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Autore: Blackvirgo    13/01/2018    7 recensioni
Ci sono luoghi che ti vedono crescere, ma che non ti vedono mai cresciuto.
Hai il borsone in spalla, il cappellino calcato sugli occhi, le dita sulla maniglia di una porta mezza aperta e mezza chiusa, i piedi fermi su una soglia perfettamente delineata dalla penombra dello spogliatoio che si scontra con la luce brillante di un sole autunnale stranamente limpido. Sorridi ironico: è tutta la vita che stai in bilico su una linea. E sei abituato a scegliere in fretta quando la linea è di gesso bianco disegnata sull’erba verde. Ti sei allenato per quello. Ma per le scelte che stravolgono una vita intera non c’è allenamento che tenga.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ci sono luoghi che ti vedono crescere, ma che non ti vedono mai cresciuto.
Hai il borsone in spalla, il cappellino calcato sugli occhi, le dita sulla maniglia di una porta mezza aperta e mezza chiusa, i piedi fermi su una soglia perfettamente delineata dalla penombra dello spogliatoio che si scontra con la luce brillante di un sole autunnale stranamente limpido. Sorridi ironico: è tutta la vita che stai in bilico su una linea. E sei abituato a scegliere in fretta quando la linea è di gesso bianco disegnata sull’erba verde. Ti sei allenato per quello. Ma per le scelte che stravolgono una vita intera non c’è allenamento che tenga.
Eppure Karl non ci ha pensato due volte a seguire la sua famiglia a Monaco. Dentro di te quella perdita è stata dura da digerire: il Kaiser è sempre stato un amico e un rivale, hai perso il conto delle volte che avete giocato con la stessa maglia o che vi siete trovati faccia a faccia. Ma non hai avuto dubbi a rifiutare la sua proposta di seguirlo al Bayern: in Germania hai solo una casa ed è ad Amburgo. Non è facile tagliare i ponti con la squadra che ti ha accolto bambino e che ti ha fatto crescere fino al professionismo. Non hai una famiglia da seguire, tu, solo la gratitudine per chi ti ha portato a essere chi sei. Ma una cosa la sai di sicuro: non sei uno che sta in panchina – e ancor meno in tribuna – né uno che si accontenta di un pareggio. È da quando sei bambino che giochi solo per vincere. Perché quella linea dritta che sta sotto i suoi piedi non prevede mezze misure.
 
È ora di tornare a casa, pensi, malinconico.
Non hai mai dimenticato né rinnegato il Giappone – è la tua patria, la tua origine e, ineluttabilmente, ti attira a sé. È la maglia del Sol Levante quella che indossi, orgoglioso, in nazionale. Ma Amburgo ha rappresentato per anni la tua casa, il tuo presente e anche il tuo futuro. Con il suo porto grande quanto la città, la pioggia e il cielo grigio. Le giornate eterne d’estate e quella sensazione che non facesse mai giorno d’inverno. Il calcio, le amicizie, la vita in campo e quella fuori. Solo che ora non è più il tuo posto. Le radici che hai messo lì, forse, non sono abbastanza profonde.
 
Le tue dita stringono più forte la maniglia, la voglia e la paura di abbassarla si fanno sempre più sfumate nel tuo animo. È difficile oltrepassare il confine che trasforma il presente in passato. Pieghi appena le labbra in un sorriso ironico: in fin dei conti la linea che separa la vittoria dalla sconfitta è sottilissima.
Sospiri nel ripercorrere con la mente la strada che hai fatto per arrivare a quel punto. Hai borsone in spalla, cappellino calcato sugli occhi e fuori c’è una tanto splendida quanto rara giornata di sole. Una scena che si è ripetuta migliaia di volte in tanti pomeriggi della tua gioventù, ma che potrebbe essere l’ultima.  
Quando hai lasciato Nankatsu eri solo un bambino con il mondo in tasca, radici imberbi che si potevano trapiantare altrove e ali arroganti da spiegare verso il sole. Allora sapevi che c’erano le mani grandi di Mikami a cui aggrapparsi, ma tu, testardo, hai sempre voluto fare tutto da solo. All’epoca pensavi che fosse importante mostrarsi coraggioso, il tempo ti ha insegnato quanto sia importante esserlo. Perché per quanto si possano nascondere le proprie paure, torneranno a tormentarti se non si sconfiggono. E attraversare quella porta ti fa paura, lo ammetti. Significa lasciarsi indietro quello che hai fatto negli ultimi… oddio, ormai hai perso il conto! Quanti sono, dieci anni? Un’eternità per te che ne hai solo il doppio. Sorridi a denti stretti: è per questo che indugi tanto nel girare quella maniglia. Preferisci che le tue paure rimangano lì, sconfitte, piuttosto che portartele dietro.
 
