to an unknown place, to an unknown hall
I’m spending most of my time in a place that’s uncomfortable
even after several nights, like an explorer
4.
Quando alle sette della stessa giornata la signora Choi passò per riprendersi il bimbo, eri stranamente ben vestita per com'era abituata a vederti la donna, nonché leggins e felpa lunga, sembrava che nell'armadio non avessi altro. Non ti trattenne a lungo tuttavia nemmeno quando vide il maglioncino rosa che non ti aveva mai visto addosso sopra un paio di jeans evidentemente nuovo, non ti prestò attenzione e neppure chiese se stessi andando da qualche parte, ti lasciò fare quello che avevi da fare, probabilmente perché anche lei aveva i suoi impegni a quell'ora. Non ti aveva dato l'aria di aver voglia di fermarsi in ogni caso, tu stessa decidesti di non trattenerla. «Oh, la ragazza di Jin» ricordò, ridacchiando. «Frequenti spesso questo posto?» «No, in realtà no» rispondesti, sorridendogli a stento mentre ti rendevi conto di essere troppo tesa, in piedi e immobile di fronte a lui come un pezzo di ghiaccio, come se ti stesse mettendo sotto pressione solo perché ti guardava. «Ottimo! Allora comincerai,» ti fece l'occhiolino «prendi qualcosa?» Alla sua domanda ricordasti di non avere voglia di altro caffè. In realtà non eri mai stata tipa da berne tanto, in quei giorni ne avevi preso fin troppo per i tuoi gusti e non avevi bisogno di una dipendenza da caffeina con tutto lo stress che già naturalmente avevi dentro. «No, volevo soltanto chiedere una cosa.» «C'è Taehyung?» chiedesti, e l'atmosfera cambiò totalmente, come se avesse perso l'interesse. I suoi piccoli occhi caddero sul pavimento prima che si girasse e ricominciasse a camminare verso i tavoli, come a non volerti più guardare in faccia. «No, non c'è» rispose secco, senza aggiungere altro, dandoti le spalle mentre ritornava a sistemare le sedie e pulire i tavoli, avendo accurato che non avresti ordinato. Pensasti fosse solo una tua impressione, ma l'atmosfera si fece quasi elettrica. «Quando lo trovo? È da un po' che devo vederlo» provasti a chiedere, mortificata a causa della tensione che si venne a creare senza motivo, provando ad attirare di nuovo l'attenzione di Yoongi. «Non lo so, sicuramente non lo sa nemmeno lui» concentrato com'era nel suo lavoro, sembrava che nemmeno fossi nella stanza. Era così strano che ti stesse rivolgendo quel tono dopo i piccoli sorrisi che ti aveva regalato. «Se vuoi gli dico di farsi vedere domani mattina anche per cinque minuti.» «Ma posso chiederti se è successo qualcosa-» «No, non ti conosco, mi dispiace dover sembrare maleducato» ti interruppe freddo, però decise di tornare a fissarti. Il suo sguardo ti assicurò che non aveva alcuna cattiva intenzione, dunque gli sorridesti, accettando il suo modo di fare che, d'altra parte, era impeccabile. «Va bene, mi fai un grande favore a dirgli di domani. Scusa per il disturbo» chinasti velocemente la testa prima di avviarti verso l'uscita, come se non fossi mai entrata. «Non ti preoccupare» disse, rivolgendoti un mezzo sorriso che vedesti a stento mentre ti rigiravi, non essendoti aspettata nemmeno una sua risposta. Ti aveva dato l'aria di non essere esattamente carismatico come Jin o Taehyung, ma sapeva l'affar suo: fu l'unica conclusione che riuscisti a raggiungere mentre camminavi verso casa, sconfitta che tutti quei metri a piedi non fossero serviti quasi a niente. Avevi un appuntamento quasi certo per il giorno dopo, per cui non potevi permetterti di demoralizzarti, ma un'enorme sensazione di disagio ti aveva travolto dal momento in cui il cameriere appena incontrato ti aveva parlato con quel tono troppo freddo per il suo viso dolce. Tanto ci pensasti che, la mattina dopo, le tue aspettative vennero completamente calpestate da un Taehyung che del Taehyung che avevi visto il primo giorno non aveva nulla. Lo intravedesti dal vetro delle finestre una volta davanti al locale, seduto solo ad un tavolo come se stesse aspettando qualcuno, quindi entrasti subito per non farlo aspettare ulteriormente, con un sorriso sul volto fin troppo limpido per il modo in cui si sarebbe lentamente spento. Quando riuscisti a vederlo più chiaramente notasti il drastico cambiamento sul suo viso, quasi come se avessi un'altra persona davanti: gli occhi che alzò verso di te mancavano di calore, i solchi sotto di essi erano troppo profondi per appartenere al viso sorridente che ti aspettavi di