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Autore: Yuki Delleran    26/12/2017    4 recensioni
« D'accordo, sì, si può fare. Voglio dire, non c'è davvero nessun problema, ce la caveremo alla grande. Se a Keith sta bene, ovviamente. » si ritrovò a rispondere annaspando un po' con le parole.
Non aveva la più pallida idea di dove sbattere la testa, non sapeva assolutamente come gestire eventuali situazioni d'emergenza, ma quella era già una situazione d'emergenza e il minimo che poteva fare era soccorrere un amico in difficoltà. Un amico, già.
« Mi basterà fare una telefonata per avvertire mia madre di aggiungere un posto letto. Scommetto che sarà felicissima di averti a Varadero! »
Quello che non sembrava particolarmente entusiasta era Keith stesso, e un po' poteva capirlo: finire a Cuba con lui non doveva sembrargli la soluzione più efficace al suo problema.
[post-canon, Klance]
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kogane Keith, McClain Lance
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Safe and Sound'
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Disclaimer: Voltron e tutti i suoi personaggi appartengono a Dreamworks & Netflix.
Note: Post-canon
La canzone citata è Safe and sound di Taylor Swift.
Beta: Myst & Leryu
Word count: 
2480



Era mattina inoltrata quando Estella richiamò l'attenzione di Keith, impegnato a confezionare nuove ghirlande con nonna McClain. Aveva un'aria dispiaciuta e incerta.
« So che non dovrei chiedertelo, Keith, ma Lance sta ancora dormendo e, da quello che mi ha raccontato Cisco, credo non si sveglierà prima di mezzogiorno. » esordì. « Io devo assolutamente raggiungere lui e Lisa al negozio, ma Michelle ha dimenticato il pranzo che le avevo preparato. Mi chiedevo se non potessi fare una corsa tu a portarglielo. Oggi ha il turno in un negozio di souvenir vicino alla spiaggia dove siete stati l'altro giorno, con la motoretta di Miguel non ci metteresti molto. »
Keith non tentennò nemmeno un istante, balzando in piedi: un favore del genere non gli sarebbe costato nulla, inoltre si fidava nel proprio senso dell'orientamento.
Ricordava la strada fino alla spiaggia e da lì in poi avrebbe improvvisato: di solito se la cavava senza problemi.
« Ti ringrazio davvero tanto! » esclamò Estella, consegnandogli un sacchetto che emanava un profumo invitante.
Keith scosse la testa.
« Lo faccio con piacere. »
Alcuni isolati dopo, però, sulla motoretta che faticava a tenere la strada, iniziò nutrire qualche dubbio. Forse la sua memoria non funzionava così bene, le palme lungo le strade sembravano tutte uguali e il percorso per la spiaggia non gli appariva più così chiaro.
Poteva essere colpa del fatto che per il primo tratto avesse guidato Lance, o che i suoi pensieri tendessero a perdersi, rincorrendo immagini e parole della sera prima. Quello sciocco motivetto gli era entrato in testa e non ne voleva sapere di andarsene, nonostante non ne avesse capito le parole. O meglio, sostenere di esserne del tutto all'oscuro sarebbe stato mentire a sé stesso, considerando il nodo allo stomaco che il ricordo gli provocava. Alla fine, qualcosina Michelle glielo aveva insegnato, specialmente termini che lei considerava “fondamentali”, e, di conseguenza, era abbastanza consapevole di quello che aveva sentito. Non che questo migliorasse le cose.
Insomma, se si era perso era tutta colpa di Lance!
Sospirò frustrato, accostò e scese dalla motoretta. Avrebbe potuto chiedere indicazioni, ma Estella non gli aveva detto il nome del negozio. In alternativa, avrebbe potuto domandare a qualcuno se sapeva dove trovare Michelle McClain; a giudicare dalla mole di parenti e clienti del locale, da quelle parti la conoscevano in molti, anche se l'idea di fermare sconosciuti per strada non lo entusiasmava.
Si era appena avviato in una direzione a caso in quel dedalo di viuzze, quando venne raggiunto da delle esclamazioni concitate. Erano in spagnolo, quindi non ne afferrò il senso esatto, ma due cose erano certe: qualcuno stava litigando e una di quelle voci gli era familiare.
In un attimo svoltò l'angolo del vicolo e la scena che si trovò davanti lo lasciò senza parole: tre bulletti avevano costretto Luis in un angolo e lo stavano minacciando, strattonandolo per il colletto della maglia. Quando il più grosso di questi caricò il destro, puntando al volto del ragazzino, Keith reagì d'istinto. La mano corse automaticamente al pugnale galra che teneva alla cintura.
« Ehi, voi! Lasciatelo andare! » esclamò.
I tre si voltarono con espressioni aggressive, pronti a dare battaglia allo scocciatore, ma Keith vide il momento esatto in cui i loro occhi si posarono sulla lama di luxite e i loro propositi vennero meno. Seguirono poche parole borbottate e Luis venne spinto contro la parete, prima che se la dessero a gambe.
Keith li ignorò, rinfoderò il pugnale e si accostò al ragazzino.
« Stai bene? »
Luis gli lanciò un'occhiata poco amichevole e allontanò la mano tesa per aiutarlo, rialzandosi da solo.
« Un coltello, ma davvero? » commentò, sarcastico. « Devi essere pazzo, vuoi farti arrestare? »
« Non sarebbe la prima volta che mi metto nei guai per questo. »
« Vuoi farmi credere che te ne andavi in giro a minacciare di accoltellare la gente? Tu? Il famoso Paladino Rosso?»
Il tono di Luis stava passando dal sarcasmo alla derisione e Keith vi riconobbe una sfumatura fin troppo nota.
