Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: aoinohjme    12/01/2018    0 recensioni
«Sai che si dice che il sole e la luna si amino, segretamente, e che ciascuno muore per far vivere l'altro?» chiese, ricordandoti la cazzata più cliché che avessi mai sentito in tutta la tua vita. Facesti una smorfia disgustata. […]
«Se ci pensi un attimo, ci conosciamo da due giorni e non abbiamo fatto altro che arrenderci all'altro, proprio come il sole e la luna.»
Giurasti che il suo monologo sembrava uscito da un libro di Nicholas Sparks, quel ragazzo era per davvero un personaggio di un libro.
«Sarei felicissimo se questo rapporto continuasse così, sai? È come se avessi ritrovato un'amica persa ormai da tempo.»
https://www.wattpad.com/story/132546648-the-blue-light-that-was-with-me
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jung Hoseok/ J-Hope, Kim Taehyung/ V
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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   I’m still going somewhere
   to an unknown place, to an unknown hall
   I’m spending most of my time in a place that’s uncomfortable
   
even after several nights, like an explorer
 




















                       4.
 

Quando alle sette della stessa giornata la signora Choi passò per riprendersi il bimbo, eri stranamente ben vestita per com'era abituata a vederti la donna, nonché leggins e felpa lunga, sembrava che nell'armadio non avessi altro. Non ti trattenne a lungo tuttavia nemmeno quando vide il maglioncino rosa che non ti aveva mai visto addosso sopra un paio di jeans evidentemente nuovo, non ti prestò attenzione e neppure chiese se stessi andando da qualche parte, ti lasciò fare quello che avevi da fare, probabilmente perché anche lei aveva i suoi impegni a quell'ora. Non ti aveva dato l'aria di aver voglia di fermarsi in ogni caso, tu stessa decidesti di non trattenerla.
Quando andò via, t'incamminasti spedita verso l'Aoi senza perdere altro tempo, la felpa già da prima in borsa che non vedeva l'ora di tornare dal suo padrone, ormai così abituata al contenitore che ne aveva preso la forma. Arrivasti al locale e lo trovasti vuoto come lo avevi trovato la sera prima, come se vi fosse una sorta di maledizione alla Cenerentola che proibisse al locale di ricevere clienti dopo le sette; vi era solo Yoongi, il cameriere di quella mattina dai capelli neri e dai dolci occhi scuri, che puliva i tavoli e sistemava le sedie accuratamente, avendo ormai rinunciato a servire altri clienti. Quando entrasti, ti adocchiò subito e pulì velocemente le mani sul panno che portava al grembiule, facendoti apprezzare il modo in cui il suo viso inespressivo si piegava in un sorriso leggero.

«Oh, la ragazza di Jin» ricordò, ridacchiando.
A tua volta sorridesti mentre ti avvicinavi a lui, che ti osservava interessato come se avesse già capito che non avresti semplicemente ordinato. Ti anticipò, fermandosi a chiacchierare.

«Frequenti spesso questo posto?»
Avevi già notato il modo in cui tutti i camerieri del posto ti parlassero con confidenza, quasi come se già ti conoscessero o come se fossero sinceramente interessati a te, e dovevi ammettere che ti metteva a disagio.

«No, in realtà no» rispondesti, sorridendogli a stento mentre ti rendevi conto di essere troppo tesa, in piedi e immobile di fronte a lui come un pezzo di ghiaccio, come se ti stesse mettendo sotto pressione solo perché ti guardava.

«Ottimo! Allora comincerai,» ti fece l'occhiolino «prendi qualcosa?»

Alla sua domanda ricordasti di non avere voglia di altro caffè. In realtà non eri mai stata tipa da berne tanto, in quei giorni ne avevi preso fin troppo per i tuoi gusti e non avevi bisogno di una dipendenza da caffeina con tutto lo stress che già naturalmente avevi dentro.
Decidesti di rinunciare a spendere soldi per potergli chiedere direttamente quello per cui eri arrivata fino a lì.

«No, volevo soltanto chiedere una cosa.»
Ti fece segno di continuare, con un sorriso leggero in viso che si spense non appena parlasti.

«C'è Taehyung?» chiedesti, e l'atmosfera cambiò totalmente, come se avesse perso l'interesse. I suoi piccoli occhi caddero sul pavimento prima che si girasse e ricominciasse a camminare verso i tavoli, come a non volerti più guardare in faccia.

