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Autore: PearsonLexi    12/01/2018    14 recensioni
Dopo un evento traumatico, l’attore pluripremiato Oliver Queen ne ha abbastanza della sua vita ad Hollywood, così decide di prendersi un anno di pausa per riconnettersi con le sue radici a Starling City. Quello che non si aspettava era di rimanere bloccato dentro l’ascensore del suo condominio con il suo cane Argus e la sua nuova vicina, Felicity Smoak, amministratrice delegata e fondatrice delle SmoakSolutions, o la facilità con la quale i due diventano ottimi amici fin da quel loro primo incontro. Ma è davvero solo un’amicizia tutto quello che c’è fra loro? AU. Rating M. 18 Capitoli.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Felicity Smoak, John Diggle, Oliver Queen, Thea Queen, Tommy Merlyn
Note: AU, Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Un nuovo inizio
 
TRAMA: Dopo un evento traumatico, l’attore pluripremiato Oliver Queen ne ha abbastanza della sua vita ad Hollywood, così decide di prendersi un anno di pausa per riconnettersi con le sue radici a Starling City. Quello che non si aspettava era di rimanere bloccato dentro l’ascensore del suo condominio con il suo cane Argus e la sua nuova vicina, Felicity Smoak, amministratrice delegata e fondatrice delle SmoakSolutions, o la facilità con la quale i due diventano ottimi amici fin da quel loro primo incontro. Ma è davvero solo un’amicizia tutto quello che c’è fra loro? AU. Rating M. 18 Capitoli.
 
Ragazzi come avrete capito sono sempre io, Lexismoak, ma poiché ho dovuto cancellare il sondaggio dal mio altro profilo, ho pubblicato l’ultimo pilot su questo nuovo account, invitandovi a leggere l’ultima storia che vi propongo e a commentare con la vostra classifica se non avete fatto in tempo a farlo prima. Vi ricordo le altre alternative: Guerra di potere, L’amore è una sorta di guerra, Lo scapolo d’oro, L’ora più buia, Mentre stavi dormendo, Rinascita.

 
 
 Capitolo 1.
 
Oliver spense il computer dopo aver risposto all’ultima email che gli aveva inviato il suo agente per ricordargli “dell’incredibilmente importante” giro di interviste che avrebbe dovuto fare il giorno dopo per promuovere il suo ultimo film. Era certo che se anche avesse provato a dimenticarlo, non ci sarebbe riuscito con tutti i promemoria giornalieri che gli inviava il suo agente.
Anche se durante quell’anno non era impegnato nelle riprese di nessun film, doveva ancora rispettare alcuni obblighi. Un film che aveva girato l’anno prima stava per uscire al cinema, quindi doveva fare il giro delle trasmissioni televisive ed affrontare innumerevoli interviste per promuovere suddetto film. Almeno era riuscito a negoziare il fatto di fare le interviste solo a Starling City, così da non dover viaggare molto e non dover lasciare da solo il suo cane. Perciò qualsiasi giornalista che avrebbe voluto avere il suo parere, sarebbe dovuto andare lì da lui.
Faceva tutto parte del suo tentativo di riconnettersi con le sue radici lì a Starling City, per cercare di riparare tutti i rapporti con i vecchi amici e perfino con la sua famiglia, rapporti che la sua ascesa verso la celebrità e il suo trasferimento ad Hollywood avevano inclinato. Ma sapeva che c’erano alcune cose che non si potevano risolvere, non dopo dieci anni.
Con un sospiro ed una rapida occhiata all’orologio, lasciò cadere il portatile sul divano e si girò verso il suo cane. Era arrivato il momento di dimenticare le parti seccanti del suo lavoro e godersi un po' di tempo con il suo migliore amico.
“Forza, bello, andiamo a fare una passeggiata”.
Arcus, che era accucciato nel suo punto preferito del pavimento, vicino alle finestre, si alzò e superò Oliver, iniziando a correre per poi scivolare e fermarsi vicino alla porta. Trovò la sua pallina di gomma rossa preferita nella cesta lì vicino e le tenne al sicuro fra i suoi grandi denti e poi si mise seduto, rivolgendo uno sguardo quasi impaziente verso il suo padrone.
Oliver non potè fare a meno di ridacchiare per le buffonate del suo cane mentre gli si avvicinava. L’unica cosa che mancava per rederlo il cane più fastidiosamente insistente al mondo era il costante rumore delle sue zampe contro il pavimento. E comunque, era sorpreso che Thea o Tommy non gli avessero ancora insegnato quel particolare trucco.
Prese il guinzaglio dalle cesta e lo attaccò al collare di Arcus, e lo condusse verso l’ascensore. Come se andasse in automatico, il suo cane si posizionò nel suo solito posto nel’angolo più lontano dell’ascensore.
