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Autore: sese87    17/01/2018    5 recensioni
Per diventare super saiyan.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Cuore

Altra breve one-shot; ho tratto ispirazione da un'intervista rilasciata dal Tori. Spero vi piaccia, buona lettura :*

Cuore

 

Iniziarono con un bacio.
Dopo un respiro di indecisione, le loro labbra si toccarono, chiuse, e decussarono i loro cuori in un abbraccio, avvicinandosi l’uno al corpo dell’altro.
Incredibile ciò che stesse facendo Vegeta e non se ne sarebbe mai creduto capace, perciò seguì l’istinto senza troppe complicanze in un gesto che, in fin dei conti, aveva l’antichità del tempo.
Stanco, depresso; raccolse il volto di Bulma tra le mani e approfondì la suzione, suggellandosi ad essa in un sospiro che, per una volta, non fu di morte ma di quiete.
E le loro bocche si schiusero, le lingue si sfiorarono; ognuno conobbe il sapore dell’altro. Si spogliarono a vicenda, senza neanche togliersi tutto in una lussuria crescente.
Il resto non le sarebbe piaciuto altrettanto; troppo veloce, troppo egoismo verso un piacere unidirezionale, non il suo. Ma Bulma lo avrebbe perdonato, per l’amore di essere riuscita ad abbracciarlo.
Dopo, Vegeta non la uccise.

 
Entrò nella stanza e lo vide, prima ancora di accendere la luce. Non l’accese; rimase con il braccio a mezz’aria, la punta delle dita a sfiorare l’interruttore. Iniziò ad osservare Vegeta, studiando la situazione peculiare in cui pareva immerso, con la televisione accesa, lasciata su dal dottor Brief in sottofondo, prima che sparisse chissà dove. Un film d’azione, le cui roboanti immagini si stagliavano, dorate, contro la sua figura aliena; bronzavano le sue spalle nude, incastonate tra fili d’ombra che disegnavano i contorni dei suoi muscoli perfetti. Era attraente Vegeta, a scoppio ritardato; chissà se ne rendeva conto. La sua mente molto più del suo corpo.
E se non si accorse subito di lei fu soltanto perché perso in pensieri più densi del suo profumo dolce, in considerazioni più pesanti dei suoi passi leggeri. Avrebbe potuto accorgersene ma, in fondo, nemmeno gli importò e continuò a contare le luci argentate di un città ancora sconosciuta, sciolta dall’afa notturna che, con il suo riverbero azzurro, gli bagnava gli zigomi alti e le nocche di un pugno serrato contro la bocca sottile. Schiuse appena le labbra per mordicchiarsi l’unghia del pollice e non si mosse, quando Bulma gli si sedette accanto, sul tappeto, assumendo la sua stessa posizione, contro il divano, a gambe incrociate. Distante.
Cartoni vuoti, eccetto che per una fetta di pizza, erano sparsi sul pavimento, probabilmente lì da ore, e, ai piedi di Vegeta restava, accasciato come un cadavere, un generatore di ki blast. Non occorreva sprecare materia grigia per capire chi l’avesse rotto e a chi fosse stato chiesto, inutilmente, di riaggiustarlo.
Le piaceva da morire il suo naso, sottile e impercettibilmente all’insù. Ed era strano accorgersi quanto, di lui, le piacesse ogni giorno qualcosa di nuovo. Tornando a guardarsi intorno, trovò il telecomando sul bracciolo del divano e spense le bombe della tv. Restò il ronzio del condizionatore.
Quasi impossibile indovinare a cosa pensasse, quando, rinchiuso in se stesso, non vedeva altro che se stesso, ma le aveva raccontato della sua morte una mattina, con poche, semplici ed efficaci parole, dandole la contezza di chi fosse realmente. Fu inaspettato, come il riscoprirsi innamorata di chi aveva osato farla soffrire prima ancora di conoscerla; di chi l’avrebbe fatta soffrire sempre, prima ancora di riconoscersi. Non sarebbe però stata l’unica nel loro turbinoso rapporto, fino alla serenità di entrambi, anche se per motivi diversi.
Bulma lo aveva visto depresso, frustrato e arrabbiato con se stesso, già troppe volte da credere che non fosse roba da mostri, provare emozioni così. I genocidi erano tanto più spaventosi se compiuti da un’altra vittima in grado di capirne l’entità e non da un semplice pazzo. E la terrorizzava il suo non voler nemmeno provare a giustificarlo, ma, di lui, non aveva voluto che vedere la sua inusuale e bizzarra umanità. Di questa si era innamorata: di tutto il suo bene, di tutto il suo male; lo rendeva Vegeta.

