Anime & Manga > Captain Tsubasa
Ricorda la storia  |      
Autore: Melanto    26/12/2017    15 recensioni
[Soulmate series - #1]
Metti un ritiro natalizio per festeggiare la vittoria del World Youth, prepararsi alla J.League e salutare mister Gamo che si dimette dalla posizione di commissario tecnico.
Metti che a questo ritiro vengano fuori piccoli segreti e grandi difficoltà.
Metti anche un misunderstanding grosso come una casa, una festa, una partita a scacchi...
...e un Genzo Wakabayashi che viene sempre a capo di tutto.
God rest ye merry, gentlemen, let nothing you dismay.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Altri, Genzo Wakabayashi/Benji, Mamoru Izawa/Paul Diamond
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Soulmate Series'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Christmas Checkmate

Note Iniziali: avevo detto che ‘no, quest’anno niente shot natalizia’. Troppe storie, al momento; troppo cui dedicarmi non potevo proprio, ma proprio no. Niente quest’anno. Cicca cicca (cit.)
AH. AH. AH.
E invece.
Il 23 l’idea. Il 24/25 la scrittura compulsiva per riuscire a farvela avere almeno a Santo Stefano!
Ed è venuta… lunga uno sproposito. T_T


Basta, ci rileggiamo alla fine XD
Perché se uno dice che torna, torna per bene XD

 

Christmas checkmate

Soulmate series - #1

 

 

Genzo lo aveva notato da quella mattina che qualcosa non quadrava: un sottile nervosismo, tensione nelle spalle e nelle espressioni sempre rilassate, e quella risposta fin troppo pronta che, in Yuzo Morisaki, serviva a dissimulare l’ansia. Lui, poi, che lo conosceva dai tempi delle elementari e con il quale condivideva il ruolo impegnativo di portiere, era sempre stato più attento nei suoi confronti che in quelli di qualsiasi altro. E ora che si approssimava l’orario di cena e poteva vedere il compagno di stanza dal riflesso dello specchio dell’armadio ancora seduto sul letto, gambe incrociate a mo’ di indiano, e libri aperti sparsi sulle coperte, era lampante che qualcosa non stesse andando per il verso giusto. Perché di solito, dopo un’intera giornata di allenamento, Yuzo era molto più rilassato e loquace. Di sicuro non si metteva a studiare.

«Stai progettando di laurearti ancor prima di iscriverti?» Lo stuzzicò, tirando su la zip della felpa blu con lo stemma della nazionale sul petto.

«Ho già sacrificato l’anno per dedicarmi al World Youth appena passato, non posso restare ancora indietro. Altrimenti non riuscirò mai ad affrontare l’esame d’ammissione.»

Yuzo agitò la matita senza alzare lo sguardo dal manuale con gli esercizi, poi tornò a farla scivolare tra indice e medio, dando l’idea di essere concentrato, concentratissimo!, e invece – Genzo se n’era accorto – era fermo sulla stessa pagina da almeno un’ora.

«E vorresti recuperare tutto adesso? O ti stai portando avanti anche per domani che ci sarà la festa di saluto di Mister Gamo, nonché Natale?» Genzo si girò, mani nelle tasche del pantalone della tuta. Aveva un sopracciglio inarcato sul sorriso sghembo e lo sguardo paziente. «Sai che non regge, vero?»

Quando Genzo usava il tono accondiscendente del fratello maggiore, Yuzo era consapevole che non avrebbe potuto continuare per la sua strada troppo a lungo. Soprattutto se era quella di darsi un tono, o fingersi impegnato in altro: Genzo lo smontava in meno di tre secondi con un’abilità così naturale che doveva esserci nato. Quindi sospirò, lanciando la matita sui libri e sprofondando la schiena nei cuscini alle sue spalle; le braccia vennero incrociate sul petto.

«Ma devo proprio venirci a quella festa? Non posso darmi malato?»

Il sorriso di Genzo si approfondì con una certa soddisfazione: libro aperto, per lui, Yuzo; esattamente un libro aperto. Adagio afferrò la sedia con le rotelle presso la scrivania della stanza e la trascinò con sé per avvicinarla al letto di Morisaki. Ci si sedette a cavalcioni, poggiando le braccia sulla sommità della spalliera.

«Qual è il problema?»

«Nessun problema. Non mi va di andarci.»

«Yuzo?»

Morisaki ruotò gli occhi. «Questo genere di feste mi mette a disagio. Tutto qua.»

«E perché?» Genzo si rivelò sorpreso, questa volta sul serio.

«Punto primo, non sopporto l’idea di finire ‘impinguinato’ lì dentro!» Yuzo indicò il completo giacca-e-cravatta della federazione che tutti avrebbero dovuto indossare. «Punto secondo… non sopporto certe occhiate, ecco.»

«Occhiate?» Genzo fece eco senza capire perché distogliesse lo sguardo con così evidente imbarazzo e leggero broncio.

«Sì, occhiate…» Yuzo sospirò, e alla fine vuotò il sacco pur con una certa difficoltà. «Quando siamo ai ritiri e ci sei anche tu… i membri della ex-Shutetsu mi guardano male.»

«Cosa? Ma di che stai parlando?»

Ora sì, Genzo avvertì la netta sensazione di cadere dal pero. Tanto che alla sorpresa s’aggiunse una strabuzzata d’occhi di quelle che faceva talmente di rado da ricordarsi, forse, la sfida di Tsubasa e il pallone lanciato dall’alto della terrazza antistante il tempio di Nankatsu.

Yuzo invece ne era rassegnato, abituato addirittura. E lo guardava da sotto in su quasi se ne vergognasse.

«È così, tu non te ne accorgi perché siete amici da anni e loro ti rispettano.»

«Ma rispettano anche te, siete nella stessa scuola e squadra dalle medie; saranno sette anni ormai che vi conoscete.»

«Non abbiamo mai legato molto.» Morisaki scrollò le spalle; anche quella, per Genzo, fu una enorme novità. «L’unico con cui vado più d’accordo è Bear

«Davvero? Non me ne hai mai parlato.»

Considerando che lui e Yuzo si tenevano in contatto in maniera anche abbastanza regolare, Wakabayashi si sentì in enorme difficoltà di fronte a quelle rivelazioni. Non le aveva mai sospettate, neppure nelle loro conversazioni abituali, e quando era capitato che parlasse degli altri…

Genzo drizzò la schiena con un movimento lento e consapevole: Yuzo non parlava mai degli altri. Cioè, parlava degli altri ma non di coloro che avevano fatto parte della Shutetsu. Perché se ne era accorto solo adesso?

«E che ti dovevo dire?» Yuzo allargò le braccia, facendole poi ricadere sulle gambe. «Avevi già altro cui pensare, mica potevo romperti con queste cretinate.»

«Non sono poi tanto cretinate se ti fanno sentire così in difficoltà.»

Genzo attraversò i capelli scuri con una mano, in un gesto distratto che si fermò sulla nuca e lì rimase, ma sorrise nel vedergli la stessa espressione disorientata di quando, da bambini, si era trovato a prendere il suo posto nel torneo delle elementari. Si poteva crescere e invecchiare, mettere su un fisico forte ed essere più intraprendenti, ma c’erano aspetti del carattere che non ne volevano sapere di crescere con loro. L’insicurezza di Yuzo era uno di quelli, e anche se ci aveva lavorato su parecchio, almeno in campo, rispetto a quando erano marmocchi, con le persone faticava ancora un po’. Lui lo trovava adorabile, e il fatto che contasse molto sui suoi consigli lo faceva sentire importante non solo in un mero discorso sportivo, ma come persona e amico. Non c’era verso: Yuzo era proprio il fratellino che avrebbe sempre voluto avere, e lui aveva il compito di rassicurarlo, anche perché era convinto che si sbagliasse. Né la Silver Combi né gli altri gli avevano mai parlato male di Morisaki, in alcun modo; le vecchie esperienze dovevano averlo suggestionato troppo.

«Visto che, come dici, li conosco da più tempo, posso assicurarti che sei fuori strada, Mamoru non mi ha mai detto-»

«Ah! Izawa! Per carità! Lui porta la bandiera!»

Genzo rimase spiazzato da quello scatto di Yuzo, in cui lo vide mettersi a sedere ben dritto e parlare con così tanta foga da arrossire.

«Ogni volta che mi vede è come se alle spalle gli spuntasse un cartello grosso così con scritto a caratteri cubitali: ‘Mi stai sul cazzo’.» Rosse le guance, gli occhi spalancati, le sopracciglia aggrottate e mani e braccia che tracciavano disegni nell’aria, rafforzando ogni parola. «Ha quel modo di guardarti che sembra dirti: ‘togliti dai piedi, merdina’. In un paio d’occasioni mi sono anche aspettato che lo dicesse sul serio!»

«Yuzo… ma sei serio?»

«Certo! Lui ha… l’abilità innata di farti sentire una nullità solo con lo sguardo. E con me ci è sempre riuscito benissimo.»

Il portiere sospirò quell’ultima frase spostando le iridi nocciola di nuovo sui libri. Distrattamente si mise a cincischiare con la matita abbandonata sui test, scarabocchiando un angolo della pagina.

«Ma hai mai provato a parlarci?» indagò Genzo, assottigliando lo sguardo con un certo sospetto. Per un attimo – uno solo – aveva avuto l’impressione di leggere qualcosa tra le righe delle sue espressioni.

«Cosa? Sei matto? Certo che no! Le sue occhiate di disprezzo mi sono bastate, giuro.»

Yuzo sollevò le braccia, inorridito, poi si mise a rigirare la matita tra pollice e indice di entrambe le mani: la punta nella mancina, la coda nella destra. Guardava le linee gialle e blu che ne decoravano il legno esterno dell’ossatura, con espressione distante.

