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Autore: edoardo811    24/12/2017    0 recensioni
Quello che sembrava un tranquillo viaggio di ritorno alla propria terra natale si trasformerà in un autentico inferno per i Titans e i loro nuovi acquisti.
Dopo la distruzione del Parco Marktar scopriranno ben presto che non a tutti le loro scorribande nello spazio sono andate giù.
Tra sorprese belle e brutte, litigi, soggiorni poco gradevoli su pianeti per loro inospitali e l’entrata in scena di un nuovo terribile nemico e la sua armata di sgherri, scopriranno presto che tutti i problemi incontrati precedentemente non sono altro che la punta dell’iceberg in un oceano di criminalità e violenza.
Caldamente consigliata la lettura di Hearts of Stars prima di questa.
[RobStar/RedFire/RaeTerra] YURI
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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The Good Left Undone

XV

SHAMUS MCGEE & VON WALIS CARUSO

 

 

«Dove credete di andare?!» esclamò Galvor, vedendo i ragazzi muoversi verso di lui.

«Dobbiamo fermare i pirati prima che distruggano il villaggio!» rispose Robin, tornato stranamente calmo. Amalia aveva ragione, c’era solo un modo per fermare i pirati, ovvero con le cattive.

«Ve lo scordate!» disse il fongoid, stringendo la presa intorno al bastone. «Dovete arrendervi a loro, solo così il villaggio potrà salvarsi!»

«Se ci arrendiamo, distruggeranno il villaggio comunque» ribatté il ragazzo, mantenendo la calma. «Lasciaci passare, per favor...»

«No!» Galvor sbatté a terra la punta dello scettro. «Se non vi arrendete peggiorerete solo le cose! Il vostro amico ha già commesso un reato gravissimo, voi non potete...»

«Ora mi hai rotto!» Amalia scattò in avanti, furibonda. Afferrò l’alieno per l’orlo dell’uniforme da guardia e lo sollevò come un peso piuma, facendo gridare di sorpresa diverse persone, Galvor incluso. Fisso con quanto odio avesse in corpo l’alieno. «Stammi a sentire, sgorbio, se sei un cagasotto che non vuole combattere mi sta bene, ma non devi metterci i bastoni tra le ruote! Giuro che se fiati ancora ti castro, hai capito?!» 

Il fongoid ammutolì, così come gli amici di Amalia. La tamaraniana lasciò poi la presa sulla guardia, che cadde a terra pesantemente. Gridò furibonda, fu avvolta da un’aura viola, occhi e mani si illuminarono dei medesimi colori, poi si alzò in volo, diretta a grande velocità verso il villaggio.

I Titans rimasero atterriti. Galvor si rialzò, con un’espressione in faccia che era a metà tra la paura e lo stupore. Osservò i ragazzi, aprì bocca ma non uscì un solo fiato. Distolse lo sguardo e si spolverò, poi si incamminò verso di loro e si fece strada tra BB e Cyborg, che si spostarono per lasciarlo passare. Prima di scomparire in mezzo alla folla, si voltò un’ultima volta e rantolò, più imbarazzato che arrabbiato: «Non finisce qui.»

Robin lo guardò svanire in mezzo ai suoi simili, e sospirò. Tra Amalia e Red X non sapeva più dove sbattere la testa. «Ok, Titans» disse, chiamandoli a raccolta. «Io mi occupo di Slag, voi pensate ai pirati. Ricordate che siamo in schiacciante inferiorità numerica, perciò se le cose si mettono male non esitate a ritirarvi. Nascondetevi se necessario e recuperate le forze. Vorrei poter studiare un piano più dettagliato, ma purtroppo non c’è più tempo. Domande?»

I ragazzi si scambiarono degli sguardi, ma nessuno parlò. Robin annuì, soddisfatto. Per fortuna poteva sempre contare su di loro. «D’accordo, allora. Titans...»

«Un momento!» Canoo si intromise, sollevando le mani. «Prima che andiate... potrei parlare un momento con La Salvatrice, in privato?»

Corvina inarcò un sopracciglio. Robin spostò lo sguardo su di lei, altrettanto perplesso. I due si scambiarono una serie di parole mute, poi la maga acconsentì: «Va bene, ma facciamo in fretta. Voi andate pure ragazzi, vi raggiungo il prima possibile.»

Il leader annuì. «Va bene. Titans, andiamo!»

 

***

 

La prima cosa che BB aveva fatto una volta ottenuto il via libera dal leader, era stata quella di precipitarsi come un razzo a casa di Yurik. Il solo pensiero che un bambino come lui fosse in pericolo a causa loro lo aveva fatto scattare come un interruttore. Prima si assicurava che lui stesse bene, poi avrebbe pensato ai pirati.