«No, non c'è» rispose secco, senza aggiungere altro, dandoti le spalle mentre ritornava a sistemare le sedie e pulire i tavoli, avendo accurato che non avresti ordinato. Pensasti fosse solo una tua impressione, ma l'atmosfera si fece quasi elettrica.

«Quando lo trovo? È da un po' che devo vederlo» provasti a chiedere, mortificata a causa della tensione che si venne a creare senza motivo, provando ad attirare di nuovo l'attenzione di Yoongi.

«Non lo so, sicuramente non lo sa nemmeno lui» concentrato com'era nel suo lavoro, sembrava che nemmeno fossi nella stanza. Era così strano che ti stesse rivolgendo quel tono dopo i piccoli sorrisi che ti aveva regalato.

«Se vuoi gli dico di farsi vedere domani mattina anche per cinque minuti.»
Accettasti immediatamente l'offerta, cogliendo l'occasione dal momento che non sapevi cosa stesse succedendo e non sapendo altrimenti quando vederlo. Anche Jin ti aveva dato l'impressione di non voler parlare di Taehyung, e il fatto che durante il suo orario di lavoro non fosse presente era decisamente una conferma di quanto la situazione fosse stramba.

«Ma posso chiederti se è successo qualcosa-»

«No, non ti conosco, mi dispiace dover sembrare maleducato» ti interruppe freddo, però decise di tornare a fissarti. Il suo sguardo ti assicurò che non aveva alcuna cattiva intenzione, dunque gli sorridesti, accettando il suo modo di fare che, d'altra parte, era impeccabile.

«Va bene, mi fai un grande favore a dirgli di domani. Scusa per il disturbo» chinasti velocemente la testa prima di avviarti verso l'uscita, come se non fossi mai entrata.

«Non ti preoccupare» disse, rivolgendoti un mezzo sorriso che vedesti a stento mentre ti rigiravi, non essendoti aspettata nemmeno una sua risposta.

Ti aveva dato l'aria di non essere esattamente carismatico come Jin o Taehyung, ma sapeva l'affar suo: fu l'unica conclusione che riuscisti a raggiungere mentre camminavi verso casa, sconfitta che tutti quei metri a piedi non fossero serviti quasi a niente. Avevi un appuntamento quasi certo per il giorno dopo, per cui non potevi permetterti di demoralizzarti, ma un'enorme sensazione di disagio ti aveva travolto dal momento in cui il cameriere appena incontrato ti aveva parlato con quel tono troppo freddo per il suo viso dolce. 
L'incontro del giorno dopo avrebbe deciso se fossi davvero intenzionata a frequentare il bar e conoscerne i camerieri; senza volerlo lo percepivi come un evento importante, sospettavi che Taehyung sarebbe stato il motivo del tuo completo integramento o estraniamento, forse a causa della personalità coinvolgente che gli avevi notato addosso. Forse era a causa della grande sensazione di vuoto che percepivi, che ti aveva fatto ricordare che in effetti quei camerieri stavano soltanto svolgendo il loro lavoro, che ti rivolgevano le loro migliori espressioni col solo intento di rendere popolare il bar, ma che non volevano effettivamente averti nella loro vita. Percepivi che vedere Taehyung il giorno dopo ti avrebbe fatto capire quali fossero le loro vere intenzioni, se restituire la felpa sarebbe stato un pretesto per fermarsi a parlare, provare a fare amicizia anche in un contesto in cui lavorare non c'entra nulla, o non sarebbe significato assolutamente nulla.

Tanto ci pensasti che, la mattina dopo, le tue aspettative vennero completamente calpestate da un Taehyung che del Taehyung che avevi visto il primo giorno non aveva nulla. Lo intravedesti dal vetro delle finestre una volta davanti al locale, seduto solo ad un tavolo come se stesse aspettando qualcuno, quindi entrasti subito per non farlo aspettare ulteriormente, con un sorriso sul volto fin troppo limpido per il modo in cui si sarebbe lentamente spento. Quando riuscisti a vederlo più chiaramente notasti il drastico cambiamento sul suo viso, quasi come se avessi un'altra persona davanti: gli occhi che alzò verso di te mancavano di calore, i solchi sotto di essi erano troppo profondi per appartenere al viso sorridente che ti aspettavi di vedere. E non fu solo un impatto visivo, quando ti vide scattò in piedi, avvicinandosi a te senza darti tempo di capire cosa stesse succedendo.