«Inavvicinabile era durante le scuole e inavvicinabile è ancora adesso,» mormorò. «Non gli è mai andato a genio che io e te fossimo divenuti così amici.»

«No, Yuzo, a questa non ci credo.»

«Genzo, te lo giuro. È così dalle medie.»

La fermezza con cui Morisaki ne stava parlando riuscì a instillare in lui il seme inaspettato del dubbio: possibile che non se ne fosse mai accorto?

«Facci caso stasera se non mi credi. Guarda con i tuoi occhi. Mi detesta. Mi detesta proprio… Ogni volta che io e te siamo insieme mi fissa come se volesse fulminarmi.»

Già che c’era, Genzo si risolse che aveva anche qualcos’altro da appurare.

«Ok, verificherò. Però adesso andiamo, o facciamo tardi per la cena.»

Con agilità, il SGGK si alzò, posizionando di nuovo la sedia presso la scrivania, mentre Yuzo scendeva dal letto con evidente controvoglia.

«E se ti accorgerai che ho ragione, potrò starmene in camera, domani?»

«Yuzo,» Genzo gli rivolse un sorriso minaccioso piuttosto eloquente. «Non provarci neanche.»

«Uffa,» ridacchiò Morisaki in uno sbuffo, ma era già in piedi e stava infilando la giacca della tuta.

 

Si chiusero la porta alle spalle che stavano ridendo, camminando fianco a fianco come di consueto. Yuzo aveva appena fatto una battuta sull’idea di festa di saluto che sarebbe stata più adatta per Mister Gamo, magari infarcita di strumenti di tortura, e Genzo gli aveva passato un braccio attorno al collo, in un’abitudine che con l’amico portiere si concedeva abbastanza di sovente.

Il rumore di un’altra porta che veniva chiusa attirò gli sguardi di entrambi e, almeno da parte di Morisaki, la risata si smorzò con decisione fino a scomparire in un colpetto di tosse: Mamoru Izawa era appena uscito dalla camera che divideva con Wakashimazu; quando si diceva ‘il tempismo’. Genzo pensò che fosse un’ottima occasione per verificare i racconti appena ascoltati, così salutò l’ex-compagno di scuola prima che Yuzo potesse dire qualsiasi cosa.

«Mamoru!»

Izawa si volse, notandoli solo in quel momento. Sorrise a Genzo, accennando col capo.

«Ciao, Capitano.»

«Piantala di chiamarmi così. Non lo sono da anni.» Genzo agitò una mano, continuando a camminare per raggiungerlo, ma avvertì nettamente la resistenza che il portiere al suo fianco opponeva nel passo, di colpo più lento. Non ebbe bisogno di guardarlo per capire che era teso.

«Sai che le vecchie abitudini sono dure a morire.»

Mamoru gli sorrise apertamente, poi lo sguardo si adombrò e il sorriso venne diluito in un’espressione seria. Le iridi, che Izawa aveva sempre avuto così scure da sembrare nere, si spostarono per trovare Morisaki. Fu allora che nella testa di Genzo esplose quell’esterrefatto: ‘Ah’ che per un pelo non gli si tramutò in parola. La tensione tra di loro si poteva tagliare con un coltello tanto era netta e tattile. Ustionante come ghiaccio tenuto troppo stretto tra le mani.

Diavolo, Yuzo aveva avuto ragione e lui era stato cieco come una talpa.

«Morisaki,» fu il semplice saluto che Izawa rivolse al portiere, sciogliendolo in un tono più basso e profondo.

Yuzo si limitò a un sorriso forzatissimo e veloce che apparve e scomparve dalle labbra, così come veloce fu il modo in cui pronunciò il nome dell’altro.

«Izawa.»

Il gelo provocò un brivido anche a Genzo, soprattutto per come Mamoru spostasse gli occhi sul modo in cui gli stava cingendo il collo: guardò il braccio, guardò Morisaki e quest’ultimo si sottrasse dalla presa con un gesto fluido nemmeno si fossero scambiati ordini mentali che a lui erano preclusi.

«Io vi precedo a mensa. Yamada aveva delle cose da chiedermi, ci vediamo lì.»

Yuzo si smarcò da entrambi con un sorriso nervoso e nemmeno guardò Mamoru quando se ne andò, le mani affondate nelle tasche della felpa e il passo svelto.

Genzo, il braccio ancora sospeso a mezz’aria, lo osservò andare via con le sopracciglia sollevate in due archetti e le labbra strette. Spostò gli occhi su Izawa e quest’ultimo aveva appena il capo girato nella direzione per cui Yuzo si era allontanato, un sopracciglio inarcato e l’ombra di un sorriso rassegnato che gli attraversò le labbra uscendo dall’angolo destro.

Lo sguardo di Genzo si assottigliò di nuovo, così come era stato quando si trovava in camera con Yuzo. C’erano tante sfumature estremamente sottili, in quella faccenda, che la cosa iniziava a intrigarlo. E anche di più; aveva la netta sensazione che ne sarebbe venuto addirittura a capo, cosa che né Izawa né Morisaki sembravano capaci di fare. Perché lui era Genzo Wakabayashi, lui veniva sempre a capo di tutto.

«E così il tuo protégé fila via come sempre.»

«Il mio cosa?» fece eco Genzo all’osservazione di Mamoru.

Quest’ultimo, mani nelle tasche dei pantaloni della tuta si strinse nelle spalle, ostentando un’espressione di indifferenza cui voleva per forza aggiungere una valenza sprezzante.

«Il tuo protetto. Morisaki lo è, no?»

«Mah… in un certo senso.» Genzo si prestò al gioco con subdolo piacere. Si poggiò al muro con una spalla, piegando il capo. «Ma Yuzo non ha bisogno di qualcuno che lo protegga, se la cava alla grande anche da solo.»

«E se non è il tuo protetto, allora cos’è per te?» Mamoru si passò distrattamente una mano tra i capelli lunghi, tirandoli indietro. «State sempre molto insieme nei ritiri.»

«Me lo stai chiedendo… perché?» indagò Genzo rispondendo a una domanda con un’altra domanda e le palpebre strette.

Mamoru buttò fuori una risata forzata che sapeva rendere comunque bellissimi i tratti regolari del suo viso dal mento stretto e la mascella squadrata. Una fila di denti bianchi fece capolino illuminando anche gli occhi scuri come l’ossidiana. Dissimulava con abilità, ma Genzo lo conosceva da anni e non era tanto scemo una volta che gli facevano notare le cose.

«Curiosità. Era già da un po’ che volevo chiedertelo, a dire il vero.»

«Ah, sì?»

Genzo non cambiò il modo penetrante di fissarlo che convinse Izawa ad accantonare la forzatura sorridente, con sua soddisfazione, tanto che alla fine si poggiò con tutta la schiena contro la parete, braccia al petto.

«Ad ogni modo, per me Yuzo è come un fratello.»

«Un fratello?»

Era chiaro, dall’espressione che fece, che non era la risposta che Izawa si era aspettato.

«Sì. Quelli che vorresti sempre vedere felici. Poi lui è adorabile, non credi?»

Mamoru s’affrettò a scrollare il capo e spostare lo sguardo.

«Ah, non saprei. Non ci parliamo molto.»

«Sì, lo so. Yuzo me l’ha detto.»

Gli occhi di Mamoru tornarono subito su di lui senza nascondere la sorpresa e Genzo sogghignò.

«Morisaki… ti ha parlato di me?»

«Proprio poco fa. Sai, è convinto di starti sul cazzo.»

«Cosa?!»

«Convintissimo.»

«Ma non è vero!»

«Ed è anche convinto che tu ce l’abbia con lui in qualche modo.»

«Io?!» Mamoru si portò una mano al petto, così stravolto da non rendersi conto dell’ardore con cui rispondeva, né di mantenere determinate apparenze. «Ma per quale motivo potrei mai avercela con lui? È Morisaki quello che-»

Izawa si interruppe, con il braccio disteso che indicava approssimativamente la direzione per cui Yuzo si era allontanato. Sembrava stesse facendo una sorta di riordino mentale alla fine del quale tirò via un pesante sospiro.

«Oh oh. Vittime di misunderstanding?» chiese distrattamente Genzo, guardandosi una mano e spostando su Izawa la coda dell’occhio.

Il centrocampista gli si fece di fianco, poggiandosi anche lui di schiena alla parete. Scosse il capo.

«Chiamalo ‘misunderstanding’. È dalle medie che Morisaki mi evita come la peste. Credevo non mi sopportasse.»

«Hai mai provato a parlarci?»

La stessa domanda che aveva posto anche a Yuzo, e Genzo non si stupì di ricevere la stessa risposta.

«Cosa? E come facevo? Ogni volta che mi vede scappa. L’hai visto anche tu, no? È scappato via in un attimo. Che vuoi dirgli?»

«Anche io sarei scappato se mi avessi lanciato un’occhiata come quella. Diavolo, Izawa, per poco non ho visto passeggiare i pinguini tanto dal gelo.»

Mamoru lo guardò preoccupato. «Vuoi dire che è colpa mia? Che sono parso troppo aggressivo?»

«Di sicuro non sembravi uno che voleva offrirgli un caffè.»

Un nuovo sospirò abbandonò le labbra di Izawa mentre afflosciava le spalle.

«Non volevo, sul serio. È solo che… voi andate così d’accordo. Io invece non riesco neppure a scambiarci due parole.»

«E perché è così importante che tu riesca a scambiarci due parole?»

Izawa non rispose, esitando anche a rivolgergli lo sguardo, ma Genzo mise mano al suo sorriso sghembo che tutto poteva e piegò il capo verso di lui.

«Dillo allo zio Genzo, coraggio.»

