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Autore: Pendincibacco    02/01/2018    6 recensioni
- Sherlock l'aveva baciato.
Non un bacio leggero, a fior di labbra, ma un bacio vero: scomposto, umido e, considerata la situazione, piuttosto profondo. Gli era sembrato di sentire la pressione della sua lingua sul palato per almeno due ore, dopo; difficile dire se fosse frutto della sua immaginazione o meno.
Sherlock l'aveva baciato, senza troppo preavviso, schiacciandolo contro un muro umido.
"Oh mio Dio." -
Una oneshot senza troppe pretese, scritta per la Challenge natalizia del gruppo facebook "ASPETTANDO SHERLOCK 5".
Prompt: "Di quel primo natale insieme per davvero"
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'autrice: Salve a tutti! Questa storia è nata per via della mia partecipazione alla Challenge Natalizia indetta dal gruppo facebook "ASPETTANDO SHERLOCK 5", a partire da uno dei prompt proposti da Lucrezia M., ovvero: Johnlock – post Reichenbach: "Di quel primo natale insieme per davvero"

E' una semplice oneshot natalizia, senza troppe pretese: John si ritrova a riflettere sul suo rapporto con Sherlock e sui sentimenti che prova nei suoi confronti per via di un evento inatteso, giunge quindi ad una conclusione che spera possa cambiare la sua vita a Baker Street.
Non sono del tutto soddisfatta del risultato: l’ho dovuta scrivere a pezzi, una parte a quasi un mese di distanza dall’altra, il che rende il risultato troppo discontinuo per i miei gusti. Inoltre, ho la tendenza a concentrarmi molto su dialoghi e introspezione piuttosto che su veri e propri eventi, il che purtroppo rende spesso la narrazione molto lenta.
Spero nonostante questo che possiate trovarla comunque almeno in parte piacevole: il mio intento era di regalare qualcosa di semplice e dolce per strappare un sorriso durante le feste. Segnalatemi pure eventuali errori nel testo (non avere un beta rende la rilettura lunga e fallace) e, naturalmente, fatemi sapere cosa ne pensate, ne sarei entusiasta.


 


 
Kiss me softly
 
 
La mattina del primo Natale dopo il ritorno di Sherlock dal "regno dei morti", il dottor John Watson, ex militare d'istanza in Afghanistan, si svegliò di soprassalto in un lago di sudore dopo una nottata piuttosto difficile. In effetti, il termine "svegliato" non era nemmeno del tutto appropriato: per potersi svegliare ci si deve essere addormentati e, quantomeno nell'idea generale di John, quella lunga serie di brevi momenti di perdita di coscienza intervallati da ore di rotolamenti ed evoluzioni sudaticce fra le coperte non poteva essere definita "sonno".
Si asciugò la fronte con il dorso della mano, quindi si allungò verso il comodino per raggiungere la bottiglia d'acqua che teneva lì a portata di mano. Riuscì a calmarsi solo dopo averne scolata metà, lasciandosi poi andare ad un sospiro strozzato.
Sherlock l'aveva baciato.
Ci si era arrovellato per una notte intera, ponendosi tutte le domande possibili sulla questione. L'aveva fatto per errore? Il detective aveva calibrato male le distanze e mirava alla guancia? O forse lui si era immaginato tutto per via dell'adrenalina che aveva in circolo in quel momento?
Ovviamente, manco a dirlo, la risposta a quelli e alle altre decine di suoi quesiti notturni era stata "no".
Sherlock l'aveva baciato.
Non un bacio leggero, a fior di labbra, ma un bacio vero: scomposto, umido e, considerata la situazione, piuttosto profondo. Gli era sembrato di sentire la pressione della sua lingua sul palato per almeno due ore, dopo; difficile dire se fosse frutto della sua immaginazione o meno.
Sherlock l'aveva baciato, senza troppo preavviso, schiacciandolo contro un muro umido.
"Oh mio Dio."
 

 
***

 
Se avesse dovuto raccontare l'accaduto, John avrebbe detto innanzitutto che il giorno della vigilia non era iniziato in modo particolarmente eclatante; cosa che, per inciso, a lui non era dispiaciuta affatto.
Come ogni mattina da quando viveva al 221B di Baker Street si era alzato e vestito intorno alle sette e trenta, era passato dal bagno a darsi una rinfrescata ed era sceso di sotto per preparare il tè e fare colazione. Aveva incontrato Sherlock in cucina, curvo sul microscopio ed immerso in un esperimento che probabilmente durava dalla sera prima; l'aveva salutato tranquillamente e lui, come al solito, non gli aveva risposto. Si era quindi dato da fare per pulire l’appartamento in modo da renderlo – anche se solo per una pia illusione – simile ad un posto adatto alla vita degli esseri umani, in modo che potesse accogliere in modo quantomeno decente gli ospiti che avrebbero avuto quella sera per la consueta festa di Natale.
Tutto era stato meravigliosamente normale e regolare, anche la chiamata che era giunta all'ora di pranzo, proprio mentre lui stava mangiando gli avanzi del take away cinese della sera prima e Sherlock stava ignorando quelli che lui gli aveva messo davanti, nonostante la sua magrezza, dopo il suo ritorno ad inizio novembre, fosse ancora piuttosto preoccupante. L'ispettore Lestrade di Scotland Yard richiedeva la loro presenza alla centrale - più che altro, ad essere onesti, quella di Sherlock – per alcuni casi di omicidio.
Ovviamente si erano precipitati verso la centrale, Sherlock che correva fuori a fermare un taxi già pronto e vestito di tutto punto mentre John stava ancora tentando affannosamente di infilarsi le scarpe.
Il caso esposto di lì a poco da Lestrade era, persino per la mente non geniale di John, evidentemente opera di un serial killer: una serie di quattro assassinii perpetrati nell'arco dell'ultimo mese sempre il venerdì notte, tutti in una zona zeppa di locali notturni, perpetrati con lo stesso modus operandi ma che coinvolgevano vittime apparentemente non collegate fra loro. A Sherlock non erano occorsi che pochi minuti ad osservare le fotografie dei corpi, controllando poi gli effetti personali delle vittime e i rapporti della polizia, per dedurre quale fosse il comune denominatore fra i cadaveri; una manciata di secondi ancora e, individuando su una mappa i luoghi in cui i corpi erano stati abbandonati, aveva dedotto anche in quale luogo l'assassino avrebbe tentato di colpire ancora. Tutte cose che, naturalmente, non aveva sentito il bisogno di comunicare all'ispettore o a chiunque altro.
Si era limitato prima ad insultare il poliziotto per non averlo chiamato prima, ignorando il fatto in realtà a loro ben noto che l'ispettore fosse appena rientrato da un mese di ferie, poi ad uscire in fretta e furia dalla centrale di polizia farfugliando qualcosa tipo "quando avrò qualcosa in mano ti farò sapere", lasciando come al solito un Lestrade confuso e frustrato a lambiccarsi su cosa mai il detective fosse riuscito a dedurre e tirandosi dietro un John vagamente perplesso ma divertito.
Dopo l'ennesima corsa in taxi e il loro ritorno a Baker Street il detective si era finalmente degnato di spiegare al coinquilino come fosse giunto alle sue conclusioni e, soprattutto, quale fosse il loro piano al momento; il tutto rovistando come un folle nell'armadio della sua stanza.
"Il comune denominatore fra le vittime è il fatto che, ovviamente, sono tutti uomini gay piuttosto promiscui e amanti della vita notturna." aveva dichiarato mentre, dritto come un fuso di fronte alle ante aperte, lanciava vecchi vestiti sul letto uno dopo l'altro. John in quel momento era stato troppo confuso anche solo per aprire bocca, figuriamoci per chiedergli cosa diamine stesse facendo.
"Dedurlo in realtà è stato piuttosto semplice: è bastato far caso a quali fossero i locali nelle vicinanze dei luoghi dei ritrovamenti e osservare attentamente i cadaveri."
A quella precisazione il medico era parso finalmente riscuotersi, aggrottando le sopracciglia e dando voce ai propri dubbi.
"Cosa avevano di strano i cadaveri? Io non ho notato nulla di insolito ad eccezione dei segni di strangolamento. E poi, penso che la polizia l'avrebbe scoperto se quegli uomini fossero stati tutti, ehm, gay."
Sherlock di fronte alla sua esitazione si era esibito in una specie di sorrisetto che era più che altro un ghigno trattenuto a stento. John sapeva che il detective trovava stupido il suo eccessivo pudore, tuttavia non poteva farci nulla, alcuni argomenti lo mettevano stranamente a disagio.