Saltare e tuffarsi non sarebbero più la stessa cosa se la paura di cadere mi ancorasse i piedi al suolo. 
Pensi a Tsubasa, marinaio come suo padre e pantofolaio come sua madre: sempre pronto a partire e a far diventare casa ogni angolo di mondo, purché ci sia posto per il suo adorato pallone. Ed è così legato a quel sogno di bambino, di vincere la coppa del mondo, che ogni suo viaggio sembra finalizzato al ritorno.
Pensi a Misaki che ha girato mezzo mondo, che lo ha conosciuto giocando a calcio. Hai sempre fatto fatica a vedere le sue radici, il suo animo di artista ti sembra più propenso a spiegare le ali per raggiungere l’orizzonte che ha negli occhi. Ma, a volte, quell’orizzonte abbraccia il Giappone e la sua casa tanto da fargli ripercorrere ogni passo a ritroso pur di tornare.
Pensi a Aoi che ha fatto la tua stessa strada, in Italia, impulsivo e sconsiderato come solo un quindicenne può essere. Ha avuto fegato, il ragazzino. Perché almeno tu, Genzo, avevi Mikami, ma Shingo aveva con sé solo il suo sogno e il suo inestinguibile ottimismo. Per lui è stato faticoso tornare a casa – probabilmente lo era stato anche partire, pensi con il senno di poi – ma anche lui, alla fine, è tornato.
Pensi che persino Hyuga ha deciso di lasciare la sua famiglia concedendosi finalmente di essere solo un ragazzo che lotta per realizzare i suoi sogni. Il suo dovere di figlio e fratello lo ha già fatto abbondantemente.
E, infine, non sapresti mai immaginare Herman lasciare l’Amburgo. Le sue radici affondano in quella squadra e in quella città così profondamente da non prendere in considerazione la possibilità di vivere altrove. Ha chiamato Karl un traditore quando vi ha lasciati. Ma se il difensore, granitico come il passato, è riuscito a capire e a perdonare Schneider allora forse, un giorno, capirà e perdonerà anche te.
 
È ora di tornare a casa, pensi di nuovo. Respiri una boccata di aria fresca che rinfranca il tuo spirito e rende più leggeri i tuoi piedi.
Basta girare una maniglia, dare una spinta allo stipite accompagnato dal sempiterno cigolio di un cardine e fare un passo per attraversare quella linea su cui hai sempre vissuto. Ma non chiudi la porta. Anzi, ti volti un attimo e sussurri allo spogliatoio in penombra: “Arrivederci, Kaltz.”
“A presto, Gen.”
***
 
 
Note dell’autrice:
  • Questa breve fic è stata a languire circa da settembre del 2012 in una cartella abbandonata. Mi ero pure dimenticata di averla scritta perché Genzo non è mai stato un personaggio “nelle mie corde” per scriverci su. Per quanto l’abbia sempre apprezzato tantissimo non l’ho mai propriamente amato, però il suo essere messo alla porta dall’allenatore dell’Amburgo mi aveva smosso qualcosa così è nata questa cosuccia. Poi è riemersa un paio di giorni fa e mi è venuta voglia di rimaneggiarla e condividerla. Io l’ho detto che tornavo a impestare i miei fandom, eh! Fangirl avvisate…
  • Due cose vengono dritte dritte dalla fine della fatidica partita Bayern Monaco – Amburgo di Road to 2002: la frase “la linea che separa la vittoria dalla sconfitta è sottilissima” e il titolo. Pare infatti che Shoubu significhi incontro, ma soprattutto che sia composto da due ideogrammi di cui uno significa vittoria e l’altro sconfitta. Giusto per la cronaca: io il giapponese non lo so, se ho riportato una boiata mi dispiace;
  • Parliamo della seconda persona e del tempo presente. Non è stata una scelta ponderata, è la fic che è nata così. Ma è stato un casino, ecco.
 
Un abbraccio a tutt* e grazie per essere passat* di qui!
 
 
   
 
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