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Autore: Kara    07/01/2018    6 recensioni
Una compilation di canzoni natalizie e tante storie intrecciate.
"A cosa brindiamo?" Quando tutti furono serviti, Mamoru si girò verso il padrone di casa.
"Credo che non ci sia cosa migliore dell'amicizia." Sorrise Yuzo, alzando in alto il suo flûte.
"E amicizia sia!"
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Quando a inizio dicembre Melantò mi ha detto che non aveva tempo per scrivere la consueta shot natalizia le ho detto: Potrei pensarci io. Uso la tua stessa formula, dovrei fare in tempo. Ah Ah Ah. Le ultime parole famose. Purtroppo non avevo messo in conto che avrei litigato con un paio di personaggi e con il tempo, troppo risicato per il mio modo di scrivere e la logorrea! Non dimentichiamo la logorrea. LOLLLLLL
Comunque sono riuscita a terminarla, anche se fuori tempo massimo dal momento che le feste sono finite ieri. 

 

Christmas story

 

Have yourself a merry little christmas
 

Here we are as in olden days,
Happy golden days of yore.
Faithful friends who are dear to us
Gather near to us once more.

Through the years we all will be together
If the Fates allow
Hang a shining star upon the highest bough.
And have yourself a merry little Christmas now

Yuzo fece scattare l'apertura del cancelletto e spalancò la porta di casa, lasciando che un refolo di aria fredda si insinuasse all’interno. Alle sue spalle, in fondo al corridoio, si riverberavano le luci a intermittenza del grande albero di Natale, decorato con palline e festoni nei colori caldi del bronzo e dell’oro, che campeggiava nel salone.
Con la mano sullo stipite e l'altra sul fianco, osservò i suoi ospiti percorrere il vialetto di mattoni che attraversava il giardino e rivolse un largo sorriso al primo dei due che raggiunse la porta, spostandosi per lasciarlo entrare.
“Ciao, Mamoru. Buon Natale!”
“Cazzo se fa freddo!” salutò di rimando il giocatore dei Marinos, sgusciando velocemente alle sue spalle. “Quel cazzone mi ha fatto gelare anche il culo prima di convincersi a venire.” Brontolò, togliendosi il capello di lana e iniziando a sbottonare il cappotto nero. “Dimmi che hai qualcosa di caldo da bere. Ora come ora mi accontento anche di quel tuo tè puzzolente, basta che raggiunga temperature laviche”. Appese l'indumento a una gruccia e si strofinò le mani. "Ho anche dimenticato i guanti a casa, porcocazzo!"
“Il mio tè non è puzzolente! Comunque, in cucina c’è del sakè caldo se Ryo non se l’è già scolato tutto.” Rise Yuzo, seguendolo con lo sguardo mentre calciava via le scarpe e si dirigeva lungo il corridoio, imprecando all’indirizzo del compagno di nazionale, già giudicato e condannato ancora prima di averne accertato il misfatto. Scuotendo la testa divertito, il portiere spostò le iridi nocciola sul ragazzo che stava salendo i gradini del portico con passo strascicato. Il sorriso si trasformò in una smorfia e il suo sguardo si fece preoccupato nel notarne il viso tirato e l’atteggiamento dimesso. Hajime Taki si stava avvicinando alla porta con fare esitante, le mani infilate dentro il piumino color panna e le spalle curve; sul viso l’espressione di chi avrebbe voluto trovarsi ovunque tranne che lì.
“Ciao, Hajime, buon Natale.” Yuzo ignorò il mezzo borbottio che ottenne in risposta e lo tirò dentro casa, chiudendo con decisione la porta alle sue spalle. “Vieni, togliamoci da questo freddo. Dammi il giaccone che lo metto via. Lì ci sono le pantofole per gli ospiti. Hai visto che cielo? Credo che ormai manchi poco, farà una nevicata con i fiocchi.” Continuando a chiacchierare lo scortò lungo il corridoio, in direzione del salotto. “Serviti pure se vuoi, gli altri arriveranno a breve.” Con un cenno della testa indicò gli antipasti già disposti sul ripiano della credenza ma il centravanti dei Verdy, dopo aver rivolto solo un’occhiata distratta ai piatti pieni di cibo, si avvicinò alla finestra e si mise a guardare fuori con aria assente.
Con un sospiro Yuzo tornò sui suoi passi e quasi si scontrò con Mamoru. Il centrocampista era apparso improvvisamente sulla porta del salotto; in una mano teneva un bicchierino di sakè fumante e con l’altra stava armeggiando con il cellulare.
“Nessuna notizia, ne deduco.” Affermò Yuzo a bassa voce, non appena l’altro fece scivolare l’oggetto in tasca con un gesto spazientito.
“Macché!" La risposta giunse nello stesso tono. "Oh! Ma quando gli metto le mani addosso lo accoppo. Te lo garantisco!” Mamoru lo guardò con la fronte aggrottata. “Non risponde né alle telefonate, né agli sms e nemmeno alle mail. Se sapessi dove trovare un corvo, proverei anche con quello!”
Yuzo accennò un breve sorriso. “Lascialo stare, inutile assillarlo. Quando sarà pronto si farà sentire.”
“Io non assillo nessuno! Sono solo preoccupato. Metti che gli è successo qualcosa…”
“E cosa dovrebbe essergli successo?” chiese il portiere sollevando un sopracciglio con aria scettica, superandolo e dirigendosi verso la cucina.
“E che cazzo ne so io? Magari è in fondo a un precipizio, oppure è stato rapito da un sadico o disperso in Africa. Chi può dirlo?” gli si accodò Il giocatore dei Marinos, gesticolando e facendo travasare il sakè, scottandosi le dita. “Eccheccazzo!”
“Ma sei serio?” Yuzo si bloccò fuori della cucina e si girò verso il compagno di nazionale. Con le mani sui fianchi lo guardò succhiarsi il pollice per lenire il dolore.
“Com’è che invece tu sei così tranquillo? Non è da te.” ribatté l’altro, abbassando la mano e fissandolo a sua volta con sguardo indagatore. “Non è che sai qualcosa che io non so?”
“No, Mamoru, come te brancolo nel buio.” Sospirò Yuzo, facendo una smorfia. “Ma se non sono disposti a parlarne con nessuno dobbiamo rispettare la loro volontà. In una coppia ci sono cose troppo intime per essere condivise con gli altri. E sono sicuro che nemmeno tu vorresti conoscerle tutte.”
Mamoru fece per ribattere ma poi ci ripensò nel vedere lo sguardo allusivo con cui l’amico lo stava fissando. Aveva ben capito dove il portiere voleva andare a parare e non aveva nessuna intenzione di assecondarlo. Anche perché Yuzo aveva ragione: c’erano cose dei suoi amici che lui non voleva sapere. Per la sua sanità mentale, soprattutto.
“Uno a zero per te.” Grugnì entrando in cucina, seguito a ruota da uno Yuzo ridacchiante. “L’hai sentita?”
“Sì.”
“E che ha detto?”
“Nulla di che. Aveva molto da fare, ha dovuto attaccare subito.” Yuzo si avvicinò al forno per controllare la cottura del pesce. “Questo è pronto.” Infilò i guanti ignifughi e tirò fuori due teglie fumanti che dispose sul bancone di lavoro. “Cotti a puntino.” Con aria soddisfatta rimirò il suo lavoro: tra marinatura e cottura aveva impiegato diverso tempo ma ne era valsa la pena. Sfilò i guanti e aprì il pensile sotto il piano di quarzo.
“Ha provato a tenersi libera ma non c’è riuscita.” Spiegò Mamoru, sedendosi su uno degli alti sgabelli dall’altro lato del bancone. Poggiò i gomiti sul basso schienale e lasciò un piede libero di ciondolare. “Di solito le piace fare il turno di Natale ma quest’anno non è così. Non era molto contenta quando è uscita di casa.”
“Lo so.” Il portiere si rialzò tenendo in mano due lunghi piatti da portata. Li poggiò vicino alle teglie con il pesce e sollevò lo sguardo sull’amico, sul viso un’espressione tra il dispiaciuto e il rassegnato. “Dispiace molto anche a me perché è il primo Natale ma non si può fare diversamente. Facciamo entrambi un lavoro che comporta orari poco consoni e dobbiamo avere una certa flessibilità se vogliamo che funzioni. Comunque andrò a prenderla alla fine del turno.”
Mamoru lo scrutò, piegando la testa di lato. I lunghi capelli color inchiostro gli scivolarono su una spalla con un movimento leggero e Yuzo si perse a fissarli, trovandoli così simili a quelli che amava tanto, anche se, a differenza di quelli di Mamoru, i fili di lucida seta nera in cui non voleva altro che perdersi erano molto più corti. Quella somiglianza lo fece sorridere ma acuì ancora di più il dispiacere di non poterne avere accanto la proprietaria. E, anche se erano reduci da due settimane di vacanze, quella continua vicinanza, cosa rara per due persone che abitavano in città diverse, aveva reso, se possibile, ancora più penoso lo stare lontani.
“E’ la prima volta che ti vedo così preso da qualcuno.” In un altro momento, e con qualcun’altra, Mamoru non gli avrebbe dato tregua e lo avrebbe perculeggiato come se non ci fosse un domani, ma con quella ragazza in particolare proprio non se la sentiva: perché anche lui, come Yuzo, l'amava profondamente. Inoltre, in un angolo remoto del suo animo, temeva ripercussioni sulla sua amicizia con il portiere nel caso in cui tra i due le cose non fossero andate bene e l'ultima cosa che voleva era perdere uno dei suoi migliori amici.
“Forse perché lo sono?” Yuzo finì di impiattare il pesce e aprì una bottiglia di vino. Versò il liquido ambrato e fece il giro del bancone. Sedendosi di fronte all’amico gli tese uno dei due calici. “Se ci penso mi sembra tutto così incredibile. Quant’è che ci conosciamo? Dodici anni? Tredici?” Sorrise di fronte alla sua stretta di spalle. “E in tutti questi anni non è mai stata nulla di più che un’amica.”
“Che aveva una cotta per te!” puntualizzò Mamoru, afferrando il bicchiere che l’altro gli porgeva. Fece roteare piano il vino e lo portò alle labbra, assaporandone il gusto fruttato.
“Già. E tu sei stato davvero pessimo, con le tue battut6, Mamoru. Me lo ha raccontato, sai? Mi ha detto che le hai reso la vita impossibile. Ora mi spiego perché durante l’ultimo anno di liceo mi ha evitato come la peste. Come mi vedeva, cambiava strada.” Gli scoccò un’occhiataccia nel vederlo sghignazzare divertito.
