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Autore: shira21    12/01/2018    0 recensioni
Elizabeth ha conosciuto Lysandro al liceo, trovando in lui un porto sicuro dopo la morte dei genitori, e quando anni dopo si mettono insieme pensa che sia solo la normale evoluzione della loro amicizia.
Ma come fidanzati iniziano ad avere dei problemi: lui è sempre più distante e lei vuole di più.
Poi una sera, incontra il suo migliore amico, Castiel, e in quegli occhi grigi scopre un anima simile alla sua.
Genere: Erotico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castiel, Dolcetta, Lysandro, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Triangolo
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"Il cliente da lei chiamato non è al momento raggiungibile, la invitiamo a riprovare più tardi. Grazie!"
Inizio seriamente ad odiare questa voce penso mentre cerco di non lanciare il telefono contro il muro; mi accascio sulla sedia e guardo fuori dalla vetrata mentre giocherello con la collana che porto ormai costantemente al collo. Non per la prima volta da quando Lysandro ci ha trovati mi ritrovo indifferente di fronte anche agli spettacoli più spettacolari, come la vista dal mio ufficio.
Ebbene sì, qualcosa di buono ne è uscito da tutto il dolore di aver perso l'unico uomo che abbia mai amato: ho deciso di prendere sul serio l'impero aziendale che aveva creato mio padre e ho scoperto anche che mi piace. Certo per alcuni è stato strano passare dal vedermi una volta ogni tre mesi a tutti i giorni anche per quattordici ore filate. Diciamo solo che ho scoperto che può essere un buon posto dove riposare, il divanetto nel mio ufficio.
Questa è la mia unica consolazione, sapere che mio padre sarebbe felice di vedermi seduta qui.
Sfilo con un gesto stanco i tacchi che mi stanno massacrando i polpacci e mi sfugge un sospiro di piacere quando posso i piedi sul freddo pavimento. I pantaloni a palazzo di seta neri frusciano delicatamente contro le mie gambe mentre slaccio qualche bottone della camicetta bianca che pare uccidermi. Non ho nulla contro i bei vestiti ma non mi sento mai me stessa quando li indosso, sembro una bambina con indosso i vestiti della madre. Eppure, fin dalla prima riunione trimestrale quando ho ereditato tutte le quote societarie, Adam mi ha fatto capire che se voglio apparire una donna forte e potente mi devo vestire come tale. A quanto pare le magliette extralarge dei concerti rock e i jeans non sono abbastanza forti e potenti.
Ridacchio al pensiero della faccia che farebbe Adam se mi presentassi vestita in quel modo.
Sento un bussare delicato e quando mi giro vedo Irene, un sorriso stanco sul volto e un grosso sacchetto tra le mani.
«Disturbo?»
«Dipende da cosa c'è in quel sacchetto» le dico con un sorriso e un alzata di sopracciglia.
«Cinese, il migliore della città. Ho preso pollo con le mandorle, manzo in salsa matrigna, ravioli al vapore, gamberi in salsa curry...»
Sgrano gli occhi quando vedo che l'elenco non è finito. «Scusa ma viene a mangiare tutto il palazzo?»
Irene scoppia a ridere e appoggia tutti i contenitori di carta sul tavolino di vetro posizionato ad arte davanti al divanetto.
«No, ho solo pensato che fossi affamata. Io lo sono di certo!»
«Per caso il motivo per cui hai intenzione di mangiare l'equivalente di una settimana di fabbisogno calorico ha un nome e un cognome?» Lei mi lancia un occhiataccia ma imperterrita io continuo «Non so, magari un tipo biondo e russo che oggi ha quasi mangiato vivo un cliente solo perché ti aveva fissata troppo a lungo secondo i suoi standard?»
Stavolta è lei a sgranare gli occhi prima di lasciarsi scivolare disperata sul divanetto «Se ne sono accorti tutti?»
La raggiungo e mi siedo accanto a lei, raggomitolando le gambe sotto di me. Irene mi imita subito, togliendosi le scarpe con il tacco e incrociando le gambe come una vera esperta. Io una pozione simile l'ho vista fare solo in yoga ma eviterò di aggiungere altro.
Quando ho iniziato a lavorare sul serio qui, io e Adam ci siamo resi conto che avrei avuto bisogno di un assistente personale. Il mio pensiero è corso subito a quella piccola ragazza geek che avevo conosciuto all'ultima riunione; avevo visto il suo lavoro e mi era parsa competente. Ma soprattutto mi era parsa simpatica, per cui le avevo chiesto senza troppi giri di parole se voleva il posto. Mi aveva guardata stralunata, facendomi notare che era solo una segretaria tra tante e senza neanche troppa esperienza ma qualcosa nel suo sguardo mi aveva fatto essere decisa. E meno male che è stato così perché abbiamo scoperto velocemente di essere un ottima squadra insieme e di avere così tanto in comune da poterci definire amiche.
E avere entrambe il cuore spezzato ci ha solo reso più unite.
Prende un raviolo, il movimento delle bacchette così veloce e preciso da farmi pensare che abbia sangue giapponese o cinese nelle vene.
«A volte penso di odiare sul serio Adam... non sono una ragazzina, per amor del cielo!»
Morde con una certa foga il secondo raviolo, facendomi ridere. Irene mi guarda un attimo prima di ridere a sua volta.
«Io ci ho provato a dirgli che non sono rigida come mio padre sui rapporti tra dipendenti» e con le bacchette sottolineo l'ovvio facendola annuire con un sorriso «ma lui, a parte diventare rosso, non ha detto nulla. Credo che nella sua testa lui ti stia proteggendo».
