Ringraziamenti: Ringrazio tantissimo la mia beta, che ha letto e ha corretto gli orrori della fanfic (trovandala anche carina a detta sua!); grazie mille evelyn, per tutto... Se non vi siete letti ancora la sua fanfic, su andatelo a fare. Un ringraziamento infine va a tumblr per le gif a inizio capitolo...
Buona lettura.
Capitolo V
I giorni
che seguirono furono piuttosto grevi per i
membri della compagnia dell’anello: difatti faceva freddo e
nevicava quando incominciarono l’arrampicata per il Caradhras.
Sentivano a ogni passo il peso oscuro e malvagio dell’anello
e in particolare un membro della compagnia non riusciva a staccare gli
occhi da Frodo: era Boromir,
il cui sguardo venefico era fisso sulla schiena dello hobbit.
Fu
durante una scalata particolarmente difficile che Frodo
ruzzolò sulla neve, e subito Sam gli andò incontro.
Lo hobbit dai capelli neri si toccò il petto, dove portava -
appeso ad una catenina – l’anello, e non lo
trovò. Si voltò verso l'uomo di Gondor che aveva
in mano l’anello e lo stava fissando con sguardo malato,
perso.
“Perché dobbiamo soffrire per questo piccolo
oggettino? Potremmo prenderlo e tenerlo per noi, uccidendo
qualcuno...”
“Boromir. Boromir, da' l’anello a Frodo.”
Aragorn si eresse a difesa del piccolo hobbit, la mano destra che
correva all’impugnatura della spada.
Boromir guardò il suo re, e per un attimo Aragorn ebbe
seriamente paura del figlio di Denethor, ma poi gli occhi del
Gondoriano si posarono su Indil, che
stava ferma ad attendere come il resto della compagnia, e Aragorn
notò un cambiamento repentino.
Il suo sguardo divenne placido e buono come sempre e
consegnò l’anello a Frodo, borbottando:
“Ma a che serve? Avete ragione voi.”
A quel punto Aragorn rimise la mano contro il fianco e si
avvicinò a Indil. “Vorrei chiederti una cosa: puoi
stare vicino a Boromir? Oggi ho notato una luce nel suo sguardo che non
mi piaceva” le bisbigliò.
La giovane annuì: “Gli starò vicina,
non avere pensieri.” Posò la mano su quella ruvida
dell’uomo, che gli fece un cenno di ringraziamento con la
testa e poi si avvicinò a Frodo aiutandolo ad alzarsi:
“Tutto bene giovane hobbit?”
“Grazie Aragorn, va tutto bene” borbottò
Frodo, e la compagnia riprese il cammino con Gandalf in testa.
I giorni passavano
lenti, i minuti sembravano ore e ognuno dei
compagni rimaneva in silenzio,
perso nei propri pensieri. Il freddo si faceva sentire nelle ossa.
“Gandalf.” Indil, infine, prese la parola:
nonostante fosse un elfo, anche lei cominciava a rabbrividire.
“Ascolta Gandalf, non ce la facciamo
più.”
“I
piccoletti non ce la fanno più” intervenne
Boromir, mentre aiutava uno stanco Sam a camminare.
“Non voglio arrendermi!” protestò
Gandalf. “Dobbiamo andare avanti e se riusciamo a raggiungere
l’altra parte saremo più vicini a
Mordor.”
“Allora, prendiamo i mezz’uomini in braccio:
Legolas, Boromir, Gimli forza, datemi una mano.” Aragorn
si avvicinò a Frodo per portarlo in spalla, Legolas a Sam e
rispettivamente Boromir e Gimli a Merry e Pipino. Gli hobbit furono
molto grati: la neve difatti li stava per sommergere.
“Io cerco di andare
avanti, per vedere se riusciamo a passare, Gandalf” disse
Indil e, prima che gli altri membri potessero dire qualcosa,
l’elfa andò avanti tremando per l’aria
fredda.
“Sento una voce nell’aria, Gandalf!”
informò una volta arrivata più in là.