Mentre volava sotto forma di passerotto, per passare inosservato, poté ammirare da ancora più vicino lo spettacolo sconcertante che si parava proprio sotto di lui. I pirati stavano facendo razzie del villaggio, distruggevano qualunque cosa capitasse loro a tiro e appiccavano anche incendi. Per fortuna non erano proprio dei geni, perché fino a quel momento avevano cercato di appiccarne sulla strada e sulle case di pietra, che naturalmente non prendevano fuoco, ma non sarebbe passato molto prima che arrivassero a dar fuoco ai campi, e a quel punto la situazione sarebbe precipitata.

BB ancora non riusciva a credere che tutto quel disastro avesse avuto origine dall’impulsività e l’impazienza di Red X. Non gli sembrava vero. Lui che per primo era una testa calda, non riusciva a credere a quanto stupida fosse stata l’azione del loro ex nemico.

Finalmente attraversò la città e giunse alla sua destinazione. Vedere il complesso di edifici dove Yurik viveva fu come ricevere una notizia buona e una cattiva: la notizia buona era che non c’erano pirati in circolazione; la cattiva era che al loro posto, intento a distruggere ogni cosa che capitasse a tiro, c’era un gigante, nel vero senso della parola. Il mutaforma si pietrificò quando lo vide. Credeva che Slag fosse grosso, ma questo era almeno il doppio del capitano robot. Arrivava ai tre metri d’altezza come minimo, i suo corpo era costituito da un busto color mattone grosso come una locomotiva, al cui centro si trovava una griglia chiusa, che lo faceva assomigliare ad una fornace su due gambe verdognole. Gambe che più che altro assomigliavano a due piedi un po’ cresciuti, visto che erano lunghe sì e no quaranta centimetri. Come facessero quei due arti minuscoli a reggere un tale mastodontico corpo era un mistero. A partire da due robuste spalliere partivano le braccia grigie scure, una delle quali a forma di cannone, l’altra dotata di una grossa mano con pollice opponibile. La testa era deformata, incassata nel busto e dunque priva di collo, non aveva tratti fisici se non che per gli occhi gialli e la bocca, ed era di colore blu stantio.

Aveva appena finito di fare a pezzi l’ennesimo edificio e troppo tardi BB si rese conto che quello era proprio la casa di Yurik. Non appena la facciata crollò, i fongoid al loro interno gridarono terrorizzati, ma non riuscirono a fare altro perché il colosso li colpì con una poderosa bracciata, mandandoli al tappeto. Rise di gusto, una risata piuttosto macabra che sembrava quasi forzata, poi allungò la mano ed afferrò l’unico fongoid che si era salvato dal precedente attacco, nonché quello troppo basso per essere colpito, ovvero Yurik. Lo afferrò con l’indice e il pollice per le tempie e lo sollevò senza il benché minimo sforzo. Il piccoletto cominciò a gridare e a scalciare per liberarsi, tendendo anche una mano verso i famigliari svenuti e chiamandoli a gran voce.

Il gigante lo sollevò fino all’altezza del proprio volto, poi lo squadrò continuando a ridere in quella strana maniera. «Il pirata grande spreme il minuscolo fongoid!» gracchiò con voce tonante, stringendo la presa attorno al cranio del piccoletto.

«Agh! Lasciami! Lasciami!» gridò Yurik cercando di staccarsi le dita del colosso di dosso e scalciando con molta più insistenza.

Fu il vedere quella scena, il volto del bambino sempre più sofferente e l’udire le sue grida sempre più disperate, che permisero a BB di uscire dallo stato di stupore in cui si trovava e farsi avanti. Non poteva permettere a quel gigante di fare del male a Yurik in quel modo così barbarico e crudele. Il mutaforma scene in picchiata e tornò in forma umana per strada, ad una dozzina di metri di distanza dal gigante. Visto che non si accorse di lui, BB raccolse da terra un frammento di un edificio e glielo lanciò addosso, gridando: «Ehi bestione!»

Il gigante si volto, per poi beccarsi in piena faccia il detrito.  Questo rimbalzò emettendo un tintinnio metallico e cadde a terra. Non gi aveva fatto nemmeno un graffio, ma non era quello che BB sperava. Voleva attirare la sua attenzione e ci era riuscito. «Lascialo andare. È me che cerchi!»

«B...» rantolò Yurik, il tono semi morente che racchiudeva sollievo e felicità.

Il gigante soffiò dalla bocca come un tono imbufalito e lasciò andare il bambino, che cadde a terra gemendo. «Ti pentirai di ciò che hai fatto, terrestre!»