Un’ultima esitazione, ma alla fine il vaso venne scoperchiato e Izawa si mise a raccontare, in tono dimesso, il riassunto degli ultimi sei/sette anni di vita a un attento e sorridente Wakabayashi che, di tutta la faccenda, aveva di sicuro ben chiare due cose: la prima era che avesse un occhio così lungo da esserne stupito egli stesso e la seconda, più divertente, era che quell’anno l’avrebbe visto trasformato in un Babbo Natale d’eccezione.

 

 E così, a dispetto di tutti i suoi scongiuri che avrebbero preferito vedere il 25 Dicembre cancellato dal calendario, la sera di festa per il saluto di commiato a Mister Gamo arrivò, precisa e puntuale. Avrebbe segnato anche la chiusura di quel ritiro natalizio che la federazione aveva organizzato in onore della vittoria conseguita al World Youth e per preparare la Generazione D’Oro ad affrontare il mondo del professionismo nella J.League. Durante la settimana, oltre a un allenamento intensivo con i membri della RJ7 – ridotti a RJ6, visto che Ryoma Hino si era trasferito in Uruguay in pianta stabile –, erano stati condotti incontri con i presidenti di alcune delle squadre più importanti della lega giapponese di calcio, che si erano prestati a rispondere alle loro domande e avevano dato molti consigli su come affrontare la vita all’interno del ‘calcio che conta’.

Quella sera, coincidente con il Natale, si sarebbe festeggiato soprattutto il saluto a Minato Gamo che avrebbe lasciato il ruolo di commissario tecnico per intraprendere una carriera da osservatore, in giro per il mondo, per poter infine importare tutto il meglio che avrebbe imparato sul calcio mondiale.

Tutto molto interessante, tutto molto bello, ma Yuzo era scazzato oltre limiti accettabili fin da quella mattina, quando avevano affrontato il loro ultimo allenamento. Il giorno dopo, nel tardo pomeriggio sarebbero ripartiti per tornare a Tokyo dove le strade di tutti si sarebbero divise, riconducendoli a casa. Ma ora era il 25, a breve si sarebbe aperta quella dannata festa e lui stava litigando con la cravatta da almeno mezz’ora, sbuffando come un treno a vapore.

«Dannazione!» masticò a mezza bocca nel tentativo di allargare il nodo, nonostante fosse già larghissimo di suo, perché si sentiva soffocare.

Odiava le cravatte, odiava i nodi, odiava ‘impinguinarsi’ – come diceva sempre – e odiava trovarsi in situazioni di disagio, e lui lo sapeva che quella sera si sarebbe sentito come uno che avrebbe preferito avere un biglietto sola andata per la Giamaica. Per l’ennesima volta, davanti allo specchio dell’armadio, sbuffò, picchiettando nervosamente a terra la punta della scarpa in vernice, anch’essa parte del completo grigio scuro che stava indossando. Sollevò il mento, piegò le labbra in una smorfia e borbottò: «Sembro un gelataio», dopo aver adocchiato con disprezzo la cravatta a righe trasversali bianche e blu e un sottile righino rosso che si ripeteva a distanze regolari. Nello specchio riemerse anche l’occhiata che Izawa gli aveva lanciato la sera prima, quando l’aveva incrociato con Genzo, e un brivido gli attraversò la schiena facendogli muovere addirittura le spalle in maniera inconsulta. Quegli occhi scuri sapevano annientare in un attimo e lui si sentì ancora più ridicolo e intimorito davanti al proprio riflesso. Ancora una volta sbuffò, incapace di fare altro, ma con le mani già al collo per sciogliere il nodo.

«Non provarci neanche.»

Yuzo allontanò in fretta le dita, trovando la figura del portiere dal riflesso dello specchio: era fermo sulla porta del bagno e stava finendo di chiudere i polsini della camicia. A differenza sua, la cravatta gli pendeva al collo con un perfetto nodo windsor, e Genzo la indossava senza alcuna sofferenza.

«Scusa. Sono di pessimo umore.» Yuzo tentò di giustificarsi e di rimettere mano a quel dannato pezzo di stoffa senza ottimi risultati.

«È solo una cravatta.»

Wakabayashi lo raggiunse con passo lento ed elegante,  gli fece cenno di voltarsi e lasciar fare a lui, che di cravatte ne aveva annodate infinite volte; essere il figlio di una persona come Tochiro Wakabayashi, con un simile impero commerciale, significava anche avere una etichetta molto rigida da rispettare nelle occasioni mondane. Un completo come quello della federazione era pure troppo sportivo secondo le sue abitudini.

Senza sciogliere il nodo di Yuzo, si limitò a sistemarglielo per renderlo di nuovo perfetto.

«Non la potrei evitare?» chiese Morisaki e lui ammiccò.

«Magari quando saremo più alticci, a metà serata.»

Yuzo rise in maniera sottile e nel frattempo Genzo gli sistemò anche il colletto della camicia osservando il lavoro d’insieme con un cenno d’assenso. Gli diede una pacca sulla spalla e gli indicò lo specchio, affinché si guardasse e Yuzo sospirò, convenendo che con le cravatte sarebbero sempre stati su emisferi opposti; per fortuna che c’era Genzo.

«Non essere nervoso,» disse quest’ultimo.

«Non lo sono.»

«Che pallista.»

«Concedimi tregua, eddai!»

Yuzo si puntellò le mani ai fianchi, dopo aver agguantato la giacca. La camicia ne definiva la linea del busto in maniera attenta senza stringere, e i pantaloni scivolavano morbidi sulle cosce, ma Morisaki non era capace di osservarsi, in quel momento, era solo seccato e Genzo pensò che fosse perfetto così: doveva essere sé stesso al cento per cento, con tutte le sue paranoie e insicurezze. Il SGGK sorrise senza snudare i denti, mentre si infilava anch’egli la giacca che ne squadrò le spalle già larghe. Chiuse adagio i pochi bottoni e sistemò ancora i polsini della camicia, in una serie di gesti tanto ricercati quanto rituali.

«Ti concedo tutte le tregue che vuoi, ma tu devi rilassarti. Non dare peso a quello che gli altri possano pensare o alle occhiate che ti possano rivolgere, mica esistono solo loro.»

«Anche questo è vero…»

«Tanto hai sempre noi portieri come isola felice, non devi per forza attaccare bottone con tutti, stasera.»

Yuzo oscillò il capo convenendo con il punto di vista di Genzo, e con il fatto che le persone con cui si trovava meglio in squadra fossero proprio i portieri come lui. Avevano sempre fatto mondo a parte, quando erano tra loro, quasi fossero una sezione distaccata della Nazionale. Lo facevano sentire pienamente a suo agio; soprattutto quello dell’RJ7, Yamada: si era rilevato insospettabilmente simpatico e di compagnia, fuori dal campo, a dispetto di quando invece scendeva sul rettangolo verde e un’espressione serissima gli congelava i tratti del viso per renderlo spietato.

«D’accordo. Hai ragione tu. Cercherò di godermi la serata.»

«È questo lo spirito giusto.»

Genzo lo raggiunse, cingendogli di nuovo le spalle con il braccio, proprio come aveva fatto la sera prima e Izawa l’aveva guardato malissimo. Sulle labbra del portiere, però, c’era un sorriso compiaciuto.

«Non devi fare altro che comportarti come sempre e vedrai… domani ti sembrerà tutta un’altra cosa.»

«In che senso?»

Ma Genzo non rispose, limitandosi a sorridere e a guidarlo fuori dalla stanza per raggiungere la sala in cui era stata allestita la festa.

 

Anche se in maniera involontaria, la prima cosa che fece appena varcata la soglia del salone fu di sentire se i soliti sguardi di sospetto e giudizio arrivassero come ogni volta accadeva che lui e Genzo si presentavano da qualche parte affiancati. Non si volse a cercarli perché di solito arrivavano dritti alla schiena, ma dopo qualche minuto che non ne sentì la pressione opprimente cui era abituato, si concesse di liberare un respiro più sollevato e rilassato. Forse Izawa e gli altri non erano ancora scesi, poteva quindi godersi un po’ dell’atmosfera confusionaria in cui era immersa la sala. Gli allenatori e gli alti esponenti della federazione con in testa Katagiri stavano già parlottando fitto al tavolo d’onore riservato a Mister Gamo, mentre i giocatori gironzolavano per l’ambiente, formando piccoli gruppetti o saltando da uno all’altro, tra risate, commenti a voce troppo alta e battutacce.

Yuzo si rilassò, dandosi dello sciocco perché Genzo aveva ragione: non poteva mica dipendere così tanto dal giudizio di tre persone in croce. O dal giudizio di Izawa! Per carità! Ebbe quindi un moto nelle spalle, con cui voler sciogliere la tensione, e allentò anche il nodo alla cravatta in maniera impercettibile. Genzo gli diede una pacca in mezzo alle scapole e gli sorrise, strizzandogli l’occhio prima di allontanarsi perché Ishizaki lo stava chiamando a gran voce. Yuzo sorrise a quella schiena ampia e rassicurante, sentendosi in colpa del fatto che a volte dipendesse troppo dai suoi consigli e punti di vista più maturi. Avrebbe dovuto imparare a cavarsela da solo meglio di quanto faceva al momento, per dimostrare a Genzo di essere degno della sua amicizia e del tempo che aveva sempre da dedicargli. Con quei pensieri fece per muoversi, ma la stilettata nella spina dorsale ne inchiodò i piedi al suolo, facendogli spalancare gli occhi.

Eccoli.

Gli altri occhi, quelli che lo giudicavano sempre e non gli davano tregua fin dalle scuole medie. Occhi che non capiva cosa si aspettavano da lui, cosa volevano dirgli oltre al fatto che fosse un fallito integrale che viveva sempre all’ombra di Wakabayashi.

Quegli occhi neri che ne controllavano ogni movimento e a volte non lo facevano neppure respirare tanto dalla pressione che gli caricavano sulle spalle.