Gli altri membri la raggiunsero e Gandalf si pose in ascolto:
effettivamente vi era un’empia voce che borbottava qualcosa.
Veniva da molto lontano ma lui, Legolas, Indil e pur anche Aragorn
riuscirono a sentirla e inorridirono, poiché capirono che si
trattava di magia.
“È Saruman!” urlò Gandalf
ponendosi in posizione d’attacco. Con il bastone che gli
sventolava nella mano parlò, e la sua voce tonante si
mischiò a quella di Saruman terrorizzando la compagnia.
Poi un fulmine cadde e
si schiantò contro la montagna, facendo precipitare la neve:
la valanga sommerse la compagnia che per fortuna
si trovava vicino a una roccia. Indil, che invece era più
vicina al dirupo per vedere meglio, perse l'equilibrio. Boromir
si sospinse verso
di lei appena in tempo, riuscendo a prenderle le dita sottili e a
trascinarla di nuovo sulla roccia, accanto a lui. “Per
fortuna c’ero io” bisbigliò
l’uomo di Gondor poco prima di venire travolto dalla fredda
coltre.
Sputacchiando
neve Legolas fu il primo a rialzarsi, dissotterrando
Sam che si trovava vicino a lui. “Padron Frodo!”
borbottò il giardiniere correndo verso Aragorn, che era
appena riemerso.
“Tutto
bene?” domandò l’uomo andando vicino a
Legolas e mettendogli una mano sulla spalla; l’elfo si perse
per un attimo negli occhi verdi del ramingo e poi annuì.
“Passiamo sotto
la montagna, visto che il Caradhras ci ha sconfitto!” disse
Gimli emergendo dalla neve.
“Siamo ancora in tempo per andare a Gondor,
Gandalf!” furono le parole accorate di Boromir.
Lo stregone grigio guardò i membri della compagnia, indeciso
sulla decisione da prendere: non voleva scegliere nessuna delle due
opzioni, in realtà, poiché tutte e due gli
facevano paura, ma era pur vero che il Caradhras li aveva sconfitti.
“Deciderà
Frodo”, disse infine, “dato che è lui il
portatore dell’Anello.”
“Moria” decise,
dopo aver pensato ai pro e ai contro, il piccolo portatore.
“E Moria sia” decretò Gandalf, chiudendo
gli occhi con un sospiro. Indil e Legolas si guardarono
e l’elfa strinse la mano del fratello: aveva paura, a lei non
erano mai piaciuti i luoghi bui, così come non piacevano a
Legolas. Ma per lui l’avrebbe fatto, sarebbe andata a Moria.
***
“Le
miniere di Moria. Sarà bellissimo tornarci, non ci vado da
quando ero un minuscolo nanetto.” Gimli si mise a ridere per
la sua stessa battuta. “E Balin sicuramente ci
darà un bellissimo benvenuto, vedrete. Birra di malto, carneben
cotta e per ultimo un comodo letto su cui mettere la nostra povera
schiena.”
Gli
hobbit erano quasi convinti da quello che il nano diceva, e
lo guardavano sempre più entusiasti di tutto quel ben di Dio
che avrebbero trovato una volta nelle caverne. I due elfi al contrario
erano preoccupati e osservavano Gimli con sguardo di rimprovero, ma
il nano non sembrava accorgersene.
“Eccoci qui…
oh-oh amici miei. Ecco l’entrata di Moria” disse
Gimli, fermandosi.
Le porte di Moria erano qualcosa di spettacolare. Forgiate da nani ed
elfi insieme, fu Narvi, forse il più grande artigiano dei
Nani, a progettare e costruire i cancelli; Celebrimbor, Signore
dell'Eregion, li decorò con l'ithildin: vi furono incisi
l'emblema di Durin, un martello e un'incudine coronata con sette
stelle, gli alberi degli Alti Elfi e la stella della Casa di
Fëanor.
Dall’interno i cancelli si potevano aprire con una semplice
spinta; all’esterno c’era bisogno di una parola
magica. Le miniere erano protette anche da un lago in cui si diceva
dimorasse un mostro.