Quante donne hai avuto?
Quelle che mi andava.

«Freezer era troppo abituato a dare ordini.» Schioccò Vegeta, risvegliando l’attenzione di entrambi.
Bulma rigirò il telecomando tra le dita; «A questo pensavi?» Domandò, leggermente delusa.
«Non esattamente. Ci sono arrivato adesso.»
Il discorso si calmò lì, insieme ad una marea di parole non dette.
Bulma avrebbe voluto baciarlo di nuovo e insegnargli che la vita poteva essere meno amara di quel che credeva. Anche lei si sentiva sola, mascherata dalle proprie bugie per mostrarsi più forte.
Ogni giorno Vegeta trovava un nuovo appiglio a cui agganciare le proprie elucubrazioni. E se Freezer fosse stato più indipendente, meno viziato, avrebbe ucciso subito tutti quanti su Namecc; non ci sarebbe mai stato bisogno di un super saiyan. Il quale non sarebbe mai apparso, inutile come la sua vendetta covata per anni, mai davvero appagata se non con lacrime amareggiate da un orgoglio negletto, nell’ineluttabilità della sua morte. Accettabile soltanto perché, alla bile e al sangue tra i denti, non si era aggiunto che un ordine all’ultimo dei suoi sudditi: uccidilo.

Lo sai che Vegeta ha pianto su Namecc?
«E, comunque, perché costruire una macchina del tempo invece di una navicella per raggiungere Namecc e riportare tutti in vita?» Esclamò Vegeta, dopo una lunga navigata alla deriva della sua mente.
Si era posta la stessa domanda, senza maturare una risposta; rimase zitta.
«Allora?» E sarebbe tornato a porsela lui stesso, quella domanda, in futuro, chiedendosi come mai sua moglie non avesse piuttosto pensato di riportarlo in vita. Tuttavia, non ne conosceva ancora molto, Vegeta, della propria, accontentandosi di chiederlo, per la prima volta, ad und Bulma non ancora del tutto sua.
«Ci sto pensando!» Rimbrottò lei, incrociando le braccia al petto, ma la risposta comunque non le sovvenne. «Ma perché t’importa?» Concluse poi, quasi infastidita, non abituata all’assenza di un suggerimento mentale. Non sarebbe stato neanche tanto difficile, avrebbe anche lei pensato: trovare le coordinate di Neo Namecc, costruire una navicella spaziale e richiamare in vita almeno Vegeta, il quale, all’avvento di Zamasu, l’avrebbe riportata sullo stesso argomento. La scarsa fiducia nei suoi confronti non gli sarebbe mai andata giù, perché era stata capace di infrangere le regole divine e del tempo, per avvertire Kakaroth, non lui che, comunque, non aveva mai detto di amare.
La verità all’ingiusta accusa sarebbe però stata un’altra. Bulma lo avrebbe capito in un altro tempo, al momento giusto, ma non lo avrebbe mai davvero spiegato a suo marito, un uomo che non aveva ancora trovato spazio nel saiyan che le sedeva accanto.
E forse nessuna Bulma avrebbe avuto l’umiltà di ammettere un tale limite; né Vegeta, avrebbe mai ammesso una tale incidenza nel loro rapporto. La risposta sarebbe stata Goku: la brezza che accompagnava le onde sulla risacca.
«Mi disgusta, la vostra attitudine terrestre a portare del bene ovunque, persino dal futuro.»
Gli pareva l’avessero fatto a posta per schiaffeggiare la sua fierezza già turbata, come se la difficoltà nel risplendere super saiyan non fosse stata abbastanza. Persino il bastardo di uno sconosciuto era riuscito a dar voce alla leggenda. Ma non lui, il principe.
Un giorno, beato del potere di un dio, con la mente sgombra da velenose rivalità, avrebbe ripensato alle frustrazioni passate e accolto Goku nel senno dell’amicizia e dell’accettazione di se stesso; ancora prima, avrebbe accolto Trunks, il bastardo, nel senno del padre.
«Secondo te chi è quel ragazzo?» Disse Bulma.
«Un bastardo.» Perché un saiyan puro con capelli così ridicoli non si era mai visto.
«Uffa, intendevo che dovresti saperlo, no?»
«Perché accidenti dovrei?» Schioccò voltandosi, quasi inutilmente, a guardarla. Erano al buio, alle sue spalle i grattacieli bianchi dalle cime tonde di West City che, indiamantati dalle luci dell’insonnia, posavano stelle negli occhi blu oceano di Bulma.
«Beh se è un super saiyan i suoi genitori dovranno essere stati saiyan, almeno uno di loro.»
«Perché tu conosci tutti i terrestri di questo pianeta.»
«I saiyan erano poche migliaia, l’hai detto tu stesso.»