Yuzo strinse i pugni.

Mamoru Izawa era alle sue spalle, ne era sicuro. In qualche angolo più defilato o magari era appena arrivato.

Izawa era lì e lui girò appena il viso, di pochi gradi, ma si fermò prima di volgersi del tutto. Aggrottò le sopracciglia in un’espressione severa: questa volta non avrebbe ceduto, non si sarebbe fatto suggestionare né avrebbe dato peso a quello che pensavano di lui. Genzo aveva ragione e se voleva dimostrargli di essere capace di ascoltare i suoi consigli, allora doveva guardare avanti, alzare la testa.

Yuzo drizzò la schiena, si calò un’espressione decisa, perché lui quella sera aveva tutta l’intenzione di divertirsi e non ci avrebbe rinunciato. Guardò dritto davanti a sé, dove tutti continuavano a ridere e festeggiare, e avanzò di un paio di passi, fino a che non si sentì passare rudemente un braccio attorno al collo. Il viso sorridente di Yamada comparve alla sua destra, le luci della sala riflettevano sulla testa rasata e lucida come una palla da biliardo. Yuzo fu costretto ad alzare il capo perché Michel era davvero alto, più di Genzo.

«Ehilà, collega!»

Aveva già gli occhi un po’ lucidi e un flûte con aperitivo nella mano. Lo chiamava sempre ‘collega’, nemmeno fossero impiegati d’ufficio.

«Yamada, stai già bevendo?»

«Oh, solo un goccino. Sai, per assaggiare. Gamo ha detto che stasera possiamo mandare al diavolo le regole!» Poi si guardò attorno e abbassò la voce. «Io lo prendo in parola.»

Yuzo rise apertamente e sentì la schiena più leggera e meno ghiacciata da occhiate traverse. Gli altri portieri erano davvero la sua isola felice, c’era poco da fare.

«Michel!»

Una voce si levò imperiosa tra le altre e Yamada drizzò il collo.

«Occazzo, Yumikura!» Il portiere gli mollò il flûte tra le mani. «Morisaki, salvami! Dici che è tuo!»

Nobuyuki Yumikura della RJ7 li raggiunse in un momento, dopo essersi fatto largo tra gli altri che ridacchiavano della scena.

«Eccoti! Ma che diavolo fai? Il buffet non è stato ancora aperto e dai già l’assalto agli aperitivi?» Lo rimproverò. «Ti ho visto che ne hai bevuti almeno tre! Regolati un po’!»

Michel sollevò le mani scuotendo la testa.

«Ne ho bevuti solo due, il terzo l’ho portato a Morisaki! Era appena arrivato, non s’era ancora sciacquato l’ugola. Tra noi colleghi facciamo così; ci sosteniamo a vicenda!» Sorrise a trentadue denti e strinse la presa, mentre Nobuyuki scuoteva il capo, una mano alla fronte.

«Ma guarda se devi andarti a nascondere dietro Morisaki, che è pure più piccolo di te! Vergognati.»

«Sì, sì, mi vergognerò più tardi. Ciaaao!»

E così, senza possibilità d’appello, Yuzo si vide trascinare via da un travolgente Yamada, con ancora il flûte in mano, uno Yumikura che scuoteva minacciosamente il capo, e lo sguardo di ghiaccio di Izawa che, d’un tratto, percepì addirittura tagliente. Eppure fu in grado di ignorarlo e si mise a ridere alle battute di Michel.

 

E si divertì.

Yuzo non l’avrebbe mai creduto, ma si divertì sul serio.

La serata procedette tranquilla, tra cibo, vino, il discorso di commiato di Gamo e i suoi ringraziamenti a tutta la Generazione d’Oro, il discorso di Katagiri che augurava loro buona fortuna per l’avventura in J.League, e poi la musica tra canti di Natale classici o in salsa irlandese e JPop. Un po’ troppo commerciale, secondo i suoi gusti, ma per una sera poteva andare bene lo stesso. Tutti ridevano e si divertivano: Genzo aveva, al solito, discusso con Hyuga, Ishizaki si era fatto notare assieme a Urabe mentre intonavano l’Adeste Fideles in un lingua che tutto pareva tranne inglese e men che meno latino. Lui aveva scambiato quattro chiacchiere un po’ con tutti, addirittura con Mister Gamo, evitando accuratamente di trovarsi allo stesso tavolo quando c’erano Izawa o la Silver Combi, ed era sopravvissuto al senso di disagio e al suo sguardo che, per tutta la sera, non l’aveva mollato. Yuzo l’aveva avvertito con costanza nel seguire i suoi movimenti: dove andava lui, andava lo sguardo di Izawa. Lui però era stato bravo a non darvi troppo peso, a non sentirsene schiacciare, rimanendo per la maggior parte del tempo con Genzo, Ken e Michel. E fu verso la fine della serata che tutti e quattro si trovarono allo stesso tavolo.

Gamo e gli altri erano usciti per andare a festeggiare in maniera più adulta, lasciando loro liberi di fare ciò che preferivano, all’interno dell’albergo e sempre in certi limiti. C’era, quindi, chi si stava scatenando in pista come Jito, con la cravatta annodata attorno alla fronte, e chi dava fondo ai dolci del buffet. Urabe, Nitta, Kishida e Okano della RJ7 giocavano a poker, in una partita serrata.

Yuzo, incredibilmente, si stupì di avere ancora la cravatta perfettamente annodata, quando buona parte di loro si era già messo in libertà. Lui, invece, era ancora impeccabile.

«Guardate che sono riuscito a recuperare da quelli del bar!» esclamò Yamada piombando, estremamente euforico e alticcio, presso il tavolo sul quale appoggiò una scacchiera. «Chi se la fa una partita?»

«Michel, ma sai riconoscere un pedone da un alfiere, in questo momento?» domandò Wakashimazu e non per prenderlo in giro. L’altro portiere agitò una mano.

«Certo che sì! Ci vuole ben altro per mettermi K.O. Ora come ora ho solo l’umore a mille!» Rise, sporgendosi verso di lui. «Ed è il momento che preferisco!» Poi spostò lo sguardo su tutti e tre, trepidante. «E allora? Chi gioca?»

«Io non conosco gli scacchi tradizionali. Preferisco gli shogi.» Wakashimazu se ne chiamò fuori.

«Gioco io con te.»

A Yamada si illuminarono gli occhi. «Morisaki! Lo sapevo che non mi avresti dato buca!» Alzò le braccia al cielo e iniziò a distribuire i pedoni, mentre Yuzo sorrideva.

«Non sapevo giocassi.» Si interessò Ken.

«Mi ha insegnato mio nonno paterno. Ci facciamo sempre un paio di partite quando ci vediamo.»

«Aiuta a sviluppare pazienza e tattica!» spiegò Michel con solennità. «Bianchi o neri?»

«Bianchi.»

«E non hai timore a fare la prima mossa.» Yamada annuì con vigore. «Mi piace.»

«E se alzassimo la posta?»

Genzo, che fino a quel momento era rimasto in silenzio, attirò gli sguardi dei tre compagni di tavolo. Il sorriso sghembo fece capolino come sempre quando qualcosa gli frullava in testa, e non erano mai buone idee. Yuzo lo conosceva e per un attimo fu tentato di cambiare idea.

«Visto che non abbiamo i bicchieri segnati per una partita alcolica, che ne dite se per ogni pezzo che l’avversario vi mangerà dovrete bere uno shot?»

Per Michel fu come trovare la quadra dell’universo.

«Ci sto! Ci sto! Che ideona!»

Yuzo parve disorientato. «Addirittura uno per ogni pezzo mangiato? Non sarebbe meglio fare a chi perde?»

«Troppo facile, Morisaki.» Lo additò Wakabayashi, il rimprovero sottile dietro al quale gli diceva di osare, una volta tanto, e non stare sempre arroccato dietro al suo ‘playing safe’.

«Ha ragione, Yuzo! Così sarebbe troppo facile! Facile è brutto! Puah!» Yamada mise giù entrambi i pollici con una smorfia e Yuzo si vide costretto a capitolare.

«D’accordo… facciamolo.»

Attorno a lui si animarono tutti: Genzo e Ken andarono a rimediare i bicchierini al bar e una bottiglia rhum, ne sistemarono sedici per ogni giocatore, riempiendoli quasi fino all’orlo. Qualcun altro, dei ragazzi, si accorse dei loro movimenti, si incuriosì e la voce di quella partita a scacchi alcolici fece il giro della sala in un battibaleno.

«Pronto a bere, collega?»

«E chi ti dice che sarò io quello che berrà?»

Yumikura borbottò, braccia conserte. «E ti pareva che non dovessi impelagarti in una cosa simile.»

«Ah! Quanto sei noioso, Nobuyuki!»

«Non portare il povero Morisaki sulla cattiva strada, testa pelata!»

Michel gli fece una linguaccia che strappò una risata a tutti quelli che erano lì attorno e anche a Yuzo, che alla fine si rilassò e pensò solo alla propria strategia.

Fu una partita attenta, che l’ex-portiere della Nankatsu sapeva di poter controllare con facilità e senza lasciarsi distrarre dalle risate e dai commenti che arrivavano alle sue spalle. Il fuoco del primo shot che ingollò lo colse di sorpresa, però, perché non era abituato a bere così tanto e tutto in una volta. Gli alleggerì le spalle, ma stava bene. Al quinto iniziò ad avere caldo, ma la partita era ormai vinta, con Yamada che si vide fare scacco dopo essersi fatto mangiare ben nove pezzi, in una disfatta clamorosa.

Applausi e fischi, tra le risate generali e la disperazione di Michel.

«Mi hai fatto nero, che figura!»