vedere. E non fu solo un impatto visivo, quando ti vide scattò in piedi, avvicinandosi a te senza darti tempo di capire cosa stesse succedendo. «Ciao, è per la felpa, giusto?» chiese solo, frettoloso, e tu dovesti annuire. Il tuo tempo di reazione non fu esattamente proporzionale alla sua velocità nel porti la domanda. «Sì, ecco, volevo ridartela ma non ti ho visto e ieri-» prendesti la felpa nella borsa, la avvicinasti a lui timorosamente, lasciandogliela prendere. «Okay, perfetto» disse, senza lasciarti continuare, accennando a un mezzo saluto per niente sentito mentre si indirizzava verso l'uscita, e tu ti sentisti come se la conversazione non fosse mai avvenuta. Non l'avevi nemmeno salutato, che lui già stava andando via. «Hey, siediti un attimo, è tutto okay» ti disse, premuroso, mentre ti spingeva verso il bancone e ti lasciava sedere su una delle sedie lì davanti. Non sapevi se prenderlo sul serio, ma comunque ti lasciasti consolare. «Ciao Y/n» ti salutò Jin, che ti fissava attento, sorprendendoti quando ricordò il tuo nome. «Oh, ti chiami Y/n? Piacere, scusa se non mi sono presentato ieri, sono Yoongi» sembrava che stesse provando a rimediare per i modi gelidi di Taehyung. Anche Jin fissò male l'amico, notando quanto tutta quella situazione fosse forzata. «Che è successo?» chiedesti, riprendendo parola dopo un paio di secondi, fissando i due camerieri che ti circondavano ignorando completamente il resto del bar. Guardasti prima Yoongi, poi Jin, con le braccia incrociate, che cominciò a guardare l'amico non sapendo come mettere a parole quello che voleva dirti. «Taehyung-» iniziò Yoongi, cauto. «Diciamo che ultimamente non è molto se stesso» continuò Jin, evidentemente alleggerendo la questione, come se stesse parlando con un bambino. «Nemmeno noi avremmo immaginato che si sarebbe comportato in quel modo» affermò, mentre Yoongi annuiva, e tu continuavi a guardarli perplessa. «L'ho chiamato ieri sera per dirgli di oggi e all'inizio mi ha detto che non sarebbe venuto, il fatto che effettivamente si sia presentato significa che è ancora lui» ti raccontò il ragazzo che il giorno prima ti era sembrato fatto di ghiaccio, che invece in un momento del genere sembrava in grado di gestire la situazione. Fissasti nuovamente entrambi, ancora più confusa. «D'accordo, ma che è successo?» ripetesti la domanda alla quale non avevano dato alcuna risposta. Si guardarono tra di loro, parlando con gli occhi di qualcosa che non riuscivi a capire. «Non possiamo dirlo, ci è stato proibito dal capo stesso perché è giusto che voci simili non si diffondano» ti rispose allora Jin, dopo aver preso un bel respiro. Il suo sguardo era dispiaciuto e basso, capisti di non dover insistere più. «Va bene» borbottasti, scontenta, non avendo nient'altro da dire. «Va bene, allora vado anche io» dicesti prima di alzarti in piedi quasi d'impulso. «Ci sono clienti che hanno bisogno di voi. Ci-» ti soffermasti, osservandoli per un attimo e notando i loro sguardi a loro volta infelici. «Ci vediamo» dicesti, non vedendo l'ora di lasciare alle spalle quell'episodio imbarazzante. «Grazie per averlo avvisato ieri, Yoongi.» Ricominciasti a camminare, quasi correre verso casa con la mente vuota, ancora sentendo addosso l'effetto freddo dello sguardo vuoto di Taehyung sul tuo, che ti aveva appena trattato come non altro che una felpa che doveva riportare a casa. Ammettesti a te stessa che in altre situazioni sarebbe stato normale, ma non con la persona che avevi conosciuto e non in quella circostanza, in cui chiunque si sarebbe minimamente fermato a parlare, pure per parlare di quanto facesse schifo il tempo. Era anche vero che tu eri sempre stata la prima a dare poca confidenza, che avevi più volte fatto sentire le persone a disagio, ma ti rendesti conto che la tua introspezione non avrebbe giustificato il suo comportamento. Di momenti in cui agivi talmente impulsivamente alla tua infelicità, alle tue emozioni in generale, ce n'erano stati a valanghe. Non avresti potuto descrivere bene la sensazione a parole, ma percepivi che ogni qualvolta provassi un sentimento che non sembrasse 'giusto', allora dovevi agire e stravolgere il sentimento, facendo qualcosa di alternativo ed immediato che potesse alterare il tuo senso di inquietudine. L'imbarazzo provato, anche se minimo per chiunque altro, per te non era 'giusto' e doveva essere sostituito, per questo riuscisti a trascinarti fuori di casa in un