Tch.
Tornò sulla città e aggiunse. «Come se mi fosse interessato conoscerli.» Ma sapeva di ricordare molti più guerrieri dell’armata di Freezer che saiyan. Li aveva già compiuti simili calcoli, molto prima dei suoi trent’anni.
«Se pensi questo, non mi stupisce che nessuno dei superstiti abbia voluto nominarti re.»
«Sta’ zitta.»
Parlava sempre troppo Bulma e Vegeta era ancora troppo lontano da loro due come coppia, per concederle il giusto rispetto. Tuttavia, si trattò di un ordine svogliato che non la inquietò più di tanto.
«Dal tuo ottimo umore si deduce che anche oggi hai fallito nell’impresa.» E glielo ricordò per dispetto, mentre la conversazione assunse un’altra piega: la sua preferita.
«Perché, secondo te?»
Sentirsi rivolgere certe domande la faceva sentire speciale. Sapeva già di esserlo, Bulma, ma i suoi amici non le davano molto credito, eccetto Vegeta. Il quale nel futuro della sua vita, l’avrebbe ingelosita rivolgendole ad altri: al suo unico maestro, Whis.
«Sono molto più forte di lui quando si scontrò con Freezer.»
«Forse perché il suo limite è inferiore e ha raggiunto prima il suo picco. Magari bisogna arrivare al limite della forza e per te ci vuole più tempo perché hai più forza.» Fu abbastanza orgogliosa della propria conclusione, gli aveva appena rivolto un complimento, raro da parte sua.
«Non ha senso, che stupidaggine.»
«Beh, allora, forse ci vuole un cuore.» Disse Bulma, adesso offesa dal modo blando con cui Vegeta aveva sbolognato la sua brillante congettura. «E tu non ce l’hai.»
«Cu…cuore?» Le rise in faccia e specificò. «Se non lo avessi non starei qui a parlarti…perché sarei morto.»
«Inutile scherzarci, Vegeta, sai bene cosa intendo: tu non sei come Goku.»
Lo sapeva, purtroppo.
Nessuno aveva mai conosciuto il super saiyan della leggenda, se non nelle storie tramandate davanti al focolare, nelle pause tra una battaglia e l’altra, per incoraggiare i guerrieri e ispirarli a lotte feroci. Senza pietà, appunto, senza cuore, ma se davvero quel primo, leggendario, saiyan dorato lo avesse avuto o meno, un fottutissimo cuore, nessuno poteva averlo saputo con certezza. Altre generazioni di saiyan avevano raccontato le sue gesta, senza neanche sapere cosa poi fosse successo, a quella leggenda lì.
Lo aveva chiesto a suo padre, Vegeta, una volta, cosa ne fosse stato, dove fosse finito quel famoso guerriero. Allora il Re si incrinò di sorpresa ma nulla aggiunse.
«Kakaroth ha ucciso suo fratello mentre ha lasciato in vita me, e persino Freezer. Non è cuore, è egoismo. È un saiyan.» Cercò di convincersi, sotto la folgore dell’ennesima, ostinata considerazione.
Eppure, anche dopo averlo tradito su Namecc, lasciandolo in balia di Jeeth e Ginew, rivedendolo, Kakaroth gli aveva sorriso, nonostante mezzo morto per i pugni che, proprio lui, gli aveva inferto con affatto celato gusto, nonostante sapesse quanta voglia avesse ancora di ucciderli tutti, sia lui che suo figlio. E certamente nemmeno l’ombra di un nemico comune avrebbe mai potuto giustificare quello sconvolgente sorriso.
Kakaroth; il figlio della più debole e rara di tutti i saiyan. Che fosse davvero quello il gene dorato?