"Non tutte le persone omosessuali se ne vanno in giro sbandierandolo ai quattro venti, pensavo che proprio tu sapessi una cosa tanto ovvia, John. Comunque, per prima cosa, erano tutti depilati in zone poco comuni: raramente un maschio eterosessuale perde tempo a depilarsi la zona genitale e perianale, cosa invece piuttosto comune tra gli omosessuali per ovvie questioni di comodità e igiene." spiegò, indirizzando al coinquilino un altro breve sorriso che John interpretò come particolarmente sadico. Sherlock sapeva perfettamente quanto fosse a disagio ed era evidente che si stesse divertendo.
"Secondariamente, il coroner ha constatato che tutti quegli uomini avevano intrattenuto un qualche tipo di attività sessuale poco prima di morire, eppure su nessuno dei corpi erano presenti tracce di rossetto o di qualunque tipo di make-up. In quel genere di locali praticamente ogni donna porta almeno il rossetto, ne converrai. Non sono state rinvenute sui corpi secrezioni o altro da cui fosse possibile estrapolare del DNA maschile o femminile che sia, il che mi fa pensare che abbiano avuto un rapporto con l'assassino stesso: adesca le sue vittime nei locali, si apparta con loro momentaneamente, propone poi di uscire e raggiungere un luogo più privato per concludere il rapporto e a quel punto strangola le sue prede in un vicolo poco distante."
"Ma non potrebbero ... ecco ... essersi "arrangiati" prima di raggiungere il locale?" aveva proposto John, il viso così accaldato che ci si sarebbe potuto cuocere un uovo sopra.
Parlare di questioni inerenti al sesso con Sherlock era decisamente più difficile di quanto si sarebbe aspettato. Aveva la sensazione angosciante di star parlando con un bambino o un preadolescente, qualcuno con cui certi argomenti erano assolutamente fuori luogo. Eppure il detective appariva del tutto a suo agio e per nulla imbarazzato, ancora intento ad esaminare il contenuto del suo guardaroba, dunque John si era detto che avrebbe dovuto smetterla di considerare Sherlock una specie di infante troppo cresciuto e affrontare la questione come un adulto normale.
"Potrebbero, sì, non fosse che in tre casi su quattro ho notato piccole ma visibili tracce di liquido seminale sulla parte esterna dei pantaloni delle vittime. Ciò ci dice senza ombra di dubbio che un qualche tipo di rapporto è stato consumato dopo che le vittime sono uscite di casa, quasi sicuramente in un locale della zona, data la cronologia ricostruita dalla polizia." spiegò l'altro, tenendo fra le mani quella che sembrava una t-shirt grigia ed osservandola intensamente come se avesse dovuto ponderarne chissà quali qualità.
"L'ennesima conferma, comunque, sono stati i club nelle vicinanze."
"Per quale motivo? Non erano locali esplicitamente gay secondo i rapporti della polizia. "
"Vero, ma sono tutti locali che permettono ai clienti l'utilizzo di salette private e che non fanno troppe domande. Sono il rifugio ideale per chi cerca un certo tipo di compagnia ma non può rischiare di farsi vedere da qualche conoscente in una discoteca chiaramente rivolta agli omosessuali. Le vittime erano tutte di estrazione sociale piuttosto elevata: un medico primario, due futuri avvocati provenienti da famiglie facoltose, un assicuratore di successo. Gente che avrebbe subito conseguenze piuttosto negative da un forzato coming out. Esistono interi forum dedicati all'organizzazione di questi incontri fra uomini in locali "non sospetti", sono quasi certo che le vittime ne facessero parte."
John scosse la testa e prese a massaggiarsi la radice del naso, tentando in tutte le maniere di trattenersi dall'indagare sul perché Sherlock fosse in possesso di simili informazioni. Non era un amante della vita notturna, non che lui sapesse, quantomeno. In merito alla sua sessualità poi ... beh, era da parecchio tempo che preferiva non pensarci.
"Chiediamo a Lestrade di far ricontrollare i computer e i telefoni delle vittime? Sapendo cosa cercare, magari ..."
"No, abbiamo poco tempo. E' venerdì, se il killer si attiene lo schema seguito finora colpirà questa notte. Abbiamo poche ore per prepararci e prevenirlo. "
"Ma non possiamo sapere dove colpirà!"
"Possiamo fare una deduzione plausibile. Colpirà allo Skyline, l'unico club della zona che offre questo servizio di "noleggio stanze" dove ancora non ha cacciato."
John, ancora una volta, si era ritrovato basito di fronte alle intuizioni dell'amico e aveva alzato gli occhi al cielo in un gesto di incredulità.
"Come puoi esserne certo?"
"Non lo posso essere al cento per cento; tuttavia dato che finora ha cacciato ogni weekend in un luogo diverso è ragionevole pensare che intenda coprire tutta la sua "zona di caccia" e lo Skyline manca all'appello."
"Come diavolo fai a sapere tutta questa roba?" aveva sbottato a quel punto John, incapace di trattenersi di fronte alla mole di questioni inaspettate di cui Sherlock sembrava essere un esperto.
"Oh per l'amor del cielo, ho semplicemente cercato su Google i vari locali della zona e i servizi che offrono mentre eravamo in taxi, non mi sembra complicato nemmeno per te, John!" aveva risposto il detective sbuffando, appoggiando un paio di jeans neri tremendamente stretti e una t-shirt viola sul letto, accanto a quella grigia precedentemente selezionata.
"No Sherlock, razza di ... non importa, quello che mi chiedevo è come tu sappia tante cose sui locali notturni in generale e su ... tutte queste cose." aveva concluso, imbarazzato.
Sherlock si era voltato lentamente verso di lui mentre richiudeva finalmente le ante dell'armadio e l'aveva osservato con uno sguardo dapprima allegramente incuriosito poi dopo qualche secondo palesemente divertito.
"So molte cose anche sulle api, eppure non faccio l'apicultore." aveva commentato con le labbra piegate in un mezzo sorriso piuttosto misterioso, evitando di fatto di rispondere alla domanda del coinquilino.
"Però le api ti interessano." aveva quindi insistito John, poco propenso a mollare la presa su quel discorso per dei motivi che nemmeno lui era in grado di individuare. L'idea di non conoscere davvero Sherlock come credeva, o meglio, il pensiero che ci fossero ancora dei segreti fra loro gli faceva attorcigliare lo stomaco in maniera del tutto sgradevole.
L'altro aveva probabilmente notato il suo turbamento perché ogni traccia di divertimento era repentinamente scomparsa dal suo viso e si era voltato velocemente ad afferrare la maglietta grigia per poi lanciargliela.
"Mi interessa tutto ciò che può rivelarsi utile ... ora prendi questa, John. Vatti a fare una doccia quando avrò finito io con il bagno e poi mettitela, insieme ai jeans che indossi quando vai al pub con Lestrade e alla giacca nera che hai messo lo scorso marzo alla festa di addio al celibato di quel tuo compagno del college."
"Ma come diavolo fai a ricordarti ... no, lascia perdere. Piuttosto, per quale motivo?" aveva chiesto, ancora vagamente inquieto, rigirandosi la maglietta fra le mani. Non era della misura di Sherlock, le spalle erano troppo larghe, senza contare che non era il genere di abbigliamento che il detective prediligeva; troppo casual. L'amico aveva sorriso di nuovo, questa volta in modo più normale e rilassato, raccogliendo il resto dei vestiti selezionati dal letto ed affrettandosi verso il bagno.
"Perché stasera andremo allo Skyline per beccare l'assassino con le mani nel sacco e con i tuoi soliti maglioni deprimenti non ti farebbero mai entrare."

 
***
 

Lo Skyline era, come John aveva avuto modo di scoprire di lì a due ore, il posto più rumoroso e caotico in cui aveva mai avuto la sfortuna di trovarsi. Non era mai stato un grande amante delle discoteche, nemmeno da ragazzo. Quelle poche volte in cui ci era stato trascinato dagli amici era stato comunque tutto molto diverso: erano gli anni Novanta, la gente era diversa, la musica era diversa e, indubbiamente, migliore. In quel momento quell'assordante tzum tzum tzum gli faceva vibrare sgradevolmente la cassa toracica e minacciava di fargli esplodere il cervello; le accecanti luci al neon gli davano l'impressione, con il loro sfarfallare, che una crisi epilettica fosse dietro l'angolo.
Si era voltato verso Sherlock, appoggiato mollemente alla parete lì accanto, per sincerarsi dopo i dubbi di quel pomeriggio che anche per lui quell'ambiente risultasse tutto fuorché gradevole; tuttavia nei suoi occhi non lesse altro che la concentrazione con cui fissava la calca di gente che entrava ed usciva senza sosta dal corridoio affianco a cui si erano appostati. John aveva sospirato, scuotendo la testa con rassegnazione. Come al solito il detective non si faceva distrarre da nulla, nemmeno dall'ambiente o dalla gente intorno a sé: il lavoro era di primaria importanza, sempre e comunque.
