Elke con sguardo severo. "Quanto a te, piccola dannata...".

Elke sospirò. "Suppongo di dover entrare per attendervi a mia volta nel vostro studio, giusto?".

Mattheus trattenne il respiro. Elke non stava usando un tono conciliante e sottomesso e ogni sua parola tradiva una rabbia che pareva controllare a stento. Anche lui avrebbe reagito allo stesso modo, ma lui aveva anche i mezzi per contrastare chiunque mentre lei... "Non fare la stupida". Inspirò profondamente, pronto ad intervenire se le cose si fossero messe al peggio.

La suora scosse la testa, trattenendo anch'essa, a stento, la rabbia. "Non usare quel tono con me, abbassa la testa e inginocchiati a chiedere scusa per i tuoi peccati".

"No".

"Fallo, fallo piccola strega o ti farò pentire di essere venuta al mondo. E nemmeno il demonio, tuo padre, potrà salvarti dalla mia punizione. Inginocchiati!".

"Ho detto di no! Voi siete una donna orrenda e crudele e io non mi inginocchierò MAI davanti a voi".

Rossa d'ira, la suora esplose, avventandosi su di lei e prendendola per il colletto del vestito. "Strega, tu sei maledetta, tu e tutta la tua stirpe! Sei una creatura degli inferi che non sa riconoscere il bene quando lo ha accanto e che si ribella ad esso con tenacia demoniaca. Ma io ti piegherò, ragazzina, fosse l’ultima cosa che faccio estirperò il maligno da te".

Mattheus sussultò e i suoi pugni si strinsero in modo doloroso. Le parole di quella suora erano quelle che Elke si era sentita ripetere fin dalla sua nascita, come spesso lei gli aveva raccontato. Ma era la prima volta che le sentiva lui stesso perché a Pennes, benché sapesse cosa la gente pensasse di lei, nessuno aveva mai osato offendere Elke in sua presenza. La gente lo temeva e si guardava bene dall'esprimersi in maniera inopportuna davanti a lui perché sapeva che sarebbero stati puniti per questo. Ora la situazione era diversa: quella suora non lo conosceva e nessuno sapeva della sua presenza a Bozen. Avrebbe voluto aiutarla, lo avrebbe fatto se quella suora avesse proseguito con insulti e imprecazioni senza senso, però in quel momento c'era qualcosa che lo frenava e che lo riempiva di sensi di colpa. Ora capiva perché Elke se n'era andata tre anni prima e quanto le sue parole, dettate da un momento di rabbia, l'avessero ferita. Quello che suor Faustine stava urlando a Elke in quel momento erano le stesse identiche cose che lui le aveva gridato in faccia durante i loro ultimi istanti insieme. "Perdonami...".

La voce di suor Faustine lo riportò alla realtà. "Elke, in ginocchio!" - le ripeté, nuovamente.

La ragazza rispose piantandole addosso uno sguardo freddo e carico di rabbia, e per la suora fu troppo. La sua mano si alzò, colpendola poi con uno schiaffo in pieno viso talmente violento da farla cadere a terra stordita.

"Elke!". Mattheus scattò in piedi. L'avrebbe uccisa quella dannata suora, sull'istante. Non doveva, non avrebbe dovuto osare toccarla. Ma l'espressione di Elke lo fece bloccare, di nuovo.

La ragazza non abbassò lo sguardo, ma lo tenne fisso sulla suora. La guancia era diventata viola e un rivolo di sangue le colava dal labbro ma questo pareva non averla scalfita minimamente. E Mattheus si accasciò contro il muro. Non poteva, non doveva salvarla perché Elke era capacissima di farlo da sola. Non aveva bisogno di lui, non poteva interpretare la parte, anche solo per una volta, del principe che salva la principessa bisognosa, perché lui non aveva l'animo nobile dei principi delle fiabe ed Elke non era una povera sprovveduta che aveva bisogno di un uomo che la tirasse fuori dai guai. E poi, soprattutto, perché quella non era una sua battaglia e doveva starne fuori, per rispetto di Elke. C'era fierezza nello sguardo della sua piccola assistente e una nobiltà d'animo talmente evidente che persino quella violenta ed ottusa suora percepiva e non aveva altro mezzo che la forza e la repressione per fronteggiarla.

Elke si sollevò, a fatica. "Picchiatemi ancora, se vi farà piacere. Ma non vi chiederò scusa".