momento in cui chiunque altro si sarebbe chiuso in casa e nascosto per almeno cinque ore, rivalutando l'esperienza vissuta e provando a non fare caso ai difetti di essa, magari pensandoci un po' di più rispetto a quanto avevi fatto tu. Ti avvicinasti al bancone e un uomo ti si avvicinò per prendere subito il tuo ordine. «Salve, sa già cosa prendere?» schietto, senza doverti per forza raccontare la sua intera storia di vita prima di farti ordinare. «Un caffè per favore» dicesti, e subito dopo si allontanò per andarlo a preparare. Mentre riflettevi, i tuoi occhi percorsero ogni angolo del bar ordinato e normale che avevi di fronte, come se la visione ordinaria avrebbe confermato ancora di più i tuoi pensieri. Quando la signora Choi lasciò il bambino a casa tua non riuscisti a far a meno di notare l'espressione giù di morale sul viso della donna. Quel giorno erano tutti giù di morale, cominciavi a chiederti se non fosse una ricorrenza e che anche tu saresti dovuta essere triste per rispetto. «Salve, è tutto okay?» chiedesti, provando a fermare la signora che altrimenti sarebbe già scappata. I suoi occhi si addolcirono alla tua preoccupazione. «Sì, io sto bene, più o meno» disse, tranquilla, alzando le spalle in rassegnazione. «In che senso?» il tuo essere evasiva non era del tutto casuale, eri curiosa di sapere quello che stesse turbando personalità così angeliche che pensavi fossero impossibili da turbare. «Nel senso che non sto del tutto bene, ma dobbiamo stare bene per le persone che ci circondano» spiegò, senza entrare nel dettaglio. Prese un bel respiro prima di rendere più intrigante il suo discorso, tanto per farti domandare per sempre cosa dannazione stesse succedendo. «Sono sempre stata credente, credo che Dio faccia accadere delle cose e che queste cose non siano sempre giuste, ma non a caso» spiegò, e tu abbassasti lo sguardo, colpevole di essere atea almeno tanto quanto quella persona era pura. «Se posso chiedere, è successo qualcosa in famiglia?» «No, no, in famiglia è tutto okay, ti ringrazio» disse, finalmente sorridendo genuinamente. «Allora cerchi di non pensarci, se non sono cose che la riguardano personalmente non ha senso farle personali. Non è giusto che lei stia male quando non le spetta» la voce della tua coscienza parlò prima che potessi farlo tu stessa; le tue stesse parole ti sorpresero, non essendo tu abituata a provare tutta quella empatia per un altro essere umano e dimostrarti interessata. «Oh, non preoccuparti per me, tendo a prendere controllo della qualunque e alla fine mi riguarda tutto, starò bene» affermò, fissandoti soddisfatta, avendoti vista compatirla per la prima volta. Aveva già capito che non eri molto brava ad immedesimarti negli altri, ma in quel momento sembrò sospettare il contrario. «Te ne parlo quando si calmano le acque, so che sei curiosa.» «Per adesso pensa a mio figlio piuttosto e io penso ad andare a lavorare. Buon lavoro!» «Anche a lei» ribattesti, soddisfatta della breve conversazione appena avuta. Speravi che la signora, come qualunque altro essere umano che ti accettava, capisse che eri veramente interessata alla sua vita e che non stavi provando a entrare nelle sue grazie, come invece sarebbe potuto sembrare. Il suo sorriso sembrava volerti dire che aveva capito, quindi non eri preoccupata al riguardo. «Quindi, Juun, oggi che facciamo?» prendesti il bambino in braccio e chiudesti la porta dietro di te, cominciando a giocare con lui facendolo volare sopra la tua testa. La sua risata pura fece ridere anche te, come se ti avesse appena fatto dimenticare ogni preoccupazione, facendoti sentire decisamente meglio. «Facciamo che tu fai quello che vuoi, io aspetto un altro po' e chiamo Alice» gli dicesti, rendendoti conto di star parlando da sola mentre lo poggiavi a terra. «Non vedo l'ora che cominci a parlare» borbottasti poi, triste di non poter avere una conversazione dignitosa con un essere umano talmente innocente. «Che vuoi?» «Buongiorno anche a te.» «Ti ricordo che qua non è mattina.» Forse era proprio quello il rapporto più genuino che avessi. ** Passarono due intere settimane prima che la fortuna cominciasse finalmente ad assisterti, come se si fosse resa conto di averti dimenticata tutto quel tempo - quasi per 23 anni, ma che sarà mai. C'era stato un periodo, durante la tua preadolescenza, in cui ti eri lasciata andare in quello stesso modo per due anni interi, quattordici giorni ti sembrarono