Oliver lo aveva addestrato a farlo dopo che gli altri condomini avevano fatto sapere che si sentivano intimiditi dal grande cane nero quando erano rinchiusi con lui nello spazio limitato dell’ascensore, nonostante il suo addestramento impeccabile. Perciò ora Oliver si assicurava sempre che il suo cane fosse nell’angolo più lontano e lui si posizionava fra il canino e chiunque altro ci fosse nell’ascensore.
In quel momento, l’ascensore si fermò, dopo solo un piano, con le porte che si aprirono solo per rivelare una piccola bionda.
 “Scende giù?” lei chiese, con voce allegra.
Non gli rimase altro da fare che annuire mentre si spalmava in faccia un sorriso quando improvvisamente si sentì tradito dalla sua voce.
Lei entrò dentro, rivolgendogli le spalle per mettersi di fronte alle porte chiuse. Poiché era momentamente distratta, lui colse l’occasione per permettere ai suoi occhi di vagare su di lei. Partendo dai suoi alti tacchi neri, poi sulle sue gambe liscie e la gonna pastello ugualmente nera, e poi sopra il suo trench beige (Burberry, una voce nella sua testa che gli sembrò distintamente come quella di sua sorella gli fornì gentilmente) ed infine sulle sue ciocche bionde che le cadevano sopra le spalle in ricci naturali.
Dai pochi secondi che era riuscito a vedere il suo viso si ricordò le vibranti labbra rosa e gli occhi azzurri dietro degli occhiali dalla montatura nera.
Era carina. Persino bella.
Ma non il suo tipo.
La sua riflessione venne bruscamente interrotta da un duro scossone della cabina dell’ascensore quando il mezzo di trasporto si fermò improvvisamente, con le luci che lampeggiarono un paio di volte prima di lasciare il piccolo spazio nella completa oscurità.
Arcus si lamentò silenziosamente attorno la palla che aveva in bocca dietro il suo padrone, premendo il naso contro la gamba di Oliver come per assicurarsi di non essere da solo. Una delle mani di Oliver si abbassò automaticamente sopra la testa del cane, accarezzadolo gentilmente, mentre l’altra mano tastava le tasche della giacca in cerca del suo telefono.
“Ragazzi, state bene?” la voce della bionda arrivò proprio da davanti a lui, stava illuminando con il suo telefono lo spazio buio e quando gli punto la luce contro gli fece socchiudere gli occhi.
 “Stiamo bene. Tu?”
“Oltre al fatto di essere intrappolati in una scatola di latta a 30 piani da terra?” lei chiese, con l’umorismo che le impregnava la voce. “Certo, sto alla grande”.
Lui emise un respiro divertito. “Lieto che tu ti stia divertendo”.
Nella scarsa luce fornita dal telefono di lei riuscì a vedere le sue spalle alzarsi ed abbassarsi mentre faceva spallucce. “Meglio che andare in iperventilazione o piangere sulla tua spalla”.
Forse era solo la luce tenue e il modo in cui le ombre danzarono sul suo viso, ma avrebbe potuto giurare di averla vista mordersi il labbro per trattenersi dall’aggiungere altro. Ma anziché farlo, si spostò verso il pannello di controllo, e premette il pulsante di emergenza per contattare gli aiuti.
Dopo una breve discussione con la società che gestiva gli ascensori durante la quale venne detto loro che c’era un errore di sistema non identificato e che per aggiustare le luci ci sarebbe voluta circa mezz’ora, sentì la bionda sospirare e togliersi le scarpe con il tacco, lasciandole cadere a terra mentre si appoggiava contro la parete e cominciava a scivolare in basso fino a sedersi sul pavimento.
Lui si fece scorrere la mano fra i capelli e decise di seguire il suo esempio, mettendosi fra il corpo del suo cane e la bionda che stava sistemando il suo telefono con lo schermo verso il basso, con il raggio del flash della fotocamera che illuminava l’ascensore il più possibile.
“Dal momento che sembra che rimarremo bloccatti qui dentro per un po', io sono Felicity”, la bionda disse all’improvviso dopo qualche secondo di silenzio, porgendogli la mano.
Lui la prese e la strinse con un sorriso. “Io sono Oliver”.
Le labbra di lei si allargarono in un sorriso imbarazzato. “A dirla tutta, già lo sapevo. E non intendo in un modo imbarazzante come ‘ti sto stalkerizzando’ ”.
Per qualche ragione lui non riuscì a sopprimere il sorriso che si stava diffondendo sulle sue stesse labbra. “Che cosa indendi diresul serio, allora?”
“Sono abbastanza certa che tutti ti conoscano. O almeno, sanno di te. Non passi inosservato. Voglio dire, sul serio si dovrebbe vivere sotto un sasso per non aver sentito parlare di Oliver Queen, grande star del cinema e donnaiolo ancora più grande”, lei disse come se stesse dicendo qualcosa di ovvio.