A quel punto fu la suora ad indietreggiare, quasi intimorita davanti alla testardaggine della ragazza. "Non lo farò, sarebbe solo fatica sprecata con te. Ci sono tanti modi per inculcarti la disciplina, sai? Sei una creatura degli inferi, il calore è il tuo elemento naturale e io te ne priverò. Questa notte dormirai di nuovo all'addiaccio, fuori dal convento. Non mi importa né dove né come te la caverai, un po’ di gelo e neve ti faranno bene e ti renderanno più mansueta domattina. Ti voglio qui all'alba e pretendo tu faccia quanto è necessario perché all'ora di colazione ci sia tutto pronto. Poi farai le faccende che non hai sbrigato oggi per aiutare Helena nel suo diabolico piano. E poi, entro sera, sono sicura che ti troverò altre cose da fare. E ora sparisci dalla mia vista, fino a domani non voglio più vederti, strega".

"Come desiderate!". Con un gesto veloce Elke prese fra le mani la pala che aveva usato fino a poco prima per pulire le scale, gettandola rabbiosamente fra la neve.

La suora sorrise con freddezza. "Non so a cosa pensi ti porterà questo atteggiamento, ma sappi che non sarà nulla di buono". Poi si voltò, salendo le scale e sparendo dietro la porta del convento.

Rimasta sola, Elke per un attimo restò immobile, a fissare il grosso portone in legno. Mattheus la guardò, indeciso sul da farsi, e anche se era lontano poté avvertire in lei la rabbia unita a un senso di sconfitta e smarrimento assolutamente comprensibili, viste le circostanze. Non era per niente una bella situazione: Elke era forte e resistente al freddo ma una notte all'addiaccio in inverno, a Bozen, era troppo persino per lei.

In quel momento decise. L'avrebbe seguita e osservata da lontano e se si fosse trovata davvero nei guai avrebbe vinto tutte le sue remore e resistenze e sarebbe uscito allo scoperto. Non poteva fare altro che vegliare da lontano, il solo pensiero di una notte al freddo e al gelo faceva rabbrividire pure lui e non riusciva a sopportare l'idea che lei dovesse subirla.

Elke percorse con passo stanco i vicoli che portavano alla grossa piazza di Bozen, assorta in chissà quali pensieri e preoccupazioni. Mattheus la conosceva bene e poteva scommettere che in quel momento era preoccupata più per Helena che per se stessa, in effetti la sua amica, a tu per tu con quella suora malefica, probabilmente non se la stava passando bene. In quel momento però lui non riusciva a pensare a Helena e a sua figlia, non era come Elke e non possedeva il suo altruismo.

Camminarono fino alla piazza, giungendovi mentre il cielo cominciava ad imbrunire e l'umidità nell'aria rendeva tutto più gelido.

Mattheus si chiese cosa ci facesse Elke in un posto dove tutto richiamava al Natale e per un attimo sperò che lei riuscisse a trovare rifugio in quella calda atmosfera, che avesse imparato ad apprezzarlo nonostante tutto. Le bancarelle erano ancora aperte, mille luci di mille candele scaldavano l'ambiente e il grosso albero addobbato in mezzo alla piazza richiamava a se bambini e adulti con la sua magia. Elke gli passò davanti, ma a differenza degli altri parve non notarlo o, se lo aveva fatto, la cosa non l'aveva colpita per niente.

La vide dirigersi verso il lungo porticato di un palazzo che si affacciava sulla piazza, sotto cui bivaccava un nutrito gruppo di senza tetto seduti per terra a parlare fra loro per far passare il tempo e che si scaldavano con dei boccali di birra in mano, probabilmente acquistati con gli spiccioli che avevano raccattato durante la giornata chiedendo l'elemosina. Erano le persone più malconce e sporche che avesse mai visto, coi capelli crespi e disordinati che andavano in ogni direzione e i vestiti strappati e ricuciti alla meglio. Eppure le loro chiacchiere e le loro risate glieli facevano apparire come le persone più felici di quella piazza. Nessuno fra i cittadini più facoltosi pareva notarli, come se fossero invisibili, nonostante il loro vociare coprisse quello di mercanti e compratori.

Appena videro Elke, uno di loro, di mezza età, dai capelli neri come il carbone e dalla corporatura robusta, si alzò in piedi di scatto, esibendosi in un ampio sorriso. "Ragazza, che ci fai qui a quest'ora?" - esclamò, sorpreso. "Sei di nuovo nei guai?".

Elke sollevò le spalle, sorridendo timidamente. "Sì, come sempre".

"Ah, quella megera ti ha messo alla porta di nuovo? Sarà una notte fredda questa, dicono".