Aveva bevuto l'ultimo sorso del suo drink, una brodaglia decisamente troppo dolce che aveva ordinato solo per giustificare il loro starsene fermi a ridosso del muro senza ballare, dunque aveva gettato il bicchiere vuoto ed era rimasto lì a fissare la folla, spostando il peso da un piede all'altro in un gesto inquieto.
"Non credi che diamo troppo nell'occhio qui in piedi fermi?"
"No. Data la posizione in cui ci troviamo penseranno solamente che siamo in attesa che si liberi uno dei privé."
La risposta di Sherlock gli aveva seccato la bocca, distorcendogli il viso in una smorfia quasi addolorata che sembrava aver attirato l'attenzione dell'amico.
"Davvero la gente nella sala penserà che noi... cioè, che io e Sherlock vorremmo...? Oh, che assurdità, non potrebbe succedere mai, anche guardandoci non si direbbe che stiamo insieme in quel senso. Oh cielo, molta gente lo pensa già, ma perché? Perché diavolo la gente lo pensa? Oddio..."
Aveva scosso la testa per scacciare il pensiero, massaggiandosi il retro del collo come a voler dissolvere quella tensione che pareva essersi accumulata dentro di lui senza sosta durante tutta quella giornata. Decisamente non era la vigilia di Natale che si era aspettato, tuttavia anche considerando il disagio del momento non se ne sarebbe lamentato: il lavoro con Sherlock, nonostante tutto, era ciò che ormai distingueva le giornate normali dalle belle giornate.
"Quanto credi che dovremo aspettare?" aveva domandato allora, tentando di darsi nuovamente un contegno e di non far notare all'amico quanto la sua precedente affermazione l'avesse turbato.
"Fino a quando non vedremo uscire da una di quelle porte laggiù una coppia di uomini in atteggiamenti evidentemente intimi diretti verso l'esterno del locale, uno dei quali provvisto di guanti di pelle nera apparentemente compatibili con i residui rilevati poco fa da Scotland Yard." aveva risposto lui, riponendo nella tasca dei pantaloni il cellulare.
Evidentemente Lestrade doveva avergli appena inviato gli ultimi sviluppi emersi da analisi più approfondite. John sapeva che si sarebbe infuriato come una bestia per non essere stato chiamato, a cose fatte. Come sempre, del resto.
"E' dicembre Sherlock, molta gente porta i guanti."
"Ma quest'uomo in particolare tenterà di uscire dal locale molto prima del termine della serata, approssimativamente entro la prossima mezz'ora dati gli orari dei precedenti quattro decessi e calcolando il tempo necessario per allontanarsi e compiere l'omicidio; inoltre indosserà i suddetti guanti anche all'interno del locale per non toccare la vittima a mani nude e qui, come hai sicuramente notato mezz'ora fa quando ti sei tolto la giacca e hai sbottonato la camicia, è tremendamente caldo. Inoltre, date le dimensioni e la lunghezza delle ecchimosi sui colli dei cadaveri, deduco che il nostro assassino ha delle mani piuttosto grandi rispetto alla media degli uomini inglesi. Particolarmente adatte allo strangolamento, in effetti." aveva chiarito il consulente investigativo, col tono annoiato di chi sta spiegando per la decima volta un concetto semplice ad un alunno svogliato. John aveva sospirato e si era appoggiato a sua volta al muro, tentando di non pensare troppo a Sherlock che lo fissava mentre si spogliava e alle sue considerazioni sull'attitudine delle mani dell'assassino all'atto di strangolare qualcuno.
Non avevano dovuto attendere ancora a lungo perché le previsioni di Sherlock, come in affetti accadeva quasi sempre, si erano rivelate corrette. Infatti, dopo circa un quarto d'ora dal termine di quella conversazione, due uomini erano usciti barcollando da una delle sale private; uno sorreggeva l'altro come se fosse ubriaco mentre quest'ultimo si aggrappava a lui in modo possessivo, sussurrandogli qualcosa all'orecchio. Il più sobrio dei due sorrideva e accarezzava la mano dell'altro mentre lo conduceva verso l'uscita; indossava guanti di pelle scura e le sue mani, persino John l'aveva notato, erano piuttosto fuori dal comune in quanto a dimensioni.
Aveva un aspetto ordinario: capelli scuri, viso gioviale, una leggera abbronzatura artificiale. Nulla nel suo aspetto avrebbe potuto far pensare che si trattasse di un serial killer; tuttavia in anni di servizio in Afghanistan e al fianco di Sherlock, John aveva imparato che la malvagità più nera molto spesso si cela dietro i volti più improbabili.
Il detective gli aveva indirizzato un cenno quasi impercettibile del capo e, nella maniera meno sospetta possibile, avevano seguito i due uomini ad una decina di metri di distanza non appena quelli avevano varcato la soglia del locale.
Il piano era semplice: pedinarli fino a che non si fossero fermati, assicurarsi che quello fosse l'uomo che stavano cercando e stenderlo prima che potesse nuocere davvero all'ignara vittima designata, poi chiamare la polizia. Chiaro, pulito, questione di routine per loro.
Eppure, nonostante l'apparente banalità del caso, mentre si allontanavano dal vociare proveniente dallo Skyline John sentiva l'adrenalina infiammargli i sensi e aveva elaborato un pensiero ben distinto: "Dio, sono nato per fare questo. Sono nato per percorrere i vicoli bui di Londra per incastrare i cattivi insieme a Sherlock".
Era una certezza che nella sua mente vagabondava acerba da anni ma che in quel momento, per motivi a lui sconosciuti, gli era rimbombata di colpo in testa con la potenza e la precisione di un colpo di pistola. Ed era stato questo, forse, a fargli abbassare la guardia e a fargli commettere lo sbaglio che avrebbe compromesso di lì a poco buona parte delle sue certezze.
Dopo solo un paio di svolte, mentre stavano per girare oltre l'angolo di un vecchio magazzino che la coppia barcollante e ridacchiante aveva da poco superato, John aveva urtato con il piede una sbarra di metallo, provocando un fracasso ben udibile nella gelida aria notturna della periferia. Si era immobilizzato, il sudore freddo che di colpo gli colava giù per la schiena, Sherlock si era voltato a guardarlo con un accenno di panico e parecchio incredulo sdegno nello sguardo.
Poi, nel momento in cui una voce maschile era giunta da dietro l'angolo domandando qualcosa di simile a - Che sta succedendo? - il detective l'aveva afferrato per le spalle e, fissandolo negli occhi gli aveva sussurrato: "Veloce, baciami.".
Lui aveva sbattuto rapidamente le palpebre un paio di volte, perplesso dallo scherzo che le sue orecchie gli avevano evidentemente giocato.
"Cosa?"
Il coinquilino aveva lanciato una rapida occhiata verso l'imboccatura del vicolo, poi aveva sbuffato con impazienza e aveva stretto le sue spalle con più forza un paio di volte in un gesto che probabilmente voleva essere incoraggiante ma che a John aveva fatto risalire dei brividi freddi lungo la base della schiena, aumentando la sua confusione e il suo disagio.
"Baciami, svelto."
Alla ripetizione del detective aveva emesso un lamento strozzato, ormai conscio di non aver capito male: Sherlock gli aveva davvero chiesto di baciarlo, lì, in quel momento.
"Ma, perché?" aveva domandato con un filo di voce, dimenticandosi della situazione e del fatto che un probabile serial killer stesse per girare l'angolo alla ricerca della fonte del rumore di poco prima. Si limitava a fissare l'altro con gli occhi sgranati e l'espressione stravolta, come avrebbe fatto un cucciolo abbagliato dai fari di un'auto.
"Per l'amor del cielo John, fallo e basta!"
L'amico si era limitato a sussurrarlo, tuttavia il modo in cui l'aveva fatto quasi digrignando i denti gli aveva fatto percepire chiaramente quanto fosse teso e preoccupato.
Da dietro l'angolo era a quel punto arrivata nuovamente la voce del sospettato, ora più forte e chiara, che chiedeva all'ignaro compagno di aspettarlo mentre controllava il vicolo; ancora pochi secondi e sarebbero stati visti.
John era prossimo al panico: se fossero scappati l'avrebbero messo sull'attenti riducendo le chances di catturarlo, se avessero tentato di attaccarlo non avrebbero potuto contare sull'effetto sorpresa e il rischio che fuggisse sarebbe stato dannatamente elevato. Sherlock di certo aveva un piano, quella richiesta assurda doveva farne parte, tuttavia il medico era ormai troppo agitato e confuso per afferrare quale fosse. Doveva darsi una mossa e decidere cosa fare.