«Ciao, è per la felpa, giusto?» chiese solo, frettoloso, e tu dovesti annuire. Il tuo tempo di reazione non fu esattamente proporzionale alla sua velocità nel porti la domanda.

«Sì, ecco, volevo ridartela ma non ti ho visto e ieri-» prendesti la felpa nella borsa, la avvicinasti a lui timorosamente, lasciandogliela prendere.

«Okay, perfetto» disse, senza lasciarti continuare, accennando a un mezzo saluto per niente sentito mentre si indirizzava verso l'uscita, e tu ti sentisti come se la conversazione non fosse mai avvenuta. Non l'avevi nemmeno salutato, che lui già stava andando via.
Rimanesti in piedi, imbambolata, per una decina di secondi che ti sembrarono non passare più. Il tuo cervello finalmente capì quello che era successo e dovesti girarti verso l'uscita che il ragazzo inespressivo aveva appena varcato, incredula, chiedendoti se fossi diventata pazza.
Ti rendesti conto solo in quel momento degli occhi dei due camerieri che, curiosi, avevano visto tutta la scena. Entrambi ancora osservavano nella tua direzione come se anche loro si fossero accorti dell'accaduto poco tradizionale da parte del ragazzo, e ti fissavano come a capire cosa ti stesse passando per la testa. Fu Yoongi a venirti incontro quando capì che nemmeno tu ti saresti mai aspettata una cosa del genere e che non sapevi bene come reagire di conseguenza.

«Hey, siediti un attimo, è tutto okay» ti disse, premuroso, mentre ti spingeva verso il bancone e ti lasciava sedere su una delle sedie lì davanti. Non sapevi se prenderlo sul serio, ma comunque ti lasciasti consolare.

«Ciao Y/n» ti salutò Jin, che ti fissava attento, sorprendendoti quando ricordò il tuo nome.

«Oh, ti chiami Y/n? Piacere, scusa se non mi sono presentato ieri, sono Yoongi» sembrava che stesse provando a rimediare per i modi gelidi di Taehyung. Anche Jin fissò male l'amico, notando quanto tutta quella situazione fosse forzata.

«Che è successo?» chiedesti, riprendendo parola dopo un paio di secondi, fissando i due camerieri che ti circondavano ignorando completamente il resto del bar. Guardasti prima Yoongi, poi Jin, con le braccia incrociate, che cominciò a guardare l'amico non sapendo come mettere a parole quello che voleva dirti.

«Taehyung-» iniziò Yoongi, cauto.

«Diciamo che ultimamente non è molto se stesso» continuò Jin, evidentemente alleggerendo la questione, come se stesse parlando con un bambino.

«Nemmeno noi avremmo immaginato che si sarebbe comportato in quel modo» affermò, mentre Yoongi annuiva, e tu continuavi a guardarli perplessa.

«L'ho chiamato ieri sera per dirgli di oggi e all'inizio mi ha detto che non sarebbe venuto, il fatto che effettivamente si sia presentato significa che è ancora lui» ti raccontò il ragazzo che il giorno prima ti era sembrato fatto di ghiaccio, che invece in un momento del genere sembrava in grado di gestire la situazione. Fissasti nuovamente entrambi, ancora più confusa.

«D'accordo, ma che è successo?» ripetesti la domanda alla quale non avevano dato alcuna risposta. Si guardarono tra di loro, parlando con gli occhi di qualcosa che non riuscivi a capire.

«Non possiamo dirlo, ci è stato proibito dal capo stesso perché è giusto che voci simili non si diffondano» ti rispose allora Jin, dopo aver preso un bel respiro. Il suo sguardo era dispiaciuto e basso, capisti di non dover insistere più.

«Va bene» borbottasti, scontenta, non avendo nient'altro da dire.

«Va bene, allora vado anche io» dicesti prima di alzarti in piedi quasi d'impulso.

«Ci sono clienti che hanno bisogno di voi. Ci-» ti soffermasti, osservandoli per un attimo e notando i loro sguardi a loro volta infelici.

«Ci vediamo» dicesti, non vedendo l'ora di lasciare alle spalle quell'episodio imbarazzante.

«Grazie per averlo avvisato ieri, Yoongi.»
Ringraziandolo per educazione, ti girasti e cominciasti a camminare verso l'uscita, sentendoti come se fossi in un altro mondo e non nel bar in cui eri entrata la prima volta.