Gli scarti come te vengono mandati su pianeti in cui non ci sono nemici potenti.
Ne sono contento, visto che grazie a quello sono potuto venire sul pianeta Terra.

«Beh quel Radish faceva spavento.» Disse Bulma, in perfetta disarmonia con i pensieri di Vegeta, ricordando il primo saiyan avesse mai conosciuto e lo shock provocato dalle sue parole, su di lei e su di Goku. Il quale dovette scoprirsi diverso e poco lucido durante uno scontro che gli fu fatale.
«E tu come lo sai?»
«Ero presente, quando fece il suo bel discorso da sono un saiyan e ucciderò tutti. Mise i brividi.»
«In quel momento avevo appena conquistato un pianeta e stavo divorando il cadavere di un alieno.» Questo era spaventoso.
Bulma si volse sorpresa verso di lui, il suo profilo perso nella semi oscurità. «Con che salsa?» E rise, prima dello scatto iracondo di Vegeta. Il quale le strinse la mascella, costringendola a reclinare la testa contro la seduta del divano. «Non prendermi in giro.»
Chiunque altri sarebbe rimasto zitto, ma Bulma, nonostante tremasse, riuscì comunque masticare un: «O…mi… divori?» Come la volta scorsa.
Vegeta arrossì nella complicità del buio che lo nascose. La lasciò, risalendo la corrente dei propri pensieri.

Tutti morti?
Ora non metterti a piangere, Radish, o ti faccio fuori.

E poi da principe era diventato una bestia da mostrare con orgoglio, per suscitare terrore indiretto nei confronti del suo padrone: Freezer.
Un essere inferiore; lo avevano pensato entrambi, l’uno dell’altro, però non era stato Freezer a doversi inginocchiare.
«Maledizione!» Vegeta svettò, sormontato dalla rabbia. «Ma cosa accidenti avete, voi altri, da sorridere tanto?» Dei fasci energetici gli avvolsero il braccio.
Generò una piccola, ma potente sfera nel pugno, il suo viso corrucciato ne trovò il bagliore sinistro, prima di puntarla lentamente contro Bulma, seduta ancora sul tappeto. Guardava il saiyan con occhi sfavillanti della sua energia.
«Kakaroth davanti a Freezer non ha sorriso. Ne sono sicuro. Ci vuole rabbia.»
Rabbia e calma, un impossibile ossimoro, come una leggenda.
«Se sconfiggerai i cyborg, ucciderai tutti?»
«Ovviamente.»
«Anche me?»
«In un istante.»
Indolore. Bulma gli sorrise. «Baciami ancora.»
La sfera si spense.

Fine

 

 

 

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