« Ho fatto di peggio che minacciare e ben prima di diventare un Paladino. »
Quel ragazzo gli ricordava incredibilmente sé stesso prima di entrare alla Garrison: una creatura allo sbando, senza nessuno che le indicasse la giusta direzione, costantemente sull'orlo del baratro. Vedendo le cose da quella prospettiva, poteva capire tutta l'ostilità che Luis provava verso di lui: era la stessa che il giovane Keith aveva provato nei confronti dei suoi coetanei cresciuti in famiglie normali. Loro avevano qualcosa che lui non aveva e, quando il senso di frustrazione era diventato insopportabile, quel coltello, di cui all'epoca ignorava la reale provenienza, era diventato strumento delle peggiori stupidaggini.
Era stato in quel periodo che aveva incontrato Shiro e, se non fosse stato per lui, la sua vita sarebbe stata molto diversa.
« Tsk, figuriamoci. »
Luis lo stava ancora fissando e sembrava tutt'altro che impressionato.
« Scommetto che è tutta scena per darti delle arie da duro, con quel coltello alla cintura e i mezzi guanti di pelle, neanche fossi uno di quei motociclisti da film. Su chi devi fare colpo? Su Michelle? Patetico. »
Keith prese un respiro e tentò di frenare l'irritazione che gli stava crescendo dentro. La pazienza porta concentrazione...
Probabilmente aveva visto un sacco di gentaglia provarci con la sorella e generalizzare gli veniva spontaneo.
« Tutto quello che vorrei ora da Michelle è consegnarle il suo pranzo. » disse sollevando il sacchetto che ancora teneva nella mano sinistra. « Tu, piuttosto, non dovresti essere a scuola a quest'ora? »
A quelle parole Luis rispose con una smorfia.
« Puoi anche fare la spia, non me ne importa niente. »
Un altro sospiro sfuggì dalle labbra di Keith: era tutto così prevedibile che avrebbe potuto recitare le battute di Luis un istante prima che lui le pronunciasse. Era come rileggere un vecchio copione.
« Se lo facessi, non saresti tu a venirne colpito, ma chi si fida di te e non mi va di vedere tua madre o i tuoi fratelli rimanerci male perché ti comporti da stupido. »
Keith strinse i pugni, frustrato dall'incapacità dell'altro di riconoscere la propria fortuna.
« Per quante scemenze tu possa fare, ci sarà sempre qualcuno disposto a perdonarti e ad accoglierti. Non hai bisogno di andare in giro a derubare la gente per avere qualcosa da mettere sotto i denti a cena, perché non c'è nessuno a casa che te la preparerà. O di aspettare un aiuto piovuto dal cielo che ti faccia capire in cosa stai sbagliando, che ti faccia sentire amato e accettato. Qualcuno a cui guardare come un esempio, che ti sappia guidare quando non sai dove sbattere la testa e tutto sembra solo un enorme caos. Tu hai già tutto questo. »
S'interruppe quando si rese conto che Luis lo stava fissando, l'espressione di disprezzo mutata in una stupita.
« Di chi stai...? Aspetta, stai parlando di mio fratello? »
Solo in quel momento Keith realizzò di aver dato voce ai pensieri per Shiro: il suo ideale di  fratello maggiore. Era ovvio che Luis avesse associato immediatamente quell'idea a Lance.
« No, io... no, non considero affatto Lance un fratello. »
Mentre pronunciava quelle parole, capì che il punto era tutto lì: non aveva mai considerato Lance un fratello, c'era un abisso tra quello che provava per Shiro e quello che provava per lui. Era un sentimento che aveva poco a che fare con l'affetto e la riconoscenza per averlo aiutato in una situazione delicata. Se si fermava a ragionarci, era...
« Beh, come ti pare. Se vuoi portare quella roba a Michelle, seguimi. »
Luis s'incamminò oltre il vicolo e Keith abbandonò quell'idea fugace per seguirlo.
Il ragazzino non si avvicinò al negozio dove lavorava la sorella maggiore, si limitò ad indicarglielo da dietro un angolo e a fargli cenno di andare.
Keith lo squadrò, dubbioso, prima di avviarsi. Forse avrebbe dovuto aggiungere qualcosa, spiegargli a dovere cosa stava sbagliando nel suo comportamento e perché. Lui però non era Shiro, non sarebbe mai stato in grado di fare la paternale a qualcuno.
« Ma che vuoi? Adesso me ne torno a scuola. » borbottò Luis. « Ricattatore. »
Keith strabuzzò gli occhi.
« Non è... »
« Lascia perdere, non me ne faccio un accidente della tua triste storia di bambino abbandonato. Piuttosto, me lo fai vedere, quel coltello? Sembra figo. Lance uscirebbe di testa se sapesse che l'hai puntato contro qualcuno. »
Una smorfia.
« Lance usciva di testa ogni volta che lo puntavo contro qualcuno ed è successo più spesso di quanto non credi. Non cascherò in questo giochetto. »
Luis sbuffò e si ficcò le mani nelle tasche dei pantaloni.
« Che noia, sei davvero poco divertente come dice mio fratello. »
« Lance parla di me? »
Dopo Miguel, sapere che anche Luis era stato testimone di chiacchiere sul suo conto, lo spiazzava.
Luis invece sembrava scocciato.
« In continuazione. Keith di qui, Keith di là, non se ne può più. » 
Non si rese minimamente conto dell'effetto che quelle parole ebbero sul suo interlocutore, che rimase a fissarlo incredulo, finché un'esclamazione alle sue spalle non lo strappò da quel senso di irrealtà.
« Keith! Sei davvero tu? Cosa ci fai da queste parti? »
Voltandosi, notò Michelle, sulla porta del negozio, che agitava allegramente una mano nella sua direzione. Quando tornò a rivolgersi a Luis, vide che quest'ultimo si stava allontanando oltre l'angolo, ignorandoli entrambi.   