Elke si strinse nelle braccia, rabbrividendo. "Me ne sono accorta. Posso stare con voi?".

"Ma certo" – esclamò un secondo senza tetto, invitando la ragazza ad unirsi a loro. "Sei sempre così gentile con noi quando riesci a portarci del cibo dal convento che non possiamo che tenerti compagnia e proteggerti, quando ce lo chiedi. E' bello essere utili a qualcuno".

Mattheus, nascosto dietro a una bancarella, capì che anche quelle persone, come Helena, erano amiche di Elke e che probabilmente la ragazza, quando ne aveva l'opportunità, li aiutava come poteva, portando loro di nascosto del cibo avanzato. Capì anche che probabilmente quella non era la prima volta che Elke si trovava in una situazione del genere e che sapeva gestirla benissimo. Scosse la testa, sentendosi ridicolo. Poco prima era stato pronto ad uscire allo scoperto per aiutarla ma ora si accorgeva che Elke non ne aveva alcun bisogno. Sapeva come muoversi meglio di lui e aveva trovato amici sinceri in quella città che a lui era sembrata grigia e priva di calore umano fino a pochi istanti prima.

"Vuoi un pò di birra Elke? Questa ti scalda meglio di una coperta di lana!" - urlò il senza tetto che per primo l'aveva invitata ad unirsi alla sua compagnia.

"Sì, perché no? Grazie Rudolph". Elke prese il boccale, bevendone un lungo sorso. E anche questo lo stupì perché non ricordava di averla mai vista bere alcolici a Pennes. Non che facesse qualcosa di male e forse questo sarebbe servito a scaldarla, ma il suo stomaco si contorceva nel guardarla perché della ragazzina di tre anni prima era rimasto ben poco. Era cresciuta ed era coraggiosa e ancora più bella di come la ricordasse, era fiero di come sapesse tenere testa a chi le faceva del male, ma si rese conto che, se l'avesse avuta davanti, non avrebbe più potuto chiamarla ragazzina, prenderla in giro e farle da maestro come una volta. Gli sarebbe mancata per sempre quella Elke, quella che viveva con lui nella sua baita e che amava acconciarsi i capelli con mille nastri colorati e mille perline, che gli sorrideva, che si prendeva cura di lui senza chiedere mai nulla in cambio e che si affidava con cieca fiducia a ogni sua decisione.

Con un sospiro girò sui tacchi, allontanandosi in silenzio dalla piazza. C'erano un sacco di commissioni che doveva ancora sbrigare per quel giorno e non poteva perdere ancora tempo. Elke sarebbe stata bene anche senza di lui, come aveva fatto in quegli ultimi tre anni dopo tutto.

Le aveva insegnato a combattere il male che le veniva fatto, a non accettarlo e a non subirlo passivamente, a non giustificarlo e non c'erano dubbi, aveva imparato bene la lezione. Non sarebbe più stata la sua Elke, mai più. Si chiese, allontanandosi, se ogni tanto pensasse a lui, se sentisse la sua mancanza come lui sentiva la sua, ma la verità era che probabilmente non era così. Era diventata forte e sicuramente una persona migliore di lui e dei ricordi insieme non sapeva più che farsene. Forse in cuor suo lo odiava e non poteva darle torto.

Strinse i pugni, maledicendosi per la sua codardia e per il suo comportamento vigliacco. Era vero, lei sapeva cavarsela ed era terribilmente in gamba, ma lui avrebbe potuto comunque aiutarla con quella suora, avrebbe potuto impedire che venisse picchiata e umiliata. Elke era nei guai, senza un tetto sulla testa per la notte e probabilmente ci era anche abituata, ma non era questo il punto. Il punto era che lui non aveva mosso un dito. Era un codardo, non sarebbe mai diventato l'uomo che era stato Jakob, preferiva nascondersi e scegliere la strada più facile invece che affrontare i suoi errori e le sue paure. Far finta di nulla e cullarsi nell'illusione che Elke non fosse affar suo era più facile, tanto lei nemmeno sapeva della sua presenza lì. Sospirò, allontanandosi dalla piazza e da lei. Era in gamba e si sarebbe arrangiata più che bene da sola, anche se faceva freddo e non aveva nulla con cui ripararsi. Lo aveva sempre fatto, fin da bambina, di certo non sarebbe stata un problema quella notte, per lei.

