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Autore: Echocide    03/01/2018    2 recensioni
Tanto tempo fa, in un paese lontano lontano, un giovane principe viveva in un castello splendente, benché avesse tutto quello che poteva desiderare, il principe era viziato, egoista e cattivo. Accadde però che una notte di inverno una vecchia mendicante arrivò al castello e offrì al principe una rosa in cambio del riparo dal freddo pungente.
Lui, che provava repulsione per quella vecchia dal misero aspetto, rise del dono e la cacciò, ma lei lo avvertì di non lasciarsi ingannare dalle apparenze, perché la vera bellezza si trova nel cuore.
Il principe la respinse di nuovo e in quel momento la bruttezza della mendicante si dissolse ed apparve una bellissima fata.
Il principe si scusò, ma era troppo tardi, perché lei ormai aveva visto che non c'era amore nel suo cuore e per punirlo lo tramutò in una orrenda bestia e gettò un incantesimo sul castello e su tutti i suoi abitanti.
Se avesse imparato ad amare e fosse riuscito a farsi amare a sua volta prima che fosse caduto l'ultimo petalo, l'incantesimo si sarebbe spezzato.
Con il passare degli anni il principe cadde in preda allo sconforto...
Chi avrebbe mai potuto amare una bestia?
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Altri, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: La bella e la bestia
Personaggi: Marinette Dupain-Cheng, Adrien Agreste, Altri
Genere: romantico, fantasy
Rating: G
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 2.547 (Fidipù)
Note: Che dire? Questo capitolo è stato un vero e proprio parto, perché...beh, diciamo che sono stata molto indecisa su cosa sarebbe stata la molla scatenante, lo trovavo leggermente sciocco ma poi mi sono ricordata del carattere di Marinette e di una cosa che odia veramente tanto, soprattutto quando la coinvolge personalmente, quindi mi son detta? Perché no? Perché non fare veramente così? Quindi ecco come è nato questo capitolo e...sì, penso che molti di voi avranno i miei stessi pensieri mentre leggeranno ma...beh, è una favola e nelle favole i personaggi non agiscano mai secondo logica (cosa non si fa per arrampicarsi sugli specchi).
Detto ciò...beh, andiamo come sempre a ricordarvi la pagina facebook, dove potrete restare sempre aggiornati, avere piccole anteprime e leggere i miei deliri. E il gruppo Two Miraculous Writers gestito con kiaretta_ scrittrice92.
Detto questo, come sempre, ci tengo tantissimo a ringraziare tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!

 

 