Non riuscì a non trasilire a quell’ultimo commento.
“Ma comunque”, lei si corresse rapidamente, forse perché aveva notato la sua reazione, “questo è quello che dicono quegli stupidi giornali scandalistici. Non do molto credito alle dicerie dei ‘giornalisti’ e degli ‘editori’ che cercano solo di far emergere un nuovo scandolo per vendere più copie. Sono certa che nella vita vera tu sei perfettamente normale. O normale come puoi esserlo con tutti quei premi conquistati alla spalle”.
Ovviamente non la conosceva bene abbastanza per valutare se le sue parole erano vere o se stava dicendo quelle cose solo per adularlo, ma a giudicare dal modo in cui le sue guance presero un po' di colore o da come si stava contorcendo le dita nervosamente, decise di concederle il beneficio del dubbio.
Inclinò la testa leggermente da un lato, guardandola con un sorriso giocoso. “Quindi ti baserai soltanto sulla parte della ‘grande stella del cinema’ per valutarmi?”
Spalancò gli occhi per un secondo prima di fare un respiro profondo e posarsi i palmi delle mani sulle cosce. “Sì, esatto. Decisamente mi concentrerò su quella parte”, lei rispose e gli sorrise. “Mentirei se ti dicessi che non sono una fan della maggior parte dei tuoi lavori. Mi è quasi venuto un infarto quando una degli altri inquilini del mio piano mi ha salutato chiedendomi se già ti avevo incontrato. Pensavo che mi stesse solamente prendendo in giro. Suppongo che non era così”.
Un sorriso compiaciuto si diffuse sulle labbra di lui a sentirla dire che le erano piaciuti – aspetta un attimo, che cosa?
Il ghigno scomparve immediatamente dalle sue labbra. “Non ti piacciono tutti i miei lavori?” lui cercò di chiedere impassibile, ma non riuscì ad evitare che il tono della sua voce fosse sulla difensiva e forse perfino inclinato da un pizzico di dolore.
Lei annuì, sostenendo il suo sguardo. “Oh, per quanto mi riguarda hai avuto una carriera stellare per un bel po' di tempo. I tuoi film, il modo in cui interaggisci con i fans su Facebook, il tuo lavoro di beneficenza e, ovviamente, la tua compagna pubblicitaria per Calvin Klein. Voglio dire, wow”, lei disse tutto d’un fiato, fingendo di essere lei stessa una fan mentre agitava una mano. “Parlando di brave ragazze che diventano cattive. Ma poi, poi hai dovuto fare quell’orrendo remake di Robin Hood ambientato nel mondo moderno dove finisci insieme a quell’avvocato cagna interpretata da quell’attrice-monoespressiva-come-diavolo-si-chiama che non riesce a recitare le emozioni umane di base neanche se la sua vita dipendesse da questo? Ugh, sono passati due anni e ancora odio da morire quel film. Ma quella stupida aspirante attrice è proprio un bel tipo e –”
La fissò per un secondo mentre veniva travolto dalle sue parole, con la bocca spalancata dallo shock per la sua innocenza. Poi, alla fine, gli sembrò come se una diga si rompesse per permettere che una risata incontrollabile uscisse dalle sue labbra e un’ondata di piena gioia travolgergli tutto il corpo.
Cercò di calmarsi, sul serio cercò di farlo, ma ogni volta che alzava lo sguardo e vedeva gli occhi spalancati di lei, perdeva di nuovo il controllo. La sua risata sincera, profonda e i suoi respiri pesanti si mescolarono con i latrati di Arcus, che lo stava guardando con la testa inclinata di lato ed un’espressione interrogativa nei suoi occhi marrone scuro, la pallina dimenticata sul pavimento.
Oliver sentì quacosa di bagnato sscorrergli lungo la guancia e quando sollevò la mano per toglierla, realizzò che si trattava di una lacrima. Quella completa estranea lo stava facendo ridere più forte di quanto faceva da lungo tempo semplicemente parlando in modo brutalmente sincero.
Chi diavolo era quella donna?
Dietro la sua vista appannata finalmente riuscì a guardarla fisso negli occhi per un periodo più lungo, e osservò la sua espressione andare dalla sorpresa, all’irritazione, alla rabbia. Una parte del suo cervello che non stava venendo travolta dallo tsunami di gioia gli disse che probabilmente lei pensava che stesse ridendo di lei. Arricciò le labbra in un broncio, lo scrutò con occhi socchiusi per alcuni lunghi secondi, prima di scuotere leggermente la testa e tutti il viso si illuminò per il divertimento.
Era stata una cosa affascinante da osservare. La sua pelle si distese, la piccola ruga fra le sue sopracciglia scomparve e le sue labbra si incurvarono in un sorriso che rapidamente passò dall’essere esitante ed appena accennnato allo sbocciare in un sorriso vero e proprio, completamente genuino.