passare come secondi. Nulla di nuovo, il cielo era sempre dello stesso colore, il sole illuminava Seoul come aveva sempre fatto anche senza di te, le foglie cadevano dagli alberi ricordandoti la stagione, il parco vicino casa tua era ancora estremamente sporco e l'unico desiderio che ti ritrovasti ad avere in quei giorni fu pulire quello schifo di discarica. Niente da fare, alzavi le spalle e andavi avanti; se alzare le spalle fosse stato un lavoro, allora sì che saresti stata famosa e ricca. Quel pomeriggio eri tranquillamente distesa sul divano, pensando a quanto lo stomaco ti stesse rompendo le palle, desiderando di essere incinta o di avere sessanta anni solo per non avere più il ciclo che da undici anni ti stravolgeva la vita. In preda ad un'altra fitta dolorosa, scattasti in piedi e cominciasti a camminare a caso lungo l'appartamento, credendo di poter stare meglio se ti muovevi. Juun quel pomeriggio non era con te, la domenica rimaneva sempre a casa con la famiglia - ringraziasti il dio in cui non credevi per averti donato la domenica. Il tuo cellulare era sul tavolo della cucina, non aveva cambiato posizione in quegli ultimi giorni e pensasti che tra un po' avrebbe accumulato polvere o sarebbe diventato un fossile. Dolorante, prendesti il cellulare e lo mettesti a caricare, pensando di poter così cercare su internet qualunque articolo su come far diminuire i dolori mestruali: lo avevi fatto ogni mese da undici anni e non era mai servito a un cazzo. «Pronto?» borbottasti, ringraziando che fosse una chiamata o altrimenti chiunque ti stesse cercando avrebbe visto la tua smorfia dolorante che ti faceva tanto somigliare a un animale con qualche problema di digestione. «Salve, parlo con Y/n?» la voce era completamente sconosciuta, il che ti inquietò un attimo. Scattasti sull'attenti, non riuscendo a capire come quella voce sconosciuta stesse pronunciando il tuo nome e cognome in quella maniera così formale. La gente smetteva di parlarti in modo formale subito dopo aver passato venti secondi con te, evidentemente quella signora non ti aveva mai conosciuta. Ma, che cazzo, aveva appena pronunciato il tuo nome e cognome. «Sì?» la tua risposta era decisamente più una domanda che altro, le tue sopracciglia era aggrottate in confusione. Probabilmente era qualche rompipalle che voleva pubblicizzare qualche nuova offerta telefonica, e comunque eri confusa. «Oh, perfetto, chiamo dall'agenzia d'editoria e traduzione di Seoul» quelle furono le prime parole a farti pian piano entrare nel panico più totale. «Volevamo sapere se fosse interessata a lavorare per la traduzione di un manoscritto di un autore locale» le tue orecchie non riuscirono a reggere più di quelle parole. Parlò per alcuni minuti, ma non riuscisti a capire nemmeno una parola, come se improvvisamente avessi dimenticato il coreano. Nonostante ti sforzassi, le sue parole non significavano nulla. «-ci rendiamo conto del poco preavviso, ma domani il team con cui lavorerai incontra l'autore per discutere insieme del lavoro. Se ti convince, parliamo domani stesso del contratto» disse, ancora convinta che tu l'avessi ascoltata fino a quel momento. Probabilmente il giorno dopo le avresti fatto ripetere tutto, e glielo avresti fatto ripetere mille volte. «Va bene, sì, va benissimo. Domani è fantastico, cioè- domani, wow, domani?» non riuscisti a capire se te lo fossi immaginato, ma la donna con cui avevi parlato fino a quel momento ridacchiò per un attimo. «Alle dieci è previsto l'arrivo di tutti, ma se passa una mezz'oretta prima possiamo conoscerci meglio. Per il colloquio ha parlato col mio capo, ma effettivamente lavorerà per me» spiegò, cordialmente, sembrandoti eccessivamente dolce per qualcuno che nemmeno conoscevi. In quel momento quella donna era una dea, e sarebbe potuta essere la peggiore vipera sulla faccia della terra. «Va bene, va bene, va bene» se ti avessero chiesto di fare un riassunto della chiamata, allora quelle sarebbero state le parole che avresti usato - non avevi detto altro durante tutta la chiamata. «Buona serata allora.» «Buona serata anche a lei.» Quando chiudesti la chiamata, i crampi allo stomaco non esistevano più. Il tuo viso non sapeva come esprimere quello che sentivi, né uscì alcun suono o respiro dalla tua bocca. Non riuscisti a muoverti per almeno cinque minuti, addirittura ti si addormentarono i piedi e quando provasti a rialzarti quasi che non cadesti a terra.
|