Marinette osservò gli abiti disposti sul letto, sorridendo e allungando le mani, sfiorando il broccato rosso scuro del gilet e seguendone la trama floreale: un capo di abbigliamento che non avrebbe mai indossato in vita sua, se non fosse finita in quella casa. Mikko aveva abbinato a ciò anche altri indumenti, creando una mise elegante e adatta a lei.
Dopo le insistenze iniziali, Mikko e Tikki si erano arrese davanti ai suoi costanti rifiuti di indossare abiti che, nonostante la bellezza e magnificenza, le risultavano scomodi per muoversi e lavorare nell’officina: «Oggi siete proprio luminosa» commentò l’enorme guardaroba, agitando le ante e i cassetti, facendo sorridere la ragazza mentre si sedeva sul letto per infilare gli stivali di morbida pelle scura: «Una luce che, oserei dire, innamorata.»
«Co-co-cosa?»
Mikko gorgogliò alla voce della giovane, che incespicava sulle parole, ignorando lo sbuffò infastidito e il discorso senza senso che lo seguì. Marinette s'imbronciò, iniziando a vestirsi e rabbrividendo appena quando sentì la stoffa fredda contro la pelle: «Io non…» bofonchiò, ritrovando un po' di padronanza di se stessa e scuotendo il capo: «Io non sono innamorata.»
«Certamente» commentò l'armadio, aprendo le sue ante e mostrando lo specchio interno: Marinette sorrise al proprio riflesso, finendo di allacciare i bottoni scuri del gilet e osservando la propria figura, notando come la camicetta candida risaltava contro la stoffa scura del gilet e della gonna corta a balze: «Posso suggerire un paio di parigine nere?» buttò lì Mikko, mentre un cassetto si apriva e mostrava le calze: «Direi che sono perfette per la mise odierna, a cui penso abbinerà i suoi soliti stivali.»
«Beh, vado in officina perché dovrei mettermi delle altre scarpe?»
«Quello che mi chiedo anche degli abiti, madamoiselle» commentò l'armadio, richiudendo il cassetto non appena Marinette prese le calze: «Che motivo avete di vestirvi così elegantemente, se poi passerete tutto il tempo con quel vecchio brontolone di Vooxi?»
«E-ecco…» Marinette deglutì, sedendosi sul letto e iniziando a infilarsi le calze, cercando di trovare una risposta per Mikko che non implicasse in nessun modo il padrone di casa: poteva negarlo a parole, rifiutarsi di ammettere ciò che, in verità, sapeva benissimo.
Cercava di essere carina per lui, tentava in ogni modo di attirare la sua attenzione e questo perché…
Si morse il labbro, scuotendo appena la testa e alzandola, notando gli stivali già pronti nel ripiano inferiore dell'armadio: le sue vecchie scarpe erano state pulite e tirate a lucido e, sebbene consumate in alcuni punti, non sembravano da buttare, come sempre aveva pensato sua madre.
Si alzò e afferrò le calzature per i lembi, portandosele al petto e stringendole con forza, mentre chinava la testa e inspirava l'odore di cuoio: «Qualcosa non va, madamoiselle?» domandò Mikko, facendola sorridere appena per il tono premuroso e preoccupato che aveva subito assunto: «Io non volevo…»
«Stavo solo pensando a casa. A mia madre» mormorò Marinette, sedendosi nuovamente sul materasso e infilando senza problemi, la calzatura sinistra, stringendo i lacci con forza e tirando appena su con il naso: «Ormai manco da…» si bloccò, storcendo la bocca e fissando il pavimento: «Starà bene? Si starà preoccupando? Non le ho fatto avere nessuna notizia e papà…»
«Madamoiselle…»
«Quando potrò vederlo? Quando guarirà? Vorrei solamente vederlo, ma Plagg e Wayzz me lo vietano, dicendo che è pericoloso.»
«Ecco, madamoiselle…» Mikko si zittì, incapace di continuare il discorso e immergendosi nel silenzio: avrebbe voluto dire qualcosa a quella ragazza che aveva iniziato ad apprezzare nel periodo passato assieme, rivelarle la verità e parlare dell'inganno perpetrato alle sue spalle; allo stesso tempo, però, non voleva poiché l'unico a rimetterci sarebbe stato il padrone e non voleva, non ora che erano così vicini a spezzare la maledizione e tornare umani.
Era un pensiero egoistico e lo sapeva fin troppo bene, ma cosa poteva fare?
Marinette la ignorò, avvicinandosi alla toelette e prendendo la spazzola, ridacchiando a qualcosa che la cameriera trasformata le stava dicendo e poi pettinandosi i capelli e sistemandoli in una treccia: «Mikko?» il richiamo riportò l'armadio al presente e lei aprì e chiuse le ante, come a far intendere che era attenta a ciò che le stava per dire: «Grazie.»
«Per cosa, madamoiselle?»
«Per avermi ascoltato» dichiarò Marinette, sorridendo appena e uscendo poi velocemente dalla stanza: non merita i ringraziamenti di quella fanciulla, non meritava neanche un sorriso. La stava ingannando, come tutti in quel luogo: il padre, per cui era tanto preoccupata, era scappato e nessuno di loro sapeva dove si trovasse, poteva essere tornato a Parigi oppure essere disperso per il bosco che circondava il maniero, o ancora…
Mikko aprì le ante, richiudendole subito e cercando di non pensare all'opzione peggiore di tutte.


