Videogiochi > Persona 5
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Autore: Lumen Noctis    02/01/2018    3 recensioni
«Adesso è la notte tra il sette e l’otto dicembre. Ti trovi a casa di Akira, nell’attico del caffè Leblanc. Hai dormito ininterrottamente per cinque giorni. Se senti dei pizzicori alla gamba destra, è normale, la dottoressa Takemi ha avuto il suo bel daffare a disinfettare la ferita e applicare le garze. Ha detto che sei stato molto fortunato, la pallottola non ha colpito nessuna vena o arteria e anche l’osso è intatto. Ad ogni modo, se il dolore dovesse diventare insopportabile diccelo subito, abbiamo degli antidolorifici…»
Che tipo di evoluzione avrebbe avuto la sua vita ora che, in qualche modo, era sopravvissuto a se stesso? Odiava ammetterlo, ma se era ancora in quel lurido mondo, lo doveva unicamente ai Phantom Thieves. Eppure forse la morte sarebbe stato un sollievo migliore degli antidolorifici che Akira gli dava la sera poco prima di dormire.
Spoiler: Novembre e Dicembre interni al gioco.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Goro Akechi, Ren Amamiya/Akira Kurusu
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 4.

Daydreams.



In breve tempo il caffè Leblanc si riempì del profumo di curry e spezie. Akira osservò la propria creazione ribollire sotto il coperchio della pentola a pressione e inspirò a fondo. Sorrise, dal profumo sembrava esser venuto bene. Goro sedeva allo sgabello più vicino alla tv e s’illuminò in volto alla vista del cibo. Il suo stomaco non aveva fatto altro che brontolare dal momento in cui era sceso al piano di sotto, vestendo la sua camicia bianca e il maglione a rombi. Morgana scodinzolava, appollaiato sopra il banco dove Sojiro non gli permetteva mai di stare. Quando tutto fu pronto, Akira porse il piatto a a Goro assieme a un cucchiaio.

«Buon appetito.»

Il ragazzo ringraziò e Akira l’osservò mentre portava alle labbra il primo boccone, assaporandolo ad occhi chiusi. Restò così per un attimo ancora. Quando riaprì gli occhi, Akira avrebbe potuto giurare che fossero un po’ lucidi.

«Ehi, non scordarti di me,» miagolò Morgana, «Voglio il mio tonno!»

«In arrivo, signore.»

Contento di potersi distrarre, sorrise e tornò al lavoro. Canticchiando una melodia tra sé e sé, si rimise ai fornelli e aprì una scatolina di tonno preconfezionato, mettendolo poi sul fuoco. Mentre lo guardava cuocere lentamente, qualcosa fece scattare in lui il ricordo della conversazione intrattenuta con Sojiro poco meno di dieci minuti addietro, prima che quest’ultimo se ne andasse affidandogli le chiavi del caffè. Le bollicine di olio sulla padella si gonfiavano come palloncini, poi scoppiavano. Considerando quello che Sojiro gli aveva raccontato, Goro non si era svegliato urlando, né facendo alcun rumore che potesse preavvisare il suo arrivo al piano inferiore. Era sceso all’improvviso, precipitando per le scale, rotolando giù e schiantandosi addosso all’armadio in fondo agli scalini. Tutti i clienti si erano spaventati, Sojiro era accorso a dargli una mano, ma lui l’aveva scansato senza nemmeno guardarlo in faccia. Si era alzato, in preda a una sorta di frenesia, correndo fuori dal caffè…

«Kurusu.»

Alzando lo sguardo dal tonno, che si era cotto sotto i suoi occhi senza che lui se ne rendesse conto, si voltò verso Goro. Il ragazzo accennava un sorriso agli angoli delle labbra.

«Va tutto bene? Sembri pensieroso.»

«Oh,» iniziò sottovoce, «Non ti sfugge niente, detective.»

Il sorriso si allargò sul viso di Goro, ma non abbastanza da scoprirgli i denti, poi lui riprese a mangiare. « È il mio lavoro, farò meglio ad esser bravo.»

Mentre parlavano, Akira porse a Morgana la sua cena in un piattino, poi andò a lavarsi le mani. Quando tornò, vide che Goro era già a metà del suo piatto, non serviva chiedere per capire che gli stesse piacendo molto. Probabilmente era la prima volta che mangiava il curry del caffè Leblanc, perché ogni volta che si erano incontrati l’aveva sempre visto solo con una piccola tazza di caffè, chino sui suoi fogli e accompagnato dalla sua immancabile ventiquattrore. Mentre l’osservava, Goro poggiò il cucchiaio e portò il tovagliolo alle labbra, per poi alzare lo sguardo su di lui. Akira, poggiato con entrambi i gomiti al bancone a sorreggere il proprio viso, non cercò di nascondersi affatto quando si rese conto di esser stato colto in flagrante. Per un attimo, gli sembrò che Goro stesse arrossendo.

«Posso chiederti un bicchiere d’acqua?»

Sentendosi piuttosto al sicuro, Akira azzardò un «Anche due, tesoro,» che fece ridere l’altro, ma non gli strappò alcuna risposta. Nel momento in cui gli porse il bicchiere, Goro allungò una mano per prenderlo ma lui non lasciò la presa, guadagnandosi un’occhiata interrogativa.

«Come si dice?»

Goro sorrise furbescamente, «Hai ragione… Grazie, mamma?»

Allora Akira sbuffò alzando gli occhi al cielo e lasciò che prendesse il bicchiere.

«Incredibile, non pensavo avrebbe funzionato.»

«È brutto da dire, ma a volte mi fai cascare le braccia…»

«Ma che peccato…» il modo in cui Goro nascose il sorriso dietro al bicchiere prima di bere fece perdere un battito al cuore di Akira, che fu salvato dal miagolio soddisfatto di Morgana prima che il disagio potesse approfondirsi.

«Era buonissimo, Akira! Stai migliorando,» gli fece il gatto.

«Grazie, se lo preferisci alla piastra la prossima volta cambiamo.»

«Non so scegliere… Una volta uno e una volta l’altro!»

«Ma certo, desidera forse altro?»

«Uhm… magari la prossima volta aggiungerei più aglio.»

«Sei un gatto viziato, Mor…»

«Non sono un gatto!»

Akira rise mentre scuoteva la testa. Quando finalmente anche Goro ebbe finito di mangiare, sparecchiò ed entrambi si prepararono ad uscire dal locale. Morgana, nella sua borsa, era molto contento della piccola copertina che Akira aveva iniziato a tenerci apposta per lui.