«Credi di farmi paura?» ribatté BB piegando le gambe, pronto a scattare. Di ceffi grandi grossi e brutti ne aveva affrontati a bizzeffe, quel robot gigante non lo spaventava di certo. Per quello che lo riguardava, il cattivo più inquietante che avesse mai affrontato era Slade, ai tempi, prima che svanisse nel nulla. Nemmeno Metalhead lo aveva mai spaventato, tantomeno Edward.

Dal gigante, nel frattempo, provenne un’altra stramba risata. Era sconnessa, era come se ridesse a monosillabi, poco per volta. «Sei molto lontano dalla Terra, umano, qui vigono le regole dello spazio, e le regole sono che creatura grande mangia creatura piccola!»

«Ah sì?» BB si piegò su sé stesso e cominciò a gridare, mentre effettuava una delle sue trasformazioni e i muscoli si ingrossavano dentro di lui a tal punto che gli sembrava stessero lacerando la pelle dall’interno. I denti furono sostituiti da delle zanne, le braccia si accorciarono, le gambe diventarono dieci volte più grosse, una protuberanza spuntò dalla fine della spina dorsale e si allungò fino ad arrivare alla punta acuminata. La sua ombra crebbe, arrivò fino ad oscurare l’intero corpo del gigante. Quando la trasformazione finì, BB era ormai un tirannosauro, più alto del colosso di almeno un metro. Ruggì in segno di sfida, facendo tremare i palazzi e causando diverse frane in quelli che già erano stati distrutti. «Chi è il piccolo adesso?!»

Il colosso sfoderò i denti grigi in una smorfia infastidita, ma non sembrava per nulla intimidito. «Io sono Shamus McGee, uno dei tre luogotenenti della ciurma di Slag, i Grunthor come te li mangio a colazione!» Puntò il cannone ed aprì il fuoco. Tre sfere gigantesche fuoriuscirono dalla bocca di fuoco e precipitarono addosso al T. Rex, ma anziché finirgli addosso caddero a pochi metri di distanza da lui. Erano grigie, con delle strisce gialle che ne circondavano il diametro orizzontalmente e verticalmente, con delle luci rosse piazzate in dei fori in tutti i punti in cui le strisce di incrociavano. Come potessero essere usciti simili congegni dal corpo del colosso, era un mistero. Anziché detonare all’impatto, queste rotolarono per un altro breve tratto, poi cominciarono ad emettere segnali acustici e le luci iniziarono a lampeggiare. Non fu difficile capire cosa sarebbe successo da lì a poco. BB fu costretto a rinunciare alla sua forma da dinosauro per salvarsi, e si trasformò in un volatile per potersi allontanare da lì e al più presto.

Le bombe detonarono. Le esplosioni furono di proporzioni gigantesche, ed erano ben tre. Spazzarono via diversi edifici nei paraggi e l’onda d’urto che si verificò aggredì BB alle spalle, facendolo stridere di dolore. Sentì l’intero corpo andare a fuoco e il dolore gli impedì di continuare a sbattere le ali. Impossibilitato a volare, precipitò a terra cadendo pesantemente. Tornò umano poco dopo, rantolando e gemendo, sotto le risate di Shamus. «Ti ho fatto male, nanerottolo?»

BB si rialzò a stendo, digrignando i denti. Non poteva dargliela vinta. Dopo aver visto cosa quelle bombe erano in grado di fare, doveva sconfiggerlo al più presto. Si maledisse, tuttavia, per la sfortuna avuta. Di tutti i nemici che poteva incontrare, proprio uno dei più forti, uno dei tre luogotenenti. Guardandosi intorno, vedendo gli edifici rasi al suolo, pregò che nessun fongoid fosse rimasto coinvolto. Non vedendo nessun corpo, intuì che dovesse essere andata così. Dove poco prima c’erano le bombe, ora si vedevano tre immensi crateri ancora fumanti.

Il verdolo boccheggiò di dolore e anche di sollievo, per fortuna aveva avuto la decenza di allontanarsi da lì e non sfidare quelle bombe. Nonostante l’immensa resistenza del T. Rex, dubitava che si sarebbe salvato da tali esplosioni. Tornò a guardare il gigante. Quello continuava a ridacchiare come un demente. L’onda d’urto aveva raggiunto anche lui, ma non gli aveva procurato il benché minimo graffio. Cercò tracce di Yurik, e con suo immenso sollievo constatò che il bambino era sparito, forse era riuscito a strisciare via prima che fosse troppo tardi. Meglio, così qualcuno sarebbe riuscito ad uscire vivo da quello scontro. No, BB non doveva pensare quello. Scosse la testa, poi sfidò con lo sguardo Shamus. Poteva sconfiggerlo, ne era certo. Aveva un’arma segreta, dopotutto, anche se sperava con tutto il cuore di non doverla usare.