Ricominciasti a camminare, quasi correre verso casa con la mente vuota, ancora sentendo addosso l'effetto freddo dello sguardo vuoto di Taehyung sul tuo, che ti aveva appena trattato come non altro che una felpa che doveva riportare a casa. Ammettesti a te stessa che in altre situazioni sarebbe stato normale, ma non con la persona che avevi conosciuto e non in quella circostanza, in cui chiunque si sarebbe minimamente fermato a parlare, pure per parlare di quanto facesse schifo il tempo. Era anche vero che tu eri sempre stata la prima a dare poca confidenza, che avevi più volte fatto sentire le persone a disagio, ma ti rendesti conto che la tua introspezione non avrebbe giustificato il suo comportamento.
Questo genere di pensieri ti trattenne fino a quando non tornasti a casa, decisa a non voler rivivere una situazione del genere mai più, rivalutando in pochi minuti l'importanza che avevi dato all'Aoi. Pensasti al fatto che di ragazzi, amici, ne avresti potuto trovare ovunque, non solo in quel bar sconosciuto. Pensasti di aver bisogno di andare altrove, uscire la sera, parlare con gente a caso e fare per davvero amicizia, senza doverti necessariamente fidare dei primi che ti sorridevano. Fu per questo che non avesti bisogno nemmeno di pensarci prima di uscire nuovamente di casa, ricordandoti di non aver fatto colazione e di aver in ogni caso bisogno di caffè, anche se avevi da poco deciso di non prenderne più al mattino perché non ti faceva esattamente un buon effetto. Col cellulare in mano e la pancia vuota, camminasti fino a trovare un altro bar proprio dietro casa tua che non esitasti a raggiungere, essendo addirittura più vicino rispetto all'Aoi e che, dall'esterno, ti sembrò decisamente più decoroso rispetto al verde smagliante di quel circo. Entrasti senza pensarci due volte, trovandoti davanti un bar dignitoso del suo nome, pieno di clienti a quell'ora del mattino.

Di momenti in cui agivi talmente impulsivamente alla tua infelicità, alle tue emozioni in generale, ce n'erano stati a valanghe. Non avresti potuto descrivere bene la sensazione a parole, ma percepivi che ogni qualvolta provassi un sentimento che non sembrasse 'giusto', allora dovevi agire e stravolgere il sentimento, facendo qualcosa di alternativo ed immediato che potesse alterare il tuo senso di inquietudine. L'imbarazzo provato, anche se minimo per chiunque altro, per te non era 'giusto' e doveva essere sostituito, per questo riuscisti a trascinarti fuori di casa in un momento in cui chiunque altro si sarebbe chiuso in casa e nascosto per almeno cinque ore, rivalutando l'esperienza vissuta e provando a non fare caso ai difetti di essa, magari pensandoci un po' di più rispetto a quanto avevi fatto tu.

Ti avvicinasti al bancone e un uomo ti si avvicinò per prendere subito il tuo ordine.

«Salve, sa già cosa prendere?» schietto, senza doverti per forza raccontare la sua intera storia di vita prima di farti ordinare.

«Un caffè per favore» dicesti, e subito dopo si allontanò per andarlo a preparare. 
Ci pensasti un attimo, rendendoti conto che in un contesto di lavoro è normale che la gente sia distante dai propri clienti, che non per forza debba farsi notare. In tutti i lavoretti che avevi fatto ti era sempre venuto più naturale distanziare i clienti, pensando di disturbarli o pensando che ti avrebbero disturbato. In un locale, in un bar, i camerieri non sono altro che l'ombra dei clienti, è raro che si instauri un rapporto tra di loro e se avviene è sicuramente gratificante, ma non puoi permetterti di trascurare gli altri clienti per uno solo. Vista dal punto di vista di un cliente che non guadagna soldi dal proprio ruolo è forse più facile aspettarsi un cameriere eccessivamente educato, simpatico, buffo che catturi la sua attenzione, ma nella realtà non accade quasi mai, soprattutto se i camerieri si limitano a svolgere il loro ruolo e portare a casa lo stipendio, così come è quasi regolamentare che facciano. Forse l'Aoi era proprio un bar a sé stante, in cui erano stati scelti camerieri carismatici di proposito, che fossero dediti a catturare l'attenzione di qualunque tipo di cliente. All'idea, non ti meravigliò ripensare al modo in cui sia Jin che Taehyung avevano fatto in modo di farti tornare. Ma, pensasti, in questo caso, non diventa un rapporto falso? È più genuino quando avviene per caso, quando non te lo aspetti eppure succede, se è già programmato non è più piacevole allo stesso modo.