“E tu non capivi perché!” Il centrocampista iniziò a ridere apertamente nel ricordare il passato. “Non te ne eri accorto che stravedeva per te e mi chiedevi in continuazione perché fosse così strana. La cosa bella è che il pensiero non ti ha mai minimamente sfiorato!”
“Ero concentrato su altro!” Il tono piccato di Yuzo fu benzina sul fuoco dell’ilarità di Mamoru che rischiò di scivolare giù dallo sgabello. “Ridi… ridi... Non te la faccio la rianimazione cardio-polmonare se schiatti.” Lo avvertì il portiere nel vederlo piegarsi sul bancone, ansimante e con le lacrime.
“Dovresti essermi grato per averti aperto gli occhi!” Bofonchiò Mamoru cercando di riprendere fiato ma, ogni volta che alzava lo sguardo, l’espressione stizzita dell'altro gli causava un nuovo scoppio di risa.
“Hai ragione… a pensarci bene dovrei esserti davvero grato” la nota melliflua con cui Yuzo gli diede ragione fece smettere di ridere il giocatore dei Marinos, che si raddrizzò e lo scrutò con aria guardinga. Conosceva il portiere da troppo tempo per non mettersi subito sulla difensiva.
“Cosa vorresti dire?” gli chiese, facendo perno sul braccio per sporgersi leggermente verso di lui. Sentiva nell’aria che sarebbe arrivato qualche colpo a sorpresa, quindi meglio abbreviare l’attesa per poter passare subito al contrattacco. Non si sarebbe fatto scappare l'occasione per prenderlo in giro per quel suo essere, su certe cose, così ingenuo.
“Che devo a te la mia felicità.” Yuzo gli sorrise sornione da sopra il bordo del calice. Era evidente che fosse il suo turno di divertirsi, ma Mamoru non era uno che si perdeva facilmente di animo. Quindi, riprese in mano il suo di calice e lo sollevò a mezz’aria.
“Brindiamo a me, allora.” E ammiccò.
Yuzo alzò a sua volta il bicchiere e fece cozzare i due bicchieri. "Alla tua salute."
"Allora?" Mamoru mise giù il vetro dopo essersi appena bagnato le labbra. Era davvero curioso; inoltre, forse, avrebbe saputo qualcosa di più su quella storia che riguardava due tra le persone più importanti della sua vita.
"Allora cosa?" Il portiere fece roteare piano il vino prima di bere un piccolo sorso. Era eccellente, proprio come gli avevano assicurato. Socchiuse gli occhi per gustarne meglio il sapore e si appuntò mentalmente di ringraziare il commesso dell'enoteca per l'ottimo consiglio.
"Perché dovresti essermi grato?"
"Perché dovrei esserti grato..." Yuzo si chinò in avanti e posò i gomiti sulle ginocchia, i piedi appuntati sul ferro inferiore dell'alto sgabello. "Perché se lo scorso Natale non te ne fossi uscito con quella vecchia storia, di cui io appunto non sapevo nulla, e non l'avessi messa così in imbarazzo da farla scappare via, probabilmente ora non staremmo insieme."
"Kamisama, come si è arrabbiata!" Ricordò Mamoru, passandosi una mano tra i lunghi capelli neri e tornando ad assumere una posa scomposta, con la gamba che riprendeva a ciondolare nel vuoto. "Mi ha tenuto il muso per mesi e non mi ha rivolto la parola fino alla quarta di campionato. E anche allora lo ha fatto solo perché mi sono infortunato. Avresti dovuto sentire con che tono mi ha parlato."
"L'ho sentito." Ammise Yuzo, ritrovandosi gli occhi dell'amico appuntati su di lui e spalancati per lo sconcerto. "Eravamo insieme quando ti ha telefonato. In realtà, l'ho praticamente costretta. Lo sai quanto è testarda! Esattamente come te! In questo siete davvero uguali. Be'... non solo in questo." Un piccolo sorriso gli incurvò le labbra nel pensare a quanto fossero simili, sia nell'aspetto che nel carattere. "Era fuori di sé dall'ansia ma allo stesso tempo l'orgoglio le impediva di cedere. Ho fatto il numero e le ho passato il telefono." Scosse il capo. "Per tutti i kami, che teste dure che avete!" Affermò puntandogli un dito contro e ridendo dell'espressione sorpresa dell'altro. "Comunque, per tornare al perché dovresti essermi grato, dopo un paio di giorni da quel pomeriggio l'ho chiamata e le ho chiesto di vederci. Volevo chiarire. Non volevo che pensasse che mi fossi divertito alle sue spalle. Quel giorno sono stato vicinissimo a tirarti un pugno, Mamoru."
"Lo so, eri davvero fuori di te, me ne hai dette di tutti i colori." Un sorrisetto obliquo comparve sulle labbra del giocatore dai lunghi capelli neri. Yuzo perdeva difficilmente le staffe ma quando lo faceva... erano cazzi amari. Riusciva a inchiodare le persone alle proprie responsabilità come nemmeno i dannati romani con i ladroni sul Golgota. "E poi?"
"E poi niente." L'altro fece spallucce. "Abbiamo iniziato a sentirci. Erano un paio di anni che non ci incontravamo e ho scoperto una persona diversa da quella che ricordavo. Siamo rimasti entrambi sorpresi da quanto avevamo da raccontarci. Poi, quando potevamo, abbiamo iniziato a vederci ed eccoci qui." Yuzo abbassò gli occhi sul calice che ancora teneva tra le mani. Nel silenzio che seguì Mamoru non gli tolse gli occhi di dosso. Improvvisamente sembrava nervoso, si mordicchiava le labbra e faceva girare il vino nel bicchiere, muovendolo con movimenti circolari ma senza portarlo alla bocca.
"Mamoru..."
"Dimmi." Il tono ma soprattutto l'espressione grave che era calata sul viso del portiere fecero corrugare le sopracciglia a Mamoru. Senza che se ne rendesse conto la sua espressione divenne lo specchio di quella di Yuzo.
"Non abbiamo mai affrontato l'argomento e ritengo che sia giunto il momento. Non mi hai mai detto cosa pensi della nostra relazione. E' un problema? Voglio dire... è un problema che sia io?" Yuzo pose la questione con semplicità. Non aveva mai parlato con Mamoru della sua relazione con Aiko; in un primo momento perché all'inizio, di comune accordo, avevano deciso di tenerla per loro. Come un fiore raro che sboccia e ha bisogno di cure e attenzioni, avevano cercato di proteggere quel sentimento che stava nascendo, dandogli modo di crescere al riparo dalle ingerenze esterne che inevitabilmente ci sarebbero state, non ultime quelle della stampa. Successivamente, perché non era mai riuscito a trovare il momento giusto  per parlargliene. Tra campionato e vita privata, lui e Mamoru non avevano mai avuto molte possibilità di vedersi e farlo per telefono era una cosa che aveva escluso a priori. Ora che l'occasione giusta era arrivata e prima di compiere il passo successivo, voleva sapere quali fossero i reali pensieri del suo migliore amico. Non che Mamoru gli avesse mai dato modo di pensare che la cosa fosse un problema per lui - certo, quando l'aveva saputo era rimasto sorpreso, come tutti gli altri del resto - ma non aveva mai detto nulla al riguardo e Yuzo riteneva che fosse giunto il momento di mettere le carte in tavola.
"Stai per caso chiedendo un qualche mio permesso? E' un po' tardi, non credi?" chiese Mamoru in tono ironico, puntellando il gomito sul bancone e poggiando la guancia sulle nocche, le labbra tirate verso destra in un sorriso sbilenco.
"Sono serio, Mamoru. Sono così dannatamente serio che se non fosse maledettamente troppo presto le chiederei di sposarmi. Quindi, per favore, rispondimi."
Mamoru non rispose subito. Nell'arco di tempo che gli servì per raccogliere le idee non distolse lo sguardo da quello di Yuzo. Sapeva che quanto avrebbe detto avrebbe influenzato tutti i loro rapporti, presenti e futuri, condizionando la loro stessa amicizia. Temeva quel confronto da mesi, fin da quando la coppia felice aveva vuotato il sacco, perché sapeva che prima o poi Yuzo avrebbe affrontato l'argomento. A differenza di tanta altra gente che conosceva, il portiere, per carattere, tendeva a mettere le cose  in chiaro e lo faceva con una facilità tale da riuscire a spiazzare anche lui, famoso per la sua faccia di bronzo.
Si passò le dita tra i capelli e poi fece scendere la mano ad accarezzare il mento.
"Di tutte le persone che avrei potuto immaginare al tuo fianco, e ce ne sono state nel corso degli anni, soprattutto tra le nostre compagne di classe, lei... be'... non l'avrei mai presa in considerazione. Quindi, quando me lo avete detto sono rimasto sorpreso." Si interruppe e distolse lo sguardo, facendolo vagare per la cucina. "D'altro canto, è pur vero che non ho mai immaginato nessuno per lei, perché, vedi, per me nessuno ne è degno." Tornò ad agganciare le iridi nocciola con le proprie e vide che non lo avevano mai lasciato. "Capiscimi. Per quanto io e Aiko possiamo discutere, litigare a morte e non parlarci per eoni, è pur sempre sangue del mio sangue e nemmeno il principe azzurro è degno di lei. D'altra parte, se deve essere per forza qualcuno, allora sono felice che sia tu. Perché ti conosco e so che non potrebbe trovare persona più seria." Sorrise a sua volta nel vedere il sollievo traboccare dalle iridi nocciola e l'entusiasmo con cui l'amico accolse le sue parole. "Aspetta. C'è un'altra cosa." Alzò la mano per stopparlo. "Fammi finire. Non sappiamo cosa succederà in futuro, però vorrei una promessa da parte tua: qualunque cosa accadrà tra di voi, facciamo in modo che la nostra amicizia ne esca indenne. Ok?" e gli tese la mano, a suggello di un patto indissolubile.
"Te lo prometto!" Yuzo afferrò la mano di Mamoru e la strinse nella sua in una presa salda e forte. Una presa con la quale gli comunicò che avrebbe fatto di tutto per tenere fede alla promessa.
"Ovviamente, se la tradirai o la farai soffrire in qualche altro modo, ti spezzerò le dita una a una. E questa è una promessa che invece ti faccio io." Minacciò tirando il labbro di lato e rimediando un pugno scherzoso sulla spalla.
"Ma ti sembrano cose da dire?" rise Yuzo, alzando le braccia al cielo. "Hai rovinato tutta la poesia."
"Sono un dissacratore nato, lo sai." Rise a sua volta, scendendo dallo sgabello e guardandosi intorno. "Ora che ci faccio caso... ma dov'è andata la scimmia?"
"Mah! Forse in bagno?" Suggerì il portiere scivolando anche lui giù dallo sgabello per ritrovarsi di fronte al centrocampista.
"Buon Natale, Mamoru."
"Buon Natale, fratello."