«Ben ti sta.» Lo riprese Yumikura e, per tutta risposta, Yamada ingollò l’ultimo bicchierino corrispondente al Re abbattuto.

«Almeno ho bevuto e tu non mi hai potuto dire niente! Beccati questa!»

«C’è nessun altro che ci vuole provare?» spronò Genzo, con mani ai fianchi e voce tonante.

Yuzo lo guardò stranito, gli occhi lucidi e le braccia incrociate davanti al viso.

«Ma quale altro?! Già ne ho dovuti bere cinque di shot! Vuoi farmi arrivare in stanza che non mi reggo in piedi?» Rise allentando leggermente la cravatta. «Già ho un caldo terribile!»

«Dai, forza. Un’altra partita puoi farla eccome.»

«Genzo!»

«Ti sfido io.»

Yuzo si girò di scatto a quella voce che si fece largo nella piccola folla che si era raccolta attorno al loro tavolo. Izawa venne avanti con la cravatta allentata e la giacca lasciata aperta. I capelli erano tirati indietro in una mezza coda e lo fissava dall’alto, con uno sguardo sottile e trionfante. Un sorriso leggerissimo sulle labbra.

Yuzo si sentì schiacciare contro la sedia, divenire parte dell’imbottitura. E il panico salire di colpo come una vampata di calore che gli arrivò fino alle guance. Maledetto alcool.

«Ti dispiace?» rincarò Izawa visto che lui non aveva risposto.

Morisaki cercò per istinto lo sguardo di Wakabayashi che aveva quel sorrisetto sghembo da sberle con cui lo invitava ad accettare.

E lui si sentì in trappola.

«N-no… certo che no.» Yuzo scrollò la testa e gli indicò la sedia, in un invito a prendere posto.

Izawa non se lo fece ripetere.

L’uno di fronte all’altro, adesso, come probabilmente non erano stati mai neppure a scuola, Yuzo si sentì in difficoltà. Attorno aleggiava quella tensione che riusciva a non farlo respirare e se era schiacciante quando di solito il suo sguardo lo colpiva alle spalle, ora che erano occhi negli occhi la sensazione di annientamento era decuplicata.

«Bianchi o neri?» chiese, in maniera meccanica, mentre rimetteva a posto i pedini e distoglieva lo sguardo.

Accanto alla scacchiera stavano riempiendo di nuovo i bicchierini con il rhum, e lui stava cominciando a sudare. Cioè, stava sudando già da prima, perché l’alcool iniziava a fare il suo effetto e sentiva la temperatura salire a vampate e poi tornare indietro. Adesso si era unito anche un fastidioso sudore freddo lungo la schiena.

«Neri.»

«I bianchi muovono per primi.»

«Lo so.»

Yuzo annuì, intimorito davanti a quella sicurezza nelle risposte.

«Ehi, Mamoru, ma sai giocare?» chiese Kisugi con una certa perplessità e l’interpellato rise.

«No, ma non si rifiutano mai degli shot.»

Yuzo sollevò lo sguardo sulla sua risata e fu catturato completamente dal modo in cui la mano sosteneva il viso poggiato al suo interno.

Inavvicinabile.

Lo era stato per anni interi, e anche ora che ce l’aveva di fronte, sembrava sempre su un altro pianeta, con la sua sicurezza di sé. La stessa che lo faceva sentire una nullità minuscola come un granello di sabbia. Abbassò lo sguardo sulla scacchiera dove i pedini erano di nuovo pronti a venire mangiati dalle mosse dei rispettivi avversari e lui si sentì come se non potesse vincere, anche se tra i due era di sicuro il più bravo: contro l’attitudine non poteva farci nulla.

Spostò il primo pedone, e Izawa mosse di rimando.

Un inizio che pareva equilibrato, e molto classico, fino a che Yuzo non iniziò a commettere errori, uno dietro l’altro.

Tre mosse, tre pedini mangiati, tre shot da buttare giù. Uniti agli altri cinque facevano otto.

«Morisaki, che ti succede?» Yamada, alle sue spalle era presissimo dal tifo. «Izawa non sa nemmeno giocare, quei pedoni glieli hai praticamente regalati!»

Yuzo sforzò un sorriso poco lucido, mentre si passava una mano dietro la nuca.

«Il rhum comincia a farsi sentire, sono un po’ fuori fase.»

Non riusciva a concentrarsi, il calore aumentava come si trovasse in un forno e la scacchiera davanti ai suoi occhi ogni tanto si sdoppiava. Yuzo fece scorrere il dito tra il collo e il nodo della cravatta, allentandolo ancora di più, con una smorfia insofferente. Non ci stava con la testa. Guardava la scacchiera e poi Izawa e non trovava il senso nell’una né esitazione nell’altro. L’unico in difficoltà, lì, era solo lui.

«Dai, Morisaki, non dargliela vinta!» incitò Jito, tutto addossato a Takasugi che cercava di sostenerlo come poteva.

Alla mossa del cavallo di Mamoru, Yuzo si passò una mano sul mento, massaggiandolo adagio. Non riusciva a trovare pace, continuava a cambiare posizione sulla sedia, mentre Izawa rimaneva fermo e imperturbabile nella stessa; si muoveva solo per spostare i pezzi sulla scacchiera.

Dei sedici bicchierini, quelli del suo avversario erano intonsi. E che diamine! Perdere così era umiliante!

Spostò lo sguardo e incrociò il proprio con quello di Mamoru: lo fissava dritto negli occhi, l’angolo destro della bocca sollevato in una virgola sorridente.

Si stava prendendo gioco di lui.

Per Yuzo fu lapalissiano.

Mosse un nuovo pezzo, troppo lontano dagli altri, in una scelta inutile: il cavallo di Izawa mangiò il quarto pedone consecutivo e attentò alla sua seconda fila; era una minaccia per la Regina. Lui non era mai stato così disattento o incapace da farsi fottere la regina senza che avesse neppure mangiato la metà dei pedoni avversari.

Yuzo scrollò il capo guardando la realtà dei fatti: Izawa lo stava battendo, e diceva anche di essere niente più di un principiante che conosceva le regole base. Lo stava battendo, lo stava umiliando e si stava prendendo gioco di lui. Davanti a tutti.

Qualcosa, nel calore forte dell’alcool che gli annebbiava la mente, si ridestò, in un rigurgito d’orgoglio.

«…ah, è così?» mormorò mentre afferrava l’ennesimo shot della fila, e adagio se lo portava alle labbra. «Vuoi la guerra?»

Dalla scacchiera, le iridi nocciola trovarono di prepotenza quelle nere di Izawa che ebbe un leggero sussulto, tanto da sollevare il viso dalla mano in cui lo teneva poggiato fin dall’inizio.

«L’avrai.»

Yuzo buttò giù il rhum rovesciando il bicchiere sul tavolo con eccessiva verve. Senza distogliere lo sguardo da quello dell’avversario sciolse il nodo alla cravatta, sfilandola dal collo e lanciandola alle proprie spalle con incuria.

Mamoru assunse una postura più dritta e, per la prima volta tra loro, fu lui a sentirsi in difficoltà perché Morisaki quello sguardo aggressivo non l’aveva mai rivolto a nessuno.

Yuzo si liberò con foga della giacca e spuntò il primo bottone della camicia, lasciando che un senso di sollievo per non essere più ‘impinguinato’ lo facesse respirare molto meglio di prima. Si arrotolò le maniche fino ai gomiti e assunse una posizione quasi d’attacco, poggiando entrambi gli avambracci sulla superficie del tavolo.

Senza neppure guardare la scacchiera, che ormai conosceva a memoria, mosse l’alfiere e mangiò il cavallo di Izawa spingendolo via dal ripiano di gioco.

«Fuori il cavallo. Bevi.»

Mamoru rimase spiazzato. Attorno a loro, invece, gli incitamenti dei compagni si sprecavano in applausi e fischi.

«Morisaki si è incazzato!» disse qualcuno.

«Dacci dentro, Yuzo!» gridò qualcun altro e Yamada arrivò col carico sotto forma di pacca sulla spalla e applauso.

«Fagli vedere come fanno i portieri, collega!»

Mamoru sollevò le mani, approfondendo il sorriso, mentre Yuzo non stava sorridendo affatto, ma lo guardava come avesse voluto spolparne anche le ossa. Interessante. Moltissimo.

«D’accordo, d’accordo.» Izawa afferrò il primo dei suoi shot. «Non c’è bisogno di essere così bellicosi.»

«Ah! Non ce n’è bisogno?» gli fece eco Yuzo, sprezzante. L’alcool gli era andato dritto di filato al cervello, l’aveva sciolto completamente come il sale con la neve. «Tu non hai capito, Izawa: io ti anniento! Ti schiaccio come con gli scarafaggi e ti giuro che non ti farò alzare il culo da quella sedia senza prima averti fatto bere almeno la metà di quei bicchieri lì. Perché posso farti scacco in tre mosse, ma prima devo levarmi la soddisfazione di mangiarti più pedine possibili. Ah

Solo allora, alla fine di quel monologo, Yuzo si rilassò contro lo schienale della sedia, poggiando un gomito sulla spalliera senza togliersi dalle labbra il sorriso trionfante di chi avrebbe vinto a qualsiasi costo. Non stava capendo più niente di quello che diceva, sicuro come la morte e le tasse, sapeva solo di stare aprendo la bocca, dandole aria, ma di aria ne aveva anche nella testa in cui si sentiva leggero, euforico, carico come una molla e con un caldo terribile, tanto che avrebbe voluto strapparsi di dosso anche la camicia, ma non lo fece in chissà quale barlume di lucidità.

L’altra cosa che sapeva era che Izawa lo guardava con incredulità, nelle iridi nerissime, e interesse e continuava a sorridere, nonostante tutto, mentre buttava giù il suo primo shot senza difficoltà. E c’era anche qualcos’altro in quegli occhi che non riusciva a capire.