Fuori, l’aria di dicembre li accolse, fu come tuffarsi nell’acqua di un lago di montagna. Akira chiuse a chiave la porta mentre a un tratto iniziò a sentire la pelle pizzicare. La strada era vuota e poco illuminata a quell’ora della sera, si sentivano in sottofondo i rumori della metropolitana appena dietro l’angolo e della strada dove i passeggeri dei treni entravano e uscivano dalla stazione. Chiarori soffusi giungevano dalle finestre di alcune case, illuminando i fili della corrente che passavano sopra le loro teste e delineando i contorni dei tetti più bassi. I riflessi freddi della luna tingevano di bianco il resto della strada e Akira pensò che sarebbe stato bello ricevere un po’ di neve a Natale. Per caso si accorse della condensa generata dal proprio respiro, che gli sfilò fuggevolmente davanti agli occhi. Allo stesso modo, dalle labbra di Goro, al suo fianco, scappavano tante piccole nuvole.

Il ragazzo indossava un suo cappello, nero e con una spilla dorata riportante il marchio di fabbrica. Akira glielo aveva prestato con piacere, dal momento che a lui indossare cappelli invernali non piaceva affatto. Fu sorpreso - ma non avrebbe dovuto esserlo - di come quel cappello anonimo e insignificante incorniciasse dolcemente il volto di Goro, con i ciuffi di capelli chiari che sporgevano disordinatamente da tutte le parti. Dopo nemmeno un attimo Goro lo guardò con perplessità, domandandosi probabilmente perché non si fossero ancora incamminati. Distogliendo lo sguardo, Akira dovette darsi un pizzicotto mentale come rimprovero e sotterrò l’imbarazzo mentre muoveva i primi passi.

«Vieni,» gli disse porgendogli il braccio sinistro. Goro l’osservò con serietà - e forse un po’ di contrarietà negli occhi - ma infine fece scivolare la propria mano destra sulla manica della sua giacca. Per tutto il tempo che camminarono, non si scambiarono nemmeno uno sguardo, ma Akira fece del proprio meglio per intavolare una conversazione. Aveva bisogno di distrarsi dal pensare al calore dell’altro contro il proprio braccio e a quanto fosse singolarmente piacevole sentire che per la prima volta, forse, Goro si stava affidando volontariamente a lui.

«Oggi è giovedì,» iniziò a dire distrattamente, «Fanno i bagni ai sali.»

Goro commentò con un leggero uhm, un attimo prima che la gamba ferita lo facesse zoppicare e aggrappare con più forza al braccio di Akira. Il sibilo che sfuggì alle sue labbra durò un attimo, prima che una leggera risata ne prendesse il posto. «Sembra che io abbia scelto proprio un buon giorno per tornare a questo mondo.»

Akira esitò un momento, poi sorrise intenerito. «Sì, direi di sì.»

Quando raggiunsero la porta d’ingresso, Morgana fece capolino dalla borsa di Akira. «Ragazzi, penso che farò un giro e vi raggiungerò tra un’oretta, come sempre.»

«Un’oretta? Quanto tempo ci resti di solito?» domandò Goro, al che Akira fece spallucce e abbassò la borsa verso terra, così che Morgana potesse saltare fuori più agevolmente.

«Mi piace stare a mollo nell’acqua calda…» fu tutto ciò che riuscì a offrire come spiegazione. Non ce n’erano davvero altre. Una volta che Morgana si fu allontanato, Akira aprì la porta poggiandovisi con le spalle. Entrò e restò sull’uscio, in attesa che Goro lo precedesse all’interno, sfilandogli davanti.

 

«Sei proprio sicuro che sia una buona idea?»

«Perché non dovrebbe?»

La voce di Goro era appena un sussurro, superato il banco all’ingresso, e Akira si ritrovò ad abbassare a propria volta il tono sebbene non lo ritenesse necessario. Anzi, gli sembrava quasi buffo parlare in questa maniera.

«È solo che… non dovevi pagare anche per me, Kurusu.»

Alzò gli occhi al cielo e spinse Goro in avanti verso la porta degli spogliatoi maschili. Una volta entrati, forse per via della presenza del proprietario dei bagni, Goro aveva subito insistito a non volersi far aiutare più a camminare, nonostante la gamba continuasse a fargli male. In un certo senso, Akira si sentiva spinto a rendergli le cose più difficili, perché il lato combattivo di Goro era probabilmente anche il suo aspetto più interessante - ed era segretamente offeso di non poter più dare una mano, ma era lontano dall’ammetterlo. Dopotutto, non aveva intenzione di fare niente di pericoloso: dargli qualche pizzico sui fianchi o spingerlo scherzosamente non erano dispetti imperdonabili. Inoltre, sarebbe sempre stato lì, pronto a prenderlo.

«Hai intenzione di continuare a lungo, Kurusu?» gli domandò Goro mentre entravano nella stanza. Akira si stava quasi affezionando alla pronuncia stizzita del proprio cognome sulle sue labbra. Non riusciva a ricordare se l’altro lo avesse mai chiamato per nome, e quella distanza non faceva altro che aumentare il desiderio che aveva di stargli accanto.

«Finché resta così piacevole disturbarti, penso continuerò.»

Lasciò che fosse lui a scegliere gli armadietti. Senza esitazione, o forse solo senza pensarci, Goro si avvicinò alla parete di sinistra, quella più vicina. Nella stanza altri due clienti erano in piedi di fronte ai propri armadietti.

«Non pensavo bastasse così poco per renderti contento.»

Akira rise e si spostò al fianco dell’altro, scegliendo per sé l’armadietto numero otto. Apertolo con poca cura, vi sistemò dentro la borsa e subito iniziò a spogliarsi. Si chiese perché quello che a Goro sembrava così poco per lui significasse la possibilità di avvicinarsi un po’ di più.

«Forse hai ragione,» fece infine, aprendo l’armadietto e cercando di trovare qualcosa di vero che potesse fornirgli una buona scusa, «Il punto è che mi diverte mettermi in situazioni dall’esito incerto… se così si possono chiamare.»

«Cosa vorresti dire?»

«Voglio dire che mi piacciono le sfide.»

«E punzecchiarmi sarebbe una sfida?»

«Direi di sì.»

Goro lo guardò incredulo, ma il suo sguardo non indugiò che un istante. Akira si chiese se non fosse perché aveva appena iniziato a spogliarsi. Appena un momento, però, e anche Goro cominciò a togliersi i vestiti, cominciando dal cappello, che fu fatto sparire in fondo al suo armadietto. Non vi fu alcuna grazia nel modo in cui lo fece, ma nemmeno rabbia, forse solo un po’ di nervosismo.