"Se Sherlock pensa che sia la cosa migliore da fare probabilmente lo è, anche se non la capisco. Devo farlo, posso farlo, è solo un bacio, non sono omofobo, con Harry in famiglia sarebbe assurdo, un bacio è una sciocchezza, ho baciato Carl e Joe per una scommessa alcolica al college! Posso farlo, non sarà niente di che, e poi lui è Sherlock..."
A quell'ultimo pensiero aveva emesso un mugolio strozzato e aveva serrato gli occhi con forza.
"No, no, al diavolo, non posso farlo proprio perché è Sherlock! Le cose poi diventerebbero più strane di quanto già non siano. Più strane? Oddio, sono già strane? In effetti erano strane mentre lui era morto e io ero in terapia ma era il lutto, era solo elaborazione del lutto. Lo era? Nelle lettere che ho scritto in effetti sembrava che... ma no, ero solo sconvolto e disperato, sono venuto a patti con la cosa mesi fa, credo. Non sono sicuro che... Oddio no, non posso baciarlo qui, non posso baciarlo solo per un caso! Solo? Perché solo? Non è che io vorrei ... Cristo."
Aveva avuto la sensazione di essere rimasto ad arrovellarsi per ore quando in realtà non erano passati che pochi secondi in cui, semplicemente, i suoi pensieri erano rimbalzati di qua e di là nella sua scatola cranica alla velocità della luce, accelerati dal panico.
Quando aveva riaperto gli occhi Sherlock lo fissava ancora impaziente e teso ma lui, semplicemente, non era in grado di fare quello che gli aveva chiesto, come confermato dalla conclusione a cui erano arrivati i suoi pensieri. Farlo avrebbe significato smuovere un argine già piuttosto dissestato che già in passato era stato ad un passo dal crollare; inoltre era quasi certo che in caso avesse ceduto non ne sarebbe uscito nulla di buono. Del resto, Sherlock era Sherlock. Sarebbe semplicemente stato investito da una cascata di sofferenza e frustrazione.
"N-on posso!"
Aveva esalato la sua risposta in una specie di singhiozzo, mentre scuoteva la testa in modo quasi disperato. L'amico aveva spalancato leggermente la bocca ed arcuato le sopracciglia in un'espressione incredula e chiaramente infastidita, forse anche delusa; i suoi occhi si erano poi riempiti di una determinazione quasi rabbiosa.
"Oh e va bene, diavolo, lo faccio io."
Ed era successo.
Sherlock, il suo migliore amico, l'uomo che l'aveva lasciato a piangere per due anni ma in cui nonostante tutto riponeva totale fiducia e che pensava di conoscere come le sue tasche, l'aveva spinto violentemente contro il muro alle sue spalle e l'aveva baciato, afferrandogli la nuca con la mano destra e tirandogli leggermente i capelli corti.
E John, nonostante tutto il gran pensare di poco prima, spingendo rapido in un angolo della mente la situazione angosciante in cui si trovavano e la paura di sbloccare qualcosa dentro di sè che non avrebbe voluto sbloccare, non aveva potuto fare altro che afferrare il detective per il cappotto e stringerselo addosso più che poteva.
 

 
***

 
Nel ripensare alla giornata precedente a John per poco non venne da vomitare, nonostante il caso fosse stato brillantemente risolto dopo "l'incidente". Il killer, esattamente come immaginato da Sherlock, li aveva infatti scambiati per una coppia appartata e li aveva ignorati tornando dalla sua potenziale vittima; cadendo pochi minuti dopo, non appena aveva stretto le mani attorno al collo dell'uomo, sotto i colpi di un ex soldato particolarmente su di giri.
Quando Lestrade era finalmente arrivato sulla scena aveva trovato l'assassino stordito e legato ad un lampione mentre John tentava di calmare e rassicurare il poveretto che aveva appena rischiato di essere strangolato a morte; e Sherlock, rilassato come se avesse appena preso un aperitivo in centro, telefonava ad una rosticceria h24 per ordinare del take away, avvertendo che sarebbero passati piuttosto tardi. L'ispettore li aveva trascinati in centrale furioso, poco ci era mancato che li tirasse per le orecchie, costringendoli poi per ripicca a rilasciare le loro dichiarazioni immediatamente; il risultato era stato che avevano varcato la soglia di casa praticamente alle tre del mattino.
John, per via del calo dell'adrenalina, si era sentito improvvisamente davvero conscio della presenza di Sherlock e di cosa fosse accaduto poche ore prima; si era detto mortalmente stanco ed era letteralmente fuggito nella sua stanza senza nemmeno toccare cibo, gettandosi a capofitto in quella nottata di sonno agitato e discontinuo.
Si portò le mani al viso, stropicciandoselo mentre tentava di racimolare la forza e il coraggio necessari a scendere al piano di sotto. Non aveva idea di come affrontare Sherlock e, a dirla tutta, non era nemmeno sicuro che Sherlock avrebbe ritenuto gli eventi del giorno prima degni di essere discussi. Per John quel bacio era stato come il colpo di piccone che aveva aperto la prima breccia nel Muro di Berlino: il cemento già disseminato di crepe si era sgretolato di colpo, lasciando che la luce dall'altra parte della parete illuminasse la sua mente portandolo ad una nuova consapevolezza.
Le parole che aveva singhiozzato fra le lacrime, a denti stretti, mentre scriveva quelle lettere che la sua terapista aveva ritenuto necessarie o quando faceva visita alla tomba di Sherlock, ormai due anni prima, non gli sembravano più i deliri di una persona disperata. Semplicemente, erano uno specchio della verità, come se il dolore avesse strappato ogni pensiero intimo dalla sua testa e l'avesse costretto a sputarlo fuori in modo così violento da essere doloroso.
"Eri il mio migliore amico, la persona di cui mi fidavo di più al mondo."
"Ti prego, ti chiedo un miracolo, un ultimo miracolo dei tuoi: non essere morto."
"Perché? Perché, fra tutti, lui? Il mondo ha bisogno di lui. Io ho bisogno di lui."
"Se non fosse stato per Sherlock non sarei qui. Non sarei sopravvissuto alla depressione, al PTSD. Mi sarei sparato in quel miserabile appartamento."
"Sei un idiota. Un idiota completo. Per quale motivo non me ne hai parlato? Avremmo trovato una soluzione. Io, anche se sono un cretino, mi sarei spaccato la testa pur di trovarla. Avrei fatto qualsiasi cosa."
E, alla fine, in una nottata particolarmente difficile, mentre si dimenava nel letto ripensando al DVD contenente il video del suo compleanno che Lestrade gli aveva portato nel pomeriggio, aveva formulato un pensiero a cui si era sforzato di non pensare mai più, specialmente durante la sua relazione con Mary: "Non ho mai voluto qualcosa come in questo momento vorrei che non fosse morto. Non mi sentirò mai più per nessuno al mondo come mi sentivo nei confronti Sherlock, perché nessuno sarà mai quello che lui è stato per me."
Con il senno di poi, John si chiese come avesse fatto a non realizzare già allora la portata dei propri sentimenti. Forse nel tentare di chiudere tutto il dolore per la perdita in un cassetto della sua mente vi aveva schiacciato dentro anche quelli: non sopportava di aver perso il suo migliore amico, se avesse ammesso l'esistenza di altro la sofferenza sarebbe stata probabilmente troppa da sopportare. Eppure, nel ripensarci, si disse che era così evidente, così palese da risultare quasi imbarazzante. Quando Sherlock era ricomparso, un mese e mezzo prima, aveva piantato in asso la sua fidanzata quasi senza battere ciglio. Mary gli piaceva, gli piaceva davvero moltissimo, tanto che aveva persino tentato di chiederle di sposarlo; eppure, dopo che il detective era tornato a far parte della sua vita, non aveva esitato più di tanto prima di troncare. Si era detto che era per il suo bene, che la presenza di Sherlock rendeva la vita pericolosa e che non se la sentiva di farle correre questo rischio, ma la verità era che la loro relazione aveva completamente perso colore agli occhi di John. Era bastato un solo caso, una sola missione adrenalinica nella metropolitana in compagnia del detective perché si rendesse conto di quanto grigia fosse la sua esistenza senza di lui.
Sì alzò finalmente dal letto, sospirando, cominciando a prepararsi con lentezza esasperante tentando di elaborare un piano d'azione. Aveva davvero senso parlare con Sherlock di quella questione? Quando si erano conosciuti era stato molto chiaro: era sposato con il suo lavoro ed evidentemente non interessato ad alcun tipo di relazione. A riprova di ciò, John dovette ammettere che in tutti quegli anni il detective aveva dimostrato interesse nei confronti di un numero davvero esiguo di persone – si contavano sulle dita di una mano – e comunque non aveva mai tentato di instaurare un rapporto di tipo romantico con chicchessia, nemmeno con la donna.