«Lo sai , vero...» cominciò a dire, ansimando. «... più sono grossi...» Si piegò di scatto e si trasformò di nuovo, questa volta in ghepardo. Avrebbe sfruttato la velocità per colpirlo prima che lanciasse altre bombe. Funzionò. Prima che McGee riuscisse a sparare di nuovo, BB lo aveva già raggiunto e si era trasformato di nuovo, questa volta in triceratopo. «... più fanno rumore quando cadono!»

Sfruttò la velocità accumulata dalla corsa precedente e l’impatto con l’enorme busto di Shamus fu devastante, lo stesso colosso gridò di sorpresa. Sotto la pressione delle proprie corna, il mutaforma sentì il metallo del gigante accartocciarsi. Tuttavia, McGee barcollò soltanto, rimanendo saldamente ancorato a terra. Prima che BB riuscisse ad accorgersene, cominciò una prova di forza tra i due, con Shamus che cercava di spingerlo via con le proprie braccia e lui che premeva la testa sul busto. BB soffiò dal naso e impiegò il triplo delle proprie forze per riuscire ad avere la meglio, ma non sembrava funzionare, nonostante i molti versi di sforzo da parte del colosso.

Dopo quelle che parvero eternità, il mutaforma sentì le zampe staccarsi da terra e sgranò gli occhi.

«Nessuno è più forte di un luogotenente!» esclamò Shamus, per poi sollevarlo tenendolo per il grosso collo, aiutato anche dal braccio-cannone. BB gridò e cominciò a zampettare all’impazzata, ma ormai era tardi. McGee lo sollevò completamente e lo scaraventò contro un altro edificio, gridando con quanta voce avesse in mezzo ai bulloni. Il mutaforma si schiantò contro la facciata, distruggendola. Senza più niente a sorreggerlo, l’edificio gli crollò addosso, seppellendolo. Nonostante fosse  un triceratopo e avesse la pelle dura, fu dannatamente doloroso. Neppure lui seppe come riuscì ad uscire dalle macerie, strisciando come un verme, purtroppo non letteralmente. Non aveva più le forze nemmeno per trasformarsi in un moscerino. A stento si risollevò per una seconda volta, il tutto sotto le ristate ingarbugliate di Shamus. «Il piccolo terrestre non riesce a combattere con il pirata grande e grosso? Povero e piccolo terrestre, lascia che ci pensi io a te! Ti catturerò e ingabbierò, così il capitano sarà felice!»

«Te... te lo puoi scordare...» biascicò BB, ciondolando, mantenendo a stento l’equilibrio. Si sentiva risucchiato da ogni energia, non aveva idea del perché. Forse starsene in panciolle per un mese intero lo aveva rammollito, o forse l’esplosione che lo aveva investito lo aveva danneggiato molto più gravemente di quello che pensava.

I suoni attorno a lui risuonavano lontani, ovattati. Le esplosioni nel villaggio proseguivano, così come i versi dei pirati e il rumore del metallo delle sciabole che tintinnava, ma era quasi come se non ci fossero. L’unica cosa di cui BB era certo, era che si trovava di fronte un tizio molto più tosto di quanto avrebbe mai potuto immaginare. 

Tossì, cercò di levarsi la polvere e i calcinacci di dosso, anche se ogni movimento gli procurava fitte di dolore allarmanti. Quando sollevò lo sguardo vide Shamus muovere le corte gambe ed avvicinarsi a lui, con un’espressione compiaciuta stampata in quel volto scarno. D’impulso, a BB venne di indietreggiare, ma le parole del colosso lo fecero bloccare di nuovo. «Nessuno sfugge alla flotta di Slag. Combattere è inutile. Lascia che ti porti dal capitano, lui sì che si prenderà cura di te!»  

BB gemette. Le cose si mettevano male. Si ricordò dell’avvertimento di Robin, quello a proposito di una possibile ritirata, e in quel momento l’idea lo stuzzicò parecchio. Scappare era la soluzione più sicura che gli restava, a quel punto. La più sicura, non la migliore, né la più agguerrita. Quest’ipotesi svanì nel nulla all’improvviso, tuttavia, quando il mutaforma si rese conto della presenza di altri individui in quella strada ormai semidistrutta. Diversi fongoid, uno più malconcio dell’altro, si erano alzati dalle macerie, o erano usciti dai loro nascondigli, ognuno di loro aveva BB nel proprio campo visivo. Una figura si distinse in mezzo a tutti loro. Quella che, paradossalmente, era la più minuta. Yurik, in braccio alla propria madre, entrambi con dei vistosi tagli. Gli occhi del bambino erano un misto di timore, preoccupazione e anche fiducia, così come quelli della madre e di tutti gli altri. A quel punto, BB capì. Capì che Shamus non si sarebbe fermato se lui fosse scappato e che avrebbe ucciso tutti quei poveri innocenti, Yurik – un semplice bambino –compreso. McGee era uno di quei cattivi privi di scrupoli, senza alcun rimorso e senza la benché minima pietà. Era come Metalhead. Era un mostro. BB era il meno adatto per fermarlo in quel momento, ma era anche l’unico. I fongoid contavano su di lui. I suoi amici, contavano su di lui. Non poteva perdere contro il primo nemico che incontrava durante quell’assedio, per quanto forte questo avesse potuto essere.