Il rumore di un’anta che si chiudeva richiamò l’attenzione di Akira, seguita dal leggero tintinnio metallico di chiavi e lo scattare di una serratura. Uno dei signori presenti nello spogliatoio aveva appena finito di rivestirsi coi suoi abiti da città. Uscendo, rivolse ai presenti un saluto di cortesia - uno degli infiniti convenevoli formali della loro lingua - e lasciò la stanza.

Mentre ripiegava la maglietta, Akira osservò come Goro, lentamente, si sbottonava la camicia. Odiava ammetterlo, ma ad ogni bottone che usciva dalla propria asola sotto le dita fine e lunghe di Goro, Akira si rendeva conto di quanto fosse imperativo rimuovere lo sguardo, e di quanto allo stesso tempo non potesse costringersi a farlo. Goro fece scivolare via la camicia, scoprendo prima una spalla e poi l’altra. Al contatto con l’aria un brivido lo sorprese facendogli venire la pelle d’oca e in quel momento un suo sguardo distratto cadde su di Akira, rivelandogli di essere stato per chissà quanto tempo il centro dell’attenzione dell’altro ragazzo.

Avvampando, Akira si sentì molto più in imbarazzo di quando era stato colto in flagrante al Leblanc. Sul volto di Goro si fece strada un sorriso impacciato e arrossì in maniera fulminea, dal naso agli zigomi, mentre si voltava per guardare altrove. Anche Akira distolse lo sguardo e i due non si dissero nulla. Trattenendo il desiderio di affondare la faccia nella maglietta che ancora teneva tra le mani, decise di metterla semplicemente via.

Cercando di agire nella maniera più naturale possibile, sfilò via la cinta e i pantaloni, tenendosi in punta di piedi sulle proprie scarpe finché non tirò fuori le calzature in legno dall’armadietto. Quando rimosse anche i boxer, la consapevolezza di trovarsi nudo di fronte a Goro Akechi lo fece cadere in uno stato di nervosismo che non aveva mai provato prima - nemmeno in compagnia di Ryuji e Yusuke, con i quali era già stato ai bagni tempo addietro, si era mai sentito così. Si trattava di un vero e proprio senso di vulnerabilità. Si domandò se non fosse per via di tutto ciò che era accaduto tra di loro, ripensò al giorno per cui era stato fissato il suo falso suicidio e desiderò di potersi sentire sicuro di sé come quando erano ancora a Leblanc. Non importava cosa facesse, non riusciva a fermare quel brivido che spingeva le sue mani a muoversi più velocemente del normale.

Aspettare che anche Goro finisse di spogliarsi al suo fianco era snervante. Akira esalò un respiro veloce e si impose di pensare ad altro. Poggiandosi con una mano agli armadietti chiusi, si chinò per sfilare i calzini - gli ultimi indumenti che aveva ancora addosso. Quando ebbe finito, li lanciò alla rinfusa dentro l’armadietto ed estrasse l’asciugamano pulito dal ripiano superiore.

Una risata appena accennata da parte di Goro pose fine ai suoi tentativi di distrazione. Spostando lo sguardo su di lui, vide che non indossava più nulla a sua volta, fatta eccezione per l’intimo, sul quale gli cadde lo sguardo. 

Cavolo, perché proprio degli slip così aderenti, Akechi? Si domandò, e dandosi uno schiaffo mentale - perché un pizzicotto non bastava più - tornò a guardare il ragazzo dritto nei suoi occhi quasi vermigli. Non avrebbe voluto, ma era vero che Akira amava trovarsi in difficoltà, e Goro era una persona estremamente difficile. Gli dava i brividi e non sapeva distinguere di che tipo fossero. In quel momento non gli servì incoraggiare il ragazzo affinché parlasse, proseguì da sé, dando voce ad una delle deduzioni più sbagliate della sua carriera di investigatore: «Sei incredibilmente tranquillo, Kurusu. Come sempre.»

Per un momento, si domandò se l’altro non lo stesse prendendo in giro. Poteva essere bravo quanto voleva a recitare, ma era davvero in grado di nascondere tanto bene le proprie insicurezze a fronte della figuraccia appena fatta? Mettendo su la miglior faccia da poker che conosceva, Akira cercò di non ridere della situazione.

«C’è qualche motivo per cui non dovrei esserlo?»

Goro si morse il labbro inferiore e Akira non poté evitare di guardare, poi imprecò silenziosamente tra sé. Stringendo al petto l’asciugamano, tornò al proprio armadietto e chiuse la serratura con la chiave già inserita. Doveva calmarsi o avrebbe fatto davvero una pessima figura.

«Forse sono io a non essere abituato,» riprese infine Goro, che non potendo più rimandare infine rimosse anche gli ultimi capi di abbigliamento che restavano a coprire il suo corpo. Prese l’asciugamano in dotazione e chiuse tutto con la chiave. Akira si voltò dall’altra parte senza pensarci due volte, ma nel momento in cui si incamminarono verso la stanza delle vasche i suoi occhi si puntarono sulla sua schiena, come attratti da una calamita. Senza che lo volesse, scivolarono giù ed Akira si sentì in imbarazzo con se stesso per essersi permesso di osservarlo in quella maniera. Quando il suo sguardo si posò sulla benda avvolta attorno alla gamba destra di Goro, un pensiero diverso lo colpì.

«Aspetta,» allungò una mano verso di lui, toccandogli il braccio. Questi si fermò e l’interrogò con una punta di preoccupazione negli occhi.

«Che succede?»

«Siedi un attimo qui.»

Quando Goro ubbidì, poggiando l’asciugamano sulla panca e sedendovisi poi sopra, gli occhi di Akira scivolarono di nuovo. Uno scivolone terribile e irrimediabile. Pensò che sarebbe morto per auto-maledizione prima della fine della giornata se non fosse riuscito a staccargli gli occhi di dosso. Inginocchiandosi a terra, la superficie fredda del pavimento lanciò attraverso di lui un brivido che lo distrasse appena. Tesa una mano verso la gamba destra di Goro, Akira premette il pollice sul punto in cui sapeva trovarsi la cicatrice e osservò se il ragazzo reagiva in qualche modo.

«Ti fa male se tocco?»

L’altro scosse la testa, «Dici che è il caso di toglierla?»

«Penso di sì, è tempo di cambiarla, ad ogni modo.»

Goro si stava già chinando in avanti, ma Akira lo trattenne e si dedicò lui stesso a sciogliere i nodi. Quando anche l’ultima parte della garza venne via, Akira osservò il lungo segno rosso che attraversava il polpaccio, sfiorandolo lentamente con le dita. Non c’era nessun segno di infezione.

«Sembra… che sia tutto a posto,» disse infine, alzandosi e porgendo una mano a Goro perché potesse fare altrettanto. Il suono delle loro mani che si afferravano riecheggiò nelle sue orecchie.