Ma quello che era stato davvero incredibile fu quello che successe ai suoi occhi. All’inizio, lo guardarono con diffidenza e un po' di certezza, ma quando le sue labbra cominciarono a curvarsi in un sorriso, i suoi occhi cambiarono completamente. Fu come se avessero cominciato a brillare, a danzare con allegria spensierata e risate.
Non aveva mai visto nessuno sorridere così… pienamente e completamente.
Quando finalmente riuscì a calmarsi, si asciugò le lacrime e si girò verso di lei. “Scusami. Giuro che non stavo ridendo di te. È solo che...” ridacchiò e scosse la testa. “Non mi piace parlare in questo modo dei miei colleghi, ma quella donna era davvero terribile in un modo incredibile e davvero un bel tipetto. Ma poiché suo padre è pezzo grosso di un grande studio nessuno ha mai osato dire la verità sulla sua completa assenza di capacità recitative. Quello che hai detto ha perfettamente colto nel segno e sentire qualcuno essere così schietto come lo sei stata tu è davvero… raro. E rinfrescante. Mi hai colto alla sprovvista”, lui ammise con un lieve sorriso.
“Essere schietta è un modo per descrivere le mie tendenze a blaterare”, lei rispose con un lamento e un rossore sulle sue guance.
“Quindi lo fai molto spesso, allora? Essere brutalmente onesta sulla carriera di un uomo? A proposito, apprezzo sul serio complimenti nascosti fra il tuo blaterare. Ma, ad essere onesti, hanno usato un po' di photoshop sulle foto di quella campagna pubblicitaria”.
Lei lo schernì. “Forse ci avrei creduto prima di conoscerti di persona. Ma ora? Assolutamento no”, lei disse, scuotendo la testa energicamente. “Sei altrettanto bella nella vita reale. No, aspetta, volevo dire bello. Tu sei molto bello e… virile”. Con un dito indicò il suo corpo e sussurrò. “Così, così malettamente virile”.
D’accordo, forse gli gonfiò un po' il petto la sua ammissione e ovviamente apprezzamente del suo aspetto fisico. Chi poteva biasimarlo?
“Certamente sai come gonfiare l’ego di un’uomo, Felicity”, lui rispose senza problemi.
Le sue guance tornarono a colorarsi e lui fu segretamente soddisfatto di essere il responsabile di quel rossore. “Allora”, lei disse dopo essersi schiarita la gola. “Come si chiama il tuo cane?”
Non era stato un cambio di argomento molto discreto, lui riflettè, ma lasciò correre.
Accarezzò vigorosamente la testa del suo cane. “Lui/Questo è Arcus”.
Felicity sorrise al cane che aveva alzato le orecchie dopo aver sentito pronunciare il suo nome. “È un nome davvero bello. Se non sbaglio è latino, significa ‘arco’”, lei accennò disinvolta, sorprendendolo ancora una volta.
 “È così”, lui concordò. “Mia sorella me lo regalato tre anni fa e aveva già deciso che quello sarebbe stato il suo nome. Tifo per gli Starling City Archers, sono la mia squadra preferita, quindi puoi farti un’idea su come le sia venuto in mente il nome”.
“Di che razza è? Credo di non aver mai visto un cane come lui”.
“La cosa non mi sorprende. È un Hovawart. Non ho incontrato molte persone che hanno sentito parlare di questa razza. Non è molto comune negli Stati Uniti”.
“Me ne parli di più?” lei chiese e sembrò essere sinceramente interessata.
“Oh, sì, certo. L’Hovawart è una vecchia razza di cani tedesca. Da quello che ho letto, se ne parla già a partire dal 13esimo secolo. Erano usati per proteggere i terreni e le proprietà delle famiglie ed ecco anche da dove proviene il nome: ‘holf’ in tedesco vuol dire ‘campo’ o ‘fattoria’, e ‘wart’ vuol dire ‘protettore, guardiano’. Arcus, qui, proprio come quelli della sua razza, è molto leale e intelligente e in generale molto gentile, ma è anche molto particolare riguardo a chi permettere di far entrare nel ‘branco’. Anche se risponde assolutamente ai miei comandi, è meno inclinato ad accettarli dagli altri. Solo il mio migliore amico e mia sorella hanno la fortuna di essere inclusi in quel settore”.  
“Gli hai insegnato qualche trucco?”
“Sa fare alcune cose. Te le mostrerò quando usciremo da qui”.
“Non dovrebbe volerci molto altro tempo, ormai”, Felicity scherzò.
Diede una rapida occhiata all’orologio, spalancando gli occhi per la sorpresa. “Sì, wow, è già passata mezz’ora. Ma questo significa anche che stiamo parlando di me da almeno 30 minuti. Dimmi qualcosa di te”.