« Devi tenere la mano così. Le dita qui. Ecco, questo è un la. »
Il suono di una corda pizzicata.
« Se sposti le dita così, questo è un sol. »
Il tocco di una mano sulla sua, braccia che gli cingevano le spalle da dietro.
« E questo è un re. Hai capito? »
Keith annuì vagamente e tentò di concentrarsi sulla chitarra che teneva in mano.
Si trovavano nel giardino di casa McClain, seduti sull'erba. La temperatura era mite e una leggera brezza rinfrescava quel piacevole dopopranzo. Era l'ora della giornata in cui il mondo sembrava prendersi una pausa, prima di ritornare alla sua attività frenetica: Estella stava riordinando la cucina,  la nonna si era appisolata sul divano, Francisco e Lisa chiacchieravano sommessamente ancora seduti al tavolo, Flor e Rico erano usciti a giocare sul prato.
Lance aveva preso la chitarra ed era uscito a sua volta, seguito da Keith.
Era stato con grande stupore che l'aveva visto prima accennare e poi eseguire una melodia delicata. Fino a quel momento non immaginava nemmeno che Lance sapesse suonare uno strumento.
Voleva preparare qualcosa per la festa dei nonni, gli aveva spiegato, ma, essendo molto tempo che non si esercitava, ci avrebbe messo un po' a riprendere la mano.
Keith era rimasto ad ascoltarlo in silenzio, fino a quando non si era visto passare lo strumento con la scusa di: « Ti insegno qualche accordo, così intanto li ripasso anch'io. »
Le mani di Lance erano calde, guidavano le sue con gentilezza ed era piacevole sentirne il tocco.
Keith aveva fatto davvero di tutto per non sentirsi in imbarazzo, ma troppi pensieri si rincorrevano nella sua testa perché riuscisse a concentrarsi. Le dita facevano vibrare le corde, ma non stava davvero ascoltando il suono che producevano.
« Luis mi ha detto che vi siete incontrati. »
Le dita di Keith s'irrigidirono e la corda gli rimandò una stonatura.
« Non farò la spia, non provarci nemmeno. »
« Nah, non ne ho bisogno, mi ha raccontato tutto. So che stava marinando la scuola. In realtà volevo ringraziarti di averlo tolto dai guai. »
Keith sviò lo sguardo e scosse la testa, come a dire che era stato un gesto di poco conto. Sperava che Lance non proseguisse la conversazione, ripensare a quello che aveva provato durante l'incontro con Luis non era esattamente piacevole. Ovviamente, aspettarsi che l'amico fosse discreto era un'utopia.
« Ha fatto uno strano discorso sui fratelli. » continuò infatti. « Gli avevo accennato della tua situazione famigliare, spero non sia stato maleducato. »
Pizzicò di nuovo una corda della chitarra e questa volta il suono uscì più pulito. Non sapeva di che nota si trattasse, ma bastava che riempisse il silenzio.
« So come ci si sente. » si risolse ad ammettere, infine, restituendo lo strumento a Lance e ignorando il suo sguardo confuso. « É come essere costantemente in bilico su un precipizio, guardi gli altri e ti chiedi come fanno a passeggiare tranquillamente senza avere le vertigini. A volte il burrone sembra addirittura allettante, almeno finché non arriva qualcuno a prenderti per un braccio e tirarti indietro. »
« Ti riferisci a Shiro? »
Aveva parlato tra sé, ma Lance aveva capito ugualmente. Lance capiva sempre tutto.
Keith annuì, tenendo gli occhi puntati sull'erba.
« Vedrai che Luis se la caverà. Capirà presto di avere delle persone che tengono a lui. »
La mano di Lance posata su un braccio lo fece sussultare. Si era aspettato un commento pungente, ma il tono che lo raggiunse sembrava addolorato.
« E tu quanto ci metterai a capire che ci sono persone che tengono a te? »
Erano parole alle quali Keith non poteva e non avrebbe saputo come rispondere: tutto quello che sapeva era che, ogni volta che si fermava a pensarci seriamente, si rendeva conto che, per quanto si stesse affezionando a quella casa e a quella famiglia, nulla di ciò che lo circondava gli apparteneva. Nemmeno quello era il posto per lui.
Lance però non attese nessuna risposta, si limitò a imbracciare la chitarra e a tentare alcuni accordi. Pochi istanti dopo, alla musica si aggiunse la voce.