Attorno a loro, i ragazzi fischiavano, divertiti, incitavano senza sosta. Yuzo sentì Yamada che lo strattonava per le spalle, ma il contatto con gli occhi di Izawa non venne interrotto da nessuno di questi elementi di disturbo: loro si fissavano come non ci fosse nessun altro presente in quel momento, come non ci fosse nemmeno la scacchiera.

Superpartes, ma neanche tanto, Genzo li osservava braccia conserte e sorriso sghembo.

La partita continuò tra un mangia e bevi di pezzi e shot; come aveva promesso, Yuzo ne fece fuori almeno sette quasi di seguito, mentre Mamoru riuscì a strappargliene altri tre. Il problema era che Izawa reggeva l’alcool molto meglio di Morisaki e anche se aveva dovuto bere sette shot, era perfettamente nel pieno delle proprie facoltà, quasi ne avesse bevuti solo la metà. Yuzo, invece, era andato, partito completamente e Izawa rimase affascinato da come riuscisse comunque a portare avanti la partita: la sua volontà era d’acciaio, altroché.

Dopo avergli mangiato l’alfiere, Yuzo si aprì in un sorriso vittorioso.

«Sei sotto scacco» sibilò e Mamoru cambiò strategia, bloccando la sua.

Yuzo non si perse d’animo, spostò invece la torre e sorrise di nuovo.

«Sei sotto scacco,» lo canzonò ancora, e il gusto di essere per la prima volta lui quello che annientava era davvero difficile da spiegare per quanto bello. Rasentava l’eccitazione, poteva sentirla risalirgli le cosce, e vedere Izawa in seria difficoltà era una botta d’adrenalina pura.

Dopo averci pensato, Mamoru scelse di spostare l’unico cavallo rimastogli per bloccare l’ennesimo assalto al suo Re Nero, e allora il sorriso di Yuzo totale, gli snudò i denti. Morisaki si sporse verso l’avversario, con gli occhi nocciola resi lucidi dall’alcool, languidi in maniera pericolosa, fece spuntare la Regina Bianca da un punto cieco e gli abbatté il Re, coricandolo sulla scacchiera.

«Checkmate,» soffiò, prima di liberare una risatina di pura soddisfazione che Mamoru rimase a fissare senza riuscire in alcun modo a distogliere lo sguardo. Colpito e affondato.

«E allora?» continuò Yuzo, mentre si alzava adagio, su gambe malferme. «Come ci si sente a essere umiliati? Spiacevole, uh? Umiliare, invece, è una vera figata. Magari lo rifarò» concluse, agitando le dita della mano, e poi, senza che ce ne fosse realmente bisogno, afferrò uno degli shot e lo tracannò d’un fiato come aveva fatto con gli altri, stringendo gli occhi per il forte del rhum.

Lasciò il bicchiere e se ne andò, venendo accerchiato dai compagni che si congratulavano della sfida appena condotta.

Rimasto al tavolo, Mamoru continuava a fissare la scacchiera dove il suo Re era stato abbattuto da una elegante e letale Regina.

«Accidenti, ti ha proprio stracciato, pure da ciucco,» fece presente Teppei, mentre Hajime annuiva.

«E chi l’avrebbe mai detto?»

«Già…» fece eco Mamoru, il viso affondato nella mano e il sorriso sulle labbra, con lo sguardo lo cercò di nuovo trovandolo praticamente addossato a Genzo, mentre rideva sguaiatamente e agitava una mano in chissà quale discorso senza capo né coda. «Chi l’avrebbe mai detto? Che caratterino.»

 

Dopo venti minuti fu chiaro che per Yuzo la serata poteva dirsi conclusa, Genzo lo decise senza possibilità di appello e senza ascoltare le proteste dello stesso portiere che invece era convintissimo di reggersi in piedi, salvo poi quasi collare sulle proprie gambe almeno un paio di volte.

«No, ora ti riporto in camera e vai dritto a letto,» replicò il SGGK all’ennesima protesta.

Recuperò la cravatta di Morisaki mettendogliela al collo a mo’ di sciarpa, gli lasciò la giacca nella mano.

«E dire che eri tu quello che neppure voleva venire, e ora guardati.»

«Sì, ma che c’eeeentraaa?» biascicò Yuzo, mentre Genzo cercava di farlo stare dritto.

«Lascia stare, Wakabayashi. Lo accompagno io.»

Mamoru comparve dal nulla e Yuzo lo guardò stralunato, faticando a metterlo a fuoco.

«Sicuro?»

«Sì, tu resta pure. Tanto siamo sullo stesso piano, ricordi?»

Genzo si strinse innocentemente nelle spalle, ma stava sorridendo, e gli allungò la card magnetica.

«Ok,» disse, «lo affido a te». E il sorriso divenne smagliante in maniera sfacciata.

«Cooosa?» protestò Yuzo, indicando Izawa. «Nooo! Non voglio!»

«Non protestare.»

«Non voglio andare con lui! Gli sto sul cazzooo!» scandì con chiarezza estrema che fece ridere sia il SGGK che Izawa.

«Non mi interessa, Mamoru ti accompagnerà in stanza. Fine della questione. E ora obbedisci.»

Yuzo sbuffò, ma non disse altro, lasciando che Izawa si passasse un suo braccio dietro al collo, per reggerlo meglio. Insieme si allontanarono dalla sala sotto lo sguardo vigile e altresì soddisfatto di Genzo.

«Hai un’espressione così gongolante che ho quasi paura a chiederti il perché.»

Ken Wakashimazu si fermò accanto al SGGK, scrutandone il profilo e poi l’ingresso della sala che si chiudeva su Izawa e Morisaki.

Genzo sospirò. «Sai cosa penso? Che Babbo Natale dovrebbe rassettarmi casa.»

Ken tirò indietro il mento, strabuzzò gli occhi e non capì.

 

Seguire una linea retta fu quasi impossibile, Mamoru ci provò a essere stabile, ma Yuzo andava un po’ per fatti suoi, infastidito dal fatto che fosse proprio il centrocampista a dargli sostegno.

«Ti senti bene?»

Fu Izawa a rompere il silenzio che li aveva accompagnati fuori dalla sala e mentre imbroccavano il corridoio per l’ascensore.

«Mai stato meglio,» ripose Yuzo solennemente e con piglio stizzito, tanto da sollevare il mento. Poi lo riabbassò, guardando il profilo di Izawa in maniera attenta. «Perché mi hai sfidato? Tu non giochi a scacchi.»

«E tu che ne sai?»

«Non ti ci ho mai visto e non te ne ho mai sentito parlare.»

«Non significa che non ci sappia giocare.» Mamoru lo guardò a sua volta, con quel colore penetrante. «Mica conosci tutto di me.»

 «So quanto basta!» Yuzo gli agitò, ancora, l’indice contro. «So che ti sto sul cazzo. Beh, anche tu stai sul mio! Patta e pace.»

«Davvero?»

«Certo, davvero.» Yuzo scacciò l’aria e guardò avanti, salvo poi tornare a girarsi quando Mamoru confessò: «Ma guarda che tu non mi stai sul cazzo.»

«Cooosa? Certo che ti ci sto! Altrimenti perché guardarmi sempre con quell’aria da ‘ce l’ho solo io’. Sappi che ce l’ho anch’io, eh!»

Mamoru ridacchiò. «Non lo metto in dubbio.»

«Atteggiato solo perché sei figo!»

Izawa rallentò fino a fermarsi davanti all’ascensore. Sul volto brillava sincera curiosità.

«Pensi che io sia figo?»

«Se lo penso io? Lo pensa tutto il moooondooo!» Yuzo tracciò un cerchio enorme nel nulla. «Ma dove vivi? Non farai mica il falso modesto, vero? Ti facevo più intelligente.»

«Chi se ne frega del mondo, non credevo lo pensassi tu,» puntualizzò Izawa, e lui scosse il capo.

«Faccio anche io parte del mondo, quindi, sì. Lo penso. Cioè, solo un cieco non lo penserebbe. E io ci vedo benissimo.»

Chiuse le dita a mo’ di cannocchiale e se le portò all’occhio sinistro, guardandoci in mezzo, nell’imitazione bislacca di un capitano di nave, magari pirata. Ridacchiò.

L’ascensore si aprì con un ‘plin’’ e loro sgusciarono all’interno con non poche difficoltà. Yuzo si tenne alla parete con una mano, addossandoci anche la schiena, mentre Mamoru premeva il pulsante numero tre. Quando le porte si richiusero, erano di nuovo uno di fronte all’altro, con la luce azzurrognola dell’elevatore che falsava i colori dei loro visi, capelli, abiti velandoli di una colorazione neon. Yuzo aveva il mento sollevato e le palpebre socchiuse, Mamoru era poggiato con una mano accanto alla sua spalla e l’altra al fianco. E non smetteva di fissarlo in una maniera che Morisaki avrebbe potuto trovare molesta se non fosse stato troppo ubriaco per pensare anche a quelle sottigliezze.

«Perché mi hai sfidato, stasera?» chiese di nuovo, nel barlume di lucidità che gli aveva ricordato di non aver avuto una vera risposta da Mamoru. Quest’ultimo si strinse nelle spalle.

«Volevo solo parlare un po’ con te.»

«E non potevi farlo come tutte le persone normali?!» gnaulò lasciando la presa del corrimano. Dondolò per un attimo, poi trovò una sua insospettabile stabilità.

«Lo avrei fatto, se tu non scappassi sempre.»

«Certo che scappo! Mi guardi come se fossi una merda! Uno che non vale niente! Sai che significa? Penso proprio di no!»