 

Holy night


O holy night!
The stars are brightly shining.
It is the night
Of the dear Savior's birth!
Long lay the world in sin and error pining
ImageTill he appear'd and the soul felt His worth.
A thrill of hope,
The weary world rejoices,
For yonder breaks
A new and glorious morn.

 

La radio diffondeva una lenta melodia natalizia. Taro sorrise nel sentire la voce di Azumi unirsi a quella di Josh Groban. La ragazza aveva una bella voce, sottile ma intonata e lui l'ascoltò con piacere mentre guidava per le vie di Nankatsu, illuminate a festa. Le labbra gli si piegarono in una smorfia nel constatare, come sempre accadeva quando tornava a quella che considerava la sua vera casa, quanto fosse cambiata e quanto ancora continuasse a cambiare. Alcuni negozi avevano chiuso, altri avevano rinnovato gli allestimenti, altri ancora, come la vecchia galleria nel quartiere dove abitavano le famiglie di Sanae e Ryo, erano stati eliminati per fare posto ad altri edifici. La smorfia si accentuò nel rammentare che il ramen bar, dove spesso aveva mangiato insieme alla squadra di ritorno dagli allenamenti, aveva lasciato il posto a un nuovo store di sigarette elettroniche, e  che la piccola gelateria dietro casa di Ryo, dove avevano festeggiato il pareggio contro la Shutetsu, aveva chiuso i battenti per sempre. Anche Nankatsu si era unita alla corsa verso la modernizzazione che stava pervadendo alcuni piccoli centri e, benché fosse avvezzo ai cambiamenti, ormai parte del suo DNA grazie ai numerosi viaggi effettuati con suo padre prima e poi da solo nella lunga strada verso il World Youth, non riusciva ad accettarli in quella città alla quale erano legati i ricordi più belli della sua infanzia. Probabilmente, proprio per questo.
“Oh night when Chirst was born. Oh night divine, oh night, oh night divine!" cantò ancora Azumi prima di sospirare in tono estatico. "Adoro questa canzone.”
"Lo so." Taro lasciò andare i pensieri nostalgici per concentrarsi sul presente. Le lanciò un’occhiata affettuosa e allungò il braccio per prendere un piccolo pacchetto piatto dalla tasca laterale dello sportello. “Però so anche che preferisci un’altra versione, quindi… eccola qui.”
Senza nascondere la sorpresa, Azumi afferrò il piccolo pacchetto e fece sparire la carta rossa in un lampo. Riconobbe subito la copertina del cd e se ne uscì con un gridolino di gioia.
“Dove l’hai trovato? Ho cercato dappertutto, setacciando negozi di musica e siti web, ma non sono riuscita a trovarlo!”
“Oh be’… sai… ho i miei canali.” Taro fece un gesto vago con la mano, il sorriso che si allargava nel vedere quanto il suo regalo le avesse fatto piacere. E lui non voleva altro che vederla contenta. Ultimamente gli era sembrata stanca e malinconica, senza contare il virus influenzale che l’aveva letteralmente prostrata nell’ultima settimana; inoltre, benché Azumi continuasse a negare, sapeva che sentiva la mancanza della sua famiglia rimasta a Parigi e che non vedeva dall'anno precedente. “Piuttosto, come ti senti? Sicura di voler andare?”
“Oh sto benissimo e sì, sono sicura, mi fa piacere passare una serata con i ragazzi. Mi sento bene, Taro, stai tranquillo!” Lo rassicurò con un una pacca affettuosa sul braccio, prima di aprire la confezione e inserire il cd nello stereo. “Mi piace questa colonna sonora. Adoro tutte le canzoni, le trovo molto più allegre delle versioni originali.”
“Mmm ok, mi fido. Ma non ho problemi ad andare via subito se dovessi sentirti stanca." Ridacchiò nel vedere Azumi alzare gli occhi al cielo con uno sbuffo. "Ok, ok, la smetto di fare il marito apprensivo. Hai poi sentito Yukari? Non mi hai detto più niente.” Chiese, cambiando discorso, mentre la voce di Tia Mowry intonava una nuova versione di 'Holy night'.
“Sì, ci siamo sentite nel pomeriggio. Mattina presto per loro. Ha trovato il mio messaggio e mi ha chiamata non appena sveglia. Mi ha detto che Sanae e i gemelli stavano ancora dormendo mentre Tsubasa era già uscito per la sua corsa mattutina.” Azumi distolse gli occhi dalla custodia del cd per lasciarli vagare oltre il parabrezza. Il cielo aveva uno strano colore perlaceo, indice di una nevicata imminente. Con il pensiero corse a Barcellona e agli amici lontani. Era felice per Sanae e Tsubasa, entrambi radiosi per la loro avventura familiare ma allo stesso tempo era dispiaciuta per Yukari. Aveva cercato, per quanto possibile, di starle vicino e nel farlo si era resa conto che soltanto una persona avrebbe potuto alleviare la sua sofferenza: qualcuno che non aveva idea di quanto successo in Giappone. Per questo, un pomeriggio, aveva afferrato il telefono e aveva fatto un'intercontinentale. Sanae si era arrabbiata come una iena nel sentire la novità e in quattro e quattr'otto aveva organizzato il viaggio in Spagna.
“Come sta?”
“Uhm… non credo che stia bene. Anzi... a dirla tutta credo che le ci vorrà parecchio tempo per riprendersi. Andare a Barcellona è stata la scelta giusta. Te l'avevo detto che era arrabbiata con me perché avevo vuotato il sacco con Sanae? Ma io non sono pentita. Lei aveva bisogno della sua migliore amica e Sanae concorda con me. Quindi... ho preso la decisione giusta, e alla fine l'ha capito anche Yukari." La ragazza lo guardò con decisione nel sentire il suo sospiro. Taro non le aveva nascosto le sue perplessità, a suo avviso Azumi non avrebbe mai dovuto chiamare Sanae ma lei la pensava diversamente. "E dai, Taro! Fosse stato un motivo serio mi sarei fatta gli affari miei ma non avvertire Sanae solo per non preoccuparla perché ora ha i bambini a cui pensare è un'idea stupida. E' solo diventata madre, non ha perso le sue facoltà intellettive! E ribadisco che Yukari ha fatto bene a partire. Cambiare ambiente fa vedere le cose da un’altra prospettiva. In questi casi, restare nella quotidianità, lontani da chi si ama, non fa altro che accrescere la nostalgia e il dolore.”
“E tu sai bene cosa si prova.” Affermò Taro, svoltando nella via dove abitava Yuzo, un viale pieno di casette a due piani, non molto grandi ma ben tenute.
“Già.” Le labbra morbide di Azumi si piegarono in un sorriso triste nel ricordare quanto le era pesato continuare la vita di sempre dopo il ritorno di Taro in Giappone. “Mi sembravano una coppia davvero ben assortita. Non so di preciso cosa sia successo, Yukari mi ha detto solo che era finito l’amore. Ma mi pare evidente che da parte sua non era finito proprio niente, quindi... la cosa riguarda sicuramente Ryo.  Comunque, con me non si è confidata più di tanto e io non ho insistito. Non sono così impicciona come pensi tu." Borbottò, rivolgendogli una smorfietta imbronciata che strappò suo malgrado un sorriso a Taro. "Sono sicura che con Sanae sarà diverso.”
Taro scosse la testa, dispiaciuto. “Nemmeno io so più di tanto. Era da un po’ di tempo che lo vedevo strano. All’apparenza sembrava il solito Ishizaki, anzi, se possibile era più cazzaro del solito, ma… non so… c’era qualcosa che stonava. Anche in campo. Non che facesse errori evidenti ma, come ti ho detto, avevo questa strana impressione, come se fosse con la testa altrove. E poi vengo a sapere che ha mollato Yukari così, dall’oggi al domani. Il giorno prima facevano progetti per il matrimonio e il giorno dopo si erano lasciati. E lo vengo a sapere da te, tra l’altro. Siamo compagni di squadra, amici d’infanzia, ci vediamo tutti i giorni e non mi ha detto una parola.” Fece accostare la macchina al marciapiede e parcheggiò la macchina. “Non è da lui.” Concluse, spegnendo il motore.
“Hanji che ne pensa? Ne avete parlato?” Azumi slacciò la cintura e si girò sul sedile per averlo di fronte.
“Ah!” Il giocatore tamburellò con le dita sul volante. “Quello è un altro che si comporta in modo strano. Di solito lui e Ryo si beccano in continuazione mentre ultimamente sembra quasi che si evitino, non scherzano più come prima. Ho provato ad accennare qualcosa ma ha troncato il discorso dicendo che non erano affari nostri e che se Ishizaki non voleva parlarne era meglio rispettare la sua volontà.”
“Hanji ha detto questo? Ma davvero?” Azumi sollevò le sopracciglia con aria sorpresa. Farsi gli affari propri non era un comportamento tipico di Urabe. Di solito, aveva il tatto di uno schiacciasassi e non si faceva molti problemi a dare la sua opinione, anche quando non era richiesta. Inoltre, conosceva Ishizaki da una vita, erano molto legati nonostante stessero sempre a battibeccare, quindi era davvero strano che non avesse voluto commentare la vicenda.
Taro si strinse nelle spalle. “Non so che dirti, tranne che non possiamo fare nulla. Comunque stasera ci saranno entrambi. Così mi ha detto Yuzo.” Aprì la portiera e fece per scendere. “Andiamo?”
“Aspetta!”
Azumi lo trattenne per un braccio. Taro abbassò gli occhi sulla mano che gli stringeva il polso prima di riportarli sul viso della moglie, la preoccupazione di nuovo padrona dei suoi pensieri. "Che c'è? Stai di nuovo male?" La scrutò non attenzione. Aveva gli occhi lucidi e le guance rosse, sotto il berretto di lana bianco. Passato quel giorno di festa l'avrebbe trascinata dal medico, volente o nolente. Ma Azumi lo sorprese, tirando fuori dalla borsa due pacchettini di uguali dimensioni.
"Volevo darti questi mentre eravamo ancora soli." Lo disse con un sorriso quasi timido e il giocatore emise un breve sospiro sollevato. Per l'ennesima volta si ritrovò a constatare come Azumi riuscisse, con un semplice sguardo o frase, a provocare un vero e proprio maremoto nella sua consueta tranquillità interiore.
"Devo essere stato particolarmente bravo se Babbo Natale mi ha portato ben due regali." Sciolse il nastrino del primo, scostò la carta e rimase a fissare il contenuto con espressione vacua, mentre il suo cuore iniziava a pompare sangue nemmeno stesse per segnare il goal decisivo nella finale del mondiale. La mente totalmente sconnessa dal resto del corpo, incapace di formulare un pensiero di senso compiuto.
"Taro?" la voce incerta di Azumi si attirò il suo sguardo sconvolto. In quel momento tutto sembrava tranne il giocatore sereno ed equilibrato al quale tutti ricorrevano per un consiglio o un parere. Prese il secondo pacchetto e quasi lo fece cadere per come gli tremavano le mani. Lo strinse forte e sforzò un nuovo respiro, cercando di calmarsi  e di recuperare un minimo di controllo. Lo scartò e il cuore perse di nuovo un battito.
La ragazza lo fissò mentre tirava fuori i due oggetti e li disponeva uno accanto all'altro, sul palmo di una mano. Aveva incartato le due piccole scatole trasparenti divertendosi a immaginare quale sarebbe stata la reazione di Taro ma in nessuno dei film che si era proiettata nella mente il ragazzo era rimasto immerso in quell'innaturale silenzio. Teneva la testa china e lei non riusciva a vedere i suoi occhi, nascosti dietro le lenti degli occhiali da vista. Sentì la gioia scemare e una sottile quanto acre paura salirle acida in bocca; il pensiero che potesse non esserne felice non l'aveva minimamente sfiorata e una forte delusione le contrasse lo stomaco, causandole un'ondata di nausea. Portò la mano alla bocca con una smorfia e il suo gesto sembrò smuovere l'immobilità con cui Taro era rimasto a fissare la propria mano. Subito i suoi occhi furono su di lei, carichi di un'emozione così grande che se ne sentì avvolgere. Il suo animo tornò a sollevarsi, leggero. Forse non si era sbagliata, dopotutto.
"E' quello che penso?" La stessa emozione che sembrava traboccargli dagli occhi gli fece tremare la voce e Azumi annuì, prima di chiedere in tono incerto. "Sei contento?"
"Se sono contento?" Ripeté Taro. "No, non sono contento. Non è la parola che userei in questo momento." La guardò intensamente e Azumi lo vide tornare il Taro di sempre ma con una luce diversa negli occhi, amore e gioia mischiati in egual misura. "Contento è troppo poco e strafelice non rende ancora bene l'idea. La verità è che sono senza parole, non me l'aspettavo. So solo che..." Tacque e scosse la testa, come a cercare di dare un ordine a tutte le emozioni che si stavano accavallando nel suo animo. "Per tutti i Kami, Azumi! non credo che troverò  mai le parole." L'attirò a sé con un braccio, la mano con i due regali davanti ai loro occhi. "Era per questo che stavi male?"
Azumi si strinse al suo petto, sentendo sotto la mano il cuore del marito fare le capriole.  "Sì." Socchiuse le palpebre e respirò forte il buon profumo del suo dopobarba. La nausea spazzata via da un'ondata di felicità incontenibile, la stessa che sembrava aver travolto anche Taro.
"E..." Taro ingoiò la saliva, come a temere una risposta negativa. "Ne sei sicura?"
"Ho visto il dottore." Azumi allungò le dita e accarezzò piano prima le scarpette rosa e poi quelle azzurre. "Le ho prese entrambe, così chiunque arriverà saremo pronti."
"Mi hai fatto davvero un regalo meraviglioso." Le sospirò tra i capelli morbidi e Azumi gli carezzò la guancia prima di avvicinare le proprie labbra alle sue.
"Buon Natale, Taro."

 

Jingle bell rock


Jingle bell, jingle bell, jingle bell rock
Jingle bells swing and jingle bells ring
Snowing and blowing up bushels of fun
Now the jingle hop has begun

Scesero dalla macchina che le campane avevano appena iniziato a suonare. Takeshi fece scattare la chiusura e afferrò la mano che Kumi gli aveva allungato. Intrecciò le loro dita coperte dai guanti di lana calda e alzò lo sguardo al cielo. Il primo fiocco di neve lo colse di sorpresa, cadendogli dritto sul naso e provocandogli uno starnuto.
"Guarda! La neve! Babbo Natale mi ha ascoltato." Si entusiasmò la ragazza, sciogliendo la presa per alzare entrambe le mani al cielo, gli occhi pieni di una gioia quasi infantile.
"Me ne sono accorto." Borbottò il difensore, strofinandosi la punta del naso con il palmo prima di calcarsi ben bene il berretto sulla testa.  Se non fosse stato per l'insistenza  di Kumi, quel Natale lo avrebbe passato sotto il caldo sole dell'Australia a fare surf nella baia poco distante dall'albergo in cui avevano passato gli ultimi quindici giorni.
Stringendosi nel pesante giaccone, osservò la figuretta minuta saltellare lungo il marciapiede, cercando di afferrare i fiocchi di neve che scendevano sempre più copiosi. Non solo non sembrava risentire del cambio di temperatura ma da che erano atterrati e aveva visto le previsioni del tempo, non aveva fatto altro che invocare la neve. Scuotendo la testa si chiese dove avesse pescato quel corto cappottino rosso che, insieme al cappello anch'esso rosso e ai cuissard neri che indossava, la faceva assomigliare a uno degli elfi di Babbo Natale.
Scosse la testa, ritrovandosi a sorridere suo malgrado. Come sempre accadeva, gli bastava osservare Kumi, i suoi occhi neri ridenti, il suo sorriso, la sua gioia di vivere, per sentirsi felice a sua volta.  Era impossibile non sentirsi contagiati dalla sua allegria e Takeshi non provò neppure a resistere, sentendo  il cattivo  umore che l'aveva avvolto alla partenza perdere consistenza e  disperdersi nell'aria gelida. Kumi era la sua luce, la stella cometa che gli indicava il cammino e lui era davvero felice che facesse parte della sua vita.
Fece scorrere lo sguardo tutt'intorno e i suoi occhi si appuntarono sul campanile della chiesa, che svettava in lontananza. Il suo sorriso si allargò nel sentire il suono allegro delle campane e si mosse per raggiungere la sua piccola fonte di magia. Alla fine, Kumi non aveva avuto torto a insistere per tornare prima.
"Mi spiace di averti costretto ad accorciare la vacanza." Kumi si lasciò avvolgere dalle sue braccia e si strinse contro il suo petto. Con la nuca poggiata sulla sua spalla,  rivolse gli occhi al cielo di madreperla. "Mi dispiace." Ripeté. "Ma non sarebbe stato Natale se non lo avessimo passato qui, a casa, con i nostri amici e tutte le persone che ci vogliono bene."
"Non sono arrabbiato." Takeshi girò appena il viso per strofinarle le labbra contro la tempia e Kumi si lasciò scappare una risatina.
"Non ti credo ma apprezzo lo sforzo." Con un sorrisetto si girò tra le sue braccia e gli fece scivolare le mani lungo il petto fino a stringerle dietro il collo. Con le dita gli carezzò piano la nuca e gli sorrise con dolcezza. "Guarda che a me puoi dirlo, Mr Scrooge."
"Ok, ammetto che in questo momento preferirei stare al calduccio, con le chiappe a mollo." Disse il giocatore a bassa voce, come a confessare un segreto. "Ma davvero, non sono arrabbiato." E le rivolse un sorriso, di quelli che riservava solo a lei e che riuscivano sempre a farle battere il cuore. Quelli che le comunicavano quanto fosse speciale  e  che, immancabilmente,  riuscivano a migliorare quelle giornate in cui tutto andava storto.  "Piuttosto, per caso hai chiamato Yuzo per avvertirli che arrivavamo? Perché io mi sono totalmente dimenticato."
"Oddio no!" Kumi spalancò gli occhioni neri e girò la testa verso la casa del portiere. "E adesso?"
"E adesso niente!" Takeshi si strinse nelle spalle e prese per mano la sua ragazza, avviandosi verso il cancelletto. "Pensi che i nostri amici non saranno contenti di vedere un vero elfo di Babbo Natale?"

 

Christmas - Baby please come home


It's Christmas baby, please come home
The snow's comin' down (Christmas)
I'm watchin' it fall (Christmas)
Lots of people around (Christmas)
Baby, please come home
the church bells in town (Christmas)
are ringing in song (Christmas)
full of happy sounds (Christmas)
Baby, please come home

"Non trovi anche tu che la neve abbia un effetto ipnotico?”
Un occhio assonnato fece capolino dietro la sua spalla, per sbirciare distrattamente verso la finestra. La palpebra sbatté un paio di volte, faticando a restare aperta, mentre l'iride si sforzava di mettere a fuoco il vetro. Al di là, piccoli fiocchi bianchi fluttuavano lenti, muovendosi pigramente nell’aria gelida del mattino.
“Umpfh.” la palpebra perse la battaglia contro la forza di gravità e la testa ricadde pesantemente sul cuscino. “Se lo dici tu…” Sbadigliò il suo compagno di letto, strisciando sulle lenzuola per accoccolarsi contro la sua schiena nuda, deciso a godersi fino in fondo la sensazione di pace e benessere con cui si era svegliato e, magari, continuare a dormire ancora un po'.
“Passerei le ore a guardarla cadere.” Teppei alzò una mano e mosse piano un dito, simulando a mezz'aria il movimento ondeggiante di un immaginario fiocco. “Trovo sia difficile trovare altrettanta perfezione. Non pensi?”
Sbuffando un sorriso contro la sua spalla, Hajme gli fece scivolare un braccio intorno al torace, appoggiandogli una mano sul ventre. “No, non penso.” Mormorò, avvicinandogli le labbra all'orecchio per mordicchiare piano la pelle delicata del lobo. Le dita si mossero lentamente, in modo distratto, seguendo le linee dei muscoli addominali, in un percorso che le portò sempre più in basso, fino a trovare quello che, intenzionalmente, avevano cercato fin dall’inizio.
“Ah no?” Il sospiro con cui Teppei esalò quelle parole, gli strappò un sogghigno divertito. Accentuò la carezza, il sonno ormai definitivamente scacciato dall'eccitazione che sentiva scorrere sotto la pelle e dal desiderio incontrollabile di perdersi ancora una volta nel suo corpo caldo.
“No. Conosco qualcosa di altrettanto perfetto. Vuoi che te ne dia una dimostrazione?” E con un colpo di reni cambiò posizione, costringendo il ragazzo bocconi, sotto di lui.