« I remember tears streaming down your face
When I said, “I’ll never let you go”
When all those shadows almost killed your light
I remember you said, “Don’t leave me here alone”
But all that’s dead and gone and passed tonight »


A Keith era capitato di sentirlo canticchiare per scherzo o per passatempo, solo la sera prima aveva assistito ai suoi vaneggi canori da ubriaco, ma non si era mai soffermato ad ascoltare davvero. Sentendola ora si stupì di quanto potesse essere calda e malinconica al tempo stesso, con un tono dolce che gli trasmetteva brividi leggeri lungo la schiena.

« Just close your eyes
The sun is going down
You’ll be alright
No one can hurt you now
Come morning light
You and I’ll be safe and sound »


Le note della chitarra scivolavano in una melodia pacata mentre le dita accarezzavano le corde e le parole si susseguivano. Questa volta poteva capirle e un nodo gli serrò la gola.
Respirò piano, profondamente, per tentare di scioglierlo, ma quello non si mosse di un millimetro.

« Don't you dare look out your window,
darling everything's on fire
The war outside our door keeps raging on
Hold onto this lullaby
even when the musics gone, gone »


Si trovavano ancora spalla contro spalla e Keith poteva sentire i movimenti leggeri delle dita di Lance. Tutto il suo corpo era fin troppo consapevole della vicinanza dell'altro e reagiva in un modo del tutto imprevisto. Gli angoli degli occhi presero a pizzicare e Keith abbassò le palpebre tentando di mantenere il respiro regolare. Non voleva che i bambini, che stavano giocando poco lontano, lo vedessero in quello stato. Nemmeno lui stesso avrebbe voluto vedersi così.
Voltandosi appena, appoggiò la fronte alla spalla di Lance: in questo modo nessuno lo avrebbe guardato.

« Just close your eyes,
the sun is going down
You'll be alright,
no one can hurt you now
Come morning light,
you and I'll be safe and sound »


La voce di Lance s'incrinò solo per un attimo.



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