Sbrigò, con pensieri cupi, le faccende della giornata rimaste irrisolte, vendendo l'acqua ai nobili della città che gliene avevano fatto richiesta e con cui aveva preso appuntamento nei giorni precedenti. Guadagnò, senza provarne piacere alcuno, ingenti quantità di denaro che avrebbero potuto permettergli di vivere serenamente per almeno un anno a Pennes senza muovere un dito.

Eppure non trovava conforto in questo, il suo pensiero era altrove...

Smise di lavorare che era ormai passata la mezzanotte. Bozen era deserta e le torce che illuminavano le vie erano spente. La città dormiva circondata da un buio oscuro e gelido, sferzata dal vento del nord che faceva battere le imposte delle case.

Mattheus si strinse nel mantello, maledicendosi per aver fatto così tardi. Ambiva solo ad un camino acceso, un bagno caldo, una tazza di brodo e coperte morbide.

Giunse nella piazza, avvolta da un silenzio ancora più spettrale. Le candele del gigantesco abete erano ormai spente e venditori e giocolieri si erano rintanati nelle loro case o locande e non c'era più nulla dell'allegria e del clima di festa del pomeriggio.

Avrebbe dovuto tirare dritto, lo sapeva, però... Però lei era lì, da qualche parte, e non poteva accettarlo. Si rese conto di quanto lo rasserenasse, tre anni prima, la consapevolezza che ogni sera, quando arrivava l'ora di dormire, Elke, Falko e Drago fossero al caldo e al sicuro nelle loro stanze, senza pericoli che potessero minacciarli. Era qualcosa che allora dava stupidamente per scontato e che era diventata importante solo ora che si era ritrovato nuovamente solo. Erano stati la sua famiglia per ogni singolo giorno che avevano passato con lui nella sua casa. Si accorse solo in quel momento di quanto gli mancassero i suoi tre assistenti, i guai che gli avevano combinato, il lavoro svolto insieme, i risvegli mattutini e le serate passate insieme a fare qualunque cosa fosse necessaria all'andamento della casa e della sua attività.

Camminò sotto i portici, stringendosi nel suo mantello. I senza tetto che aveva visto poche ore prima dormivano, chi sul selciato, chi appoggiato alle mura del palazzo, ubriachi o semplicemente esausti dalla giornata e dalla fame.

Scosse la testa, quello non era il posto di Elke, non c'entrava nulla con quelle persone. La cercò, scrutando fra le figure di quei disperati senza nulla, in preda ad una strana ansia.

E finalmente la vide.

Elke dormiva, appoggiata ad una delle colonne del porticato della piazza, rannicchiata su se stessa alla ricerca di calore. Era una sera gelida ma questo sembrava non scalfirla, dormiva e basta, come se non potesse fare che questo. Mattheus sentì il cuore stringersi a quella vista. Le si avvicinò, piano, erano tre anni che non le era così vicino da sentirne il respiro. La guancia dove era stata colpita era ancora arrossata ma questo sembrava non disturbarla più. Abitudine, pensò, con un crampo allo stomaco. Non avrebbe dovuto passare da quella piazza, eppure i suoi piedi l'avevano guidato fin lì contro la sua volontà: anche se si era ripetuto fino allo sfinimento che non erano affari suoi non aveva potuto fare altro che cercarla. La guardò, ricordandosi i loro ultimi momenti insieme, quando lei se n'era andata da Pennes lasciandogli il suo mantello. Deglutì, pensando a quanto freddo aveva patito allora e a quanto ne stava patendo anche in quel momento. Il suo sguardo si addolcì e si portò le mani ai lacci che tenevano legato il caldo mantello che aveva sulle spalle, sciogliendoli. Lo tolse, si inginocchiò davanti a lei e glielo posò delicatamente addosso, attento a non svegliarla. L'idea di percorrere il tragitto fino alla sua locanda al freddo non lo allettava per niente ma Elke, benché più resistente di lui al gelo, ne aveva più bisogno. Non poteva fare altro che quello per lei. La coprì e prima di alzarsi le accarezzò piano i capelli, dandole un leggero bacio sulla fronte. Non riuscì a farne a meno, il suo cuore e la sua mente erano in subbuglio. Sarebbe rimasto lì al gelo pur di starle accanto e vederla dormire. Pensò che stava diventando uno stupido sentimentale, uno di quei tipi romantici di cui si era preso gioco per tutta la vita, ma stare con lei , addormentarsi e svegliarsi insieme erano l’unica la verità che voleva conoscere. La consapevolezza che quello non fosse il suo posto e che si stava prendendo delle libertà di cui non aveva diritto lo colpì come una frustata per cui facendosi violenza, si alzò. Con un ultimo gesto gentile le sfiorò la frangia dei capelli e la fronte in una carezza e decise che era ora di tornare e riprendere il suo cammino. Fece quanto più piano possibile quando fu costretto a fermarsi. I due occhioni blu di Elke erano spalancati e lo stavano fissando, sorpresi.