Era solo la sua immaginazione o era arrossita?
“Oh, sai”, lei disse con un cenno di mano. “Non c’è molto da dire”.
“Avanti, Felicity, sono in completo svantaggio in questa situazione. Sembra che tu conosca un bel po' di cose su di me, mentre io so solo il nuo nome e che vivi in questo palazzo”.
Lei inclinò leggermente la testa; occhi intelligenti e curiosi guizzarono sul suo viso. Erano così espressivi che riuscì a malapena a resistere all’impulso di agitarsi sotto il suo intenso esame minuzioso. Che cosa stava cercando di determinare? Se poteva fidarsi di lui? Se era davvero interessato o se stava soltanto facendo una conversazione civile?
“Per favore?” lui aggiunse con quello che sperò essere un sorriso affascinante e degno di fiducia.
Lei sospirò ed annuì. “Bene, suppongo che sia giusto. Il mio cognome è Smoak e mi sono trasferita in questo palazzo meno di un mese fa”.
Perché il suo cognome gli suonò familiare?
“Dove vivevi prima?”
“In un quartiere diverso della città. Sono originaria di Las Vegas, ma ho colto la possibilità di frequentare l’università a Boston dove ho dato inizio alla mia società durante il mio ultimo anno di studi. Sono rimasta in città negli anni successivi per vederla crescere e in realtà le cose sono andate così bene che ci siamo espansi in altre città, avendo sempre più società clienti, ma era per di più concentrato sulla East Cost. Così ho pensato che fosse arrivato il momento di cominciare un nuovo capitolo. Strategicamente parlando Starling city è sembrata la scelta migliore per imbarcarsi in questa nuova impresa”.
“Di cosa si occupa la sua società?”
“Diverse cose. Tutte legate all’informatica, però. La maggior parte del lavoro probabilmente riguarda la sicurezza informatica aziendale, i sistemi di comunicazione interna e i database, ma ci occupiamo anche di alcuni software per il mercato di massa come il nostro programma antivirus SmoakScreen, e ultimamente abbiamo aggiunto alcune app di gioco”.
Sorrise quando finalmente scattò qualcosa dentro la sua testa. “Le SmoakSolutions! Ecco perché mi era sembrato che il cognome mi suonasse familiare. Non so dirti quanto io ed il mio agente apprezziamo lo SmoakScreen. Come alcuni miei colleghi attori, anche io sono stato vittima degli hacker qualche volta, ma non sono mai riusciti a superare il tuo firewall. Il tuo programma è senza dubbio un salva vita.”
Gli sorrise. “Sono felice di sentirlo, anche se non posso fare a meno di sentirmi un po' in colpa perché a causa del mio lavoro nessuno è riuscito a vedere le tue foto nudo”, lei disse con un occhiolino giocoso.
Lui abbaiò una risata sorpresa. “Che c’è? Le mie pubblicità di biancheria intima non ti sono bastate?”
 “Beh, l’hai detto tu stesso, quelle tendono ad essere ritoccate”, lei ribattè senza perdere un colpo, con gli occhi lucidi di malizia.
“E mi hai assicurato che sono altrettanto bello nella vita vera”, le ricordò, puntandole giocosamente l’indice contro.
Lei strinse le labbra, non riuscendo a nascondere il suo sorriso. “Touché”.
 
Il loro momento spensierato fu interrotto dall’insistente ronzio del telefono di lui posato vicino a quello di Felicity sul pavimento. Un’occhiata allo schermo gli disse che si trattava del suo migliore amico. “Scusai, devo rispondere”, le disse scusandosi.
Sciogliendo le gambe, liberò i piedi e si alzò dal pavimento, con le gambe che protestarono per l’improvviso movimento dopo essere state ferme ed inattive per un po', ma non voleva essere completamente scortese e parlare con qualcun altro davanti a lei. Così quando fu in piedi le rivolse un rapido sorriso e poi si girò, rivolgendo lo sguardo all’angolo opposto dell’ascensore.
“Ciao, Tommy”.
“Ehi amico, sono così felice di essere riuscito a beccarti.”
“Che succede?”
“Mi dispiace doverti fare questo, ma non posso badare a quel sacco di pulci domani. C’è stato un problema con una delle nostre filiali a Metropolis e mio madre mi ha detto di andare ad occuparmene. Sto andando all’aeroporto mentre stiamo parlando e non sarò di ritorno prima della prossima settimana”.
“Mi prendi in giro!? Contavo su di te! Ed ora che diavolo dovrei fare con lui?” lui sibilò, cercando di non alzare la voce.
“Chiedi a Thea di badare a lui, è stata lei a metterti in questo casino dal momento che te lo ha regalato”.
“È in Europa con mia madre questa settimana, ecco perché all’inizio l’avevo chiesto a te”.
“Allora chiama uno di quei servizi di dog-sitter. È solo per poche ore”.