Alla luce di ciò, probabilmente parlare a Sherlock dei suoi sentimenti si sarebbe rivelato completamente inutile se non anche imbarazzante e potenzialmente dannoso ai fini di una loro convivenza pacifica.
E poi, come avrebbe potuto dirglielo?
"Ehi Sherlock, penso di essere innamorato di te da chissà quando e di essermene reso conto solo ora, vorresti essere il mio ragazzo?"
Oltre a non suonare molto virile non sarebbe stata neanche lontanamente una modalità adatta loro due: troppo melensa per uno come Sherlock, troppo infantile per un uomo della sua età.
D'altro canto, mentre si infilava uno dei suoi migliori maglioni a tema natalizio, John si disse che prima o poi sarebbe comunque arrivato il momento di parlarne. Si conoscevano troppo bene: non solo rischiava di farsi comunque beccare – Sherlock sapeva essere intuitivo anche in quel campo quando si sforzava – ma soprattutto non era una persona brava a reprimere pensieri ed emozioni e, ad un certo punto, sarebbe comunque esploso.
Con un sospiro, si diresse verso la porta e, nel posare la mano sulla maniglia, prese la sua decisione. Avrebbe fatto capire all'amico come stavano le cose quel giorno stesso. Se tanto doveva finire male che senso avrebbe avuto rimandare? Se non altro avrebbe potuto sperare in un qualche miracolo di Natale.
Stranamente, non ebbe bisogno di arrovellarsi ancora a lungo sulla modalità più adatta per la sua confessione: una volta fatta luce sulle proprie intenzioni tutto era apparso chiaro nella sua mente, come se non vi fosse mai stata altra maniera che quella. Tornò indietro, aprì l'ultimo cassetto della sua cassettiera e ne estrasse un'anonima scatola di cartone; quindi si voltò e finalmente attraversò la porta dirigendosi al piano di sotto.
Sherlock, manco a dirlo, non c'era. Probabilmente era uscito molto presto, o forse non era mai andato a dormire. Non si poteva mai saperlo, con lui. Questo, comunque, diede a John il tempo necessario per incartare il suo nuovo regalo e aggiungerlo agli altri che si trovavano sotto all'albero di Natale – montato da lui giorni prima ovviamente senza alcun contributo da parte di Sherlock - per poi spostarsi in cucina a preparare il tè del mattino. Il medico attese il fischio del bollitore appoggiato al tavolo in una specie di trance, i pensieri rallentati ed ovattati in un evidente meccanismo di difesa contro l'ansia e la paura che l'avevano attanagliato fino a pochi minuti prima.
Una volta pronto il tè si spostò in soggiorno, portando con sé due tazze e un piatto di biscotti, raggomitolandosi sulla poltrona a guardare la TV in attesa che il coinquilino si facesse vivo.
Non dovette attendere molto. Dopo una ventina di minuti scarsa udì la parta del piano di sotto aprirsi e scricchiolare, per poi richiudersi con quel suono deciso ma composto che era tipico di Sherlock e che il dottore, come molte delle piccole cose legate al detective, aveva imparato a notare con affetto. Nel giro di pochi secondi l'altro apparve sulla soglia, imbacuccato come al solito nella sua giacca col colletto sollevato e con il viso affondato nella sciarpa, una busta di spessa carta marrone stretta sotto al braccio sinistro.
"Buongiorno John, mi dispiace di averci messo tanto, avevo una questione da sistemare. Ho bisogno di un momento per cambiarmi, poi sarò subito da te." comunicò sorridendo lievemente non appena notò la presenza del dottore sulla poltrona, provocando in lui un moto di perplessità.
"Cosa? Voglio dire, come mai? È successo qualcosa?"
Non si erano dati appuntamento ad un orario specifico e Sherlock usciva ed entrava sempre a suo piacere senza dare spiegazioni. Il detective gli indirizzò un ghigno da sopra la spalla mentre si sfilava la sciarpa.
"So che la mattina la tua mente è particolarmente rallentata, tuttavia speravo ti fossi accorto almeno del fatto che oggi è il giorno di Natale."
"So benissimo che giorno è Sherlock, piantala di fare sarcasmo." ribatté John, inseguendo Sherlock con la propria voce mentre quello sistemava cappotto e sciarpa e nella propria stanza. Quando riemerse, poco dopo, non indossava più la consueta giacca nera e lo osservava con un sopracciglio alzato, come se si stesse domandando quanto John potesse essere idiota in una scala da uno a dieci.
"E allora se lo sai di cosa ti stupisci? La mattina di Natale, secondo la tradizione che hai tentato di inculcarmi per ben due anni in passato, prevede lo scambio degli auguri e dei doni. Ho pensato fosse il caso di rispettarla il prima possibile."
Il detective recuperò da sotto l'albero i pacchetti con il proprio nome con una serietà ed una compostezza che fecero sorridere John, dunque si sedette sulla sua poltrona, di fronte a lui, afferrando la tazza che il medico aveva preparato per lui e cominciando a sorseggiare il tè ormai tiepido.
"Via il dente via il dolore, eh?"
"Qualcosa del genere."
John scosse la testa, divertito nonostante la paura di quello che avrebbe potuto succedere non appena l'altro avesse scartato quel regalo aggiunto all'ultimo minuto.
"Buon Natale, Sherlock."
"Buon Natale, John. Questo è per te."
Sherlock gli porse la busta di carta con cui era entrato in casa. Era piuttosto grande, pesante e anonima, John pensò che dovesse contenere un libro o qualcosa del genere. Forse un atlante anatomico, il suo era andato perduto anni prima. Ma, dopotutto, qualunque cosa sarebbe andata bene: il solo fatto che Sherlock si fosse ricordato di prendergli un regalo costituiva già di per sé una sorta di dono.
"Ma come? Niente sproloqui su quanto il Natale sia una festività inutile e stupida, sul fatto che non vi è prova dell'esistenza di alcuna divinità e sulla questione relativa all'effettiva data di nascita di Gesù Cristo? Non mi hai nemmeno anticipato cosa mi hai regalato o dedotto cosa ci sia nel pacchetto che ti ho dato io. Ti senti bene? Hai la febbre?"
"Molto divertente, davvero. No, per quest'anno ho deciso di attenermi al canonico svolgimento di questa pratica."
"Oh, wow. A cosa si deve questo onore?"
"Semplice, tento di fare ammenda."
John ridacchiò intenerito, soppesando la busta fra le mani, timoroso però di sapere per cosa Sherlock sentisse di doversi scusare. Aveva forse rotto qualcosa? Perso un oggetto importante?
"E per cosa? Se trovo altre teste mozzate nel frigo mi metto a gridare, ti avverto."
"Per i due Natali che abbiamo perso."
Il sorriso sul viso di John si sgretolò di colpo, similmente a come accade ad un castello di sabbia urtato per errore dal piede di un bambino, lasciando spazio ad una sorpresa quasi dolorosa. Era un pensiero così tenero, così poco da Sherlock, che al medico parve di sentire il petto stringersi in modo quasi fisico.
"Oh."
"Ho pensato, visto come sono andate le cose i due anni passati, che potrei sforzarmi di rendere questo Natale ... normale, diciamo. Sei un uomo legato alle tradizioni, pensavo ti avrebbe fatto piacere."
Lo sguardo del detective era serio, intenso e puntato dritto su di lui, sincero in un modo che fece venire a John una strano formicolio agli occhi che tentò di reprimere subito.
"Oh, Sherlock. Grazie. È un bel gesto. Ma devi sapere una cosa."
John deglutì un paio di volte prima di poter parlare ancora, una sensazione come di qualcosa incastrato in gola difficile da scacciare. Si sentiva tremendamente sopraffatto dalla situazione, in balia degli eventi. Se le cose erano già così complicate come avrebbe reagito quando Sherlock avrebbe scartato i regali, di lì a poco? Si sarebbe messo a piangere come una ragazzina? Dio, sperava proprio di no!
"È vero che amo le tradizioni, specialmente quelle relative alle feste. Mi ricordano di quando ero piccolo e la vita era tanto più facile, quando riuscivo a vedere il mondo con meraviglia, prima che la guerra me la strappasse di dosso. Ma per me le tradizioni non sono necessarie, non adesso. Non sono mai stato tanto stupito e meravigliato come da quando conosco te. Si potrebbe dire che non fai altro che sorprendermi. Quindi non devi fare le cose in un certo modo, se non vuoi. A me va bene in ogni caso. Qualunque Natale passato qui è comunque meglio degli altri." spiegò, sperando con tutte le sue forze di non essere risultato patetico.
Sherlock distese le labbra in un sorriso rilassato, annuendo lievemente, in un gesto che John interpretò come “Anche a me piace passare il Natale con te”, cosa che ovviamente l’amico non avrebbe mai ammesso in modo esplicito.