Il suono del campanello lo strappò bruscamente da quel ricordo, causandogli una sorta di dolore quasi fisico. Prese un lungo respiro e si passò una mano tra i capelli, scostando la frangia dal viso. Aveva provato con tutte le sue forze a scacciarlo, ma le risate, le battute, persino gli odori dell'ultimo Natale passato con il compagno continuavano a tornargli in mente, provocandogli profonde stilettate al cuore. Ogni sospiro, ogni bacio, ogni carezza erano come spilli aguzzi, che affondavano sempre più in profondità nella sua carne, in una lenta tortura alla quale non era in grado di sfuggire. Girò appena il viso verso l'entrata e strinse forte i pugni, fino quasi a conficcarsi le unghie nei palmi. Nonostante si fosse imposto di non illudersi, ogni volta che il campanello suonava non riusciva a impedire al suo stomaco di contrarsi in attesa, nella vana speranza di vedere Teppei  comparire sulla soglia. Le labbra gli si piegarono all'ingiù, in un smorfia colma di rassegnazione, nell'udire la voce profonda di Takeshi, seguita a ruota da quella squillante di Kumi, rispondere al sorpreso benvenuto di Yuzo. Sforzandosi di ingoiare la delusione, incrociò le braccia al petto e poggiò la spalla contro il telaio della finestra, riportando gli occhi oltre il vetro, sulla neve candida che scendeva sempre più copiosa. Aveva sbagliato a venire, l'ennesimo errore commesso negli ultimi giorni. Non avrebbe dovuto lasciarsi convincere da Mamoru, sarebbe dovuto rimanere a casa. Strinse il labbro inferiore tra i denti. Cosa ci stava a fare lì? Non era dell'umore giusto per festeggiare. Non sopportava l'atmosfera festosa che lo circondava, la casa addobbata, le chiacchiere allegre dei compagni che sentiva provenire dalla cucina, il suono in lontananza delle campane. Senza contare che non aveva nessuna voglia di giustificare il suo pessimo umore con gli altri, totalmente ignari, a eccezione di Yuzo e Mamoru, di cosa c'era, o meglio, c'era stato, perché a quel punto, ormai, doveva considerarlo al passato, tra lui e quello che tutti pensavano fosse solo il suo migliore amico. Passato. Morto. Finito. Si sentì gelare a quel pensiero e drizzò di colpo la schiena, preso da un improvviso senso di soffocamento. Ingoiò l'aria più volte, nel tentativo di eliminare il groppo che gli si era formato in gola.  Aspirò una lunga boccata e la rilasciò lentamente, cercando di riprendere a respirare con normalità. Quando il respiro si fu regolarizzato si passò una mano sul viso, facendola scorrere dal basso verso l'alto, fin sui capelli e oltre, fermandola sulla nuca. Alzò lo sguardo al soffitto, dove le luci intermittenti dell'albero di Natale accendevano e spegnevano migliaia di piccole stelle.
"Hai intenzione di continuare a lungo così? Non è meglio sputare il rospo e toglierti il peso dal groppone?" Mamoru era comparso sulla porta, e lo stava fissando a braccia incrociate.
"Te l'ho già detto. Non ne voglio parlare." Hajime fece ricadere la mano e tornò a girarsi verso la finestra, dandogli le spalle, in un chiaro gesto di rifiuto, sul viso una maschera inespressiva dietro alla quale aveva trincerato i propri sentimenti.
Ma Mamoru non sarebbe stato Mamoru se si fosse fatto scoraggiare così facilmente, perciò lo raggiunse e gli si fermò di fianco. Nonostante Yuzo gli avesse consigliato di non intromettersi, era deciso a parlare con Hajime. Non sarebbe rimasto seduto a guardare mentre uno dei suoi migliori amici stava annegando, perché era evidente che l'ex compagno di squadra stava soffrendo come un cane. Se ci fosse stata una seppur minima possibilità di aiutarlo non si sarebbe certo tirato indietro. Hajime era diverso da Teppei e lui sapeva che con un po' di insistenza avrebbe vuotato il sacco, al contrario dell'altra metà della Silver Combi che gli avrebbe opposto uno di quei suoi silenzi spessi quanto un muro di cemento armato.
"Penso che invece dovresti." Disse con calma, puntando anche lui gli occhi neri all'esterno, dove la neve aveva già iniziato a ricoprire di bianco ogni cosa.
"E a cosa servirebbe? Non cambierebbe nulla."
"Forse no." Mamoru gli mise una mano sulla spalla, stringendola forte in un chiaro gesto consolatorio. "Però condividere le nostre angosce può aiutarci ad andare avanti e a rendere il fardello meno pesante. Sai che le mie spalle sono forti, puoi appoggiarti se vuoi."
"Cazzo che parole sagge, se ti va male con il calcio puoi sempre fare carriera come bonzo."
"Non fare lo stronzo."
Hajime sospirò, cercando di scacciare l'acredine. Ci mancava solo che si mettesse a litigare con Mamoru. "Il fatto è che non voglio andare avanti, Mamoru. Vorrei solo tornare indietro." Si girò a guardarlo. L'espressione chiusa era sparita dal suo viso, sostituita da una angoscia così profonda da far incupire anche l'altro.
"Deve essere stato proprio un brutto litigio..." Commentò il centrocampista a mezza voce. Davvero brutto se Teppei era sparito in quel modo, evitando di rispondere anche ai suoi messaggi. Non era la prima volta che litigavano, era successo nel corso degli anni, ma mai così violentemente.
Hajime scosse la testa. "Non è stato solo un litigio. Teppei mi ha lasciato." Girò di nuovo il viso verso la finestra, guardando, senza realmente vederlo, il cielo bianco di neve. Il labbro inferiore di nuovo nella morsa dei denti.
"Ci vuole qualcosa di forte." Decise Mamoru. Si avvicinò al mobile bar e versò due generose dosi di whisky nei bicchieri. La notizia lo aveva lasciato di sasso. Aveva poche certezze nella vita e una di queste era proprio l'indissolubilità del legame che univa la Silver Combi: difficilmente aveva visto due persone così prese l'una dall'altra come Hajime e Teppei. Avevano caratteri diversi ma sapevano integrarsi alla perfezione, trovando l'uno nell'altro la via per temperare le rispettive differenze. Una notizia del genere era come un sasso gettato nello stagno dei suoi punti fermi: improvvisamente tutto cambiava, mutando aspetto e restituendo una forma diversa. "Tieni bevi!" Disse, porgendo il liquore ad Hajime e aspettando che l'altro vuotasse il bicchiere prima di dar fondo anche al proprio.
"Cazzo è successo?" chiese dopo qualche secondo, vedendo che Hajime era di nuovo sprofondato in un silenzio malinconico, posando il vetro sul tavolinetto vicino.
Il giocatore dei Verdy diede le spalle alla finestra e si poggiò contro il davanzale, tra le mani il bicchiere ormai vuoto. "Abbiamo discusso se fare coming out." Si decise, infine, a raccontare, gli occhi piantati a terra.
"Volete fare coming out?" Mamoru spalancò gli occhi, per la seconda volta Hajime l'aveva lasciato senza parole.
"Lui, io no." Con le dita iniziò a tamburellare sul vetro, in un gesto che rivelava tutto il suo nervosismo, la mente proiettata a due giorni prima, quando Teppei aveva tirato fuori l'argomento.
"Ma con tutti tutti, oppure..." Il giocatore dai lunghi capelli scosse la testa, lasciando la frase volutamente in sospeso, in attesa che l'amico si decidesse finalmente a parlare da solo senza costringerlo a tirargli fuori le parole con le pinze.
"Dici pubblicamente? Macché sei scemo? Sai che cazzo di casino succederebbe?" Hajime alzò gli occhi neri su Mamoru, in piedi davanti a lui, le mani nelle tasche del pantalone casual che indossava, le sopracciglia sollevate in attesa di una spiegazione. "Con le famiglie." Chiarì. "Forse qualche amico, come Shingo per esempio, o Taro. Non lo so, non siamo arrivati a definire i dettagli. E' andato tutto a puttane prima." Sospirò, sentendo la tristezza gravare come un masso in procinto di schiacciarlo. Erano trascorsi solo due giorni ma ogni minuto passato gli sembrava un secolo. Era stanco  e vicino al punto di rottura, talmente vicino che improvvisamente sentì la diga rompersi e le parole fuoriuscire di getto, come l'acqua di fiume che tracima fuori dagli argini.
"Eravamo appena rientrati da Bora Bora, avevamo passato due settimane fantastiche, un mare e un cielo che non ti dico. Non puoi capire, Mamoru, quanto sia pesante vivere la maggior parte del tempo lontani, vedersi solo in quei pochi ritagli di tempo che il campionato e le coppe ci lasciano, passare ore e ore tra treni e stazioni e sperare di essere convocati ai ritiri della nazionale per strappare quella manciata di ore in più. E quando, finalmente, liberi dagli impegni di campionato possiamo trascorrere un po' di giorni insieme, è come se ci spalancassero le porte del Paradiso." A quel ricordo un triste sorriso lampeggiò sulle sue labbra, subito sostituito da una profonda mestizia. "Ci siamo fermati un paio di giorni nel mio appartamento a Tokyo, dal momento che entrambi eravamo intenzionati a venire a Nankatsu per capodanno, prima dell'inizio dei ritiri. Lo scorso anno, inventando una montagna di scuse, ce ne eravamo rimasti a casa mia ma quest'anno Teppei, cedendo anche alle insistenze della madre, aveva deciso di trascorrere il capodanno qui e io avevo acconsentito. Non avevamo tenuto in conto, però, che più tempo passiamo insieme e più è difficile staccarci. Improvvisamente nessuno dei due era più entusiasta all'idea di tornare, perché significava stare di nuovo separati per buona parte della giornata e per tutta la notte." Le dita smisero di giocherellare con il bicchiere e gli occhi presero a vagare per la stanza, incapaci di ancorarsi a un punto particolare. "Allora ho proposto di dormire insieme a casa mia. I miei ne sarebbero stati contenti, non sarebbe stata certo la prima volta, l'abbiamo fatto così spesso negli anni che ormai per loro è quasi normalità e non ci fanno nemmeno più caso. E' stato allora che se n'è uscito con la storia del coming out." Hajime si raddrizzò e fece due passi, superando Mamoru che si girò per guardarlo. "Ha detto che sua madre ci sarebbe rimasta male se non avesse dormito a casa e che lui non avrebbe potuto dare nessuna valida giustificazione alla sua assenza. Perché avrebbe dovuto darle un dispiacere del genere? A meno che non le avesse rivelato il vero motivo. Ha anche aggiunto che secondo lui è ora di farlo, che è arrivato il momento di parlare alle nostre famiglie e che inizia a essere stanco di raccontare cazzate." Incapace di stare fermo Hajime si mosse di nuovo, avvicinandosi alla credenza con gli antipasti che degnò appena di un'occhiata distratta. Aveva lo stomaco talmente contratto che non sarebbe stato in grado di ingoiare nemmeno una briciola.
"E tu non sei d'accordo." Affermò Mamoru, memore di quanto detto poco prima da Hajime. Vide l'altro fermarsi e girarsi a guardarlo. "No."
"Perché?"
"Quello che c'è tra me e Teppei sono affari nostri, le nostre famiglie non c'entrano nulla." Una risposta lapidaria, venata di irritazione e di un qualcos'altro che fece corrugare la fronte a Mamoru. Lo conosceva da troppo tempo per non cogliere quelle sottili sfumature che sarebbero passate inosservate a occhi meno familiari. E se il suo intuito non lo stava ingannando, avrebbe detto che si trattava di paura. Lo guardò con più attenzione, indeciso se proseguire nel mood dell'amico comprensivo o prenderlo di petto per farlo uscire allo scoperto. Decise per la seconda opzione.
"Cazzate."
"Cosa?" Hajime drizzò la schiena e si irrigidì, come se avesse appena ricevuto uno schiaffo. Arricciò le labbra in una smorfia minacciosa, che metteva ancora più in evidenza i suoi denti sporgenti. "Non sono cazzate!"
"E invece sì." Insistette Mamoru, portandosi le mani ai fianchi. "Ritenta Hajime, perché non potrai mai convincermi che quello è il vero motivo. Non metteresti mai in discussione il tuo rapporto con Teppei solo per salvaguardare la vostra privacy. Con chi poi? Con le vostre famiglie? Ti rendi conto da solo che non regge, vero?" Concluse, sostenendo senza timore lo sguardo furente dell'altro.
Dal canto suo, Hajime si stava arrabbiando sul serio. Mamoru lo stava mettendo all'angolo e lui odiava essere messo alle strette, perché non gli piaceva sentirsi costretto a fare qualcosa che non voleva. Teppei lo sapeva bene, tant'è che all'inizio aveva cercato di essere conciliante, cosa che lui gli aveva reso praticamente impossibile, continuando a ripetere che non voleva mettere in piazza i cazzi suoi, che la loro relazione era una faccenda privata e che tale doveva restare. Soltanto alla fine, di fronte al suo intestardirsi su quella posizione, il compagno aveva perso la pazienza e gli aveva chiesto se quel desiderio di riservatezza in realtà non nascondesse altro. Alla sua occhiata interrogativa, Teppei aveva risposto che in realtà se non voleva rendere pubblico il loro rapporto era solo perché non voleva impegnarsi seriamente, perché a suo avviso non c'era altra spiegazione. E a quel punto, gli aveva chiesto quali erano i reali sentimenti che provava per lui, perché se non voleva che le loro famiglie ne venissero a conoscenza, non dovevano essere poi così forti. Aveva provato a ribattere alle affermazioni di Teppei, ma si era reso conto che le sue confuse argomentazioni suonavano deboli alle sue stesse orecchie e non facevano altro che rafforzare l'idea che l'altro si era fatto. Fosse campato cento anni, non avrebbe mai dimenticato il modo in cui l'espressione di Teppei era cambiata; da delusa si era fatta ferita a morte e infine arrabbiata, come mai l'aveva vista, man mano che si convinceva sempre più della veridicità della sua tesi. A quel punto era stato troppo tardi. Teppei gli aveva voltato le spalle e se ne era andato in silenzio, sbattendo la porta. Da quel momento, era diventato irraggiungibile. Aveva provato a chiamarlo, a mandargli mail, messaggi su messanger e su whatsapp ma il telefono risultava sempre spento e i messaggi non letti. Aveva telefonato ai suoi, a Nankatsu, nella speranza che fosse tornato a casa, ma i suoi genitori non l'avevano visto e lui aveva dovuto fare i salti mortali per non far trapelare nulla che potesse impensierirli. Con una scusa aveva anche chiamato la padrona di casa di Teppei a Osaka ma la donna gli aveva riferito che il ragazzo era in ferie e non era ancora tornato. Aveva addirittura chiamato Shingo, dopo aver chiamato Mamoru e Yuzo, ma nessuno aveva visto o sentito Teppei. E lui non sapeva più a che Kami votarsi.
In realtà le cose stavano diversamente: sapeva bene che non era la paura di impegnarsi seriamente a spaventarlo, come se finora avesse giocato poi! Teppei era l'unica cosa che aveva sempre voluto con tutte le sue forze. Il suo problema era di ben altro tipo e di difficile risoluzione. Non ne aveva parlato a Teppei, figuriamoci se l'avrebbe fatto con Mamoru. Per questo si limitò a sibilare quel: "'Sti cazzi! Continuano comunque a rimanere cazzi miei e non voglio parlarne con te!" troncando definitivamente il discorso. Ma non aveva fatto i conti con Mamoru, testardo come e più di lui.
"Guarda che non sono io a voler sapere i cazzi tuoi! Ma in quella tua testaccia bacata non hai preso in considerazione l'idea che invece potrebbero anche essere cazzi di Teppei? Perché se questa è l'unica argomentazione che hai usato con lui ci credo che ti abbia mandato a fanculo. Se non ti credo io, figuriamoci lui che ti conosce mille volte meglio di me e non voglio nemmeno immaginare a quali conclusioni può essere arrivato per sparire così." Dal modo in cui Hajime si morse il labbro e abbassò la testa, Mamoru capì di aver fatto centro. Prese un lungo respiro e lo raggiunse, deciso a rompere quel muro di testardaggine. "Se vuoi salvare la vostra relazione devi essere totalmente sincero con lui e questo non devo essere io a dirtelo. Sempre se pensi che ne valga la pena."
"Ma che cazzo di domande fai? Certo che ne vale la pena!" Lo fulminò Hajime con un'occhiataccia.
"Be' sai... il dubbio viene." Il tono di Mamoru grondava ironia. Rimase a guardarlo, con le mani di nuovo nelle tasche dei pantaloni neri, nella speranza che le sue parole avessero sortito l'effetto sperato.
"Non vuole parlarmi. Non ha nemmeno visualizzato i miei messaggi."
"Nemmeno i miei se è per questo." Mamoru si strinse nelle spalle. "Ma sono ragionevolmente sicuro che ti darà un'altra opportunità. Lo fa sempre, nonostante tutte le tue cazzate. Cosa succederà dopo, però, dipenderà solo da te."
Per la prima volta, sulle labbra di Hajime si aprì un fievole sorriso speranzoso. "Lo pensi sul serio?"
Mamoru fece cenno di sì con la testa. "Teppei ti ama, di questo sono più che sicuro ma occhio a non tirare troppo la corda." Lo ammonì, prima di voltare le spalle e uscire dalla stanza, lasciando il giocatore dei Verdy a meditare sulle sue parole.