“Non è solo per poche ore, è per la maggior parte della giornata. Sai bene quanto me che non si fiderà di un qualche sconosciuto che non ha mai incontrato prima”. Ecco il lato negativo della lealtà incondizionata del suo cane.
“Amico, sono davvero dispiaciuto, ma non posso farci nulla. Sto entrando in questo momento dentro l’aeroporto. Ci sentiamo”.
Oliver sentì a malapena il segnale acustico che segnavala che il suo amico aveva riattaccato a causa di una serie di imprecazioni arrabbiata che gli stavano attraversando la testa in quel momento. Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo, resistendo a malapena all’impulso di tirare un pugno contro l’acciaio freddo della parete dell’ascensore.
Per l’unica volta che aveva davvero bisogno dell’aiuto del suo amico…
Con un altro respiro profondo e una mascella serrata si girò e immediatamente si immobilizzò per quello che si ritrò davanti.
 
Ad un certo durante la sua conversazione telefonica con Tommy il suo cane era sgattaiolato via dai suoi piedi ed aveva spostato la massa considerevole del suo corpo verso dove Felicity era ancora seduta sul pavimento. Era rivolto di schiena, con tutte e quattro le zampe in aria mentre aveva la testa poggiata comodamente sopra Felicity, con la lingua che usciva da un lato della bocca. Aveva gli occhi allegri fissi sulla donna bionda che gli stava parlando animatamente con voce sommessa. Con una mano gli accarezzava la pancia con piccoli movimenti circolari mentre l’altra si muoveva nello stesso modo sulla testa di Arcus.
 “Che diavolo stai facendo?” Oliver non riuscì a trattenersi dal chiedere, con una voce alta che portava un’implicita accusa.
Felicity si fermò immediatamente, alzando subito la testa e con occhi spalancati incrociò lo sguardo di lui. “Mi dispiace! Io… non intendevo… oltrepassare i confini?” sembrò confusa e sulla difensiva.
“Non sto parlando con te”, lui si corresse rapidamente, puntando il dito in modo accusatorio verso il suo cane che subito si girò di pancia, guardando Oliver con uno sguardo innocente negli occhi, scavando con il naso contro la coscia di Felicity.
“Sto parlando con quel piccolo traditore bastardo”, lui disse digrignando i denti, fissando Arcus che ebbe l’audacia di alzare la testa e leccare la mano di Felicity.
“Oh?” lei sussurrò, persino più confusa di prima, spostando lo sguardo su quel cane così innocente che ora le si era preticamente seduto sopra.
“Io sono qui a parlare con il mio migliore amico, sostenendo che il mio cane non si affeziona rapidamente agli estranei e che è questo il motivo per cui sono in un grosso guaio per domani, e poi mi giro e lo vedo rannicchiato contro di te anche se neanche ti conosce”, lui esclamò frustrato, alzando le mani in aria.
“E questa è una brutta cosa?” lei chiese, sembrando completamente adorabile con quella piccola ruga che le era spuntata fra le sopracciglia per la confusione e il suo cane gigante disteso sul suo grembo.
“Sì”, lui insistette deciso. “No. Non lo so”.
Ancora più frustrato di prima perché non sapeva cosa fare o dire, si lasciò cadere accanto a lei. Molto più vicino ora di quanto lo era stato prima della sua telefonata, quasi vicino abbastanza da far toccare le loro spalle.
“È piuttosto difficile da spiegare”, lui disse finalmente quando si sistemò, con la voce di nuovo calma e misurata.
“Beh, sembra che abbiamo ancora del tempo, quindi perché non ci provi?” Proprio come poco prima, la sua voce era piena di interesse genuino e pazienza ed Oliver si ritrovò a volerle davvero spiegare qualsiasi cosa. Così lo fece.
“Arcus è un cane fantastico. È gentile ed adorabile e il miglior cane che avrei mai potuto chiedere”, lui iniziò e poi si fermò, decidendo di tornare all’inizio. “Già ti ho detto che Thea me lo dato tre anni fa. Era ancora un cucciolo, ma non viene da un allevatore. Thea lo ha trovato in un rifugio per animali dove fa la volontaria ed immediatamente si è innamorata di lui. Alcuni dei suoi colleghi volontari se lo erano ritrovati davanti casa senza sapere da dove provenisse o perché si trovasse lì o che cosa gli fosse successo. Avevano avvertito Thea e me che avrebbe potuto manifestare dei problemi psicologici imprevisti derivanti dalle sue prime settimane di vita. Ma quando ce lo dissero anche io mi ero già innamorato di lui, ed ero determinato a dargli la miglior casa possibile”.