"Ho capito. Però ci tengo comunque, è parte del mio regalo."
"Ok, grazie allora. Ora apri i tuoi regali."
"Di solito li apri prima tu. Adori scartare i pacchetti."
L’obiezione di Sherlock era tanto imbarazzante quanto veritiera, dunque John non si prese nemmeno la briga di provare a discutere. La realtà era proprio quella, nel momento dello scambio dei regali gli sembrava di tornare ragazzino e non vedeva l’ora di straziare involucri e pacchetti per rivelarne il contenuto.
"Sì, ma questa volta preferisco lo faccia tu."
"Perché?"
"Perché tu mi hai già fatto un regalo quest'anno. Dunque non ho fretta."
Sherlock non disse nulla ma spostò repentinamente lo sguardo dai pacchi che si era allungato per prendere al viso di John. Aveva un’espressione addolorata, gli occhi colmi di liquido dispiacere. Non si era mai scusato con lui per aver finto la propria morte, non esplicitamente; in quel momento però il medico capì di non sentire più il bisogno di quelle scuse. In un certo senso, le aveva già ricevute molte volte quel giorno.
"Quale apro per primo?"
La voce di Sherlock era aspra, quasi tagliente, unico sintomo del fatto che anche lui stesse vivendo un certo tumulto interiore.
"Quello più sottile."
Il detective strappò la carta dorata con pochi gesti rapidi e decisi, rivelando la confezione di cartone di una bilancia di precisione. Bastò un rapido scambio di occhiate ed entrambi scoppiarono a ridere, liberandosi della tensione che permeava l’ambiente almeno per qualche momento.
"Dato che quella vecchia l'hai fusa la scorsa settimana con l'acido – con cui, per inciso, hai devastato anche il tavolo della cucina – ho pensato che te ne servisse una nuova."
"Pensiero corretto. Grazie John, ne avevo bisogno."
"Di nulla. Ora apri pure il secondo."
Sherlock appoggiò la bilancia ancora confezionata sul pavimento accanto alla poltrona, quindi prese la scatola che John aveva recuperato poche ore prima. Se la posò sulle ginocchia, osservandola con sguardo vagamente sorpreso, come se si fosse aspettato di ricevere qualunque cosa meno che quella sbilenca scatoletta marrone. La aprì e, non appena ne comprese il contenuto, le sue sopracciglia corrucciate si distesero. Estrasse un grosso pacco di buste color panna e le osservò sorridendo.
"Lettere. Indirizzate a me."
"Sono vecchie, ovviamente. Ho cominciato a scriverle un paio di anni fa, faceva parte della terapia consigliata per ... l'elaborazione del lutto. Credo che l'ultima sia di un anno fa circa."
"Capisco. Però ... perché darmele adesso?"
Il medico intrecciò le dita delle mani fra loro per darsi la forza di proseguire. Era il momento: se Sherlock avesse letto le lettere sarebbe stato tutto chiaro, specialmente per uno come lui.
"Questa mattina mi sono svegliato con la sensazione che in quelle lettere ci sia qualcosa che dovresti sapere."
A quelle parole Sherlock gli rivolse – e John fu particolarmente stupito da questo – un vero sorriso. Non il ghigno che spesso riservava a chi faceva o diceva qualcosa di stupido o ridicolo o il mezzo sorriso di quando era di buon umore; piuttosto quel sorriso pieno che gli increspava gli angoli della bocca in una serie di rughe di espressione che John riuscì finalmente ad ammettere di adorare.
"Dopo tutti questi anni pensi ancora di potermi sorprendere con qualcosa che non so?"
John deglutì un’abbondante sorsata di nulla, tentando di asciugarsi i palmi delle mani sulla stoffa dei pantaloni. Sherlock sapeva già, era evidente. Non gli era chiaro cosa, esattamente, lo avesse tradito, ma qualcosa doveva esserci stato e il consulente l’aveva ovviamente colto. In effetti, avrebbe dovuto aspettarselo.
Sherlock continuava a sorridere, apparentemente senza ironia. Poteva significare che una possibilità, per quanto remota, esisteva?
"Beh, leggile e scopriremo se è possibile."
L’altro squadrò le lettere, come se riflettesse sulla mossa migliore da mettere in pratica, quindi le ripose nella scatola spostandola poi sul tavolino lì accanto.
"Sono almeno una trentina, se mi mettessi a leggerle ora sprecherei tempo prezioso. Ora forza, apri il tuo regalo. Sono certo che ti piacerà."
John si sgonfiò come un palloncino a cui viene strappato il legaccio. “So cosa c’è in quelle lettere e non è di mio interesse” era ciò che l’amico gli aveva appena comunicato, seppur in modo non esplicito. Forzò l’amara delusione giù verso il suo petto, impedendole di distorcere la sua gola in un gemito o il suo viso in una smorfia sofferente. Del resto, non era come se avesse perso qualcosa. Era stata semplicemente un’idea che non si sarebbe concretizzata, sarebbe potuta andare peggio. Si sarebbe potuto ritrovare solo e straziato, come due anni prima, senza il suo migliore amico.
Abbassò gli occhi e cominciò ad aprire la busta che Sherlock gli aveva dato, ripetendosi che andava tutto bene. Fino a ventiquattro ore prima non era nemmeno consapevole di provare sentimenti particolari nei confronti del coinquilino, sarebbe stato ridicolo rimuginarci sopra come se avesse perso l’occasione di una vita. Ma allora perché lo stomaco gli si contorceva in quel modo e faceva così male?
Si rovesciò il contenuto della busta sulle ginocchia senza troppa convinzione, salvo poi bloccarsi a fissarlo con le mani ancora a mezz’aria. C’era una serie di fascicoli, quasi una decina, ognuno con un’intestazione dall’aria ufficiale che faceva riferimento al Governo e, soprattutto, la scritta RISERVATO stampata a caratteri cubitali sul fronte della cartelletta. Sbatté le palpebre un paio di volte, trasecolato.
"Sherlock ... per quale motivo ho la sensazione che questi fascicoli non dovrebbero trovarsi qui?"
"Perché non sei un completo idiota, John. Sono informazioni strettamente confidenziali che ho preso in prestito dall'ufficio di Mycroft e che ho fotocopiato e restituito prima che se ne accorgesse."
"Santo cielo, ma sei impazzito? Qui c'è un mucchio di roba, tuo fratello ci spellerà vivi se lo verrà a sapere! Non puoi trafugare documenti sensibili del Governo, Sherlock!"
"Oh Watson, quanto la fai lunga. Non li ho appesi in bella vista a Piccadilly Circus, li ho dati a te!" sbraitò il consulente, stizzito.
"Metto la mia vita nelle tue mani più o meno ogni giorno, penso sia ovvio che mi fido di te e che sono sicuro che non farai trapelare nulla di ciò che si trova in quei fascicoli."
John si calmò e smise di agitarsi sulla poltrona rilassandosi contro lo schienale, suo malgrado sensibile ai complimenti. Emise uno sospiro sconfitto mentre impilava i fascicoli uno sull’altro.
"Beh... ok, grazie per la fiducia. Comunque, perché lì stai dando a me? Di cosa parlano?"
"Di quello che facevo mentre scrivevi quelle lettere." spiegò l’altro, lanciandogli un’occhiata penetrante.
Qualcosa nella testa di John produsse un suono forte e spaventoso, simile a quello di una deflagrazione inaspettata. Fissò gli occhi in quelli del coinquilino, cercando tracce di ironia.
No, non stava scherzando.
"Oddio."
"Sono i resoconti di tutto ciò che è successo negli scorsi due anni mentre mi trovavo in Europa: date, luoghi, nomi ed eventi."
"Io... non so bene cosa dire."
Era un eufemismo. John non era nemmeno certo di sapere come si facesse a parlare. Sfogliò velocemente il primo fascicolo: era tutto documentato, giorno per giorno, completo di foto. I due anni della vita di Sherlock che non aveva vissuto, in cui era stato lasciato indietro, erano improvvisamente lì, fra le sue mani.
"È una fortuna che invece io lo sappia esattamente, come al solito." Commentò il consulente emettendo una risata breve e bassa, probabilmente divertito dal suo viso sconvolto.
"John, so che molti mi definirebbero come un uomo freddo, incapace di comprendere le emozioni e di essere empatico. Ad essere sinceri, in parte avrebbero ragione; sai che ho sempre considerato i sentimenti un difetto. Ma sono anche una persona di inusuale intelligenza. So bene che eliminare completamente il nostro sentire interiore è impossibile: perderemmo ciò che ci rende persone se fossimo in grado di farlo. Visto questo e viste le mie abilità deduttive so riconoscere un'emozione quando la sua portata è rilevante."