"Elke".

La ragazza, confusa dal brusco risveglio e dal fatto di trovarselo contro ogni logica lì davanti, si guardò attorno smarrita, cercando di mettere a fuoco la situazione. Si accorse solo in un secondo momento del mantello che la copriva e il suo sguardo tornò a posarsi su di lui.

Avrebbe potuto sopportare e reggere ogni sua reazione, che fosse di rabbia o di gioia, se si fossero rincontrati, ma sul viso di Elke poteva leggere unicamente ansia e paura. E che lei lo temesse lo feriva e non poteva accettarlo.

Elke indietreggiò, strisciando sul selciato. "Mattheus Hansele... Non può essere. Cosa diavolo..." – mormorò, attonita.

Non sentì l'ultima parte della frase. Un pugno violento giunto alle sue spalle lo colpì in piena nuca, facendolo cadere a terra tramortito. Nel giro di un attimo ebbe addosso, con intenzioni tutt'altro che buone, uno dei senza tetto amici di Elke che probabilmente si era svegliato, aveva frainteso la situazione ed era pronto a prenderlo a pugni per chissà quale motivo.

Non ebbe il tempo di reagire e in un attimo si trovò fra polvere e fango, in un parapiglia di spinte e pugni.

"Che le hai fatto?" - urlò il nuovo arrivato, rabbioso, riferendosi con tutta probabilità ad Elke.

Rispose, con un pugno ben assestato sulla guancia del suo avversario. "Fatti miei, gira al largo".

"Adesso basta!". Di forza Elke si mise fra loro, mettendo fine alla lotta.

Col fiato corto Mattheus la osservò e poi studiò il suo avversario, un tipo magro come un chiodo, di forse vent'anni, dai capelli color miele e coi vestiti strappati in più punti. "Ha cominciato lui" – si giustificò, sentendosi vagamente infantile.

"Ti ha fatto del male Elke?" - insistette il tizio, allarmato.

Elke gli lanciò una veloce occhiata indagatrice. Era evidente che non ci stesse capendo un accidenti e che fosse confusa dalla sua presenza, ma sembrava comunque piuttosto decisa a porre fine alla rissa a cui aveva appena assistito.

"No, sto bene Klaus. E' un mio vecchio... conoscente, non credo voglia farmi del male. Sta tranquillo e rimettiti a dormire, non è successo niente e non voglio che tutto questo parapiglia svegli anche gli altri".

Mattheus sbuffò. Gli altri probabilmente si erano anche svegliati ma molto saggiamente si facevano i fatti loro, fingendo di dormire. Che voleva dire Elke quando diceva che probabilmente lui non voleva farle del male? Come poteva non essere certa di una cosa simile, anche solo pensare che avesse cattive intenzioni verso di lei? Questa cosa lo feriva, nello spirito e nell’orgoglio. Poteva sopportare il fatto che l'avesse visto fare a pugni come un ragazzino e che le avesse anche prese, per giunta, ma non quello. Elke non aveva mai avuto paura di lui, si era sempre fidata ciecamente di ogni cosa lo riguardasse, ma ora non era più così e questo gli faceva male, gli lacerava l'anima, ma non avrebbe permesso che lei se ne accorgesse facendosi trovare vulnerabile e indifeso al suo cospetto. Il suo sguardo si indurì mentre dentro di lui si malediceva per essersi preoccupato per lei e per essere passato da quella piazza. Non avrebbe dovuto fermarsi, coprirla col suo mantello, provare quei sentimenti tanto dolci da riuscire a scaldargli il cuore in una notte gelida d'inverno.

Si rialzò in piedi, ripulendosi i pantaloni dalla polvere. "No, non le volevo far niente anzi, a dire il vero ho solo fretta di raggiungere la mia locanda. Stavo passando, l'ho vista e ho pensato che avesse freddo, tutto qua. La prossima volta mi farò gli affari miei e proseguirò dritto".

"Meglio così" – borbottò Klaus, sputando a terra.

"Già". Senza dire una parola, scuro in volto, Mattheus le voltò le spalle, pronto ad andarsene. O a fuggire, come gli urlava la voce della sua coscienza che non voleva più ascoltare.