Fu proprio con il supporto morale di tutti quei fongoid, che intimò loro: «Scappate da qui, mettetevi al sicuro. Tra poco si scatenerà l’inferno.»

Gli alieni lo squadrarono sempre più riluttanti, poi, poco per volta, si allontanarono di corsa.

«B...» La voce di Yurik arrivò come un soffio di vento, mentre la madre portava lui e sé stessa in salvo. Pochi istanti dopo, BB e Shamus furono di nuovo soli. I loro profili retro illuminati dalla luce naturale del giorno rimasero l’uno parato di fronte all’altro, quello alto tre metri del colosso e quello alto poco più della metà del ragazzo.

«Si scatenerà l’inferno, per te!» gracchiò il pirata, ridacchiando di nuovo e sollevando il cannone.

BB digrignò i denti e strinse i pugni. Sembrava tutto volgere a suo sfavore, ma non era ancora finita. Non doveva arrendersi. Aveva ancora una carta da giocarsi. Aveva ancora il suo asso nella manica, il suo jolly, la sua arma segreta, ciò che volendo gli avrebbe permesso di sconfiggere perfino Robin o Slade. Si rimise in posizione, pregò che la trasformazione non gli succhiasse via le ultime energie e gridò di nuovo. Avrebbe fatto capire a quel bestione di metallo che lui era molto di più di quello che dava a vedere, che lui celava dentro di sé una forza primordiale mostruosa.

Gridò ancora più forte, sentì i muscoli ingrossarsi per la terza volta. E poi una scarica di dolore immensa lo travolse, percorrendo ogni millimetro del suo corpo, straziandolo dall’interno. L’urlo di battaglia di poco prima si tramutò ben presto in un grido disperato, di autentica agonia. Sentì gli occhi schizzare fuori dalle palpebre, ogni centimetro di pelle bruciare e quando tutto finì, si ritrovò accasciato al suolo, impossibilitato a compiere il minimo movimento. Un nauseabondo odore di bruciato giunse alle sue narici e quando intuì che quello proveniva dal suo stesso corpo, avvertì un conato di vomito.

Decine e decine di ombre apparvero nella periferia del suo campo visivo, ognuna dalle forme più bizzarre e stravaganti. All’inizio pensò semplicemente di star ammattendo, ma quando le masse indistinte si rivelarono per ciò che erano, ovvero un enorme gruppo di robot pirati armati di tutto punto, capì che era appena stato vittima di un attacco alle spalle, forse addirittura pre-orchestrato.

Shamus si avvicinò, lo afferrò per il collo e lo sollevò con tutta tranquillità, per poi sfoderare a pochi centimetri dal suo volto un sorriso vittorioso. «Ti avevo avvertito, piccolo insetto, nessuno sfugge alla flotta di Slag!»

BB digrignò i denti. Cercò ancora di dimenarsi, ma Shamus strinse la presa attorno al collo, facendolo gridare di dolore. Non era che un insetto in confronto al gigante di ferro, non si sarebbe mai potuto liberare. La schiena gli bruciava ed era ancora stordito dai colpi di poco prima.

Sentì il fiato mancare a causa della stratta attorno alla gola, poi, poco per volta, la vista si oscurò e le gambe smisero di dimenarsi. Abbassò la testa e gli arti gli si afflosciarono. Si vergognò da morire di quel fallimento, ma non poté commiserarsi più di tanto, perché il buio lo avvolse completamente.

 

***

 

Lo scontro proseguiva. I pirati erano tanti, troppi, ma i Titans stringevano i denti.

Terra, Cyborg e Stella all’inizio non si erano nemmeno accorti che, a furia di spostarsi nel villaggio per respingere tutte le minacce, si erano ritrovati a coprirsi la schiena a vicenda. Ognuno di loro si stava occupando di un gruppo di pirati diverso, finché non si erano incrociati nella stessa via e avevano unito le forze.