«Gli uomini... certe volte sanno essere dei veri idioti!»
«Solo certe volte?» E stavolta ridiamo entrambe ma c'è un pizzico di sofferenza nelle nostre risate.
Per un po' ci dedichiamo al cibo che è davvero ottimo; onestamente penso che non so chi tra me e Irene sia attualmente più specializzata in cibo d'asporto. L'ultima volta che ho cucinato è stato per Castiel e da quel giorno non sono riuscita a prendere in mano neanche un coltello.
«Non ha risposto neanche oggi?» Mi chiede a sorpresa Irene. Qualcosa nella mia espressione deve avermi tradito.
Scuoto la testa, con un sospiro penoso e di colpo i gamberetti sembrano fatti di carta.
Appoggio il contenitore sul tavolino, non ho più fame; mi giro in modo da poter circondare le ginocchia con le braccia, la schiena contro il bracciolo e la testa appoggiata sul cuscino.
«Era così evidente?»
«Stavi toccando il plettro che usi come ciondolo più o meno da quando ti conosco!» Non è un plettro qualsiasi, è il primo che Castiel abbia mai usato. Ce lo avevo in mano quel giorno e neanche mi ero resa conto di averlo tenuto con me per tutto il tempo. E, quando alla fine l'ho visto, ho capito che non potevo separarmene.
Lei mi guarda e nei suoi occhi vedo che è triste per me.
«Sono passati sette mesi ormai...»
«Sette mesi, ventuno giorni e...» guardo l'orologio appeso alla parete «nove ore, circa. Ma chi li conta?» Qual'è il confine tra ironia e pura acidità? Perché penso di essere giusto al limite.
Lei posa il contenitore e giuro che di solito è un impresa quasi impossibile anche se dal suo fisico non si direbbe.
«Lo chiami una volta al giorno, ogni sera allo stesso orario. Ormai è quasi una routine: controllare la chiusura delle borse? Fatto; pensare a cosa mangiare a cena? In elaborazione; chiamare Castiel? Fatto; guardare i files dell'azienda? Fatto.»
Ha ragione, lo so. Dannazione, certo che lo so. Praticamente sono quasi una stalker.
«Provo a parlare con lui da quel giorno; l'ho cercato ovunque, gli ho scritto e l'ho chiamato fino a ridurmi a uno straccio. Quindi alla fine ho deciso di limitarmi a una sola chiamata, sempre allo stesso orario. Se e e quando vorrà rispondermi, io sarò qui!» Perché ne sono convinta che un giorno lui mi risponderà, anche solo per pura disperazione.
Per quasi due settimane sono stata in uno stato pietoso, piangendo ogni notte e senza mangiare. Ho iniziato a sognarlo ogni volta che chiudevo gli occhi e non so cosa fosse più doloroso tra il rivivere il momento in cui l'ho perso e lo svegliarmi sapendo che lui non c'era.
Ma alla fine ho deciso di rialzarmi e lottare. In quel ultimo messaggio gli ho detto la verità: lo amo ma non intendo buttare la mia vita per il suo rifiuto.
Mi ha insegnato a non avere paura, di non ascoltare le paranoie che abitano nella mia testa e se sono tornata qui è stato per merito suo. Soprattutto volevo che sapesse che neanche per un attimo smetterò di sperare in noi, che lui lo capisca o meno.
Come ha detto Irene, a volte gli uomini sanno essere dei veri idioti.
«La vuoi sapere la cosa assurda?»
«Quale?» Mi fissa curiosa mentre attacca un nuovo contenitore, stavolta quello della carne.
«Lys mi ha perdonato ed ora mi parla di nuovo. Mi ha anche invitato al loro primo concerto, in un locale non molto lontano da qui, non molto grande ma un buon trampolino di lancio.» Con le dita tormento un filo della cucitura del divano e aggiungo «Mi ha perdonato e ha perdonato lui, suonano ancora insieme!»
Irene è sconcertata «Quel tipo dev'essere un angelo. Senza offesa ma al suo posto io non vi avrei più voluto vedere per il resto dei miei giorni!»
«Nessuna offesa... non dico che ora siamo i suoi migliori amici, dubito che si fiderà mai più allo stesso modo. Non solo di me e Castiel ma in generale.» Poi sottovoce aggiungo «Quello che gli abbiamo fatto è una cicatrice che si porterà appresso per sempre». E io ne so qualcosa di cicatrici, come quella sul collo che ho ripreso a coprire con i nastri o quella che porto nell'anima dalla morte dei miei genitori.
Mi riscuoto dal mio tormentato torpore ed esclamo «Sabato c'è l'inaugurazione di casa mia. Ci sarai, vero?»
Irene ride, distendendo l'atmosfera «Certo che ci vengo. Ci hai messo l'anima in quella casa, dev'essere venuto uno spettacolo!»
«Già, l'anima e un mucchio di soldi», le dico facendole l'occhiolino.
«Come se non te lo potessi permettere» e io le mostro la lingua. «Okay capo mi dici dopo questo come farò a prenderti sul serio?» Ma scrollo le spalle.
La verità è che sono orgogliosa dalla ristrutturazione della mia viletta; ho passato ogni momento libero nel progetto della casa e solo ora che è completa mi rendo conto che l'ho creata pensando ai momenti passati con Castiel. Perché, onestamente, io di un posto dove suonare la chitarra senza disturbare i vicini che me ne faccio?
   
 
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