"Mattheus, aspetta".

Elke gli corse dietro e lo raggiunse che ormai aveva svoltato l'angolo della piazza, immettendosi nel vicolo che portava alla locanda.

"Cosa vuoi?".

"Cosa voglio? Cosa diavolo ci fai qui?".

A quella domanda si voltò verso di lei. Era bella, tanto da far male, lo straziava l’averla così vicina ed essere costretto ad allontanarla.

"Sto lavorando. Tornatene in piazza adesso, non vorrei trovarmi addosso tutti i tuoi amichetti in preda all'ansia per la tua sorte in mia compagnia".

"Klaus era solo preoccupato per me. Dannazione, mi hai spaventata!".

"Ho notato".

"Scusa, come avrei dovuto reagire? Cosa avresti fatto tu se, svegliandoti, ti fossi trovato davanti una persona che non vedi da anni e che teoricamente dovrebbe vivere a molte miglia di distanza?".

Mattheus scosse la testa. "Non lo so cosa avrei fatto e sinceramente non ho voglia di scoprirlo. Ho fretta di tornare a casa e non ho motivo alcuno di starmene qui a parlare con te".

Elke rimase in silenzio per alcuni istanti, come ponderando la sua risposta. Poi abbassò il capo, rendendogli impossibile capire cosa le passasse per la testa. "No infatti, non ne hai motivo ormai".

"Bene, siamo d'accordo su qualcosa".

Si voltò, fece per andarsene, ma Elke lo richiamò, costringendolo a fermarsi di nuovo.

"Mattheus, ti stai dimenticando il mantello". Si avvicinò a lui, posandoglielo sulle braccia.

Lo stregone rabbrividì a quel gesto, tanto uguale a quello di tre anni prima, quando si erano separati. "Congelerai" – disse, freddamente.

"Non credo, ci sono abituata. Quello che ha sempre freddo sei tu, giusto?".

Sorrise amaramente a quelle parole: Elke lo conosceva bene nonostante gli anni di lontananza. "Sì, giusto".

Si rimise il mantello sulle spalle, si voltò dall'altra parte e se ne andò, imponendosi di non girarsi verso di lei nemmeno una volta. Non aveva voluto rincontrarla, non in quel modo almeno, non era pronto ad affrontarla e a chiedere scusa per i suoi errori. Infatti i risultati erano stati pessimi e lui si stava comportando da idiota: avrebbe preferito non vederla e ricordarla com'era prima, quando ancora provava affetto per lui ed in quel momento si sentì solo come quando erano morti i suoi genitori e Jakob. Si sorprese nel chiedersi come sarebbero andate le cose se lui le avesse parlato in modo più gentile e se anche lei, come lui, avesse sentito la necessità di indurirsi per difendersi e se sarebbe mai riuscito a mettere da parte l'orgoglio per chiederle scusa per tante, tantissime cose. Non si vedevano da tre anni e non l'aveva nemmeno salutata, non si era soffermato neanche un attimo a chiederle come stava, come se la cavasse, cosa facesse. C'erano mille modi per rendere quella conversazione più piacevole e lui non era stato capace di afferrarne nemmeno uno. Elke ci aveva provato, seguendolo nel vicolo, mentre lui aveva preferito scappare.

"Non mi importa, non deve interessarmi".

Giunse alla locanda e si chiuse subito nella sua camera. Dalla finestra intravide piccole fiaccole di neve scendere dal cielo e decise che non voleva più pensarci. Non la voleva più rivedere, non voleva più sentirsi perso e fragile come si era sentito poco prima, voleva tornare ad essere lo stregone sprezzante e impermeabile a ogni sentimento com'era stato prima di conoscere Elke.

Quella ragazza e i nani lo avevano indebolito, reso permeabile ai sentimenti e lui sapeva quanto questo potesse essere pericoloso per uno come lui: Amore, affetto e sentimenti dolci avrebbero potuto diventare il suo punto debole e non poteva permetterselo, lui era uno stregone potente e rispettato e voleva continuare ad esserlo.

Cercò di convincersene ma non ci riuscì del tutto. Gli tornò in mente il viso di Elke, la sua espressione tranquilla mentre dormiva e le parole che si erano detti. Non sarebbe mai riuscito a tornare quello di una volta, nemmeno con tutta la sua buona volontà. Avrebbe potuto cercare di tenere Elke lontana dalla sua vita, ma sapeva benissimo che il suo ricordo l'avrebbe tormentato per sempre.



  
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