 

All I want for Christmas is you


Oh, I don't want a lot for Christmas
This is all I'm asking for
I just want to see my baby
Standing right outside my door
Oh I just want him for my own
More than you could ever know
Make my wish come true
Baby all I want for Christmas is
You

 

"Non chiederle del suo lavoro." Fu la prima cosa che disse nell'entrare in casa, la cicatrice che spiccava pallida sulla pelle perennemente abbronzata.
"Cosa?" Yuzo afferrò al volo il cappotto che l'altro gli lanciò e rimase a fissarlo interdetto.
"Fidati! Non farle domande sulla sua vita."
"Eh?" Il portiere spostò lo sguardo sul vialetto, oltre la porta aperta, dove una procace biondina arrancava su zeppe altissime al fianco di Nitta.
"A ben pensarci, meglio che non le parli affatto. Io ti ho avvertito." Lasciandosi alle spalle un sempre più perplesso Yuzo, il difensore infilò velocemente il corridoio per mettere più metri possibili tra lui  e la gallina svampita che Shun si era portato dietro. Lui l'errore lo aveva fatto appena salito in macchina e se ne era pentito per tutti i venti interminabili minuti che erano serviti per raggiungere casa Morisaki. Di gente strana ne aveva conosciuta tanta, ma un simile concentrato di ignoranza e idiozia difficilmente gli era capitato. Si chiese come facesse il compagno di nazionale a sopportarla. Finché si trattava di scoparla ok, la conversazione non è che fosse proprio necessaria, ma tirarsela dietro a una loro serata be'... era da pazzi. 'Sti cazzi, si risolse alla fine con un moto di stizza, erano problemi di Shun e non suoi, lui aveva già i propri a cui pensare e non gli stavano certo rendendo la vita facile. L'importante era che gliela tenesse lontana, come gli aveva intimato di fare una volta scesi dalla macchina. Scrollando le spalle varcò la soglia del salotto e si diresse verso il mobile bar, situato in un angolo. Diede un rapido sguardo alle bottiglie e ne scelse una dalla forma cilindrica: Oban, uno dei migliori. Si versò due dita  di whisky e bevve un lungo sorso. Socchiuse le palpebre nel sentire il liquido bruciante scendere lungo l'esofago e raggiungere lo stomaco. Non c'era nulla che sapesse metterlo di buon umore come un buon liquore e sapeva di trovarne di ottimo a casa del portiere, dal momento che il padre era un vero e proprio intenditore.
"Così va meglio!" Si riempì nuovamente il bicchiere e diede un'occhiata circolare all'ambiente; a parte un unico altro ospite la stanza era vuota, benché parecchie cibarie fossero già disposte sulla credenza. Probabilmente alcuni degli altri non erano ancora arrivati, anche se dalla cucina proveniva un allegro chiacchiericcio.
"Ehilà, Hajime! Ne vuoi uno?" Chiese alzando la bottiglia in direzione del compagno di nazionale. "Dammi retta, riempiti il bicchiere perché non sai cosa ci aspetta." Consigliò con una risatina ironica ma l'unica risposta che ottenne fu il silenzio. Scrutò perplesso la schiena del giocatore che, in piedi davanti alla finestra, non dava segno di aver notato la sua presenza. "Ehi! Hajime!" chiamò di nuovo, alzando la voce, nel dubbio che l'altro non l'avesse udito.
"No. Grazie." La voce distante dell'attaccante arrivò in due tempi, quando ormai Hanji aveva rinunciato a ottenere risposta e aveva posato la bottiglia.
"Ehi, va tutto bene?" Lasciò il bicchiere mezzo pieno sul bancone e attraversò la stanza, raggiungendo l'ex compagno di squadra. "Cazzo hai?" gli chiese, osservando il suo profilo rigido che fissava lo smartphone stretto in mano. "Problemi?"
Soltanto allora le iridi nere di Hajime si posarono su di lui, staccandosi dal cellulare che continuava a ripetere che il numero chiamato era irraggiungibile. "No, tutto a posto. Grazie."   Gli rispose eclissando il telefono della tasca dei pantaloni e tornando a guardare oltre il vetro, di nuovo avvolto in un bozzolo di silenzio e immobilità.
Perplesso da quel comportamento, il giocatore del Jubilo Iwata rimase per qualche istante a fissarlo. Stava per insistere, quando un movimento ripetuto si attirò la sua attenzione. Ryo era comparso sulla soglia e gli stava facendo  silenziosamente cenno di raggiungerlo. Volse di nuovo gli occhi al profilo di Hajime ma l'atteggiamento di totale chiusura del ragazzo gli fece capire che sarebbe stato totalmente inutile tentare un nuovo approccio.
"Sai che cazzo gli è successo?" chiese, seguendo il compagno di reparto fuori dal salotto.
"Ma chi cazzo è quella?" domandò Ryo nello stesso istante, fissandolo con espressione stralunata, gli occhi rotondi sotto le sopracciglia inarcate.
"Ah!" Rispose, fermandosi di botto in mezzo al corridoio. "Hai visto che roba?"
"Visto? L'ho sentita, cazzo! " Ryo si passò entrambe le mani sui capelli cortissimi. "Ma dove l'ha rimediata?"
"Ma che cazzo ne so! Non so che si fuma Shun per tirarsela dietro ma sicuramente non è roba buona." L'angolo della bocca di Hanji si arricciò in una smorfia di scherno. "Lo so che gli piacciono le tettone ma per tutti i Kami! Ancora mi fumano le orecchie per la valanga di cretinate che ha tirato fuori mentre venivamo qui!"
"A me frega niente della grandezza delle sue tette! Non ho intenzione di sopportarla per tutta la serata! Io me ne vado, sappilo. L'ho già detto a Yuzo!"
"E sarebbe la prima cazzo di idea buona che ti viene da due mesi a questa parte! Andiamocene e smettiamola con questo teatrino."
"Guarda che è stata tua l'idea di venire qui stasera!"
"Ovvio che sì, se l'alternativa era rimanere a Iwata da solo o passare la serata a guardare la tv con mia madre. La gioia proprio! Sono tre giorni che siamo rientrati a Nankatsu e li ho dovuti passare ad aiutare mio padre in negozio. Ho scaricato tante di quelle casse di tofu da farmi venire l'ernia. E in tutto questo quanto ci siamo visti? Zero volte!" Accorgendosi di aver alzato la voce Hanji smise di parlare di colpo, guardandosi intorno con aria colpevole. "Togliamoci da qua."
"Sì. E' meglio. Accompagnami, stavo andando a prendere altro vino. Taro s'è scolato quasi una bottiglia da solo, non l'ho mai visto così su di giri come stasera, non sembra nemmeno lui."
"Davvero? Pure Hajime è bello strano. 'Ste feste importate rendono tutti scemi." Sbuffò Hanji,  seguendolo lungo la scala che conduceva in cantina.
Scesero le scale in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri. Soltanto quando furono davanti alla rastrelliera del vino, Ryo aprì di nuovo bocca, riprendendo il discorso.
"Mi dispiace. Lo capisco che per te è pesante." Era insolitamente serio. Con un sospiro si appoggiò al muro, gli occhi fissi a terra, la punta della scarpa destra che strusciava avanti e indietro sul cemento del pavimento. "So di averti chiesto un grosso sacrificio ma non potevo fare altrimenti. Io e Yukari siamo stati insieme per più di cinque anni e, nonostante tutto, non posso fare finta di niente. Le voglio bene, non la umilierei mai in questo modo."
"Non c'è bisogno che me lo ripeti, Ryo, lo so benissimo, l'abbiamo già fatto questo discorso e ti capisco. Solo che anche tu devi capire me." Hanji si grattò la cicatrice, tipico gesto che compiva quando era nervoso o preoccupato. "Non era esattamente così che speravo di passare le feste. Mi scoccia dovermi nascondere con i nostri amici, loro davvero non ne farebbero un problema."
"Lo so." Ryo alzò gli occhi e si scollò dal muro, le mani sprofondate nelle tasche dei jeans. "Pesa anche a me, non credere ma per il momento non posso fare altrimenti."
Stemperando l'espressione grave in una più morbida, Hanji lo agganciò alla vita e lo attirò a sé. "Se me l'avessero detto non ci avrei mai creduto sai?" Confessò con una risatina incredula, la bocca che scendeva a lambire la pelle del collo del compagno. "Anzi, come minimo il tizio in questione si sarebbe preso un bel gancio nello stomaco, di quelli che ti lasciano steso al primo colpo. Passare dal cameratismo all'amicizia è stato normale quando ci siamo ritrovati ingaggiati nella stessa squadra, ma passare dall'amicizia all'amore, credimi, nemmeno se fossero scesi Budda, Allah e Gesù Cristo tutti insieme ci avrei creduto. Con te poi... anzi, soprattutto con te."
"Che vorresti dire?" Ryo girò la testa per fulminarlo con uno sguardo. "Guarda che non sei l'unico ancora incredulo eh? Pensi che sia stato facile per me? Kamisama, Hanji! Sono io che ho lasciato Yukari a poche settimane dal matrimonio! Sono io quello che la mattina si guarda allo specchio e si sente un verme perché non ha avuto il coraggio di dirle la verità: che l'ho lasciata perché mi ero innamorato di te! E sono sempre io quello che si sente in colpa per averti chiesto di nascondere a tutti la nostra relazione." Con uno sbuffo si staccò dal compagno e mosse due passi, la mano sinistra al fianco e quella destra a massaggiarsi il collo, le labbra contratte in una smorfia di disgusto. "La verità è che sono un vigliacco. Non ho il coraggio di prendermi la responsabilità delle mie azioni." Ammise a bassa voce, abbassando le spalle sconfitto davanti all'evidenza dei propri limiti contro cui non poteva fare altro che sbattere la testa.
"Come al solito stai dicendo una marea di cazzate!"
"Mavvafanculo!" Ryo si girò di scatto, le mani strette a pugno e l'espressione furente ma Hanji non si fece intimorire, ben sapendo che la rabbia che animava il compagno era rivolta principalmente contro se stesso. Ryo si stava facendo mangiare dai sensi di colpa e non doveva. Non era colpa loro se si erano innamorati. A volte le cose succedono e basta. Meglio rendersene conto e agire di conseguenza. All'inizio ci avevano provato in ogni modo a reprimere i loro sentimenti ma non era servito a nulla. Se ne erano resi conto un tardo pomeriggio di qualche mese prima, alla fine di un allenamento, quando si erano ritrovati da soli nello spogliatoio, dopo aver passato settimane a evitarsi. E l'evidenza li aveva travolti con la furia di una valanga, lasciandoli esausti e tremanti l'uno dentro l'altro. Ryo aveva fatto soffrire Yukari lasciandola, ma era stata la soluzione migliore, peggio sarebbe stato se l'avesse sposata lo stesso. Allora sì che sarebbero stati guai, perché la passione che li animava non sembrava avere intenzione di scemare ma prendeva sempre più forza ogni giorno che passava. Glielo aveva detto e ripetuto fino alla nausea.
Per qualche istante si guardarono in cagnesco, i corpi tesi pronti a scattare, nessuno dei due intenzionato a mollare. Poi, con un profondo sospiro, Hanji distolse lo sguardo, primo dei due ad abbandonare la contesa.
"Scusami." Mormorò, dandogli le spalle e muovendo qualche passo nervoso. Si avvicinò alla rastrelliera e guardò con occhio distratto le bottiglie di vino coperte di polvere.
"Mi spiace." Ripeté nel silenzio della stanza rotto solo dal rumore dei loro respiri. Allungò la mano e strinse il metallo. "Ho infierito e non avrei dovuto."
"Non so più che fare, Hanji. Pensavo che aspettare un po' di tempo, in modo che le acque si calmassero, fosse la soluzione migliore. Mia madre ha preso malissimo la rottura del fidanzamento, soprattutto dopo che le famiglie si stavano impegnando con i preparativi per il matrimonio. Come faccio ora a dirle che non solo ho scoperto di essere bisessuale ma che ho lasciato Yukari per te? Non è tanto di me che mi preoccupo, mi ha sempre ritenuto un figlio sconsiderato da prendere a ceffoni, ma non voglio che se la prenda anche con te. Perché è su di te che lei scaricherebbe ogni responsabilità, il deviato che porta il figlio sulla via della perdizione."
"Non sarebbe un problema, ho le spalle larghe, posso sopportarlo benissimo." Hanji mollò la rastrelliera e tornò verso di lui, sul viso la stessa espressione arrogante e strafottente di quando militava nel RJ7.
"Ma io non voglio."
"Lo so che non vuoi, dico solo che per me non sarebbe un problema."
Ryo abbassò gli occhi sulle inseparabili scarpe da ginnastica. "In che situazione del cazzo ci ho ficcati?"
"Senti." Grattandosi di nuovo la cicatrice, Hanji si fermò davanti a lui. "Facciamo una cosa."
"Cosa?"
"Per il momento lasciamo da parte tutto e godiamoci questa serata. Ci pensiamo domani, ok?"
"Mi sembra una buona idea. Tanto non saprei come sbrogliare la matassa." Ryo rialzò lo sguardo, sulle labbra una punta di sorriso.
"Massì, fanculo a tutto!" Hanji  ribadì il concetto mentre lo riprendeva tra le braccia. "E' Natale, pensiamo a divertirci e lasciamo stare il resto. Frega cazzi degli altri, di quello che pensano e di quello che non pensano. L'unica cosa che voglio, l'unica di cui ho davvero bisogno è stare con te. Tu sei tutto quello che voglio per Natale, il resto può andare a farsi fottere."