Mentre riflettevi, i tuoi occhi percorsero ogni angolo del bar ordinato e normale che avevi di fronte, come se la visione ordinaria avrebbe confermato ancora di più i tuoi pensieri.
Il cameriere ti lasciò il caffè davanti senza dir nulla, ne assaporasti l'odore e un po' ti accontentasti in quel modo, facendo finta di nulla. Era così che le cose dovevano andare.
Mandasti giù il caffè e andasti alla cassa per pagarlo - non erano passati nemmeno dieci minuti, ma eri già di ritorno a casa, non avendo fatto alcuna nuova conoscenza, a dirla tutta avevi semplicemente visto nuove persone che non ti avevano lasciato alcun impatto. Un po' ti rattristì pensare a quanto fosse naturalmente freddo il mondo.

Quando la signora Choi lasciò il bambino a casa tua non riuscisti a far a meno di notare l'espressione giù di morale sul viso della donna. Quel giorno erano tutti giù di morale, cominciavi a chiederti se non fosse una ricorrenza e che anche tu saresti dovuta essere triste per rispetto.

«Salve, è tutto okay?» chiedesti, provando a fermare la signora che altrimenti sarebbe già scappata. I suoi occhi si addolcirono alla tua preoccupazione.

«Sì, io sto bene, più o meno» disse, tranquilla, alzando le spalle in rassegnazione.

«In che senso?» il tuo essere evasiva non era del tutto casuale, eri curiosa di sapere quello che stesse turbando personalità così angeliche che pensavi fossero impossibili da turbare.

«Nel senso che non sto del tutto bene, ma dobbiamo stare bene per le persone che ci circondano» spiegò, senza entrare nel dettaglio. Prese un bel respiro prima di rendere più intrigante il suo discorso, tanto per farti domandare per sempre cosa dannazione stesse succedendo.

«Sono sempre stata credente, credo che Dio faccia accadere delle cose e che queste cose non siano sempre giuste, ma non a caso» spiegò, e tu abbassasti lo sguardo, colpevole di essere atea almeno tanto quanto quella persona era pura.

«Se posso chiedere, è successo qualcosa in famiglia?»

«No, no, in famiglia è tutto okay, ti ringrazio» disse, finalmente sorridendo genuinamente.

«Allora cerchi di non pensarci, se non sono cose che la riguardano personalmente non ha senso farle personali. Non è giusto che lei stia male quando non le spetta» la voce della tua coscienza parlò prima che potessi farlo tu stessa; le tue stesse parole ti sorpresero, non essendo tu abituata a provare tutta quella empatia per un altro essere umano e dimostrarti interessata.

«Oh, non preoccuparti per me, tendo a prendere controllo della qualunque e alla fine mi riguarda tutto, starò bene» affermò, fissandoti soddisfatta, avendoti vista compatirla per la prima volta. Aveva già capito che non eri molto brava ad immedesimarti negli altri, ma in quel momento sembrò sospettare il contrario.

«Te ne parlo quando si calmano le acque, so che sei curiosa.»
Rispondesti con un sorriso complice che la fece ridacchiare.

«Per adesso pensa a mio figlio piuttosto e io penso ad andare a lavorare. Buon lavoro!»

«Anche a lei» ribattesti, soddisfatta della breve conversazione appena avuta. Speravi che la signora, come qualunque altro essere umano che ti accettava, capisse che eri veramente interessata alla sua vita e che non stavi provando a entrare nelle sue grazie, come invece sarebbe potuto sembrare. Il suo sorriso sembrava volerti dire che aveva capito, quindi non eri preoccupata al riguardo.

«Quindi, Juun, oggi che facciamo?» prendesti il bambino in braccio e chiudesti la porta dietro di te, cominciando a giocare con lui facendolo volare sopra la tua testa. La sua risata pura fece ridere anche te, come se ti avesse appena fatto dimenticare ogni preoccupazione, facendoti sentire decisamente meglio.
Nella tua continua ricerca di genuinità, ti rendesti conto di averne una forma così evidente proprio davanti a te. Ti distraesti a fissarlo un attimo, come ti capitava sempre, poi lo lasciasti andare.