«Fantastico. Grazie.»

 

 

La semplice vista della grande vasca piena di acqua verde-azzurra fece sentire Akira immediatamente a proprio agio. Il calore emanato dall’acqua riempiva l’aria di vapori che sfumavano i contorni della stanza e aleggiavano, avvolgendoli al loro passaggio. Il pavimento inumidito sotto le ciabatte era appena scivoloso, tutte le pareti brillavano sotto la condensa dell’acqua. Quando si immerse, affondando gradualmente nel calore dei bagni, Akira sentì i muscoli rilassarsi e la tensione scivolare via a poco a poco.

Goro, che aveva rifiutato il suo aiuto per entrare in acqua, una volta dentro si tenne lontano dal centro della vasca. Sebbene sapesse che non era molto indicato farlo, Akira si tolse gli occhiali. Non aveva voglia di alzarsi e uscire di nuovo per riporli sull’asciugamano assieme alle chiavi dell’armadietto, quindi li poggiò sul bordo della vasca in un punto che gli sembrava stabile e sicuro. Fatto ciò, guardò Goro che si era sistemato a qualche metro da lui e sorrise, poi si immerse in acqua con tutta la testa senza alcun ripensamento.

I suoni si attutirono, il calore accolse il suo viso e per un po’ Akira non sentì nient’altro. Socchiuse gli occhi, osservò le bollicine d’aria che sentiva sfuggire alle proprie labbra mentre salivano verso l’alto. Il campo visivo era ristretto, ma riusciva a vedere abbastanza nitidamente. Pensò che se fosse stato possibile non gli sarebbe dispiaciuto sparire così, sciogliersi, diventare tutt’uno col calore che lo avvolgeva e dimenticare l’immagine del corpo nudo di Goro che l’avrebbe tormentato per i giorni a venire. Stare ad occhi chiusi, o socchiusi, in quel silenzio indisturbato, colorito appena dal fruscio dell’acqua che si spostava e dal leggero ronzio del depuratore in sottofondo. Si sentiva in pace, da solo - cosa che non si verificava quasi mai da quando Morgana era entrato a far parte della sua vita. In qualche modo, affondare l’aiutava a dimenticare.

Poco prima che esaurisse il respiro e decidesse di riemergere, vide attraverso le ciglia scure un’ombra che si avvicinava. Un attimo dopo due mani lo avevano preso per le spalle e trascinato in superficie. Riemerso, si stropicciò gli occhi con le dita. Di fronte a lui, Goro lo guardava con un’espressione preoccupata.

«Ma che fai?» Fece lui, interrompendosi all’improvviso quando si rese conto di essersi esposto troppo. Akira lo fissava in silenzio, sorpreso, ed esitando alla fine Goro riprese. «T-tutto quel tempo lì sotto, mi hai fatto prendere un colpo.»

Akira dovette sbattere gli occhi più volte. «Da quando ti preoccupi così tanto per me, Sherlock?» domandò infine, rientrando in acqua fino a lasciar fuori solo gli occhi e dalla punta delle orecchie in su.

«Sei stato sott’acqua per più di due minuti,» spiegò il ragazzo, stizzito, «Non mi riterrò responsabile se la prossima volta starai davvero annegando e io non interverrò in tuo soccorso.»

Akira sorrise amaramente, ma Goro non poteva vederlo, perché le labbra erano ancora sotto il filo dell’acqua. Riemerse abbastanza per poter parlare, «Come se ti fosse mai dispiaciuta l’idea di vedermi morire.»

«Ah, no…» le sopracciglia di Goro si sollevarono sorprese, prima di impuntarsi di nuovo in un misto di indecisione, rabbia e frustrazione. «Non è questo il punto. Non l’ho fatto per piacere.»

«E chissà cosa faresti per piacere…» sussurrò a bassissima voce Akira, cercando di divertirsi tra sé quel poco che poteva, quando l’argomento internamente lo turbava più di quanto desiderasse. Goro, non riuscendolo a sentire, si chinò di più verso di lui.

«Come scusa? Hai parlato troppo piano.»

«Penso tu sia masochista, Akechi.»

L’altro lo guardò con sospetto, «E perché mai?»

«Perché ti trovi bene con me, sono una delle pochissime persone che ti ascoltano e ti vedono per chi sei veramente. Forse, sono l'unico che davvero ti abbia mai conosciuto, ti piace passare il tempo con me… eppure hai acconsentito ad uccidermi. Non deve essere stato facile, ma al tempo stesso è stato emozionante, giusto?» cercò di mantenere un tono calmo e pacato. Non lo fece solo per Goro, ma anche per se stesso, perché ripensare a determinati avvenimenti passati accendeva dentro di lui una fiamma incontrollabile. «Se fossi riuscito a uccidermi, avresti avuto la prova definitiva, come tu stesso hai detto, di essere migliore di me. Per tutte queste cose e altre che non riesco a spiegare, ma sicuramente sai…»

Lo sguardo di Goro su di lui era diventato grave e silenzioso, poi esso si distolse da lui per guardare attorno. Avevano iniziato a parlare di argomenti seri, che dovevano rimanere privati, senza nemmeno prender nota della presenza di un altro ospite nella vasca. L’uomo in questione doveva essere sulla cinquantina, capelli neri corti e corpo esile, se ne stava da solo a leggere un giornale attraverso uno spesso paio di lenti rettangolari. Giudicandolo innocuo, Goro tornò a voltarsi verso Akira e rispose a bassa voce.

«Se pure fossi masochista, non avrebbe alcuna importanza. Tutto ciò che ho compiuto in passato, però, ha il suo peso e so di non poter essere perdonato. Ah…» sospirò, distogliendo lo sguardo. «Non so bene dove vuoi arrivare con questo discorso… Ma che io sia o non sia masochista è l’ultimo dei nostri problemi.»

Akira tacque, pensando a ciò che l’altro gli aveva detto. Si era aspettato una risposta simile, ma ora non sapeva cosa farsene e la fiamma che si era accesa nel suo petto si stava affievolendo, tanto che presto non riuscì più a distinguerla dal calore dell’acqua che lo circondava. Poiché erano improvvisamente entrambi caduti nel silenzio, dopo un po’ Goro si mosse, avvicinandosi al bordo della vasca. Akira sentì che non voleva farlo allontanare.

«Anche se dici che non è rilevante, a me interessa molto sapere perché hai fatto quello che hai fatto. Per me è l’unico modo, se vogliamo andare avanti insieme.»

Goro si fermò, tornando a cercare le sue iridi grigie.