 

Christmas - Baby please come home  (reprise)


If there was a way
(Christmas)
I'd hold back this tear
(Christmas)
But it's Christmas day
(Please)
Please
(Please)
Please
(Please)
Please
(Please)
Please
Baby please come home
(Christmas)
Baby please come home
(Christmas)
Baby please come home
(Christmas)
Baby please come home

 

"Questo pollo è ottimo, Yuzo, ne mangerei una vagonata." Ryo guardò con l'acquolina in bocca il piatto pieno fino all'inverosimile di pollo fritto. Aveva girato continuamente intorno a Yuzo mentre il portiere friggeva, cercando di rubare qualche pezzo finché, dietro suggerimento di Mamoru, Taro e Hanji non l'avevano trascinato via.
"A me pare che tu lo stia già facendo." Mamoru indicò la montagna di ali e cosce fritte con il calice che teneva in mano. Le labbra tese nella sua tipica smorfia ironica. "A volte mi chiedo se tu non abbia un silos al posto dello stomaco."
"Sono tutti pezzi piccoli." Protestò il difensore del Jubilo, rosicchiando con gusto un'aletta. "E poi vuoi metterle con quelle di KFC? Quando mi ricapita di mangiarne di fatte in casa? Sono così buone che mi viene da piangere."
"Mi fa piacere che ti piacciano tanto." Sorrise il portiere di rimando, mentre Mamoru lo guardava a metà tra il divertito e l'incredulo. "Sei davvero una fogna."
"Chi è che è una fogna?" chiese Hanji, sbucando da dietro le spalle di Ryo. "Cazzo fai?" gli chiese, sgranando gli occhi davanti alla quantità di roba ammucchiata nel piatto. "Sai le bestemmie che tirerà giù Mitamura quando ti peserà? Altro che regime alimentare, se ti permetterà di mangiare una ciotola di riso al giorno sarà grasso che cola!"
Ryo smise di colpo di masticare, l'ennesima aletta bloccata a mezz'aria tra il piatto e la bocca. Mitamura era il preparatore atletico della squadra ed era il terrore dei giocatori per i suoi epocali cazziatoni sull'importanza della sana alimentazione. In quella momentanea stasi, fu facile per il numero 37 del Jubilo sfilargliela dalle mani per addentarla a sua volta.
"Sei un fottuto ladro!" Ryo lo fulminò con lo sguardo e allontanò il piatto dalla portata del compagno, facendo ridere sia Yuzo che Mamoru. "Pensa al tuo di peso che al mio ci penso da solo."
"Lo faccio solo per il tuo bene." Hanji cercò nuovamente di togliergli il piatto e Ryo scappò via, subito rincorso dall'altro.
Con un sorriso divertito sulle labbra ben disegnate, Mamoru fece scorrere un'occhiata circolare. Takeshi, Shun e Taro stavano conversando davanti agli antipasti mentre la ragazza portata da Nitta aveva preso letteralmente in ostaggio Kumi e Azumi, riempiendole di chiacchiere. L'ex manager della Nankatsu esibiva un sorriso gentile ma il centrocampista colse un'espressione esasperata quando la ragazza si voltò per cercare con gli occhi il fidanzato, mentre la fissità del sorriso di Azumi gli fece temere che a breve le si sarebbe crepata la faccia. Poveracce. Alle ragazze era toccato un compito davvero ingrato si rese conto; costrette a sorbirsi la montagna di cazzate che la bionda continuava a snocciolare e di cui, a sua volta, aveva avuto ampia dimostrazione nel corso della serata. Scivolando oltre, spostò gli occhi sulla poltrona dove sedeva Hajime. Con il gomito poggiato sul bracciolo e le labbra nascoste dal dorso delle dita, teneva gli occhi fissi al contenuto del bicchiere che faceva roteare con un movimento distratto. Mamoru lo studiò socchiudendo le palpebre: non era l'anima della festa ma non aveva più l'espressione scazzata di prima. Quando la compagnia era passata dalla cucina al salotto aveva scambiato qualche parola con gli altri e poi si era seduto in poltrona, evitando di farsi ulteriormente coinvolgere. Sia lui che Yuzo avevano intercettato diversi sguardi perplessi rivolti loro dal resto della truppa ma, di comune accordo, si erano limitati a stringersi nelle spalle e a fare cenno di lasciarlo stare.
Il trillo del campanello sembrò strappare Hajime dai suoi pensieri. Il ragazzo alzò immediatamente lo sguardo verso il corridoio ma lo riabbassò subito quando Yuzo annunciò che si trattava sicuramente di Shingo, il quale aveva preavvertito che sarebbe arrivato tardi per precedenti impegni familiari. Riprese a giocherellare distrattamente con il vino, ripensando alle parole che Mamoru gli aveva rivolto poco prima. La speranza era che l'amico avesse ragione. Se Teppei gli avesse davvero dato un'altra possibilità stavolta non l'avrebbe sprecata, perché vivere senza Teppei era un'eventualità che non voleva assolutamente prendere in considerazione.
Con orecchio distratto ascoltò Mamoru e Yuzo accogliere Shingo e  la voce profonda del giocatore salutarli calorosamente. Posò il bicchiere su un tavolinetto e si disse che forse quello era il momento giusto per andarsene. A che pro rimanere ancora? Stava per alzarsi quando la voce di Mamoru che urlava quel: "DOVE CAZZO ERI? LO SAI QUANTE VOLTE TI HO CHIAMATO? SEI UN FOTTUTO COGLIONE! MI HAI FATTO DAVVERO PREOCCUPARE, PORCATROIA!" lo fece scattare in piedi. Il silenzio piombò nella stanza e gli occhi di tutti si puntarono sulla porta, pieni di sconcerto e perplessità. Ignorando le espressioni interrogative che gli altri si stavano scambiando, Hajime si precipitò nel corridoio, fermandosi di colpo non appena scorse Teppei, mani sprofondate nel giubbotto e aria infreddolita, ascoltare in silenzio gli insulti che il giocatore dei Marinos gli stava riversando addosso. Soltanto l'intervento deciso di Yuzo riuscì a placare Mamoru quel tanto che bastava per dare modo a Teppei di entrare finalmente in casa.
"Ci siamo incontrati qui fuori." Spiegò Shingo a nessuno in particolare, togliendosi il piumino. Non aggiunse di aver avuto l'impressione, quando aveva scorto Teppei fermo davanti al cancelletto, che fosse lì già da parecchio tempo.
"Allora? Sto ancora aspettando spiegazioni." Mani sui fianchi ed espressione tra l'arrabbiato e il preoccupato, Mamoru si rivolse di nuovo a Teppei che, dopo essersi tolto il giubbotto, si stava sfilando gli stivaletti neri. Il ragazzo alzò gli occhi e si bloccò, la risposta incastrata tra le labbra semiaperte, lo sguardo fisso oltre le sue spalle. Il suo viso congestionato dal freddo, si fece di colpo pallido e poi di nuovo rosso; i lineamenti che mostravano emozioni contrastanti. Sapendo che soltanto una persona poteva causare una simile reazione nel suo amico d'infanzia, Mamoru si volse, trovando il giocatore dei Verdy fermo davanti alla porta del soggiorno, gli occhi sgranati che percorrevano febbrilmente il corpo del compagno, come a volersi assicurare che fosse reale e non soltanto una proiezione della mente.
"Andiamo in salotto, Shingo, c'è dell'ottimo pollo fritto." Yuzo chiuse con decisione l'anta dell'armadio, dove aveva riposto i giacconi, e indicò il corridoio con la mano aperta, in un chiaro gesto d'invito a togliersi di mezzo e a lasciare sola la Silver Combi. "Vieni anche tu, Mamoru."
"Certo, arrivo!" Il centrocampista mollò una pacca sulla schiena di Teppei, attirandosi brevemente il suo sguardo, e gli mormorò piano all'orecchio. "Non strapazzarlo troppo, mi raccomando." Gli strinse piano il braccio e si affrettò a raggiungere gli altri che avevano già imboccato la porta del salotto, non tralasciando di rivolgere ad Hajime una calorosa occhiata di incoraggiamento prima di chiudere la doppia porta di vetro alle proprie spalle.
Rimasero a fissarsi a lungo, incapaci di distogliere lo sguardo, cercando di leggere nell'espressione e nell'atteggiamento dell'altro il modo per rompere quell'opprimente silenzio che nessuno dei due sembrava essere in grado di spezzare. Nella postura rigida delle spalle e nel modo altero in cui Teppei teneva dritta la testa e socchiudeva le palpebre, Hajime lesse diffidenza, ma anche sofferenza e risentimento; il compagno lo stava guardando con l'espressione guardinga di chi si aspetta di ricevere l'ennesimo colpo da un momento all'altro. Fu in quel momento che realizzò quanto male gli avesse fatto con quel suo ostinarsi a insistere su un qualcosa che entrambi sapevano benissimo essere una scusa.
Rilasciò un lento respiro e mosse un piede avanti e poi un altro ancora, combattendo contro l'ostilità quasi tangibile che sentiva provenire dall'altro, fino a fermarglisi di fronte. Il compagno continuava a osservarlo in silenzio, con l'atteggiamento deciso di chi non avrebbe alzato un dito per facilitargli le cose.
Nel vuoto che era si era creato nel suo cervello, improvvisamente incapace di articolare un pensiero concreto che lo aiutasse a esprimere la matassa ingarbugliata che gli gravitava tra la testa e il cuore, quel "ti amo" che gli salì alle labbra, senza che se ne rendesse conto, divenne la porta dalla quale, finalmente, far uscire quei dubbi contro cui aveva sempre combattuto.
Alzò le braccia e lo abbracciò, stringendosi forte a lui, nonostante l'altro fosse rimasto rigido e non avesse fatto nulla per ricambiare il suo gesto.
"Non scacciarmi, ti prego." Lo pregò con voce soffocata, la fronte contro la sua spalla, una mano a stringergli piano la nuca sotto la massa dei corti riccioli scuri. "Dammi modo di rimediare al mio errore."
"Tu lo chiami errore?" La voce di Teppei schioccò come una frusta e le sue mani lo spinsero via con forza, costringendolo a fare qualche passo indietro, per non perdere l'equilibrio. La sofferenza e il risentimento che aveva percepito in lui si erano come condensati in un blocco di ghiaccio, rendendo il suo cuore duro come un cristallo che non sarebbe stato facile scalfire.
"No, no, hai ragione. Senti, dammi..."
"Errore è dimenticarsi un anniversario importante, è scordarsi i biglietti a casa e ricordarsene soltanto in aeroporto, mandando a puttane il primo weekend insieme dopo settimane di separazione, è prendere, come al solito, i problemi sottogamba. Questi sono errori!" Lo interruppe Teppei con gelida rabbia, snocciolando alcune delle cose per cui avevano discusso in passato, le labbra strette in una linea sottile. "Qui il discorso è diverso. Mi hai fatto chiaramente capire che non consideri il nostro rapporto abbastanza importante da parlarne a qualcuno. E questo non è un errore! Dici di amarmi, e ti credo, lo so che mi vuoi bene, ma non nel modo in cui ti amo io, non nel modo in cui voglio essere amato io." Si batté la mano sul petto. "Perché, vedi, Hajime, io ti amo così tanto che sarei disposto ad arrampicarmi a mani nude sulla cima di una montagna per urlarlo al mondo intero. E al diavolo gli altri! Il calcio, gli amici, la famiglia. Fanculo a tutti! Fanculo al mondo intero se mi impedisse di stare con te!" Teppei tacque e prese un grosso respiro, distogliendo lo sguardo. "Pensavo che anche per te fosse lo stesso, evidentemente mi sbagliavo." Lo disse a bassa voce, quasi parlando a se stesso, ma Hajime lo sentì come se glielo avesse urlato in faccia. Teppei mosse qualche passo, le mani ai fianchi e gli occhi fissi al soffitto, prima di fermarsi e abbassare lo sguardo. Si strofinò la fronte con il palmo, cercando di allentare la tensione che gli stava stringendo la testa in una morsa. "Senti, è inutile continuare questa conversazione. E' solo un rigirare il coltello nella piaga, cosa di cui davvero non ho bisogno; ormai è evidente che proviamo sentimenti diversi." La rabbia e il gelo erano scomparsi dai suoi occhi, lasciando solo un'enorme sofferenza che cercò di celare socchiudendo le palpebre. "Sono davvero un idiota, chissà cosa mi aspettavo venendo qui. In questi due giorni ho continuato a ripetermi che non poteva essere vero, che forse mi ero sbagliato, che avevo capito male." Ingoiò a vuoto. "Ho fatto male a venire, meglio che vada via."
Hajime non ci stava, non ci stava a lasciarlo andare così.
Non senza prima avergli parlato.
Non senza prima essersi fatto ascoltare.
Non senza prima aver tentato il tutto per tutto.
Lo agganciò alla vita, stringendolo forte e nascondendogli il viso nell'incavo del collo, lì dove l'unica lacrima che non riuscì a controllare andò a infrangersi. "Non andartene... ti prego, non lasciarmi..."
 Teppei non rispose ma sollevò la testa, cercando di girare il viso per guardarlo ma lui si strinse ancora di più contro il suo corpo, il cuore che gli martellava nel petto dalla disperazione e dalla paura.