“Dobbiamo
lasciarlo Sam. Non può venire con noi.” Indil guardò negli
occhi lacrimosi dell’hobbit che non si voleva staccare da
Billy, il pony che aveva viaggiato con loro da Gran Burrone.
“Ma
Indil, se poi si perde? Non voglio” protestò il
giovane hobbit.
Indil si avvicinò all’orecchio del pony e
mormorò qualche parola, il cavallo nitrì e l'elfa
e lo hobbit lo guardarono trottare fuori dal perimetro di Moria.
“Cosa gli hai detto? Sembrava più sicuro, se sai
cosa intendo” disse Sam e Indil rise. “È
più tranquillo poiché gli ho dato una
benedizione. Arriverà direttamente a Gran Burrone senza
incontrare pericoli, non temere, Sam.”
“Tutto bene sorellina?” domandò Legolas
venendo vicino a Indil, che annuì.
“Ho dato una benedizione a Billy, così che possa
raggiungere tranquillamente Gran Burrone” disse in tono
accorto la
sorella, per poi guardare circolarmente il resto della compagnia:
Gandalf e Frodo stavano vicino all’entrata e discutevano su come fare ad aprire
il cancello, Boromir e Aragorn parlavano poco più in
là e Merry
e Pipino stavano seduti a lanciare sassi nel lago.
“Sassi nel lago… Legolas, il
lago” bisbigliò Indil indicando i due hobbit al
fratello, che capì e andò da loro mettendogli una
mano sulla spalla per farli smettere.
“Non fate risvegliare
l’acqua” bisbigliò Legolas. “Ci sono
gravi pericoli” completò la frase Aragorn, andando
vicino a Legolas e ai due hobbit.
“Ho capito: la parola è Mellon, che vuol dire
“amico” in elfico.” In quel momento
Gandalf si alzò in piedi e sorrise a Frodo perché
i cancelli di Moria si aprirono alla sua frase.
Un silenzio irreale provenne dal luogo remoto e i membri della compagna
rabbrividirono.
Fu Gimli il primo a mettere piede a Moria.
“Finalmente conoscerete l'ospitalità di Moria! Questa, amici
miei, è la casa di mio cugino Balin. E la chiamano una
miniera... Ah, una miniera!” disse il nano prendendo un forte
respiro e inoltrandosi dentro Moria.
“Aspetta! Gimli, questa non è una
miniera!” disse Boromir, mettendo il piede su un cadavere di
un nano. Allungò un braccio per fermare l'avanzata del suo
compagno di viaggio. “Questa
è una tomba” concluse l’uomo di Gondor.
Gli altri guardarono verso il basso e notarono centinaia di cadaveri
lungo il pavimento.
Il primo a riprendersi fu proprio Boromir. “Dobbiamo
andarcene da qui. Alla breccia di Rohan, presto!”
urlò, facendo per uscire ed assicurandosi che tutti gli
altri compagni lo seguissero fuori. Fu proprio in quell'istante che un
tentacolo uscì dall’acqua e afferrò
Frodo per i piedi, portandolo lontano dalla compagna.
“Aragorn!” gridò il piccolo hobbit e
l’uomo accorse in sua difesa, con la spada sguainata. Lo
stesso fecero Boromir, Legolas e Indil, i due elfi con l’arco
teso in avanti. Le loro frecce colpirono la creatura e bastò
una stoccata di spada da parte di Aragorn al tentacolo che stringeva
Frodo per farlo lasciare dal mostro, che lanciò un urlo
terrificante. I dieci compagni, con Gandalf in testa, entrarono nelle
miniere per esser sicuri di sfuggire alla piovra mentre quest'ultima,
prima di inabissarsi, fece cadere dei massi su di loro, intrappolandoli.
Una volta nelle miniere, i compagni si presero un minuto per riprendere
fiato. Gandalf fece un po’ di luce illuminando il luogo tetro
e si guardò indietro con il cuore disperato,
perché aveva paura. “Proseguiamo” decise
infine lo stregone grigio, e i membri della compagnia
dell’anello ubbidirono.