«Di cosa ti importa, realmente? A volte non riesco a capirti, ovviamente sarai stato contento di essere riuscito a sventare i miei piani, alla fine lo sono io stesso. Ma a volte… a volte ho pensato che tutto ciò non abbia fatto altro che gonfiare il tuo ego. Ancora non capisco come tu abbia fatto a salvarti.»

Akira tacque ancora. Era forse sbagliato per lui sentirsi orgoglioso di essere sopravvissuto? Non che l’altro gli stesse dicendo di non esserlo, ma non era stata nemmeno opera unicamente sua. Senza i suoi compagni e il loro prezioso aiuto, indubbiamente, Goro sarebbe riuscito ad ucciderlo quel giorno. Al solo pensiero, gli mancò il respiro. Ripensò alle dita del giovane detective che sbottonavano la camicia e alla presa gelida che avrebbero potuto avere sulla sua gola. Fece del proprio meglio per riprendersi, ormai non riusciva più a capire cosa si stessero dicendo.

«Forse un giorno te lo spiegherò,» rispose semplicemente, evitando l’argomento che principalmente lo stava confondendo e non riusciva a individuare. Al contrario la risposta di Goro fu veloce e sicura.

«Non voglio.»

Il ragazzo raggiunse il bordo della vasca, dove si fermò. «Sono un investigatore. I miei misteri devo risolverli da solo, altrimenti non avrò più un briciolo di orgoglio.»

«Poni molte domande agli altri, per essere uno che vuole risolvere le cose da solo.»

In quel momento persino lo sguardo scocciato di Goro gli scivolò addosso come acqua. L’unica cosa che aveva in testa era l’immagine del ragazzo che entrava nella cella di isolamento, rubava la pistola ad una guardia, la uccideva, e poi puntava la sua canna ancora fumante verso la sua testa. Una parte della sua coscienza era felice di non aver potuto vedere la scena, si chiedeva cosa doveva aver provato il se stesso cognitivo nel palazzo di Sae - ammesso che potesse provare sentimenti reali. Nel frattempo, la conversazione andava avanti, nella sua più completa apatia.

«Anche quello fa parte dell’essere un investigatore. Devo raccogliere informazioni e testimonianze, ma non ho intenzione di farmi spiegare le cose per filo e per segno da chi ha già tutte le risposte, almeno in questa situazione. E poi… che io risolva o meno questo piccolo caso, non fa alcuna differenza, lo faccio unicamente per curiosità personale.»

«Non smetterai mai di colpirmi, Akechi.»

Questi lo guardò ora di sottecchi. Akira non disse altro né si mosse, mentre anche Goro restava in silenzio, ma era un silenzio frenetico. Alla fine sembrò trovare il coraggio di dire qualcosa che, chiaramente, gli era frullato nella testa per un bel po’ di tempo.

«Come fai a dire di essere l’unica persona a piacermi? Sei semplicemente egocentrico o pensi davvero di conoscermi così intimamente?»

«Indubbiamente, è perché ti conosco più di molte altre persone.» Akira si appoggiò al bordo della vasca, al suo fianco, e si prese il tempo per pensarci bene. Il motivo per cui sapeva di piacere tanto a Goro era probabilmente lo stesso che gli impediva di odiarlo e cacciarlo via. Lo stesso che gli aveva fatto pensare, lì su quella lurida nave, che mettere in salvo la propria vita lasciando che lui sacrificasse la sua non sarebbe stato un atto degno di ciò che c’era stato tra di loro. Parte di quel ghiaccio che si era arenato dentro di lui sembrò sciogliersi.

Lentamente si voltò verso di lui e trovò Goro intento a osservarlo a propria volta, in silenzio, con una mano che torturava una piccola ciocca di capelli vicino l’orecchio sinistro. Era tutto così reale. Il pensiero che il ragazzo in quel momento avrebbe potuto non essere lì al suo fianco, ma morto e freddo sul pavimento metallico dell’area motori del palazzo galleggiante di Shido lo atterriva.

«Ma lo so soprattutto perché, anche se è difficile, per me è lo stesso.»

Non aveva detto molto, ma Goro sembrò capire immediatamente le sue parole, al punto che la realizzazione si rese subito evidente. Akira fremeva un po’ ogni volta che vedeva il suo viso colorarsi di rosso, come se ci fosse qualcosa in Goro Akechi che lo stregava al di là della sua comprensione.

Proprio quando iniziava a pensare che Goro non gli avrebbe mai più parlato, annegando nel proprio imbarazzo, questi ebbe un rapido scatto mentre cambiava posizione, incrociando le braccia al petto e probabilmente accavallando le gambe sott’acqua. Akira si stava già lasciando andare a una leggera risata quando l’altro gli lanciò una risposta tutto fuor che seria.

«Smettila di flirtare con me, Kurusu, sai che non attacca.»

Per un momento la testa di Akira si svuotò completamente. Il suo cervello fece fatica a registrare il cambiamento. Interdetto, tacque più a lungo del dovuto e dovette davvero sembrare a Goro di averlo ferito in qualche modo perché si sentì in dovere di correggersi. «Ehi, scusa. Stavo cercando di allentare la tensione. Probabilmente faccio schifo in queste cose.»

Solo notando la sincera preoccupazione nei suoi occhi Akira riuscì a lasciarsi andare a una risata. Il senso dell’umorismo di Goro sembrava proprio quel tipo di umorismo che entrava in azione nei momenti più inaspettati, non riuscendo a farsi capire da nessuno. Recuperando un po’ di buonumore, sfoderò il sorriso più furbo che conoscesse.

«Ma no, non preoccuparti… Sei proprio sicuro che non attacchi?»

Goro sembrò rassicurato dal fatto che avesse deciso di stare al gioco. «Certamente…» rispose, «Come se a me potessero mai piacere i ragazzi, Kurusu.»

«Oh?» Akira finse una reazione di disappunto, «E io che pensavo di avere qualche possibilità.» Staccandosi dal bordo freddo, Akira si voltò, sedendosi e poggiandosi comodamente di spalle alla parete interna della vasca. Passandosi una mano tra i capelli, li spostò via dalla fronte, sentendosi immediatamente più libero.

«Parli sul serio?» la voce di Goro era improvvisamente una sfumatura più seria. Akira non capiva, non stavano scherzando entrambi, fino a poco prima? Forse aveva detto qualcosa di strano che l’aveva messo a disagio? Invece di finire in un limbo di paranoie, Akira decise semplicemente di continuare a giocare.

«Riguardo cosa, tesoro?»