«Facciamo che tu fai quello che vuoi, io aspetto un altro po' e chiamo Alice» gli dicesti, rendendoti conto di star parlando da sola mentre lo poggiavi a terra.

«Non vedo l'ora che cominci a parlare» borbottasti poi, triste di non poter avere una conversazione dignitosa con un essere umano talmente innocente.
Il bimbo ti fissava con i suoi grandi occhi neri, l'espressione ancora cristallina di chi non ha idea di cosa gli sia intorno. Era proprio per quell'espressione che avresti sempre preferito i bambini a qualunque altro essere vivente, essendo loro giocherelloni come piaceva a te, ma innocenti e mai malvagi. Più crescono e più diventano disonesti, corrotti, avidi, semplicemente perché crescono in certe condizioni rispetto ad altre che modificheranno radicalmente la loro vita. 
La tua anima gemella doveva per forza essere qualcuno che ti ricordasse quegli occhi innocenti, che riuscisse a farti ridere genuinamente nonostante la tua personalità buia e, fino a quel momento, i tuoi amici erano riusciti a riempire la grande mancanza che sentivi di una persona del genere. Ormai eri convinta che non esistesse nessuno talmente puro quanto un bambino, che fossi l'unica a desiderare una cosa del genere, quindi ti eri accontentata di tutto e di più e non sarebbe cambiato niente; tuttavia continuavi ad ammettere a te stessa che avresti dato la tua stessa vita per una persona che si fosse dimostrata autentica quanto desideravi.
Mentre ti inginocchiavi per poter essere alla stessa altezza del piccolo, il tuo cellulare squillò.
Ti rialzasti immediatamente, affrettandoti verso il cellulare, pensando di poter finalmente parlare con la tua migliore amica. Al suo posto comparve la scritta 'mamma', il che non ti dispiacque affatto, ma non riuscisti a far a meno di risponderle male.

«Che vuoi?»
Tua madre era ormai abituata ai tuoi modi, nemmeno te lo rinfacciò.

«Buongiorno anche a te.»

«Ti ricordo che qua non è mattina.»
Cominciò l'ennesima conversazione sull'orario, in quanto tua madre non aveva ancora capito come funzionasse.

Forse era proprio quello il rapporto più genuino che avessi. 
Nonostante tutti i litigi, standole lontana finalmente riuscivi ad ammettere di averle voluto bene in ogni momento in cui ti stravolgeva la vita, facendoti arrabbiare come non mai, spesso facendoti desiderare di essere nata in un'altra famiglia, ma proprio in questo modo eri riuscita ad ammettere a te stessa che non saresti tu senza tua madre, tuo padre e tuo fratello. Continuavi a volerle bene e contemporaneamente a risponderle male, ormai era abitudine, e per te non c'era nulla di più genuino che la tua leggera cattiveria.
Ti chiedesti se il grande vuoto che avevi nel petto fosse dovuto alla mancanza dei tuoi genitori, dei tuoi amici, o se fosse sempre stato lì provvisoriamente soddisfatto da tante superficialità. Il tuo sguardo triste a fine chiamata spaventò anche il bambino che, alla tua mancanza di entusiasmo, cominciò a piangere. Eri felice che almeno lui fosse in grado di farlo così facilmente.