Morisaki non se ne accorse, soprattutto a causa delle luci troppo basse e ingannevoli, ma le sopracciglia di Izawa si aggrottarono conferendo mortificazione ai tratti del viso. Il tono scivolò più basso e profondo del normale.

Non si accorse neppure di quello.

«Yuzo, non è così. Non ho mai pensato niente di tutto questo.»

«Ah, davvero? Sei arrogante, presuntuoso, e ti dà fastidio ch’io si amico di Genzo!»

«Ero solo molto sorpreso, visto che lui fa difficilmente amicizia con gli altri, e invece con te… s’è sciolto subito.»

«Ma è ovvio!» Morisaki allargò le braccia esasperato. «Sono un portiere, ok? Lo siamo entrambi! Il nostro è un mondo a parte.»

«Quindi io non lo potrei capire?»

«E che ne so? Me l’hai mai chiesto?»

«Mi hai mai dato la possibilità di farlo?»

«Ecco, ora è colpa mia. Ottimo.»

Yuzo agitò una mano, girando il viso con aria seccata.

Il nuovo ‘plin’ avvisò che erano arrivati e Mamoru lo riafferrò senza nemmeno chiederglielo per condurlo fuori dall’ascensore. Dopotutto, lui neppure tentò di protestare adducendo che ce la faceva e che era lucidissimo. Lasciò che il braccio scivolasse di nuovo attorno al collo del compagno, sfiorando i capelli lunghi con la mano in un contatto liscio come la seta di cui prima non si era accorto. Così come gli permise di stringerlo attorno alla vita, la mano che afferrava la camicia e la carne sotto di essa in maniera salda e bollente. La giacca, invece, Yuzo la teneva appoggiata sull’avambraccio alla rinfusa.

«…però è vero, mi dà fastidio che tu sia così amico di Genzo.»

Riprese Izawa, mentre camminavano per il corridoio del loro piano e la porta della stanza che divideva con Genzo era la terza.

«E io che ho detto?» sbuffò saccente.

«Perché ne sono geloso.»

«Come sei infantile. Non te lo rubo mica.»

«No, non hai capito: ero geloso del fatto che lui riuscisse a esserti amico, nonostante non lo vedessi mai, mentre io che ti vedevo tutti i giorni non ero in grado neppure di parlare due minuti con te.»

«Cosa?!» Questa volta, fu Yuzo a imporre che si fermassero; la porta della stanza ormai a pochi passi. Si girò a guardarlo con occhi nocciola enormi ed espressione stravolta. «Mi stai dicendo… che in tutti questi anni, non abbiamo mai capito un cazzo l’uno dell’altro?!»

Il bello era che Izawa stava sorridendo e non c’era alcuna animosità nello sguardo, nulla di ciò cui era sempre stato abituato. Anzi. Era divertito sul serio, e anche un po’ mortificato.

«Così pare.»

«Cazzo, questo è troppo anche per me. Accompagnami a letto, va.»

Lo spronò di nuovo, scuotendo il capo e portandosi una mano alla fronte. Il tono di Mamoru si fece insinuante.

«Veramente ti sto accompagnando in stanza.»

«È la stessa cosa.»

«No, se ti accompagno in stanza significa che ti lascio sulla porta, se ti accompagno a letto... beh... in quel letto ci dovrei entrare anche io.»

Su quella frase Mamoru sciolse la presa con cui lo stava tenendo, lasciando che si sorreggesse con la schiena al muro. La porta della 403 era proprio lì accanto.

Yuzo assottigliò lo sguardo, nuca contro la parete e labbra schiuse. Lo fissò mettendone a fuoco la figura slanciata e l’espressione sulle cui labbra aleggiava ancora la malizia di un sorriso: quella virgola che sollevava l’angolo destro e nulla più. Aveva appena estratto la chiave magnetica che gli aveva dato Genzo.

Inavvicinabile, ricordò a sé stesso, e invece adesso erano solo loro due e avevano parlato per tutto l’intero tragitto dalla sala alla camera, scoprendo di essersi sempre fraintesi.

Ed era un figo della Madonna che la metà sarebbe bastata almeno per i secoli dei secoli. Amen.

«Vuoi venire a letto con me?»

Gli occhi neri di Mamoru si puntarono di colpo nei suoi, inchiodandolo alla parete.

Yuzo realizzò la propria frase con qualche secondo di ritardo e anche i propri occhi si spalancarono, mentre sentiva una vampa di calore incendiargli il viso.

«Cosa cazzo ho appena detto?» biascicò, portandosi una mano alla faccia e massaggiandola per cercare di scacciare il calore bruciante e tutta la vergogna possibile. Si scostò dal muro e gli sfilò la chiave dalle dita senza dare modo a Izawa di fermarlo.

«Ok, senti, i-i-io sono ubriaco e non ragiono. Non mi ascoltare, va bene?» Strisciò a vuoto la tessera un paio di volte prima di imbroccare la serratura, che scattò con un rumore elettronico. «Ecco qui, arrivato in stanza saaano e salvo. Fine degli obblighi.»

Mostrò un sorriso stupido e di circostanza, mentre restava fermo sulla porta aperta, gomito contro l’uscio nel tentativo di darsi un tono, uno qualunque!, per non fare ancora di più la figura dell’imbecille di cui era divenuto maestro di livello superiore in meno di cinque minuti contati. Roba da record.

Mamoru rimase fermo a un passo di distanza, sbuffò un sorriso alle proprie scarpe prima di alzare di nuovo lo sguardo su di lui.

«Genzo lo aveva detto.»

«Genzo?» feco eco Yuzo, senza capire.

«Che sei adorabile. Lo sei anche da ubriaco.»

«Adorabile… io

Un’altra vampa di calore lungo il collo, le guance, le orecchie, il naso. Un semaforo bloccato su ‘rosso’.

Mamoru non parve dare peso alla sua evidente difficoltà, anzi, avanzò di mezzo passo, con una mano al fianco e l’altra che si poggiava, allo stesso modo di Yuzo, sullo stipite della porta.

«E quindi il perdente non ha diritto a un premio di consolazione?»

«Premio di… consolazione? Di cosa… stai…»

Adesso Morisaki non sapeva se fosse più per un fatto di tasso alcolico sopra il livello consentito alla civile intelligenza o se perché erano i modi di Izawa a confonderlo, come il sorriso o lo sguardo penetrante, fatto stava che non stava capendo nulla. Tirò appena indietro il viso quando quello di Mamoru si avvicinò, ma non fu abbastanza svelto perché le labbra di Izawa lo trovarono lo stesso. Si posarono sulle sue, schiuse per la sorpresa, e sapevano di rhum. La sua bocca sapeva di rhum e la lingua che lo lambì ne aveva ancora l’aroma; e fu come bere il bicchierino della staffa, quel bacio lento e profondo, in cui ti godi l’alcool che scende e brucia la gola, l’esofago e risale con una fiammata multidirezionale: al viso, al ventre, alle braccia, alle gambe. Al sesso. Cristo.

Con la stessa espressione stravolta che aveva nel momento in cui l’aveva baciato, Yuzo rimase a fissare Mamoru quando si allontanò.

Inavvicinabile. Mamoru Izawa era sempre stato inavvicinabile. Morisaki non riusciva a pensare a nient’altro che a questo. Neppure adesso, che invece era vicinissimo, che lo era stato e sentiva ancora il sapore del rhum.

«Ne riparliamo domani.» Mamoru si allontanò dalla porta, accettando la confusione totale che leggeva sul viso e negli occhi del portiere. «E magari rispondo anche alla tua domanda.»

«Ok…»

«Buonanotte, Yuzo.»

«Notte…»

Osservò Mamoru che si allontanava, mani nelle tasche del pantalone classico, per il corridoio del piano, diretto alla sua camera, qualche porta più in là. Poi si fece indietro, chiudendo l’uscio davanti al proprio naso. Stordito, il cervello che galleggiava nel rhum, le labbra che erano rimaste incollate a quelle di Izawa.

Le labbra.

Su quelle di Izawa.

Due minuti prima.

Ma era accaduto sul serio?

O se l’era sognato nei fumi dell’alcool?

Si portò la mano alla bocca, mentre la giacca scivolava dall’avambraccio disteso e toccava terra.

Qualcos’altro fluttuò nella mente, quando le dita arrivarono alle labbra caldissime come tutto il suo corpo.

«Quale domanda?» Si chiese, fermandosi nel centro della stanza.

Vuoi venire a letto con me?

Il ‘boom’ dell’ultimo battito suonò così forte da rimbombare fin dentro allo stomaco.

«Oh… Oh! OH

Yuzo barcollò fino in bagno. Aprì il rubinetto del lavandino e si sciacquo il viso almeno un paio di volte, con le mani piene d’acqua. Il riflesso dello specchio restituì, senza sdoppiarsi, la sua espressione fuori dal mondo assieme a un’altra consapevolezza: che Mamoru l’aveva baciato e lui l’aveva lasciato andare.

«Ossantamiseria.»

Sempre sfidando i riflessi rallentati dal tasso alcolico che aveva nel sangue, Yuzo si precipitò fuori. Fuori dal bagno, dalla stanza. Fuori nel corridoio, spalancando la porta e fermandosi nel centro dell’andito, senza riuscire a stare perfettamente dritto, perché il pavimento aveva il vizio di volersi avvicinare troppo e lui era in obliquo per non cadere. Ma la figura di Izawa, di schiena, che si fermava non appena sentiva i rumori alle sue spalle la vide perfettamente.

«Yuzo, che succede?» gli chiese, il tono preoccupato.

Morisaki traballò un altro paio di passi in avanti. Alzò appena il braccio.

«A-alla domanda… quella… tu cosa… la tua risposta… qual è?»