Adrien poggiò il piede metallico sul pavimento lastricato, valutandone la mobilità dei legamenti e sorridendo appena: «Come lo senti?» domandò Marinette, poggiando il cacciavite nella cassetta e passandosi il dorso della mano sulla fronte, inclinando la testa e studiando l'arto di metallo: «Ho cercato di stringere meglio alcuni bulloni, però…»
«Meglio» commentò il giovane, facendo qualche passo e sorridendo, zoppicando ancora ma sentendo che l'arto seguiva meglio i movimenti della sua parte umana: «Direi che va molto meglio rispetto a prima.»
«Ci credo! Avevi due vite arrugginite, lo sai?»
«Oh. Davvero?»
«Possibile che non te ne sia mai accorto?»
«Non ci facevo caso. Non è il mio campo, ecco.»
«E quale sarebbe il tuo campo, allora?» domandò Marinette, chinandosi e sistemando gli attrezzi nella cassetta, sentendo Adrien avvicinarsi e cogliendo un movimento con la coda dell'occhio, voltandosi e notandolo mentre si abbassava, trovandolo fin troppo vicino a lei: «A-adrien?»
«Il mio campo, dici? Sicuramente è quello di ammaliare il prossimo, rendere il mondo un posto migliore con la mia splendida presenza, conquistare giovani fanciulle e…» si fermò, piegando le labbra in un sorriso e piegandosi verso di lei, tanto che Marinette avvertì il fiato sulla pelle e rabbrividì: «E non scordiamoci la mia istruzione: so suonare il piano perfettamente e sono incredibilmente bravo in ogni ambito di cui un gentiluomo debba avere conoscenza. Ah, e mi piace studiare.»
«Ecco perché sei sempre con un libro in mano» mormorò Marinette, chiudendo la cassetta degli attrezzi e indugiando con le dita su di questa, incapace di alzarsi e distruggere il momento che avevano creato: «Ti piace studiare, quindi?
«Mio padre era solito dire che un uomo è libero quando ha la conoscenza nella sua mano» le rispose Adrien, facendole un occhiolino e prendendo la cassetta per il manico, sollevandola senza fatica mentre si rialzava: «Inoltre posso fare ben poco in questa situazione, quindi perché non rendersi una persona migliore e ampliare la propria conoscenza?»
«Giusta osservazione.»
Adrien le sorrise, sollevando appena la cassetta e inclinando la testa, guardandola negli occhi e facendole sentire le gambe deboli e lo stomaco dolente: «Questa vuoi riportarla in officina?» le chiese e Marinette annuì con la testa, sentendo incapace di articolare una frase con un senso compiuto.
«Andiamo, allora.»


«Le cose stanno andando bene. Non credete?» Wayzz si voltò verso gli altri, cercando un consenso alle sue parole e sorridendo quando notò Plagg e Tikki al suo fianco, osservando i due giovani che camminavano nel giardino, ignari degli sguardi indiscreti che li seguivano: «Ancora poco e la maledizione si scioglierà.»
«Mikko mi ha detto che stamattina, Marinette ha chiesto del padre» mormorò Tikki, sbuffando appena e facendo fuoriuscire una voluta di vapore dal beccuccio: «Non possiamo continuare a nasconderglielo.»
«Questo è successo perché qualcuno qui ha voluto liberarlo» bofonchiò Plagg, agitando uno dei bracci metallici e voltandosi verso l'orologio: «Non è vero, Wayzz?»
«Mi sembrava una buona idea.»
«Dovremmo dirle la verità.»
«Tikki, manca veramente poco...»
«Non la prenderà bene se lo scopre da sola.»
«Oh, andiamo! E' una sciocchezza! Sono certo che la ragazza farà un po' di storie ma poi le passerà» Plagg sorrise, poggiandosi contro il vetro e sorridendo: «Insomma, non è che abbiamo ucciso qualcuno, le abbiamo solamente taciuto una cosa e fatto credere un'altra.»
«Ma tu hai imparato a conoscere quella ragazza o no?»
«Certamente! E posso dire che perdonerà qualsiasi cosa al padrone. Ne sono certo, mia meravigliosa Tikki.»
La teiera sbuffò, facendo tremare appena il coperchio mentre saltava dal davanzale al carrello portavivande: «Sai, Plagg, alle volte vorrei avere la tua testa vuota» commentò, prima di allontanarsi dai due e dirigersi verso la cucina.
«Non ho capito…» Plagg si voltò verso Wayzz e inclinò appena la testa, portandosi un braccio alla candela che teneva sulla sommità quando la sentì scivolare: «Mi ha fatto un complimento o mi ha offeso?»
«Penso la seconda, amico mio.»