I robot erano tosti, dovevano ammetterlo, ma in fin dei conti non erano poi nulla di che. Non erano avversari molto impegnativi, a conti fatti i giovani eroi avevano affrontato di molto peggio, anche piuttosto recentemente. I pirati erano semplici soldati armati, sparavano, cercavano di mettere a segno attacchi con le sciabole, ma alla fin fine non avevano nulla di speciale, la loro strategia era quella di puntare sulla superiorità numerica.

E avrebbe anche funzionato, se solo Terra, Stella e Cyborg non fossero stati dotati degli incredibili poteri e capacità che invece avevano.

Stella era una guerriera tamariana, era forte fisicamente, era resistente, veloce e i suoi dardi avrebbero fritto qualunque cosa, anche le teste metalliche dei pirati.

Cyborg, beh, era un cyborg armato di tutto punto.

Terra invece giocava in casa. Case, panchine, la stessa strada, ogni cosa era costituita o da rocce, o da cemento, o da terra. Per lei ogni cosa era un’arma micidiale. Anche se doveva fare attenzione a ciò che combinava; se avesse distrutto il villaggio solo per fermare i pirati probabilmente avrebbe creato non poco scontento.

Tutto sommato, i tre funzionavano insieme. Svolgevano il loro dovere e lo facevano egregiamente. Sempre più pirati cadevano sotto i loro attacchi, o perché colpiti da un dardo di Stella di troppo, o perché mandati in cortocircuito dai cannoni di Cyborg, o perché distrutti dai proiettili di cemento di Terra.

Non c’erano fongoid in circolazione. Tutti i cittadini del villaggio si stavano spostando poco per volta verso il palazzo, dove le guardie, in teoria, li avrebbero protetti. La reggia di Alpheus era l’edificio più sicuro in quel momento, e gli stessi Titans, combattendo i pirati, li avevano invitati a raggiungerlo e protetti per qualche tratto di strada.

L’ultimo nemico, infine, cadde a terra ricoperto di ammaccature e i riflettori al posto dei suoi occhi si spensero.

Stella, rimasta in aria fino a quel momento per evitare il grosso dei colpi, atterrò dolcemente, poggiando appena i piedi sul suolo. Il bagliore dorato attorno al corpo di Terra si affievolì fino a svanire, mentre Cyborg abbassò il cannone. I tre si raggrupparono e ripresero fiato. Era inutile negare che man mano che lo scontro procedeva la stanchezza aveva cominciato a farsi sentire. Non si sarebbero certo fermati in quel momento, ma nessuno poteva negare che una pausa sarebbe stata più che mai gradita.

La strada era disseminata di corpi di robot pirata sconfitti, era impossibile riuscire a calcolarne il numero esatto, ma di sicuro non erano pochi. E proprio mentre i tre osservavano il loro operato, alcune esplosioni riecheggiarono in lontananza, così come le varie grida di esultanza e canti a squarciagola. I pirati erano ancora ben lungi dall’essere sconfitti.

Cyborg grugnì infastidito. Ne avevano appena stesi un mucchio enorme. E quello non era che una minima parte dell’intera ciurma di Slag. «Ce ne sono ancora. Muoviamoci.»

«Gli altri come se la staranno cavando?» domandò Stella, mentre si preparava a spostarsi nella prossima area, approfittando della breve pausa. Aveva chiesto degli altri, ma era ovvio che la sua preoccupazione maggiore era rivolta a Robin.

«Non lo so, ma spero bene» rispose Terra. «Anche se dubito che avranno problemi. Questi tizi non sono poi così forti...»

«Hai proprio ragione.»

I tre sobbalzarono. Quella voce non apparteneva a nessuno di loro, nemmeno ad uno dei loro amici. Era sconosciuta. Si voltarono verso il luogo di origine di quella frase e videro una figura fuoriuscire da un vicoletto seminascosto fra due edifici ormai prossimi al crollo.

I ragazzi si irrigidirono. Osservarono quell’individuo muoversi, tenendo le mani in tasca e la testa bassa, senza nemmeno guardarli. All’inizio lo presero per un pirata, ma, guardandolo meglio, notarono parecchie differenze tra lui e i robot. Anche perché quello non era affatto un robot. Oltre al classico gilet, i calzoni e gli anfibi, aveva indosso un bizzarro cappello nero stile western, aveva una benda sull’occhio e un machete appeso alla cintura. E sotto tutto ciò, si poteva perfettamente vedere il suo corpo color azzurro e a tratti bianco. Quando arrivò in mezzo alla strada, sollevò finalmente lo sguardo verso di loro e li squadrò da sotto la visiera del cappello. L’enorme pupilla del suo unico occhio color giallo canarino si posò sui tre giovani, e le labbra di schiusero in un sottile sorriso che mostrò i suoi incisivi appuntiti. Aveva il collo molto lungo, che contribuiva a renderlo generosamente alto, e masticava un gambo di qualche pianta. Il naso era grosso, ma schiacciato, simile a quello di un animale e a vederlo così, con quello strano collo lungo, sembrava quasi una tartaruga su due gambe.