"Fammi parlare, non andartene senza prima avermi ascoltato, ti prego." Lo strinse con ancora più forza, cercando di fargli percepire attraverso quell'abbraccio quanto vasti e profondi fossero i suoi sentimenti. Trattenne il fiato con un flebile filo di speranza quando sentì i muscoli di Teppei rilassarsi. Forse lo avrebbe ascoltato, forse non tutto era perduto. Forse gli stava dando la famosa possibilità di cui aveva parlato Mamoru.  "Lo sai che non sono bravo a esprimere i miei sentimenti, ogni volta che cerco di spiegare qualcosa finisco per incasinare ancora più le cose. Sono un caso disperato, lo sai, mi conosci. E sai anche che a volte ho difficoltà a inquadrare le cose. Non sono bravo come te, quindi abbi pazienza e ascoltami fino in fondo. Ok? Lo so che prima o poi avrei dovuto affrontare l'argomento perché sapevo che a un certo punto il discorso sarebbe venuto fuori ma chiamalo orgoglio, chiamalo vigliaccheria, non ci sono mai riuscito. Anche perché temevo di scatenare un litigio e l'ultima cosa che voglio è litigare con te ma, visto il modo in cui sono andate le cose, non c'è più motivo per non parlarne." Fece una pausa. "Non voglio che gli altri sappiano della nostra relazione perchè non voglio che pensino che non possiamo stare insieme."
Ancora tra le sue braccia, Teppei forzò la stretta per girarsi e guardarlo negli occhi. Nel suo sguardo c'era tutto lo stupore del mondo.
"Ma di cosa stai parlando?"
Hajime si nascose sotto il lungo ciuffo che gli copriva parte del viso, prima di distogliere lo sguardo. "Delle nostre famiglie. Della tua famiglia." Precisò, quando Teppei gli mise una mano sulla guancia per costringerlo a guardarlo negli occhi.
"Della mia famiglia?" Fece eco l'altro, sempre più perplesso, la fronte corrugata. "Che c'entra la mia famiglia?"
Lo lasciò andare e gli voltò le spalle, trovandosi davanti il lungo specchio che ornava quella parte di ingresso. Sulla liscia superficie poteva vedere il riflesso degli occhi di Teppei fissi su di lui, in attesa.
"C'entra, se rischia di influenzare il nostro rapporto. Cazzo! Ma proprio non capisci?" Rispose girandosi e allargando le braccia. Perché Teppei si ostinava a non capire? Eppure era così evidente.
"Sinceramente no, non riesco a capire quale sia il problema." Replicò Teppei in tono secco, incrociando le braccia.
"Beato te. Io sono anni che invece ci sbatto contro." Mosse qualche passo e lo superò, fermandosi davanti alla piccola libreria che si apriva nel sottoscala. Allungò una mano e giocherellò nervosamente con la zampina mobile di un piccolo manekineko.
Teppei non rispose. Non sopportando quel silenzio prolungato Hajime si voltò, trovando i suoi occhi attenti che lo stavano studiando da sotto le lunghe ciglia nere.
"Va bene, ipotizziamo che il tuo discorso abbia un senso logico. Perché non me l'hai detto prima?"
"Perché anche io ho il mio orgoglio. Ho lavorato tanto per diventare quello che sono. Sono fiero del successo che ho ottenuto e non accetto che si possa pensare che non possiamo stare insieme."
Teppei scosse la testa, cercando di metabolizzare quanto appena sentito. "Quindi è così? E' questo il motivo? Davvero?"
"Sì. Non ce ne sono altri."
"Questa proprio non me l'aspettavo." Mormorò Teppei a mezza bocca. "Di tutte le cose..." Mosse un passo, come per raggiungerlo ma poi si fermò, passandosi una mano tra i riccioli scuri. Le labbra che si serravano in una smorfia colma di rabbia. "Perché? Perché non me lo hai detto l'altro giorno? Perché hai lasciato che arrivassi a certe conclusioni?Hai idea di quanto io sia stato stato male? Dei giorni di merda che ho passato? Kamisama! Dovrei ammazzarti di botte!"
"E chi lo immaginava che saresti arrivato a pensare una cosa del genere? A proposito, grazie tante eh? Grazie per la fiducia. E comunque non sei stato l'unico a stare male sai? Hai idea di quanto io mi sia preoccupato? Sei sparito per due giorni e nessuno sapeva dove fossi! Cazzo, Teppei! Sono io quello che dovrebbe prenderti a pugni!" Rispose con la stessa acrimonia e lo vide tentennare, la rabbia che combatteva con il senso di colpa.
"Non riuscivo più a pensare con lucidità, ero fuori di me e avevo bisogno di stare solo."
"Io invece avevo bisogno di parlarti, guarda un po', e se me l'avessi permesso avrei chiarito immediatamente."
Davanti a quel tono accusatorio la rabbia di Teppei riprese forza. "Se tu mi avessi detto tutto subito non sarebbe successo nulla!"
"Tu non hai avuto fiducia in me! Mi hai condannato e giudicato senza appello!"
"E tu non sei stato sincero!"
"Se non ho parlato prima è solo perché non voglio perderti!" Ruggì Hajime avanzando con lo sguardo minaccioso.
"Ma perché dovresti perdermi?" Chiese Teppei alzando gli occhi al cielo.
"Perché..." E si interruppe, fermandosi a due passi da lui. Perché insisteva a non voler capire?
"Allora? Sto aspettando."
"Te l'ho detto già detto il motivo!"
"Ma non è un buon motivo!"
"Un cazzo che non lo è!" E diede un pugno alla parete di fianco a lui.
Teppei prese un lungo respiro e alzò entrambe le mani, come a chiedere una tregua. "Senti, diamoci una calmata, va bene? Vorrei cercare di capire, sul serio. Ricominciamo da capo.: hai paura che i tuoi genitori facciano storie?" Chiese, inclinando la testa di lato.
"I miei genitori? Strampalati come sono? Ti pare che direbbero qualcosa?" Hajime gli lanciò un'occhiata ironica, liquidando la domanda con un sorriso sbilenco.
Lo stesso sorriso comparve sulle labbra di Teppei nel pensare ai coniugi Taki e soprattutto al padre di Hajime, impiegato modello dal lunedì al venerdì, impeccabile in giacca e cravatta, e Harleista indefesso nel weekend, con tanto di giubbotto di pelle, polsiere con le borchie e bandana in testa. Indubbiamente una persona un po' sopra le righe. "Non credo proprio. E allora..." Si fermò, realizzando quanto il compagno gli aveva detto poco prima. "E' la mia famiglia il problema? E' a loro che pensi?"
Hajime si morse le labbra e annuì.
"Nemmeno i miei faranno storie. Hai tirato giù un casino per niente."
"Per me non è niente." Rispose, di nuovo irritato.
"Scusami, capisco l'apprensione ma devi stare tranquillo. E poi ai miei stai simpaticissimo."
Il giocatore non rispose, ripensando alle poche volte che aveva incontrato i genitori di Teppei, meno di quelle che sarebbe stato lecito aspettarsi data la loro ultradecennale amicizia, con il padre sempre in viaggio per affari e la madre impegnata in mille attività diverse. In ogni occasione erano stati molto gentili con lui ma i loro rapporti erano sempre rimasti piuttosto formali. La famiglia del compagno era molto più tradizionalista della sua, era fermamente edificata sulle tradizioni giapponesi, per loro l'onore della famiglia era molto importante e Hajime era sicuro che quel coming out li avrebbe messi in difficoltà. Ma come farlo capire a Teppei? Erano pur sempre i suoi genitori e lui non si aspettava altro da loro che accettazione completa. Cosa sarebbe successo se non fosse stato così? Se si fossero opposti? Se non l'avessero accettato? La loro relazione sarebbe riuscita a sopravvivere?
"Non sei convinto?"
"Sì, sì!" Annuì, ansioso di far cadere l'argomento ora che erano arrivati a una specie di chiarimento. Insistere sarebbe stato controproducente, non voleva che Teppei si mettesse sulla difensiva sentendosi in dovere di difendere la famiglia. Sorrise e fece un passo avanti, tendendo una mano verso di lui ma il compagno assottigliò lo sguardo e  scosse la testa.
"Non è vero."
"Cosa?"
"Non è vero che sei convinto. Te lo leggo negli occhi!"
Hajime lasciò cadere la mano e sbuffò. "Senti, lasciamo stare va bene? Non voglio continuare a litigare con te."
"No, Hajime, non lascio perdere finché non mi avrai detto tutto. Non voglio che il discorso rimanga a metà."
"Ecco, lo vedi? Lo sapevo che avremmo discusso nel momento in cui le nostre famiglie si fossero messe in mezzo." E storse la bocca con stizza. Era anche per quello che non aveva mai voluto affrontare l'argomento, perché sapeva che avrebbero finito per discutere violentemente e aveva cercato di evitarlo. Odiava litigare con Teppei, inoltre non voleva che il compagno potesse trovarsi davanti a una scelta che l'avrebbe lacerato.
"Ma se le nostre famiglie non sanno ancora nulla!"
"Dettagli." Liquidò l'osservazione con un gesto della mano. "Come vedi basta solo nominarle."
Teppei si sfregò gli occhi con i palmi delle mani, cercando di calmarsi. Si passò le dita tra i capelli, scostando i ricci scuri dalla fronte e puntò lo sguardo a terra, lasciando che la rabbia piano piano abbandonasse i suoi tratti. "Devo essere stato proprio cieco in tutti questi anni per non accorgermi di nulla." Sospirò.
Hajime si strinse nelle spalle. "Non è colpa tua."
"Forse sì, forse è colpa mia se ti sei fatto questa idea ma credimi, Hajime, nessuno penserà una cosa del genere." Cercò di rassicurarlo, riportando lo sguardo su di lui.
"Mi chiedo come tu faccia a essere così sicuro, non puoi sapere come prenderanno la nostra omosessualità finché non gliene parleremo."
"La prenderanno come la prenderanno. A quel punto non sarà più un problema mio. Voglio essere trasparente, non voglio più nascondermi. Lo capisci questo? E' importante per me."
"Sì." Per Teppei non c'era nulla di peggio che dover fingere continuamente di essere qualcosa che non era. Per lui, invece, non era un problema, non sentiva la sua stessa esigenza ma lo conosceva bene, per questo poteva capirlo.
Teppei si lasciò andare a un leggero sorriso e gli si avvicinò, prendendogli una mano nella sua. "Ho bisogno del tuo appoggio, voglio essere sicuro che tu stia dalla mia parte."
Hajime abbassò lo sguardo sulle loro mani, sulle dita di Teppei che stringevano le sue. "Ma io sono dalla tua parte. Solo, non voglio perderti." Rialzò gli occhi quando lo sentì avvolgergli la guancia con l'altra mano.
"Non mi perderai mai. Non permetterò a nessuno di mettersi tra di noi." Gli strinse forte la mano, perché il messaggio fosse ben chiaro. "Fidati di me."
"E se loro..."
Teppei gli mise il dito sulle labbra, impedendogli di terminare la frase. "Non c'è nessun loro, ci siamo solo noi, io e te, il resto non conta. Te l'ho detto, no? Al diavolo il mondo intero."
"I tuoi non la prenderanno bene. "Insistette, finendo di scoprire le carte e cercando di metterlo in guardia. "Ora che la tua carriera di calciatore è ben avviata tua madre non pensa ad altro che a trovarti moglie e tuo padre non fa che parlare del futuro nipotino che porterà avanti il nome di famiglia. Non me lo hai raccontato tu? Delle foto che ti spediscono e degli omiai che ti propongono in continuazione?" Nonostante le rassicurazioni di Teppei, era convinto che i suoi genitori non solo non avrebbero continuato a trovarlo simpatico ma gli avrebbero fatto la guerra una volta conosciuta la verità. Perché tra l'essere il miglior amico del figlio e colui che avrebbe distrutto tutti i loro progetti, be', c'era un vero e proprio abisso.
"Se ne dovranno fare una ragione." 
Hajime scosse la testa. "Tua madre mi odierà. Per colpa mia non potrà organizzare il fastoso matrimonio che tanto desidera."
"Smettila di preoccuparti." Il tono di Teppei si fece severo. "Te l'ho già detto prima. Non permetterò a nessuno di mettersi tra noi due, nemmeno alla mia famiglia." Mosse le dita per carezzargli piano la guancia. "Quindi, per favore, basta con questi discorsi."
Hajime intrecciò strettamente le loro dita e gli circondò la vita con l'altra mano, stringendolo forte contro di sé e assaporando il calore familiare del suo corpo a contatto con il proprio. "Io mi preoccupo, Teppei, perché non voglio vederti soffrire. Non voglio che tu sia costretto a scegliere tra me e la tua famiglia. So quanto ci tieni."
"Affronteremo il problema se si presenterà. E ho detto se, ok? Perché sono sicuro che invece andrà tutto bene. Non litighiamo più, ti prego." Mormorò Teppei, poggiandogli la fronte contro la tempia, la mano che scivolava dalla guancia a cingergli il collo, per infilarsi sotto i neri capelli indisciplinati. "Mi uccide. Promettimi che non succederà più."
"Non posso assicurartelo, ma ti prometto che mi impegnerò." Mosse piano il viso per accarezzargli una guancia con il naso. "Allora, abbiamo fatto pace?"
"Credo proprio di sì." Mormorò Teppei cercandogli le labbra e baciandole piano.
"Finalmente sei tornato a casa."