Tendendo una mano, Akira gli prese la punta del naso tra pollice e indice. Goro non riuscì a sfuggirgli e fece una faccia così buffa e infastidita che Akira non poté trattenersi dal ridere ancora. Il ragazzo prese un respiro con la bocca e, per liberarsi, si immerse a sua volta interamente nell’acqua. Quando riemerse, Akira aveva già ritirato la mano e in risposta al suo sorriso Goro mise il broncio, voltandosi dall’altra parte. Era la prima volta che aveva l’occasione di vedere il lato infantile di Goro e non poteva dire che gli dispiacesse. Era tenero, in un certo senso.

Da quella posizione non potevano guardarsi in faccia, ma per la prima volta Akira vide delle chiazze violacee sulla sua pelle, in diversi punti, sulle braccia e le spalle. Si domandò come avesse fatto a non notarle prima. Ripensò a quello che gli aveva raccontato Sojiro e vide il ragazzo rotolare giù per le scale del Leblanc come se fosse accaduto di fronte ai suoi occhi. Faceva un gran casino, i clienti si riscuotevano dalle loro chiacchiere, alcuni si alzavano in piedi, altri semplicemente si sporgevano facendo capolino dal proprio posto. Sojiro accorreva subito, ma Goro lo scansava, sbatteva un pugno a terra e si tirava su, digrignando i denti.

Dopo qualche minuto di silenzio, dal momento che Akira non gli dava corda e stanco di starsene voltato a tre quarti a fissare il muro, Goro tornò a sedersi più comodamente, anche lui portando i capelli della frangia via dal viso. Aveva una fronte inaspettatamente alta. Passò ancora del tempo e infine il signore che leggeva il giornale all’altro lato della vasca si alzò e se ne andò, portando via il quotidiano. Non appena i suoi passi furono seguiti dal suono della porta che sbatteva, il ragazzo si voltò completamente verso di lui e Akira si riscosse con uno scatto da quella tranquillità appena ritrovata.

«Scusami se te lo chiedo così, ma… A te piacciono davvero i ragazzi?»

Colto alla sprovvista per la seconda volta di fila, stavolta Akira non riuscì a cogliere nessun senso umoristico, non perché fosse ancora preso da emozioni contrastanti. Semplicemente non ve n’era nemmeno l’ombra.

«Ah. Sì… anche i ragazzi.»

«Sia uomini che donne?» Goro sembrava interessato, più di quanto si aspettasse. Aveva una certa luce negli occhi che Akira non riusciva a interpretare. Per fortuna lui non aveva problemi a parlare di questi argomenti con i suoi amici più cari e anche se Goro non poteva esser definito un suo caro amico, non vedeva perché avrebbe dovuto avere riserve con lui.

«Sì. E non mi dispiace, se devo essere onesto.»

Lo sguardo di Goro indugiò per un attimo sul pelo dell’acqua tra di loro prima di tornare a puntarsi nei suoi occhi, «E… non ti senti un po’ un deviato?» Akira corrugò la fronte, col presentimento che la sua risposta avrebbe avuto una certa rilevanza personale - ma forse era solo la sua fervida immaginazione.

«No, nemmeno un po’.»

«Eppure, nessuno ha una buona opinione dei gay, qui in Giappone almeno.»

«Per la precisione, mi considero bisessuale. Non confondiamo i dati, ispettore,» cinguettò Akira per punzecchiarlo. Goro alzò gli occhi al cielo, ma al tempo stesso gli sfuggì un sorriso all’angolo delle labbra.

«Oh, scusami, non era mia intenzione offenderti,» rispose scherzosamente, «Quello che volevo dire è che la gente non ha una buona opinione delle persone a cui piacciono altre persone dello stesso sesso. Va meglio, detta così?»

Akira sorrise, senza riuscire a staccargli gli occhi di dosso. «Sì, meglio. Comunque è ancora peggio quando ti piacciono entrambi i sessi. Tra quelli che ti dicono che un giorno dovrai prendere una decisione e quelli che ti vedono semplicemente come un pervertito, se dai ascolto a tutto quello che ti dicono finisci col diventare matto.» Finalmente, Goro si voltò verso di lui e i loro sguardi si incontrarono. «Comunque, perché tutte queste domande?»

Goro tacque per una manciata di secondi. Una gocciolina d’acqua scivolò rapida lungo la sua mandibola e cadde nella vasca dopo aver raggiunto il mento. «Nessun motivo in particolare,» scandì infine piano. «E poi non hai motivo di farti rovinare l’esistenza col parere degli sconosciuti.»

«Nemmeno tu, lo sai, no?»

Il ragazzo annuì brevemente, ma fece subito per guardare altrove. Agendo d’istinto Akira lo fermò, toccandogli il mento con la mano. Lo fece voltare e di fronte al suo sguardo confuso, ripeté: «Nemmeno tu.»

«Sì, sì!» sbottò l’altro, inciampando su quelle poche sillabe. «Adesso lo so anch’io… Okay? Ma lasciami andare, questa vicinanza mi mette a disagio.»

«Oh, chiedo umilmente perdono,» Akira fece finta tra sé di non essersi sentito offeso, o di non provare preoccupazione. Era perché gli aveva confidato di poter provare interesse anche per i ragazzi che gli stava dicendo quelle cose? Mentalmente, scosse la testa. «Tu però non scappare, la vigliaccheria non ti si addice.»

«Mi preferisci quando ti punto una pistola alla testa?»

Akira sorrise a bocca chiusa, stavolta molto più capace di gestire il proprio disguido interiore al riguardo. Anzi, quasi non lo sentiva più grazie al fatto di averlo affrontato poco addietro. E in fondo, non era del tutto sbagliato ciò che stava dicendo, perché senza dubbio preferiva vedere Goro combattere piuttosto che rinunciare e arrendersi. «Decisamente, ma eviterei il bis.»

Rimasero in silenzio per un po’, prima che Akira se la sentisse di aprire un altro discorso piuttosto importante. La quiete che era scesa nella stanza era rilassante tanto quanto il calore dell’acqua. Non avrebbe mai voluto rovinare l’atmosfera ma non poteva evitare la necessità di quel discorso.

«Ti importa ancora del parere di Shido?»

Come si aspettava, Goro si irrigidì visibilmente. Le sue labbra si strinsero in una linea sottile, le iridi scure riflettevano il luccichio dell’acqua. «In tutta sincerità… no, non più.» Lentamente sospirò e gli rivolse un sorriso, con gli occhi che tremavano un po’ sul suo viso. «Sono stato così ingenuo, alla fine. Dopo aver passato tutta l’infanzia a odiarlo, a cercare un modo di trovarlo e rovinargli la vita, alla fine… ero proprio io la falla nel piano. A volte sembrava quasi un padre, io chiudevo gli occhi e facevo finta che fosse vero.»