**

Passarono due intere settimane prima che la fortuna cominciasse finalmente ad assisterti, come se si fosse resa conto di averti dimenticata tutto quel tempo - quasi per 23 anni, ma che sarà mai. 
Avevi passato due settimane intere a non far un bel niente, a non pensare a niente, come se fosse giusto così. Eri stata presa solo dalle tue emozioni un po' troppo squilibrare, non avevi preso una singola boccata d'aria dal momento in cui ti eri profondamente immersa in te stessa, pensando di non aver bisogno di fuoriuscirne perché ti eri convinta di dover provare a vivere anche da sola, per vedere fino a che punto realmente ne fossi in grado. Probabilmente le tue emozioni erano talmente forti e improvvise che, dopo la situazione all'Aoi due settimane prima e la tua realizzazione di quanto fossero tristemente rigide le persone, era ovvio che fossi tornata in quello stato. Avevi sempre vissuto a stento, non era nulla di nuovo, probabilmente se quella giornata non fosse mai avvenuta avresti continuato in quel modo fino alla fine dei tuoi giorni e non ti saresti mai resa conto che avevi passato ogni singolo giorno al limite del tuo stato emotivo, come se da un momento all'altro avresti potuto affogare, non avendo più la forza di spingerti in superficie. 
Non eri mai stata talmente forte da far tutto da sola in ogni caso, non riuscivi a star bene o male da sola: se non stavi bene allora non lo sapevi perché non eri mai veramente consapevole del tuo stato d'animo, ti bastava concludere la giornata e poterti rilassare, quando eri fortunata e ti sentivi un po' meglio guardare la televisione altrimenti il vuoto, andare a letto e svegliarti il giorno dopo per ripetere il giorno precedente. Era stato facile quando eri circondata da persone e quest'ultime erano in grado di prenderti per mano quando eri in ginocchio, da sola continuavi a strascicare sul pavimento e stare bene così, sempre in bilico tra il benessere e l'angoscia; non sapevi cosa provare anche dopo aver vissuto 23 anni con le tue emozioni sempre uguali.
L'indifferenza riprendeva lentamente possesso delle tue espressioni facciali, del tuo brainstorming pomeridiano, dei tuoi sentimenti già sbiaditi da loro, sembrava che la normalità si stesse ristabilendo per come la avevi sempre percepita. Inoltre i tuoi occhi erano vuoti. Quando eri partita per la Corea, come se fossi stata una bambina, avevano scoperto la scintilla che lasciava che le persone ti notassero e ora la disconoscevano nuovamente, e le persone, a loro volta, non ti vedevano più. Eri un fantasma che passeggiava per le strade, la tua personalità inesistente era finalmente a suo agio, l'ansia delle relazioni sociali non ti disturbò per quattordici giorni interi.

C'era stato un periodo, durante la tua preadolescenza, in cui ti eri lasciata andare in quello stesso modo per due anni interi, quattordici giorni ti sembrarono passare come secondi. Nulla di nuovo, il cielo era sempre dello stesso colore, il sole illuminava Seoul come aveva sempre fatto anche senza di te, le foglie cadevano dagli alberi ricordandoti la stagione, il parco vicino casa tua era ancora estremamente sporco e l'unico desiderio che ti ritrovasti ad avere in quei giorni fu pulire quello schifo di discarica. Niente da fare, alzavi le spalle e andavi avanti; se alzare le spalle fosse stato un lavoro, allora sì che saresti stata famosa e ricca.
I tuoi amici erano impegnati e sicuramente più motivati di te nei loro mille appuntamenti e lavori da svolgere, ti annoiava persino conversare con loro e sapevi già che se avessero notato la tua ricaduta avrebbero ricominciato con le ramanzine. In realtà in tutta la tua vita non ti aveva mai aiutata nemmeno una di quelle ramanzine, nessuna parola ti aveva mai salvata dalla tua stessa personalità, non ricordavi nessuno dei rimproveri che ti fossero stati rivolti perché probabilmente non ne avevi mai ascoltati. Era meglio che non ti facessi sentire, facendo credere a tua volta di essere impegnata, quando il tuo unico lavoro era guardare che Juun non si buttasse dal balcone o che non inghiottisse qualche giocattolo. 
Finiva lì, il tuo telefono era ormai giornalmente scarico e non ti andava nemmeno di metterlo a caricare. Ma chissà cosa fosse successo se un giorno non lo avessi fatto proprio per sfizio, dopo essere stato spento per due giorni interi.

Quel pomeriggio eri tranquillamente distesa sul divano, pensando a quanto lo stomaco ti stesse rompendo le palle, desiderando di essere incinta o di avere sessanta anni solo per non avere più il ciclo che da undici anni ti stravolgeva la vita. In preda ad un'altra fitta dolorosa, scattasti in piedi e cominciasti a camminare a caso lungo l'appartamento, credendo di poter stare meglio se ti muovevi. Juun quel pomeriggio non era con te, la domenica rimaneva sempre a casa con la famiglia - ringraziasti il dio in cui non credevi per averti donato la domenica. Il tuo cellulare era sul tavolo della cucina, non aveva cambiato posizione in quegli ultimi giorni e pensasti che tra un po' avrebbe accumulato polvere o sarebbe diventato un fossile. Dolorante, prendesti il cellulare e lo mettesti a caricare, pensando di poter così cercare su internet qualunque articolo su come far diminuire i dolori mestruali: lo avevi fatto ogni mese da undici anni e non era mai servito a un cazzo.
Mentre sbuffavi per quanto fosse inutile internet e quasi quasi mandando tutto a fanculo per andare a dormire alle sei del pomeriggio, un numero sconosciuto apparve sullo schermo del cellulare. Nemmeno ci pensasti, rispondesti quasi istintivamente, nello stesso momento in cui l'ennesimo crampo ti coglieva impreparata; eppure la cornetta rossa era così vicina a quella verde, non avresti mai capito perché decidesti di rispondere e non ignorare un numero che in altri casi avresti sicuramente trascurato.