 

Joy to the world


Joy to the world
All the boys and girls
Joy to the people everywhere you see
Joy to you and me

Sulla porta del soggiorno rischiarono di scontrarsi con Mamoru, che aveva appena aperto la doppia anta scorrevole che separava la sala dal resto della casa.
"Ah siete qui! Stavo per venire ad avvisarvi." Il giocatore diede un'occhiata alle sue spalle. "Shun sta per andarsene." Con il pollice indicò il compagno di nazionale che stava finendo il giro dei saluti.
"Finalmente la porta via?" Chiese Hajime, guardando con gli occhi sgranati la bionda che si era appena abbarbicata a Kumi, inscenando un addio così tragico che nemmeno Orihime e Hikoboshi mentre venivano separati dal Fiume Celeste.
"Grazie ai Kami, sì!" Confermò l'altro, fendendo l'aria con il gomito piegato e il pugno chiuso, in un gesto pieno di esultanza.
"Mi spiace non aver potuto scambiare due chiacchiere con Nitta, è tanto che non lo vedo." Osservò Teppei, attirandosi le occhiate assassine degli altri due membri del trio Shutetsu. "Che ho detto?" Chiese sentendosi trapassare da parte a parte, nemmeno avesse appena fatto autogol in una partita decisiva sancendo la vittoria degli avversari.
"Niente, dobbiamo subito toglierci da qui." Scattando come un serpente, Mamoru sgusciò alle spalle di Yuzo, che stava accompagnando i due ospiti, per mettersi fuori portata. Hajime agguantò Teppei per un braccio e, rivolto un veloce cenno di saluto senza nemmeno fermarsi, li aggirò dall'altra parte, raggiungendo Mamoru in fondo alla sala. "Salvi!" E batté la mano che l'altro gli aveva porto.
"Ma che succede?" Sempre più perplesso, Teppei fece scorrere lo sguardo dall'uno all'altro in cerca di spiegazioni ma Hajime scosse la testa e gli sorrise, dandogli un buffetto affettuoso sulla testa riccia. "Lascia stare."
"Mh!" Mamoru incrociò le braccia e li affrontò, guardando prima l'uno e poi l'altro. "Da quello che vedo deduco che avete fatto pace." Il sorriso allusivo che gli sollevava appena un angolo delle labbra si ampliò quando Hajime alzò il pollice in segno di vittoria.
"Deduci bene."
"Quindi avete risolto i vostri problemi?"
"Teppei! Come va, amico? E' tanto che non ci incontriamo." Takeshi e Kumi si avvicinarono, interrompendo la conversazione. Il difensore salutò l'ex compagno di squadra con una pacca sulla spalla e Teppei rivolse un sorriso di scuse a Mamoru, rimandando le spiegazioni a un altro momento.
"Takeshi, che piacere vederti. Kumi, sei uno spettacolo, sembri un piccolo folletto." Sorrise il centravanti del Cerezo, guadagnandosi uno schioccante bacio sulla guancia. "Avevo capito che sareste tornati a ridosso di Capodanno."
"Doveva essere così infatti, ma qualcuno non era d'accordo." Confermò il difensore degli S-Pulse, rivolgendo un affettuoso sorriso alla fidanzata che si strinse al suo braccio.
"Se n'è andata, non mi pare vero." Ryo li raggiunse con le lacrime agli occhi dalla gioia. "Altri dieci minuti e avrei sbroccato." Si portò le mani alla testa, facendo il verso all'urlo di Munch e facendo ridere tutti. "Cazzo, Shun deve ragionare davvero con il pisello se non riesce a rendersi conto di quanto è insopportabile. Ahio! Fa male cazzo!" Si girò verso Hanji che gli aveva appena mollato un pesante ceffone sulla nuca.
"Piantala! Ti sembra una cosa da dire davanti a due signore?"
"Chi è che stava per sbroccare?" Anche Taro e Azumi si erano avvicinati. La ragazza squadrò il giocatore da capo a piedi, incrociando le braccia sul petto con fare stizzito. "Guarda che siamo state io e Kumi a sorbircela per l'intera serata. E se non fosse stato per  Taro e Takeshi, saremmo ancora suoi ostaggi."
Kumi si appoggiò contro il petto del fidanzato, che la cinse tra le braccia. "E' il mio eroe, mi ha salvato." Sospirò sbattendo le ciglia con fare teatrale, suscitando una risata generale.
"Che hanno fatto Taro e Takeshi?" Chiese Yuzo, rientrando nella stanza con altre bottiglie di vino. Aveva accompagnato Shun e la sua ragazza alla porta ed era passato in la cucina a fare rifornimento.
"Mah... niente..." Minimizzò Takeshi. "Discorsi tra maschi..."
"Che noi non possiamo sentire?" Kumi si girò per lanciargli un'occhiataccia e il difensore si affrettò a negare. "Ma no! Davvero non è niente..."
"Se non è niente, perché non dirlo?"
"Ti tocca vuotare il sacco amico." Se la rise Mamoru, immaginando dove sarebbero andati a parare.
"Ma non c'è nulla da dire, davvero." Takeshi sembrava in difficoltà. "Tra una chiacchiera e l'altra con Shun, ho solo alluso a modi migliori per passare la serata e Taro mi ha dato man forte." Rivolse lo sguardo all'artista del campo. "L'ultimo commento è stato un vero e proprio colpo da maestro, fattelo dire."
"Ah sì? E che ha detto Taro di così convincente?" Chiese Azumi socchiudendo i begli occhi neri con aria indagatrice e puntando lo sguardo sul marito.
"Be'..." Taro si grattò la nuca con un risolino imbarazzato mentre la moglie lo fissava con le braccia incrociate, il piedino che batteva sul pavimento, in attesa.
"E' ora di fare un brindisi" Shingo e Yuzo intervennero prontamente, distribuendo bicchieri e vino in egual misura. Nel giro di qualche istante tutti i presenti si ritrovarono in mano un flûte pieno di bollicine.
"Salvato in corner." Bisbigliò il regista del Jubilo Iwata a Shingo che gli allungò un bicchiere e un'occhiata piena di solidarietà maschile.
"A cosa brindiamo?" Quando tutti furono serviti, Mamoru si girò verso il padrone di casa.
"Credo che non ci sia cosa migliore dell'amicizia." Sorrise Yuzo, alzando in alto il suo flûte.
"E amicizia sia!" Mamoru alzò a sua volta il bicchiere subito imitato dagli altri.

Verso fine serata Teppei raggiunse Hajime vicino alla finestra. Yuzo era uscito per andare a prendere Aiko e  nella sala aleggiava un'atmosfera tranquilla e rilassata. In un angolo, vicino al buffet, Shingo stava parlando con Hanji e Ryo, in mano il bicchierino della staffa.  Seduti sul divano, Azumi e Taro sembravano immersi in una conversazione molto affettuosa mentre Takeshi e Kumi stavano raccontando a un entusiasta Mamoru delle gigantesche onde australiane sulle quali avevano fatto surf.
"Che fai qui tutto solo?" chiese con un affettuoso sorriso, puntellandosi con la spalla contro il muro, le mani infilate nelle tasche dei jeans.
"Pensavo..." Rispose Hajime, ricambiando il sorriso e girandosi per averlo di fronte.
"Uuuuuuh, ecco spiegato il rumore di ferraglia." Lo provocò, l'allegria che accendeva di luce le iridi nere.
"Idiota!" Mugugnò l'altro, allungandogli un pizzicotto sul fianco e facendolo ridacchiare.
"Allora, a cosa pensavi?" Teppei ripeté la domanda dopo qualche istante, scrutando il profilo del compagno che stava facendo vagare lo sguardo assorto per la sala.
"Al futuro." Hajime riportò l'attenzione su di lui e sorrise. Gli prese una mano e se la portò alle labbra, baciandogli le dita. Preso alla sprovvista Teppei sgranò gli occhi, fissandolo sorpreso.
"Ma che fai?" Irrigidì le dita e diede uno strattone, cercando di liberarsi. "Lasciami, prima che se ne accorgano." Sibilò, lanciando uno sguardo allarmato agli altri. Senza badare alle sue proteste Hajime gli lasciò andare la mano e lo avvolse tra le braccia.
"Ho voglia di baciarti, una voglia folle. E' tutta la sera che mi trattengo e non ce la faccio più. Non vedo l'ora di portarti a letto e fare l'amore con te per tutta la notte ma ora non posso. Quindi, se proprio dobbiamo fare coming out, almeno questo me lo devi." E senza dargli il tempo di rispondere gli chiuse le labbra con un bacio lento e profondo, di quelli che fanno battere forte il cuore per l'intensità dei sentimenti che riescono a trasmettere, romantici e appassionati, intensi, come la luce del nuovo giorno che li avrebbe visti ancora insieme.

 

Fine...

...e palla al centro.

Dedico questa storia a Melantò che mi ha sostenuta e incoraggiata nonostante le mie paranoie e si è presa la briga di betare a orari improponibili.
Due parole sulle canzoni.
Era da tanto che volevo scrivere una storia su "Baby please go home" e questa shot mi ha dato modo di poterlo fare.  
La maggior parte delle versioni a cui mi sono ispirata fanno parte della colonna sonora del film "The mistle tones", in particolare Holy night, Joy to the world e Baby please go home. Per le altre ho fatto riferimento alle cover di Mariah Carey e Kylie Minogue.

  
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