 

Marinette sorrise all'appendiabiti che le posò davanti il vassoio, scoperchiandolo e rivelando la prima portata del pranzo di quel giorno: si chinò, inspirando appena il vellutato profumo della verdura e afferrando il cucchiaio, immergendolo nella crema verde pastello e sollevandolo, soffiando appena sopra, mentre la sua mente andava all'uomo che era in una stanza, da qualche parte in quel maniero.
Forse era stato il discorso con Mikko, forse si era svegliata da quella fiaba a occhi aperti che stava vivendo, ma mai come quel giorno il pensiero del genitore era stato così vivido: voleva avere sue notizie, qualcosa di più concreto del solito 'è come sempre' che gli propinavano ogni giorno, voleva vederlo.
Alzò la testa, osservando Adrien immerso nella lettura e completamente ignaro dei suoi pensieri, finché lui non alzò lo sguardo dalle pagine e la fissò in attesa, quasi domandandole con lo sguardo quale fosse il problema che l'attanagliava: «Adrien, posso chiederti una cosa?» Marinette si fermò, notando lo sguardo del padrone di casa posarsi su di lei, mentre abbassava le posate e le poggiava sul piatto: «Dove è mio padre? Vorrei andare a trovarlo.»
Il ragazzo la fissò, inspirando e copiandone i movimenti, aprendo la bocca e richiudendola: aveva la risposta pronta, la solita bugia che era solita propinarle ogni volta che le domandava del padre ma le parole non volevano uscire e morivano ancora prima di arrivare alle labbra: «Io…» iniziò, fermandosi e chinando lo sguardo, stringendo le dita e sentendosi incapace di alzare lo sguardo: «Io…»
«Tu cosa, Adrien?»
Non voleva mentirle, non voleva continuare a imbastire quel castello fatto di illusioni.
Non a lei che era diventata così importante per lui.
«Tuo padre non è qui, Marinette» mormorò, senza rialzare lo sguardo, stringendo le labbra e sentendo il peso di quelle parole calare nella stanza: i servitori avevano smesso di ciarlare e nessun suono proveniva dalla ragazza; rimase a fissare il piatto e la crema di verdure al suo interno, fino a quando non sentì il rumore di una sedia che cadeva e alzò la testa, osservando Marinette correre fuori dalla stanza.
«Padrone!» il richiamo risentito di Plagg gli scivolò addosso, mentre si alzava con lentezza e poggiava le mani sul tavolo di legno, gravitando tutto il peso del suo corpo: «Perché gliel'avete detto? Eravamo così vicini…voi…»
«Non volevo continuare a mentirle» mormorò Adrien, scostando appena la sedia e avanzando verso l'uscita della sala da pranzo, zoppicando appena e fermandosi appena oltre la porta, guardando il piccolo corridoio che portava all'androne del maniero: sapeva dove lei si era diretta, lo sentiva dentro di sé e seguì quell'istinto, dirigendosi verso l'androne e uscendo dalla casa, trovandola appena fuori dalla porta e con lo sguardo rivolto verso il cancello di metallo alla fine del giardino.
«Perché lo avete fatto?» Marinette sussurrò appena quelle parole, voltandosi e fissandolo con il mento alzato, lo sguardo leggermente umido: «Sono stata qui per tutto questo tempo, pensando che mio padre stesse male e non potendo fare nulla per lui! Ogni giorno cercavo mille modi per distrarmi e cosa scopro? Che mi avete mentito!»
«Posso spiegarti…»
«Cosa? Il perché di tutta questa bugia?» la ragazza sbottò, allargando le braccia e facendo un passo indietro, scuotendo il capo: «Rivoglio il mio cavallo e il carro» dichiarò, arretrando ancora: «Non voglio più rimanere qui. Voglio andare da mio padre e…»
«E cosa? Tu lo sai dov'è, Marinette?»