«Questi robot pirata sono proprio una vera delusione, per quel che mi riguarda» continuò a dire con la sua voce all’apparenza innocua, mentre incrociava le braccia striate di blu, scoperte dal gilet. Sollevò le spalle, con noncuranza. «Ma, purtroppo, ci si accontenta di quel che si ha.»

«Chi sei?» domandò Cyborg, scrutandolo con molta diffidenza. Quel tipo era una creatura organica al cento percento e da come aveva appena parlato sembrava chiaro che anche lui appartenesse alla ciurma di Slag. Ma che ci faceva un essere vivente in mezzo ad un esercito di macchine?

«Oh, ma come sono maleducato.» L’individuo si tolse il cappello e si inchinò, mostrando loro il proprio capo calvo e le minuscole orecchie a punta. «Il mio nome è Von Walis Caruso e sono uno dei tre luogotenenti della ciurma del buon vecchio Romulus Slag II. Ma dato che detesto il mio secondo nome, potete semplicemente chiamarmi Von Caruso» rispose con tono cortese e formale, nemmeno si stesse rivolgendo ad Alpheus.

Cyborg, Stella e Terra si guardarono tra loro perplessi, ma ancora non agirono.

«Quindi sei uno degli uomini di Slag?» interrogò ancora il titan bionico.

«Acuto» commentò Von Caruso drizzando di nuovo la schiena e rimettendosi in testa il copricapo. «Molto acuto. Immagino che non serva vi dica che sono qui per catturare te e la tua amichetta con i capelli color grano. La tamaraniana può andarsene invece, lei non ci interessa.» Spostò lo sguardo su Stella e sorrise cordiale. «Capito bella signorina? Tu sei libera di andare.»

«Scordatelo.» Kori serrò la mascella e strinse i pugni, rimanendo saldamente ferma accanto ai suoi due amici.

Caruso parve quasi offeso. «Ma come? Rifiuti così il mio gentile invito? Una tamaraniana pregiata come te ha l’opportunità di scappare da dei brutti pirati e non lo fai?»

«Non catturerai i miei amici!» esclamò Stella, sollevando le mani illuminate di verde e mettendosi in posizione, imitando i compagni che già da un pezzo avevano capito che quel tizio non era lì per fare amicizia.

«Peccato» commentò il pirata, per poi sospirare. «Vorrà dire che mi sbarazzerò anche di te.»

«Come pensi di riuscirci?» lo sfidò Cyborg, convertendo il braccio nel cannone e puntandoglielo. «Abbiamo sconfitto cinquanta dei tuoi compari, e tu sei da solo, come pensi di poterci catturare?»

«Oh, ma io non penso di potervi catturare, certo che no...» Von Caruso avvicinò una mano alla benda e la sollevò, scoprendo l’occhio che, con enorme sorpresa dei ragazzi, si rivelò essere privo di alcuna ferita o malformazione. Era sano, completamente, giallo e con la pupilla dilatata proprio come l’altro. Non era guercio come Cyborg, la benda era praticamente inutile. Sorrise di nuovo, un sorriso freddo, che fece assomigliare la sua espressione a quella di una lucertola. «... io so per certo di potervi catturare.»

Prima che loro tre potessero dire o fare qualsiasi cosa, gli occhi di Caruso si illuminarono di luce propria. Una scintillante, sfavillante luce color azzurro elettrico. Aprì la bocca e anche dalla bocca cominciò a fuoriuscire la medesima luce, del medesimo colore. Sembrava quasi che dentro di lui dimorasse uno spettro di quella tonalità, e che in quel momento stesse cercando di uscire. Ma la cosa peggiore era che quella luce azzurra l’avevano già vista, più e più volte.

Era identica a quella emanata dagli scettri dei fongoid.

Caruso cominciò a ridere come un folle, mente la luce da lui emanata si faceva accecante. I tre deglutirono. Si prepararono a combattere, ma fu tutto inutile.

Quegli occhi brillanti come riflettori e la risata glaciale di Von Caruso furono l’ultima cosa che ricordarono.

 

***

 

Corvina seguì Canoo nei meandri del palazzo. Ancora non capiva cosa lui volesse da lei. Avanzavano nei corridoi, con passo moderato, fin troppo per la maga. Canoo se la stava prendendo troppo comoda, la ragazza cominciava a spazientirsi. Considerando ciò che stava succedendo nel villaggio, aveva tutte le ragioni per fallo. Ma lo sciamano sembrava quasi non capirlo, o forse lo ignorava semplicemente.