Alzò lo sguardo da dove le dita agili di Felicity stavano gentilmente accarezzando il pelo del suo cane, il movimento ritmato di lei lenì sia il proprietario che il cane in un modo che lui non aveva mai sperimentato prima. Deglutì a fatica ed incrociò lo sguardo fisso di lei che lo stava incoraggiando silenziosamente ad andare avanti.
“Di solito non è eccezionale con gli estranei”, lui continuò con un’espressione pensierosa. “Non che si comporti in modo ostile o cose simili, ma tende ad ignorare chiunque non sia me, Tommy o Thea. Per un po' di tempo, all’inizio, ho potuto portarlo con me sul set o alle conferenze stampa perché rimaneva buono nella mia roulotte o sdraiato ai miei piedi e dormiva per tutta la durata delle interviste. Ma per qualche motivo ha cominciato ad essere più difficile in quest’ultimo anno. Diventa davvero ansioso quando lo lascio da solo per troppo tempo ed ho dovuto smettere di portarlo alle interviste perché continuava ad abbaiare per tutto il tempo”.
“Mmm, sembra che a questo piccolo guastafeste non piaccia condividere le attenzioni del suo paparino”, Felicity sostenne.
Lui rispose ridacchiando. “Già, e vederlo comportarsi in questo modo con te è stata una completa sorpresa, a dir poco. Perfino  Tommy e Thea devono ancora corromperlo con dei premi ogni volta che si prendono cura di lui”.
Lei fece un ampio sorriso e poi sussurrò in modo cospiratorio. “Non dirlo a nessuno, ma il mio vero lavoro è essere la donna che sussurra ai cani, la roba dell’azienda informatica è solo una copertura”.
“Ah, in realtà potrei crederci sul serio”, lui concordò scherzosamente, indicando al suo cane che era ancora seduto su di lei, il più felice possibile. Era ancora più sorprendente che Felicity non sembrava essere per nulla esitante nell’avere una grande palla di pelo di cinquanta chili che la stava usando come cuscino.
Prima che potesse continuare a scherzare con lui, le luci si accesero di nuovo e una scossa attraversò l’ascensore, che tornò alla sua normale attività, così da portarli lentamente ma in sicurezza fino al piano terra.
Oliver si alzò e allungò la mano per aiutare Felicity a sollevarsi da terra. Lei sorrise con gratitudine e si assicurò che Arcus si togliesse dalle sue gambe prima di lasciare che Oliver la tirasse in piedi.
Era molto più piccola di quello che si ricordava; la sua testa raggiungeva a malapena lo stesso livello del suo mento. Lasciò che i suoi occhi scivolassero sul suo corpo, e capì una volta che il suo sguardo arrivò ai suoi piedi. Ah, c’era un pezzo che mancava al puzzle.
Stava per lasciare andare la mano di lui quando lui strinse le sue dita attorno a quelle di lei, attirando la sua attenzione sul proprio viso.
“Le tue scarpe”, le ricordò.
“Oh, giusto”, lei disse boccheggiando e si chinò per indossare di nuovo i suoi tacchi, uno per volta, tenendo in equilibrio il suo corpo con l’aiuto della sua mano. “Grazie. Suppongo che la cavalleria non sia morta, dopotutto”.
Lui la seguì. “Cerco di fare del mio meglio, signorina Smoak”.
 “E i tuoi sforzi sono davvero molto apprezzati, signor Queen”, lei ribattè senza perdere un colpo.
E poi le porte della loro gabbia di metallo finalmente si aprirono di nuovo, e lui diede uno sguardo al suo orologio, un’ora e quattro minuti e vennero accolti nella hall del loro condominio dall’amministratore e il portiere che rivolsero loro tutte le attenzioni per assicurarsi che stessero bene.
 
Dopo averli rassicurati innumerevoli volte che non avevano riportato alcun danno, finalmente fu permesso loro di andarsene, il che era decisamente una buona cosa, a giudicare dagli strattoni insistenti che Arcus stava dando al suo guinzaglio. La vescica del povero ragazzo probabilmente stava per scoppiare.
Oliver seguì il cane mentre si dirigeva all’albero più vicino sul marciapide davanti al loro palazzo, finamente alleviando la sua sofferenza. Si girò di scatto quando sentì un colpetto sulla sua spalla, e si ritrovò faccia a faccia con Felicity che gli stava sorridendo.
“Affari urgenti?” lei chiese con un sorriso divertito.
“Già, mi dispiace, non volevo scappare via da te, ma la natura stava decisamente chiamando”.
“È quello che pensavo”. Spezzò il contatto visivo e cominciò a giocherellare con la cerniera del suo cappotto, mordendosi il labbro silenziosa, in contemplazione. Non era per la prima volta nell’arco di quell’ultima ora che lui si chiese che cosa stava succedendo in quella sua testa graziosa.