Gli occhi di Sherlock si strinsero in una smorfia carica di qualcosa che John ormai sapeva essere autentico dolore.
"So quanto è stato difficile per te. O meglio, sono in grado di stimarlo con una certa precisione, visti alcuni eventi recenti e passati."
Si riferiva, era evidente, al suo recente rischio di morire arso vivo sul rogo della Guy Fawkes Night. E a quel momento nella piscina in cui era morto Carl Powers, a cui ancora il medico preferiva non pensare.
"So anche che, da quando sono tornato, passi il tempo ad arrovellarti su cosa sia successo in questi due anni. Ho notato come ti preoccupi per il mio dimagrimento, come hai controllato la presenza di nuove cicatrici nelle prime settimane e come i tuoi disturbi del sonno siano ricomparsi. Ho capito che, dopo la rabbia, è subentrato il timore di esserti perso qualcosa, l'ansia di non sapere cosa mi sia successo. E, per quanto io sappia che non hai motivo di preoccuparti, dato che naturalmente ho sempre gestito le missioni nel miglior modo possibile, credo di poter capire. Ho quindi pensato che porre rimedio a questo problema potesse essere un buon regalo di Natale."
John accarezzò i dorsi dei fascicoli con l’affetto che avrebbe riservato ad un cucciolo. Il detective gli aveva appena regalato due anni della sua vita, in barba alla privacy e ai segreti di stato; ancora quasi non riusciva a crederci. Si sentiva così stupido per tutta la delusione sperimentata poco prima. Sherlock era affezionato a lui, gli voleva bene: anche se il loro rapporto non fosse mai cambiato sarebbe stato felice comunque, grato di questa specie di miracolo che era capitato a lui, fra tutti. Recuperò la tazza di tè ormai freddo, sorseggiando gli ultimi fondi giusto per avere qualcosa da stringere fra le mani per nasconderne il leggero tremore.
"Grazie Sherlock. Grazie davvero, non c'era altro che potessi desiderare."
"Mi fa piacere. Ho anche fatto qualche ricerca: pare che le relazioni sentimentali debbano basarsi sulla fiducia totale tra i partner, quindi a maggior ragione ho ritenuto che questo fosse il dono più adatto."
Il tè gli andò di traverso all’improvviso, costringendolo a tossire come dannato e a spostare precipitosamente i preziosi fascicoli per non impiastricciarli di tè e saliva.
"Rela-cosa?"
"Relazioni sentimentali."
"Fra chi?"
"Fra noi due, ovviamente. Santo cielo John, a momenti sei davvero lento."
"Noi due ... abbiamo una relazione?"
"Mi pare chiaro che l'abbiamo."
John osservò Sherlock nel modo in cui in genere si guardano i pazzi appena fuggiti dai manicomi, tuttavia Sherlock appariva piuttosto serio e anche vagamente perplesso dalla sua reazione. Si portò le mani alla testa, premendosi i pollici sulle tempie come a contenere una imminente esplosione, tentando di non lasciarsi andare alla rabbia in modo del tutto cieco. Era pur sempre Natale.
"È chiaro. Per te è chiaro."
"John, tu hai lasciato su due piedi una donna discretamente intelligente a cui avevi chiesto di sposarti per tornare a vivere con me non appena mi sono ripresentato, io ho pianto per la prima volta in quindici anni all'idea di dirti addio e farti credere di essere un impostore. Viviamo insieme, lavoriamo insieme, a volte ci addormentiamo insieme su quel divano e spreco persino il mio tempo a stare con te mentre mangi. Che altro dovrebbe essere la nostra se non una relazione?"
"Oh, già, che altro dovrebbe essere?" chiosò il medico, imbevendo ogni parola di tutto il sarcasmo che fu in grado di racimolare dentro di sé. L’espressione dell’altro appariva sempre più stranita ad ogni minuto che passava e questo, per qualche motivo, non fece che aumentare il fastidio di John.
"Ho la sensazione che tu sia arrabbiato."
"La tua sensazione è corretta. In genere le persone parlano di queste cose, Sherlock. Non puoi decidere di punto in bianco che abbiamo una relazione senza dire nulla! Non è detto che l'altra persona la pensi come la pensi tu."
"Hai scritto lettere per un anno intero ad un uomo morto, un uomo che ha appena condiviso con te innumerevoli segreti di Stato al solo scopo di farti dormire sonni sereni la notte. Mi stai dicendo che davvero pensi che non ci sia alcun tipo di reciproco interesse?"
"Io non ... non ho detto questo."
"E allora di cosa accidenti stiamo parlando? Se anche per te le cose stanno così non vedo il motivo di discuterne." sbottò il consulente, irritato, contribuendo ancora una volta a fargli saltare i nervi del tutto.
"Non vedi ... le cose per me non stanno così! Cristo Sherlock, il giorno in cui mi hai portato qui per la prima volta mi hai detto Credo che dovrebbe sapere che mi considero sposato con il mio lavoro, testuali parole! Come diavolo avrei potuto pensare che tu volessi avere una relazione con me?"
Per la prima volta dall’inizio di quella conversazione – e a ben vedere, di tutta la loro conoscenza – l’amico parve essere davvero a disagio, forse addirittura in imbarazzo. Spostò lo sguardo sul caminetto, come se non riuscisse a reggere di guardarlo negli occhi, stringendo insistentemente il bracciolo della sua poltrona in quel modo scompostamente intermittente tipico del nervosismo.
"È stato tanto tempo fa. Non ci conoscevamo nemmeno, era la cosa più logica da dire."
"Forse, ma rimane il fatto che ho sempre pensato non fossi interessato a nulla del genere."
"Non essere ridicolo, ti prego. Eri così geloso della donna che scommettevo su quando le saresti saltato alla gola."
"Questo non è assolutamente vero."
"Certo che è vero. Se tu avessi davvero pensato che io non fossi interessato in alcun modo ad una relazione non avresti avuto motivo di agitarti tanto. Ma ti sei agitato, è da sciocchi negarlo. Dunque dovevi aver quantomeno immaginato che sono in grado di affezionarmi a qualcuno."
"So che ne sei in grado, non sono Donovan."
"Parlo di interesse romantico John. Hai immaginato che fossi in grado di provarlo."
Il medico si lasciò sfuggire una risata amara, scuotendo la testa. Sherlock sembrava, come in realtà accadeva piuttosto spesso, a non capire quale fosse il punto della questione.
"Dopo quella sparata da Angelo pensavo non fossi in grado di provarlo nei miei confronti!"
"Mi pare di aver anche detto che le donne non sono il mio campo, eppure ti sei preoccupato per Irene."
"E io ho ripetuto per anni di non essere gay, eppure come hai così poco elegantemente constatato poco fa ho lasciato Mary per tornare a stare qui con te a Baker Street. Se c'è una conclusione a cui sono giunto questa notte mentre non riuscivo a dormire è che l'orientamento sessuale è una cosa tutt'altro che immutabile."
Per un paio di minuti nessuno parlò e non fecero altro che fissarsi in cagnesco. La situazione, dal punto di vista di John era così assurda da risultare quasi ridicola. Lui voleva avere una relazione con Sherlock, il quale pensava addirittura che ne avessero già una. Questo significava che il sentimento era reciproco, non doveva più preoccuparsi di ciò che l’aveva tanto angustiato quella mattina: lui a Sherlock piaceva, per quanto sembrasse impossibile. Allora perché erano finiti praticamente a gridarsi addosso?
Il coinquilino emise un lungo sospiro, come se si stesse ponendo le stesse domande e, molto probabilmente era proprio così.
"Posso assicurarti che il mio interesse nei confronti della signorina Adler non è mai stato di tipo romantico."
"Lieto di sentirtelo dire."
E ne era contento per davvero, nonostante il tono di sufficienza con cui aveva pronunciato quelle parole. Sherlock gli rivolse uno sguardo esasperato, si alzò dalla sua poltrona e fece un passo verso di lui, la stoffa dei pantaloni a sfiorargli appena le gambe.
"John, mi dispiace che la mia affermazione di poco fa ti abbia infastidito. Semplicemente, per me si trattava di una cosa palese, non ho sentito il bisogno di parlarne. Ma, se lo ritieni necessario, possiamo farlo."
Per la millesima volta da quando si conoscevano Sherlock fece qualcosa che stupì John oltre ogni immaginazione: si chinò davanti a lui con grazia, le ginocchia sul pavimento. Per via della differenza d’altezza Sherlock risultava solo poco più basso di lui, cosa che in altre circostanze gli avrebbe provocato una risata. Ma non in quel momento, non con il suo viso così vicino, non con lui inginocchiato davanti in una posa che ricordava quella giapponese della cerimonia del tè.
