Convinzioni

«Certo che sei proprio un caso disperato…»

   Kira mise il broncio, mortificato. «Non è colpa mia.»

   «Sì, invece. Se solo ti applicassi, non avresti alcuna difficoltà», lo riprese stancamente il suo amico, togliendogli dalle mani il laptop per metterselo sulle ginocchia. «Non hai calcolato questo, vedi?»

   Lui diede uno sguardo al punto indicato sul monitor. «Ah, già… Lo avevo completamente scordato», dovette confessare.

   «Lo immaginavo», sospirò Athrun, iniziando a battere le dita sulla tastiera per correggere gli errori commessi dal suo compagno di scuola. «Almeno il procedimento che avevi usato era giusto. Il che sta a significare che non sei poi così stupido come sembri», prese quindi a canzonarlo.

   Kira finse di ridere, stizzito. Eppure un attimo dopo tornò a parlare come se nulla fosse. «Ehi, vieni a giocare da me, dopo le lezioni? Tua madre lavora fino a tardi anche oggi, no?»

   «Mh», rispose il Coordinator originario di PLANT. «Se non creo problemi ai tuoi…»

   «Ma figurati! Ormai sei uno di famiglia.»

   «Addirittura?»

   «Se avessi avuto un fratello, avrei voluto che fosse come te», gli assicurò Kira.

   Athrun sorrise, grato. «Anche a me sarebbe piaciuto», ammise. «Perciò… ti prometto che stasera la passeremo davanti a quel dannato videogioco che ti piace tanto.»

   L’altro sgranò gli occhi, incredulo. «Sul serio?»

   «Sì, sì…»

   «Sei il migliore amico del mondo!»

   «Credo anch’io», peccò di modestia il minore, continuando nella revisione dei compiti del piccolo Yamato.

   D’un tratto, proprio quest’ultimo fu attirato dal chiacchierio di alcune studentesse sedute sulla panchina di fronte alla loro, immerse nel verde del giardino della scuola. «Ehi, Athrun…»

   «Cosa?», chiese distrattamente lui, lo sguardo fisso sul laptop.

   Kira lo tirò piano per una manica e fece cenno con il capo verso le ragazzine. «Parlano di te.»

   Stupito, il moro spostò la propria attenzione su di loro, azione che le fece scattare come una molla: un gridolino rosa a più voci si levò tutt’intorno, e le fanciulle finsero di non essersi mai voltate nella sua direzione.

   «Ne hai di ammiratrici, eh?», lo prese in giro il suo amico.

   Imbarazzato, e quasi mortificato per chissà quale ragione, Athrun corrucciò la fronte, tornando a lavorare sul computer. «Per quel che mi importa…»

   «Alcune però sono carine.»

   «Non basta avere un bel viso. Mancano di buone maniere», osservò, innervosito dal fatto che adesso una delle loro compagne aveva preso a chiamarlo scherzosamente per nome. «La femminilità è fondamentale, in una donna.»

   «Sei davvero esigente, tu…»

   «È questione di educazione. E di rispetto.»

   «Verso cosa?»

   «Verso chi?, semmai.»

   «D’accordo. Verso chi?»

   «A te non darebbe fastidio essere importunato in questo modo?»

   Kira ci pensò su un attimo. «Probabilmente sì.»

   «Per l’appunto. Detesto essere continuamente osservato. E tollero ancor meno che mi si segua dappertutto», cominciò quindi a sfogarsi Athrun, battendo con forza sui tasti, senza curarsi di moderare il tono. «Ma la cosa che più di tutte mi dà sui nervi, è la totale mancanza di grazia. Nel linguaggio e nei modi.»

   Il ragazzino dagli occhi violetti si morse un labbro con fare preoccupato. «Credo ti abbiano sentito», gli fece notare sottovoce, sbirciando ancora verso il gruppetto.

   «Sono state loro a cominciare, per cui non vedo perché dovrei preoccuparmene.»

   «Che testa dura, che sei…»

«Lo pensi ancora?»

   Quella domanda, posta in un momento morto della conversazione che avevano intavolato tra una modifica e l’altra al software dello Strike Rouge, unico Mobile Suit utilizzabile dopo l’estenuante battaglia di Jachin Due, colse Athrun di sorpresa. «Cosa?»

   Kira spostò lo sguardo dall’altra parte della grande sala, dove la sua gemella era impegnata in una irrequieta conversazione con Erica Simmons riguardo a chissà cosa. «Niente. Lascia perdere», rispose, riprendendo a lavorare.

   L’altro lo fissò confuso. «Sai… sei davvero strano, alle volte.»

   «Oh, mai quanto te, te l’assicuro», rise fra sé e sé il Sottotenente, mentre una vivace imprecazione raggiungeva le loro orecchie.

   «Eh?»