«No. Non lo so! Io pensavo che fosse in una stanza di questo dannato castello! Dov'è? Tu lo sai?»
«Non puoi andare…»
«Sì, che posso. Vuoi forse impedirmelo?»
«Marinette…» Adrien allungò le mani, facendo un passo in avanti e fermandosi, non appena vide la ragazza scendere velocemente due gradini; socchiuse gli occhi, cercando di non vedere così le emozioni che passavano nello sguardo di lei: c'era rabbia e lo sentiva dalle sue parole, c'era delusione e c'era anche tristezza: «Quando sei giunta qui, Wayzz aveva liberato tuo padre ma poi, sia lui che Plagg hanno…beh, hanno detto quel che hanno detto ed io…»
«Tu hai mentito come tutti loro. Mi hai fatto credere…»
«Sì, sono stato loro complice. Hai ragione.»
Marinette si strinse nelle spalle, sentendo il corpo svuotarsi e lasciarla completamente priva di ogni emozione: la rabbia che aveva provato subito, non appena Adrien aveva bisbigliato le poche parole che avevano dato il via a tutto era scomparsa, lasciandola senza niente, voleva semplicemente andarsene.
Voleva vedere suo padre e sua madre, nascondersi nella sua mansarda, fra le sue invenzioni malfunzionanti e…
E non sapeva neanche lei cosa.
Non comprendeva più niente: né come si sentiva, né quello che provava verso Adrien.
Voleva solo…
«Voglio andare a casa mia» mormorò, dando così voce ai propri pensieri e fissando la persona davanti a lei, osservando il volto deformato ormai ben familiare: «Voglio…»
«Faccio preparare il tuo cavallo e il carro» decretò Adrien, voltandosi e avanzando verso la porta del maniero: «Puoi aspettare qui» continuò, zoppicando verso l'interno e non aspettando nessuna risposta, ritornando nell'androne e osservando la servitù che fissava in attesa: «Wayzz, puoi far preparare il cavallo di Marinette?» domandò, osservando l'orologio da tavolo balzare in avanti e trotterellare deciso verso l'esterno dell'abitazione.
Adrien li superò tutti, ignorando il suono ritmico che lo seguiva e salendo le scale: «Non ora, Plagg» dichiarò, socchiudendo gli occhi e fermandosi a metà scalinata, cercando di ignorare tutto ciò che sentiva: il senso di colpa, la speranza infranta, il vuoto, tutto si mischiava in un dolore sordo che sembrava quasi volerlo uccidere.
Ora comprendeva cosa volesse dire soffrite per amore.
«Quella ragazza se la prende troppo per delle sciocchezzuole» commentò Plagg, balzando sui gradini e superandolo: «Non credete, padrone?»
«Sciocchezzuole? Plagg! Le abbiamo fatto credere che il padre fosse in fin di vita!»
«Tikki, gradirei che in certe situazioni tu non mi dessi contro, ma mi sostenessi.»
«Conosciamo madamoiselle, Plagg, l'abbiamo imparato a fare durante il suo soggiorno qui e sai cosa ti dico? Quella è una ragazza sincera e leale, quasi sicuramente odia le bugie così come io odio la puzza del camembert e tutto quello che abbiamo fatto l'ha sicuramente ferita profondamente!»
«Oh, andiamo.»
«No, niente 'oh, andiamo', Plagg.»
«Tikki, vorrei ricordarti che la tua ragazza sincera e leale, è anche quella che dovrebbe spezzare la maledizione e, al momento, sembra più intenzionata a ucciderci tutti che a dichiarare il suo amore per il padrone.»
«Ha solo bisogno di tempo.»
«Ma noi non ce l'abbiamo il tempo, Tikki! I petali ormai sono veramente pochi e quando l'ultimo cadrà…»
«Ora basta» Adrien ascoltò il silenzio che seguì le sue parole, inspirando e lasciando andare poi l'aria: «Basta. Vi prego, finitela. Lasciate perdere la maledizione, lasciate perdere tutto. Voglio solo…»
«Padrone.»
«Sono nelle mie stanze, lasciatemi da solo.»

 

   
 
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