Guardarsi negli occhi fu come scambiarsi un abbraccio. Poi, all’improvviso, distaccarsi. In un battito di ciglia, Goro cambiò, come se avesse voltato pagina, in un libro illustrato in cui un disegno spaventoso ti sorprendeva in mezzo alla lettura, anticipandoti gli eventi funesti delle righe successive. «Adesso voglio solo ucciderlo e porre fine a questa storia.»

Akira sentì il desiderio di chiudere il libro, ma non ve ne erano altri nella libreria. Il cuore gli sprofondò nel petto e scuotendo la testa fece del proprio meglio per ignorare la determinazione glaciale negli occhi di Goro. «Sai che non posso permettertelo.» Il ragazzo continuò a fissarlo con serietà, ma una scintilla lampeggiò nel suo sguardo e Akira si domandò cosa mai avesse pensato.

«Per favore, sarebbe la mia ultima volta.»

Come il fumatore che promette al suo parente preoccupato che smetterà di fumare, ma ne chiede solo un’altra, solo un’altra. Akira in silenzio protese una mano e prese la sua, sott’acqua, quella sinistra, portandola oltre la superficie dell’acqua. Goro lo lasciò fare, forse intimamente turbato, senza lasciar trasparire alcun pensiero.

«Quante persone hai ucciso con questa mano, Akechi?» Domandò piano, con la voce che era poco più di un sussurro e il cuore che gli batteva forte nel petto. Usando la propria mano sinistra, Akira prese la sua, come aveva fatto sempre coi suoi amici, anche solo per salutarsi. Senza usare la destra, stavolta, per andare incontro all’altro, mentre stringeva la presa attorno al pollice, lo guardò negli occhi, «Stavolta, fa che sia diverso. Ruberemo il cuore di Shido, resta con noi.»

Un per favore gli restò sospeso in gola. Goro si voltò meglio verso di lui, in silenzio, guardò le loro mani unite e tremò anche se impercettibilmente mentre stringeva a propria volta la presa. «Ma tu capisci—» iniziò con la voce un po’ troppo bassa, si schiarì la gola e prese un respiro profondo. «Capisci che la mia vita finirà con la sua, non è vero? Una volta che avrà confessato, anche io dovrò scontare le mie colpe e marcire in una cella fredda per il resto della mia vita. Sarebbe ironico se ci mettessero nella stessa stanza, non credi? Oppure mi condanneranno direttamente a morte e dopo qualche sofferenza sarò giustiziato col cappio in tutta segretezza nazionale.»

Akira si avvicinò, per guardarlo meglio negli occhi. «Mi stai dicendo che ucciderlo ti sembra la tua unica via di uscita, giusto? I tuoi segreti andrebbero nella tomba con lui. Ma che vita ti aspetta, se lo uccidi?»

«Convivo già con me stesso da anni, Kurusu. Il suo nome sulla mia hit list non farebbe altro che alleggerirne il peso, fidati. Tutti quei nomi, tutti quei visi. Alcuni se lo meritavano davvero, ma altri…» Goro strinse la presa con più forza, «Se lui non soffre, se Shido non muore, per mano mia, ogni cosa che ho fatto finora non avrà senso, non avrà valore. Non potrò morire né vivere in pace.»

«Questo non è vero, Akechi.»

«È l’unico modo.»

«Non lo è, ci siamo noi. Quando ci hai chiesto di vendicarci di Shido anche per te, quella notte, hai deciso di fidarti di noi. Perché ora ti rimangi la parola?»

«Ma in quel momento io stavo morendo, stavo morendo! Quale altra scelta avevo?»

Akira strinse la presa con forza, quasi con cattiveria, «Mi stai dicendo che avevi solo deciso di sfruttarci per vendicarti di Shido? Tutto quello che abbiamo condiviso era solo nella mia testa?»

A questo punto il ragazzo sgranò gli occhi, percependo la serietà nella sua voce. Esitò prima di rispondere e Akira era quasi sul punto di perdere la pazienza. «No, io volevo che ve ne andaste, volevo che continuaste ciò che stavate facendo. Perché quello che fate è giusto per voi e non fate del male agli altri,» disse infine, «Ma quello che avete fatto voi fino ad ora non ho mai pensato fosse giusto per me, era semplicemente ingiusto… non ce la facevo più, e stavo per morire. Finalmente, me ne stavo andando, avrei potuto smettere di guardarti e invidiarti e pensare che fossi tutto ciò che io non ero e desideravo.»

I due tacquero per un attimo. Il contatto fra le loro mani non riusciva a coprire la distanza fra le loro vite. Ogni volta che si era sentito vicino a Goro, Akira non aveva davvero capito nulla - si ritrovò a pensare. Anche in questo momento, non sapeva in cosa fosse giusto credere.

«Sopravvivere è stato diverso,» aggiunse infine Goro, «Pensare di dover sopravvivere, ancora, è diverso.» Quasi assieme, i due lasciarono andare la presa, facendo riscivolare le mani in acqua. Akira chiuse gli occhi e si massaggiò la radice del naso.

«Sai, penso che tu non possa sfuggire al tuo destino e un giorno dovrai farci i conti. Tuttavia, c’è una possibilità che tuo padre nella confessione decida di omettere ciò che ti riguarda.»

Goro rise, divertito come se avesse appena ascoltato una battuta, «Ma con quali idee strambe te ne esci? Dopo tutto quello che ho detto poi.»

«Ascolta, il fatto è che sei suo figlio e dentro di sé deve essere consapevole di averti rovinato la vita. Quando gli avremo rubato il cuore, se ne renderà conto e forse sceglierà di proteggerti non nominandoti nella sua testimonianza.»

«Non ha senso parlare per ipotesi, Kurusu.» Non era la prima volta che gli sentiva dire una cosa del genere dal giovane detective, «Anche se lui non parlasse, altre persone sono coinvolte nella cospirazione e tutte potrebbero fare il mio nome, se catturate e interrogate. A maggior ragione del fatto che cercherebbero un modo per lavarsi le mani del peso degli omicidi.»

«E se pensassero tutti che sei morto?» Goro lo guardò con un punto interrogativo stampato sul viso. «Pensaci. Sei sparito da più di una settimana, il tuo telefono è irraggiungibile, anche in tv tra poco annunceranno la tua scomparsa, perché sei un personaggio famoso.»

«Non posso restare morto per sempre, Kurusu.»

«Esattamente.»

«Non ti seguo, mi dispiace.»