"Quella sera da Angelo ho utilizzato una banale scusa per prevenire attenzioni potenzialmente indesiderate da parte di una persona che conoscevo a stento, ma le cose sono cambiate nel corso degli anni. Sono interessato all'avere una relazione di tipo sentimentale con te. Ora, è palesemente chiaro che lo sei anche tu; però se preferisci posso continuare a fingere di non conoscere il contenuto di quelle lettere e chiederti cosa pensi della questione."
Quel discorso gli provocò un misto di sensazioni contrastanti: da un lato il caldo buono derivato dalla consapevolezza che Sherlock voleva che stessero insieme, dall’altro l’incredula rabbia all’idea che Sherlock avesse frugato fra documenti evidentemente privati.
"Sapevi delle lettere?"
"Certo che sì. Non c'è nulla in questa casa di cui io non conosca l'esistenza."
"Le hai lette?"
"No. Per quanto potrà sembrarti strano conosco il concetto di privacy. Ho solo fatto delle deduzioni piuttosto precise sul loro contenuto, tenendo conto dei resoconti delle tue sedute terapeutiche che Mycroft mi ha fornito, lo specifico, senza che io li avessi richiesti; ricavandone la convinzione che il mio interesse fosse ricambiato."
"Tu hai letto... "
Fece appello a tutto il suo autocontrollo per tentare di calmarsi e non fracassargli lo zigomo sinistro con un pugno. Tentò invece di razionalizzare e di concentrarsi sulle cose importanti: Sherlock non aveva letto senza il suo permesso quelle lettere che fino a poco tempo prima considerava così private, Sherlock ricambiava i suoi sentimenti. Questo era l’importante.
"Lasciamo stare. Avrei dovuto immaginarlo."
Esitante, posò una mano sui capelli del detective, carezzandoli brevemente, ancora troppo stupito dal fatto che fosse legittimo per lui fare una cosa del genere.
"Come al solito hai capito le cose prima di me."
"Oh, non farne un dramma John. Il mio intelletto è decisamente superiore alla media, non c'è nulla di cui vergognarsi."
Il medico avrebbe potuto risentirsi e offendersi, avrebbe potuto continuare a bisticciare per ore ed ore. Del resto erano molto bravi a farlo – avevano anni di esperienza alle spalle – e, forse, era il modo giusto per loro di affrontare certe questioni. Però decise che quello era il momento di smettere e si liberò semplicemente in una risata a cui Sherlock rispose con un tentativo di sorriso.
"Darmi quei fascicoli è stata una specie di dichiarazione da parte tua, vero? Suppongo che anche il bacio di ieri fosse una cosa del genere."
"In realtà quello è dipeso esclusivamente dal fatto che per poco non ci hai fatti scoprire. A dirla tutta, se avessi potuto avrei preferito evitare."
La risata di John si fece sonora e appoggiò una mano sulla spalla di Sherlock, scuotendolo lievemente in un gesto di falso rimprovero.
"Diavolo, stai dicendo che bacio così male?"
"Non fare domande di cui consoci già la risposta, John Tre Continenti Watson." commentò Sherlock con un sopracciglio alzato e l’espressione più comica che John gli avesse mai visto sul volto, ovvero un misto di ilarità e di qualcosa che in mancanza di un termine più adatto avrebbe definito come infastidita gelosia.
"Ora che ci penso... se pensavi che avessimo già una relazione per quale motivo hai insistito perché ti baciassi io? Avresti potuto farlo tu fin dal principio."
"I risvolti sentimentali di una relazione sono qualcosa di ben diverso da quelli fisici. Francamente non avevo idea di quali fossero i tuoi pensieri in merito alla questione, non sapevo se avresti voluto che le cose si evolvessero in quel senso. Ho pensato fosse giusto darti almeno la possibilità di pensarci su per qualche attimo."
La verità, John lo capì subito, era che Sherlock aveva temuto che il suo interesse fosse del tutto platonico e aveva avuto il timore di rompere il loro equilibrio, esattamente come l’aveva avuto lui. Distorse la bocca in una smorfia dispiaciuta di fronte a quell’evidenza, riportò la mano fra i capelli dell’altro e si impegnò in una carezza più convinta, posando contemporaneamente la fronte su quella dell’altro.
"Hai pensato che non fossi assolutamente interessato."
"Per una manciata di secondi, sì. Poi ti sei aggrappato al mio cappotto come se volessi strapparmelo di dosso e ho dovuto rivalutare le mie deduzioni."
A quella parole John emise una risatina nervosa, sperando che il suo viso non fosse rosso tanto quanto lo sentiva caldo.
"Cristo... ma non dovresti essere tu quello in imbarazzo di fronte a tutto questo?"
"Per l'amor del cielo, non penserai davvero che io abbia superato i trent'anni senza aver mai baciato qualcuno, vero?"
"A cose del genere ho sempre preferito non pensare, in realtà."
"Pensavo avessi imparato a non prendere per oro colato tutto ciò che dice Mycroft. Non è un ambito in cui sono particolarmente competente, te lo concedo, ma a livello teorico ho ben presente quali siano le dinamiche fisiche di una coppia di amanti; senza contare che, comunque, al college ho condotto una sperimentazione parziale in tale campo."
"Parziale, eh?"
John non sapeva bene come sentirsi all’idea che Sherlock avesse comunque una qualche esperienza di tipo sessuale. Da un lato provava un lieve senso di gelosia, dall’altro era sollevato all’idea che fra loro le cose sarebbero state meno complicate di quanto avesse immaginato.
"Dopo qualche tentativo mi sono reso conto che la cosa non suscitava il mio interesse."
"E ora?"
Sherlock gli regalò un ghigno che non faceva presagire nulla di nuovo, osservandolo da sotto le ciglia con un’espressione lievemente malvagia.
"Ora suscita il mio interesse abbastanza da poter dire che hai due subito due otturazioni dentali, una al canino destro dell'arcata superiore ed una al primo molare sinis- "
"Oh, chiudi il becco e facciamo pratica."
John lo afferrò per il bavero della camicia e se lo strinse contro, posando le labbra sulle sue in un bacio dolce, ben diverso da quello della notte precedente. Le labbra di Sherlock erano morbide, probabilmente le più soffici che avesse mai baciato; avvertì nella sua bocca il sapore pungente della menta del suo dentifricio e quello avvolgente del tè che aveva bevuto poco prima. Il detective gli stringeva una spalla con una mano e con l’altra tormentava il fianco del suo maglione, inspirando rumorosamente di tanto in tanto.
Era tutto incredibilmente perfetto.
Si separarono dopo un tempo che non avrebbe saputo definire ma che, a suo parere, era stato comunque troppo corto. Sherlock però sembrava avere tutta l’aria di star per svenire per il debito di ossigeno, inoltre il medico sentiva di dover chiarire ancora un ultimo punto.
"Sherlock."
"Mh?"
Il detective rispose mugugnando, le labbra arrossate dischiuse in un’espressione – per la prima volta in tutta la sua vita – poco intelligente, gli occhi resi lucidi dal languore.
"Sei serio su questa cosa? Voglio dire, non è una specie di esperimento, vero? Perché per me è una questione mortalmente seria. Non ho messo in discussione metà delle mie certezze per poi farmi sbattere una porta in faccia, sia chiaro."
"Vuoi una dichiarazione in grande stile?"
John scosse la testa, scendendo finalmente dalla poltrona per inginocchiarsi di fronte al compagno e prendendogli il volto fra le mani in un gesto che sperava esprimesse tutta la tenerezza che provava in quel momento.
"No. Non sarebbe da te. Voglio solo essere sicuro che tu sia coinvolto quanto lo sono io."
Sorridendo ironico, Sherlock prese una delle sue mani e se la posò sul petto.
"Ho le pupille dilatate, il respiro accelerato e, come puoi sentire piuttosto chiaramente, una tachicardia di media entità. Inoltre ti comunico che, come da te esplicitamente richiesto, ho infine spedito un messaggio di invito per la festa di stasera anche a mio fratello, nonostante la mia viva contrarietà. Ti basta come risposta, per il momento?"
"Direi di sì."
Il detective si chinò verso di lui, sicuramente per ricominciare a baciarlo, lui però lo tenne ad un respiro di distanza premendo con la mano che ancora riposava sulla stoffa liscia della camicia dell’altro.
"Dobbiamo ancora impacchettare i regali e pulire la casa prima che arrivino tutti per l'aperitivo e la festa di stasera."
"Sai che ti dico John? Mi interessa ancor meno di quanto mi interessasse ieri."
Il medico rise, agganciando una mano al collo del compagno e tirandoselo finalmente vicino, stringendolo contro il maglione natalizio che Sherlock sicuramente detestava e posandogli un bacio sulla punta del naso, fredda nonostante il momento e il camino acceso.
"Francamente? Non interessa nemmeno a me."
  
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