«Pronto?» borbottasti, ringraziando che fosse una chiamata o altrimenti chiunque ti stesse cercando avrebbe visto la tua smorfia dolorante che ti faceva tanto somigliare a un animale con qualche problema di digestione.

«Salve, parlo con Y/n?» la voce era completamente sconosciuta, il che ti inquietò un attimo. Scattasti sull'attenti, non riuscendo a capire come quella voce sconosciuta stesse pronunciando il tuo nome e cognome in quella maniera così formale. La gente smetteva di parlarti in modo formale subito dopo aver passato venti secondi con te, evidentemente quella signora non ti aveva mai conosciuta. Ma, che cazzo, aveva appena pronunciato il tuo nome e cognome.

«Sì?» la tua risposta era decisamente più una domanda che altro, le tue sopracciglia era aggrottate in confusione. Probabilmente era qualche rompipalle che voleva pubblicizzare qualche nuova offerta telefonica, e comunque eri confusa.
La risposta, che arrivò qualche secondo dopo quasi come a tranquillizzarti, ti risvegliò del tutto. Risvegliò tutti quegli anni che avevi passato sperando in una chiamata del genere, risvegliò la te motivata che si era quasi arresa alla vita vuota di chi non ha aspettative. Ma, fino a quando non parlò, non avevi idea di quello che sarebbe successo da lì a poco.

«Oh, perfetto, chiamo dall'agenzia d'editoria e traduzione di Seoul» quelle furono le prime parole a farti pian piano entrare nel panico più totale.

«Volevamo sapere se fosse interessata a lavorare per la traduzione di un manoscritto di un autore locale» le tue orecchie non riuscirono a reggere più di quelle parole.

Parlò per alcuni minuti, ma non riuscisti a capire nemmeno una parola, come se improvvisamente avessi dimenticato il coreano. Nonostante ti sforzassi, le sue parole non significavano nulla.
Acconsentisti a tutte le richieste, probabilmente parlando a scatti in altre lingue, il tuo cervello non connetteva più.

«-ci rendiamo conto del poco preavviso, ma domani il team con cui lavorerai incontra l'autore per discutere insieme del lavoro. Se ti convince, parliamo domani stesso del contratto» disse, ancora convinta che tu l'avessi ascoltata fino a quel momento. Probabilmente il giorno dopo le avresti fatto ripetere tutto, e glielo avresti fatto ripetere mille volte.

«Va bene, sì, va benissimo. Domani è fantastico, cioè- domani, wow, domani?» non riuscisti a capire se te lo fossi immaginato, ma la donna con cui avevi parlato fino a quel momento ridacchiò per un attimo.

«Alle dieci è previsto l'arrivo di tutti, ma se passa una mezz'oretta prima possiamo conoscerci meglio. Per il colloquio ha parlato col mio capo, ma effettivamente lavorerà per me» spiegò, cordialmente, sembrandoti eccessivamente dolce per qualcuno che nemmeno conoscevi. In quel momento quella donna era una dea, e sarebbe potuta essere la peggiore vipera sulla faccia della terra.

«Va bene, va bene, va bene» se ti avessero chiesto di fare un riassunto della chiamata, allora quelle sarebbero state le parole che avresti usato - non avevi detto altro durante tutta la chiamata.

«Buona serata allora.»

«Buona serata anche a lei.»

Quando chiudesti la chiamata, i crampi allo stomaco non esistevano più. Il tuo viso non sapeva come esprimere quello che sentivi, né uscì alcun suono o respiro dalla tua bocca. Non riuscisti a muoverti per almeno cinque minuti, addirittura ti si addormentarono i piedi e quando provasti a rialzarti quasi che non cadesti a terra.
L'unica cosa di cui ti rendesti conto era che una piccola scintilla era tornata ad illuminare i tuoi occhi e, nonostante fosse fievole, era genuina.

 

 

 

 

   
 
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