Le voci provenienti dall’atrio, nel frattempo, si affievolivano sempre di più. Il palazzo era praticamente diventato il rifugio dei fongoid durante l’assalto dei pirati e praticamente tutti si trovavano lì, o stipati nella sala d’ingresso, o nel cortile, o anche dietro lo stesso palazzo, davanti al tempio. Anche le guardie erano rimaste indietro, incaricate di proteggere i civili da qualsiasi pirata che avesse deciso di avvicinarsi. Corvina dubitava che i pirati si sarebbero avvicinati, visto che ciò che cercavano, i suoi amici, erano tutti al villaggio. E dubitava anche molto fortemente che, nell’eventualità in cui un pirata si fosse davvero avvicinato, le guardie sarebbero davvero riuscite a fermarlo.

Più camminava, più sentiva che qualcosa non quadrava. Non solo nell’apparente calma di Canoo, ma in tutta quella situazione in generale. Non lo aveva ammesso davanti agli amici, ma aveva cominciato seriamente a dubitare delle parole di Galvor, sul presunto tradimento di X. C’era qualcosa di sbagliato in tutto quello, glielo aveva suggerito proprio lo stesso Galvor, il tono della sua voce, le sue espressioni facciali. Non sapeva perché, ma quel fongoid non l’aveva convinta. Vero o no, in ogni caso, i suoi problemi erano altri al momento. Doveva sbrigarsi a finire con Canoo e raggiungere i suoi amici. Doveva fermare i pirati e al più presto.

Come se non bastasse, il sogno avuto la notte prima continuava a tormentarla. Continuava a non capirne il significato. Che fosse stata una premonizione? Non lo escludeva. Tutt’altro, il vascello che aveva visto quando era tra le braccia di Morfeo le ricordava sotto troppi aspetti quello di Slag. E anche il manufatto piramidale, sentiva che avrebbe dovuto riuscire a riconoscerlo alla prima occhiata, ma la verità era che non aveva la minima idea di cosa fosse. Se avesse avuto il tempo avrebbe sicuramente cercato risposte in qualche libro dei fongoid, ma purtroppo, in quel momento, il tempo non c’era. 

«Ci siamo.» La voce dello sciamano la riportò alla realtà. Finalmente si erano fermati, il che doveva voler dire che entro poco sarebbe stata libera di andare.

«Cosa devi dirmi?» domandò lei.

Il fongoid si voltò e la squadrò con attenzione. Aveva qualcosa di strano. «Davvero vuoi andare a combattere i pirati?»

«Certo, devo aiutare i miei amici! Perché?»

Canoo sospirò. «Potrebbe essere pericoloso. Se rimanessi ferita? Sei troppo importante per la nostra comunità, non puoi correre simili rischi.»

Corvina non credette alle proprie orecchie. Le sembrava quasi un paradosso, quella scena. «Devo ricordarti che io sono La Salvatrice? Cosa dovrei fare mentre distruggono il tuo villaggio, starmene immobile? Non credo che gli Zoni mi abbiano mandata qui per restarmene in panciolle quando c’è veramente bisogno di aiuto!»

«Sei La Salvatrice, è vero, ma non sei qui per questo» rispose Canoo scuotendo la testa. «Tu hai un altro compito, ne sono sicuro. Non puoi rischiare di farti del male, o peggio, restare uccisa per combattere i predoni. Lascia che siano i tuoi amici ad occuparsene, dopotutto è anche colpa loro se ci troviamo in questa situazione.»

«Prego?» Corvina alzò la voce per la prima volta dopo giorni e giorni, proprio con colui che più di tutti le era sembrato disponibile. «Io faccio parte del loro gruppo, ergo, la colpa è anche mia. E non credere che lascerò davvero che siano loro ad occuparsi di tutto, loro sono miei amici e hanno bisogno di me! Io andrò ad aiutarli, che tu lo voglia o no, sai benissimo che con i miei poteri potrei essere fuori da qui in un lampo!»

Lo sciamano tacque per diversi istanti, senza staccarle gli occhi di dosso, poi sospirò nuovamente. «Allora non credo di avere altra scelta.»

Corvina inarcò un sopracciglio. «Cosa?»

«Mi dispiace.»

Lo scettro di Canoo emanò un forte bagliore azzurro. Corvina sgranò gli occhi per la sorpresa, troppo tardi realizzò che quella era l’unica cosa che non avrebbe mai dovuto fare.

 







Sì, insomma. Buon natale. Credo.


Caruso:




McGee:

   
 
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