Izawa non replicò, fermo dov’era. Poi sospirò, passandosi una mano nei capelli fino a sciogliere la mezza coda, e i crini neri scivolarono liberi attorno al viso. Adagio si incamminò verso di lui e Yuzo rimase a osservarlo mentre diveniva più vicino, con quell’incedere predatorio.

«Avevo promesso a Genzo che mi sarei comportato bene, ma tu… nemmeno ti rendi conto di quanto mi provochi.»

«P-provoco?... Io…»

Morisaki indietreggiò di un passo quando Mamoru lo raggiunse e la leggera differenza di altezza tra loro divenne più evidente del solito solo perché non riusciva a stare dritto. Ora, quella stessa differenza, sembrava enorme e Izawa torreggiante, con i suoi occhi neri.

«Da morire.»

Yuzo si sentì azzannare alla gola, arretrò per istinto, ma il piede d’appoggio cedette senza alcun preavviso. Il braccio di Mamoru lo afferrò prima che potesse cadere, tirandolo verso di sé.

Gli era addosso, ora. Yuzo aveva il viso di Izawa a un respiro di distanza, la mano del centrocampista appoggiata sulla schiena con l’intero palmo e l’altra al fianco, mentre lui gli aveva artigliato le braccia e la spalla. Come cazzo c’erano finiti così?

Gli occhi di Mamoru lo avvolsero nell’oscurità delle sue iridi, ce lo accompagnarono dentro e Yuzo si lasciò precipitare senza possibilità né desiderio di avere alcun paracadute.

«La risposta è-»

Il fuoco.

Addosso, dentro. Nei punti in cui veniva toccato, nei punti in cui lo toccava lui.

E sulle labbra dove era Yuzo a baciarlo, adesso, strappando a Izawa l’ultima parola. Non gli importava sapere, non ne aveva bisogno. Conosceva già tutto e non aveva idea di come fosse possibile né di quando fosse avvenuto.

Mamoru rispose al bacio, che non era un semplice punto di contatto e scambio di calore e sapore: era una vampa di desiderio, passione incendiaria che disegnava un circolo di benzina attorno a loro, qualcuno ci aveva buttato sopra un fiammifero e loro avevano preso fuoco.

Yuzo si ritrovò con le spalle al muro, incapace di separarsi da quel respirare l’uno l’aria dell’altro, dall’affondargli le mani nei capelli, dal sentirselo addosso come un peso che non schiacciava, non più.

«Non in corridoio,» ansimò in un lampo di lucidità e ripresa di fiato.

Mamoru gli soffiò un sorriso sulle labbra e poi sulla guancia.

«No, non in corridoio.»

Lo trascinò con sé, riprendendo a baciarlo. Yuzo lo seguiva senza protestare, stretto tra le sue braccia, e furono di nuovo in camera. La porta chiusa di schianto dietro i loro passi, la schiena contro l’uscio e Mamoru che gli lambiva la mascella, scivolava sul collo, gli apriva con foga i bottoni della camicia, poggiandogli per intero il palmo sul petto nudo che si alzava e abbassava troppo in fretta, come in fretta correva il cuore, più nascosto di tutti.

Inavvicinabile. Inarrivabile.

E ora suo. Addosso. Tra le labbra. Sulla pelle.

Yuzo gli tolse la giacca, rifiatando come se tutta l’aria non fosse sufficiente per quanta ne avesse potuta respirare. Gli occhi socchiusi, la luce ancora spenta e nessuna voglia di accenderla; l’ambiente rischiarato solo dalla luminosità notturna della città. Era tutta quella di cui avevano bisogno.

«La riposta,» insistette Mamoru, fronte contro fronte, il fiato grosso, le mani sulla cintura slacciata in fretta, il più in fretta possibile. «È che sono sei anni che voglio venire a letto con te.»

«Allora abbiamo tanto da recuperare.» Yuzo lo sospirò sulle sue labbra, le mani scioglievano la cravatta, la gettavano lontano, spuntavano bottoni e poté toccarne il collo, la gola. Finalmente. «Se me lo avessi chiesto sei anni fa, Mamoru… ti avrei detto sì senza pensarci un momento.»

Non lo vide con chiarezza, ma sentì Izawa sorridere, mentre gli tornava a baciare il collo, mordere appena la spalla. E la mano che gli strinse l’erezione dura gli strappò il fiato in un’aspirazione strozzata tra gola e petto. Poteva aver bevuto come una spugna, si rese conto Yuzo, ma l’effetto che Mamoru sapeva fargli soverchiava qualsiasi altra legge biologica possibile.

«Se non mi scopi adesso, muoio» esalò senza controllo e la risata di Izawa era velluto.

«Non so se ti è chiaro che ti scoperò fino a domani e dopodomani e la prossima settimana, la fine dell’anno…»

Izawa rideva, trascinandolo verso il letto, e Yuzo rise con lui, euforico per troppi effetti combinati: per la sua vicinanza non più inarrivabile, per il suo sguardo non più di ghiaccio, per il suo tono non più distaccato. Caddero sulle coperte, e tutto il resto non era più importante.

L’ultimo sussurro di Mamoru fu la ciliegina perfetta al più bel regalo di Natale che avesse mai potuto desiderare.

«…checkmate

 

«E quindi, tu avresti fatto tutto questo… per passare qui la notte di Natale?»

«Sono geniale, di’ la verità.»

Ken abbassò la tazza di tè che stava sorseggiando. Caldissimo, se l’era fatto preparare al volo dal bar della sala, per potersela gustare in camera come chiusura della serata. Nella stanza era accesa solo la lampada tra i letti; nell’altro, in teoria avrebbe dovuto esserci Izawa, invece c’era Wakabayashi: la giacca abbandonata sulla spalliera della sedia e la cravatta sciolta, ma lasciata attorno al collo; la camicia aveva i primi bottoni spuntati.

Insieme guardavano fuori, dove la neve cadeva leggera in fiocchi piccoli e stretti. O meglio, Ken guardava fuori e Genzo guardava Ken.

Wakashimazu si strinse nelle spalle.

«Più subdolo, direi.»

Wakabayashi accennò un sorriso divertito. «Ho usato mezzi perfetti per raggiungere un fine altrettanto perfetto. Insomma, ho fatto un favore a due zucconi che si rincorrevano dalle medie senza rendersene conto, meriterò anche io un regalo, no?»

«Il vero Babbo Natale è felice di farli, non di riceverli.»

Ken si lasciò sfuggire un sorrisetto e tentò di avvicinare la tazza alle labbra, quando la cravatta di Wakabayashi gli scivolò attorno al collo, costringendolo a sollevare il viso. Gli occhi scuri di Genzo lo trafissero come spade, dall’alto della posizione da cui torreggiava, alle sue spalle.

«Ti spiace che sia qui?»

«Non mi sembra di averlo detto.»

Si fissarono a lungo, nessuno dei due intenzionato a cedere il minimo spazio all’altro. Troppo orgogliosi, entrambi, ed era proprio per questo che, stranamente, funzionavano ancora: non erano in grado di stancarsi in quella sfida continua.

«Allora posa la tua tazza da nonnina, Wakashimazu, e andiamo.»

«Andare dove?»

«Che domande» Genzo si piegò sulle ginocchia, sfiorandogli appena l’orecchio con le labbra. «A darmi il mio regalo,» sogghignò. «Doccia?»

Ken sorrise, scuotendo il capo, e non protestò quando Genzo gli sfilò la tazza dalle mani. Dopotutto, doveva riconoscergli di essere stato davvero bravo con Morisaki, e generoso. A pensarci bene, con Yuzo lo era sempre, avrebbe dovuto esserne geloso, ma ne sorrise ugualmente: il regalo se lo meritava eccome.

«Doccia,» fu l’accordo. «Ma i capelli me li lego, o non finirò di asciugarli nemmeno per Natale dell’anno prossimo!»

La risata baritonale di Genzo arrivò dal bagno verso cui Ken si mosse, iniziando a sbottonare la camicia.

 

 

“Now to the Lord sing praises
All you within this place
And with true love and brotherhood
Each other now embrace
This holy time of Christmas shall be of peace and grace

Oh tidings of comfort and joy.”

 

God rest ye merry gentlemenIrish Rovers

 

 

Fine

Nota Finale: Mi era stato chiesto di farmi perdonare per quanto accaduto in ‘Sonnet’. Da più parti. E alla fine non ce l’ho fatta a non ascoltare quelle vocine, perché è vero che sono sadica… ma poi quando si tratta di loro due mi sciolgo come un cioccolatino lasciato al sole d’Agosto. XD

Yuzo e Mamoru in un po’ di pornopucceriaalcolica XD
E Genzo e Ken, così, per gradire tantissimo. XDDDDD

Michel Yamada mi è completamente sfuggito di mano, e visto che l’ho ADORATO mentre lo muovevo, di sicuro lo farò rispuntare all’occorrenza! *____*
Nomi spuntati al volo come 'Tochiro Wakabayashi', per chi ha letto Lazarus, non suonerà nuovo. XD E infine 'Bear'... è Bear. L'orsacchione per eccellenza, Shingo Takasugi (sto soprannone ce lo avrà sempre, in ogni mia storia, è stato deciso una vita e mezzo fa XD)
La scrittura è stata qualcosa di compulsivo fino a notte fonde per cercare in tutti i modi di potervela dare in tempi ‘natalizi’, perché ci tenevo. :*

Non vi assicuro nulla sull’assenza di errori, perché ho avuto pochissimo modo di rileggerla, per una questione di tempi e confusione natalizia, ma spero possa divertirvi un po’ e farmi perdonare per avervi fatto soffrire proprio sotto le feste. :*

 

Buon Natale a tutti voi e ai nostri adorati personaggi cui, a dispetto dei patemi che gli molliamo, gli vogliano un mondo di bene. <3

 

   
 
Leggi le 15 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Captain Tsubasa / Vai alla pagina dell'autore: Melanto