«Allora…» Akira si passò una mano sul viso, domandandosi come diavolo avesse fatto a far virare l’argomento in quella direzione. Forse aveva cercato disperatamente qualcosa per sfuggire alla piega che la conversazione aveva preso. «Tra qualche giorno, potrai tornare a casa e far sapere a uno dei tuoi paparazzi di esser stato minacciato o… che so, attaccato da qualcuno, perché avevi iniziato ad indagare una scia di sospetti che ti avrebbe portato a Shido. Se pure gli altri membri della cospirazione provassero ad accusarti dopo la sua confessione, sarà la loro parola contro la tua. In un tribunale, nessuno potrebbe provare la tua colpevolezza. A meno che non esistano prove incriminanti di cui non sono al corrente.»

Goro tacque a lungo e Akira si sentì sprofondare nella consapevolezza di aver detto cose improbabili. Notò una leggera sospensione nel respiro del ragazzo, come se si fosse sollevato e fermato per un breve istante prima di iniziare a parlare. «Dimentichi che io sono il detective che ha fatto arrestare il leader dei Phantom Thieves. Il popolo mi ha acclamato per questo, ma ho già sperimentato la volubilità della fama. Nel momento in cui svelerete i misfatti del miglior candidato al ruolo di presidente, Masayoshi Shido, il favore tornerà a voi. Io non potrò più godere della credibilità che avrei adesso. Mi si rivolteranno tutti contro un’altra volta.»

«Allora basterebbe che trovassi una motivazione plausibile al perché hai finito con l’incastrare i Phantom Thieves.»

«Del tipo?»

«Del tipo… Puoi dire che è stato un errore.»

Goro lo guardò dall’alto al basso con scetticismo. «Un errore.»

La sua non era nemmeno una domanda. Nemmeno Akira era convinto di quanto un’idea del genere potesse applicarsi efficacemente alla realtà, ma era davvero così inverosimile?

«Beh, sì. Puoi dire che le tue indagini sono state manipolate, affinché i tuoi risultati finissero per favorire la campagna elettorale di Shido.»

L’altro sospirò, esausto ed esasperato. Si lasciò scivolare nell’acqua e rimase fuori appena con la testa. «Tutta questa fatica, quando basterebbe eliminare la sua ombra.»

«Come ti ho già detto, non c’è da discutere al riguardo.»

«Lo so, lo so… Non devi dirlo sempre con tutta questa perentorietà,» il ragazzo sospirò, «Il tuo piano non è il massimo ma non è nemmeno il peggiore che potessi inventare. Andrà rifinito se vogliamo davvero sperare che funzioni. Tanto ormai… non ho più niente da perdere.»

Akira lo guardò sorpreso, pensando che Goro dovesse essere davvero disperato per considerare seriamente la sua idea raffazzonata. O più semplicemente, fu la sua rassegnazione a colpirlo. «Niente da perdere?»

Goro lo guardò come se stesse domandando l’ovvio. «Già, niente.»

Akira si lasciò scivolare a sua volta nell’acqua. Purtroppo, ricordava quel periodo della sua vita in cui si era sentito di non avere davvero nulla da perdere, ma ormai i suoi contorni avevano iniziato a sfumare, per fare spazio a tutte le persone che avevano dato colore alla sua vita a Tokyo. Adesso che si sentiva vivo era anche il momento in cui aveva di più da perdere, il momento in cui non avrebbe ceduto nemmeno un centimetro per proteggere ciò che aveva conquistato. Lentamente, il silenzio scivolò tra di loro e il tempo passato a fissare il soffitto bianco sembrò prolungarsi per ore. Quando Goro si mosse provocando piccole increspature lungo la superficie dell’acqua, Akira riaprì gli occhi che non si era nemmeno accorto di aver chiuso. «Kurusu.»

Guardarlo bastò per fargli capire che aveva la sua attenzione. Goro si era rigirato e stava adesso poggiato al bordo della vasca con entrambi i gomiti. «Che voi mi aiutate a coprire tutto quello che ho fatto… non va contro la vostra idea di giustizia?» La sua voce era calma e pacata, niente zucchero a indorare la domanda scomoda, solo puro interesse.

«Sì. Ma credo che la nostra giustizia non sia in grado di giudicarti.»

«E siete ugualmente disposti a darmi una mano?»

«Non c’è stata una decisione unanime.»

Dopo un attimo di esitazione, «Devo dedurne che tutto quello che hai detto finora è riconducibile una tua iniziativa personale?»

Akira sospirò e preferì non rispondere. Ciò non fece desistere Goro, tuttavia, che riprese con tono più insistente. «Sei davvero disposto a ignorare il fatto che ho ucciso il padre di Haru?» La domanda ebbe l’effetto di fargli storcere il naso. Perché sottolineare una cosa del genere in un momento in cui Akira invece se la sentiva di provare a dargli una mano?

Con stizza, ribatté: «Dimentichi la madre di Futaba.»

Questo ebbe l’effetto di far ammutolire il ragazzo di fronte a lui, ma il silenzio non durò a lungo. «No, quella volta è stata diversa.»

«In che senso?»

«Scusami, preferirei non parlarne adesso.»

Trattenendo la curiosità, Akira decise di non insistere. «Va bene, magari un’altra volta. Per quanto mi riguarda, comunque, è semplice. Il punto è che non vorrei vederti passare il resto della tua vita in una cella.»

«Se ci penso abbastanza a lungo, in realtà, non sarebbe così diverso da come è stato il resto della mia vita. Forse non sarebbe così male…»

Akira non poté fare altro che tacere. Nulla di ciò che avrebbe detto in risposta sarebbe stato appropriato. Non seppe mai dove trovò il coraggio, ma alla fine si girò verso di lui, con un leggero tremito.

«Vorrei che tu sapessi che c’è di meglio nella vita e che puoi essere migliore di così.»

Goro, al suo fianco, poggiò la testa sulle braccia, sull’orlo della vasca e da lì sospirò regalandogli un sorriso. Gentile e amaro. Poi chiuse gli occhi e restò lì a dondolarsi in acqua come se fosse finalmente in pace. Akira si permise di osservarlo, come lo aveva visto il giorno precedente, avvolto nelle sue coperte e ora nelle calde vesti dell’acqua. Com’è che si diceva? Bello e dannato. E irraggiungibile, avrebbe aggiunto. Quando meno se lo sarebbe aspettato, Goro aprì gli occhi e Akira si fece cogliere nuovamente impreparato. Il ragazzo sorrise teneramente e staccandosi dal bordo della vasca allungò una mano verso di lui, dita calde si chiusero attorno al suo polso. Imitando il suo gesto, Goro unì le loro mani destre assieme e strinse. Akira sentì il proprio cuore accelerare i battiti, attese col fiato sospeso, pendendo dalle sue labbra, che solo dopo un ultimo istante si aprirono.

«Grazie.»

   
 
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