Si schiarì la gola e tornò a guardarlo negli occhi. “Non intendo davvero impormi su di te o superare i limiti, poiché, anche dopo essere rimasti bloccati in ascensore insieme per l’ultima ora, non ci conosciamo davvero, ma hai detto che sei alle strette con Arcus per domani e poiché lui ed io sembriamo aver instaurato una sorta di legame ho pensato che potrei offrimi…”
Si fermò e sollevò la mano per stringersi il naso con due dita perfettamente curate. “Sai cosa? Non importa. Era un’idea stupida. Io.. me ne vado e lascio voi due a.. fare le vostre cose”. Fece un lieve cenno verso l’entrata del parco dall’altro lato della strada, e gli rivosle un sorriso tirato ed imbarazzato prima di girarsi e cominciare ad andarsene.
Il cervello di lui impiegò qualche secondo prezioso per ricostruire quello che lei aveva appena detto. Davvero aveva appena tentato di offrirsi per prendersi cura del suo cane per il giorno dopo?
Era piuttosto certo  che fosse così.
Poteva davvero fidarsi di lei?
La sua connessione immediata con Arcus era innegabile e completamente senza precedenti a questo punto, ma solo perché il suo cane sembrava a suo agio ad essere accarezzato da lei non voleva dire che avrebbe davvero ascoltato i suoi comandi mentre lo portava a spasso senza che Oliver fosse presente. O che sarebbe stata in grado di controllare un cane di cinquanta chili con il quale non aveva alcuna esperienza. Quindi anche la sola idea di tutto ciò era ridicola.
Giusto?
Giusto!
Eppure, una voce in fondo alla sua testa gli stava dicendo che lei era la sua migliore alternativa. Le probabilità che un estraneo del servizio di dog sitter legasse con Arcus nel modo in cui aveva fatto lei erano piuttosto nulle. Non poteva non andare a fare quelle interviste il giorno dopo, ma aveva anche ricevuto istruzioni dettagliate da parte del suo agente di non portare il suo cane. E infine, le sue due alternative di dog-sitter, Thea e Tommy, erano entrambe fuori città.
Quindi, sul serio, quale altra alternativa aveva? Valeva la pena almeno provarci, giusto?
“Felicity!” lui esclamò improvvisamente e si girò per seguirla.
La individuò a soli nove metri da lei, proprio mentre stava per entrare nel sedile posteriore di un’elegante limousine nera, con un uomo afroamericano davvero ben piazzato  in un completo che le teneva la porta aperta. Lei si fermò improvvisamente e goffamente tornò in posizione eretta. Probabilmente avrebbe riso se non fosse stato così occupato a non inciampare sopra il suo cane o il suo guinzaglio mentre si avvicinava a lei.
“Che succede?” lei chiese, con un sorriso incerto sulle labbra.
“Ehm, io… ti stavi offrendo di prenderti cura di Arcus domani?” lui balbettò e wow, non era un bastardo a suo agio in ogni situazione di solito?
“Stavo per farlo quando poi ho realizzato che era altamente improbabile che mi avresti presa in considerazione per farlo e non volevo rendere il mio balbettio più imbarazzante di quanto già non fosse”, lei spiegò.
“Beh, se la tua offerta è ancora valida…” lei annuì impaziente, con il labbro inferiore fra i denti. “Allora sarei felice di parlarne con te ancora un po'. Forse noi tre potremmo andare a fare una passeggiata insieme e vedere come va e poi semplicemente… partire da lì?”
“Ma certo”, lei concordò immediatamente, sollevando senza saperlo un enorme peso che gli era posata sul petto quando un sorriso entusiasta e felice le comparve sulle labbra. “Vuoi farlo ora o dopo?”
“Se hai tempo puoi unirti a noi ora, ma non voglio trattenerti se devi andare da qualunque parte fossi diretta”, lui la rassicurò, facendo cenno alla macchina.
“Ehm, sono certa che al signor Diggle non dispacerà tornare ai suoi cruciverba per un altro po' di tempo”, lei disse, lanciando un sorriso sfrontato verso l’altro uomo che annui con la testa bonariamente.
“Sei certa di non volere che vi accompagni lungo la vostra passeggiata, signorina Smoak?” ‘il signor Diggle’ chiese, lanciando ad Oliver un’occhiata in sottecchi piena di scetticismo.
Felicity velocemente mise una mano rassicurante sulle braccia incrociate dell’uomo. “Non preoccuparti, Dig, starò bene”.
Poi si girò verso Oliver e cominciò a cercare nella sua borsa, sorridendo felice quando trovò un paio di ballirine bianche e nere. Senza esitazione, lui le porse di nuovo la mano per aiutarla mentre lei si cambiava le scarpe.
“Grazie, di nuovo”, gli disse e gli lasciò andare la mano quando finì di indossare le nuove calzature.
“Figur-” Si fermò quando i suoi occhi si abbassarono ai suoi piedi. “Aspetta, sono panda quelli?”
   
 
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