3.
One Last Perfect
Verse
Doctor Strange –
Gemma Del Potere
Si era guardato le mani
congestionate dal freddo e le aveva strette contro il petto, soffiando un poco di fiato sulla pelle screpolata.
Non era servito.
Il respiro si era fatto livido al
pari del suo corpo.Era pieno di spifferi e cigolava come cigolava il legno
pieno di spifferi investito dal vento, lì, in quella cupoletta macilenta in cui
l’Antico lo aveva costretto e in cui sarebbe dovuto rimanere fino a quando non
fosse riuscito ad accendere il fuoco.
Viveva a Kamar Taj da alcuni mesi, ormai, era sicuro di aver
imparato a comprendere tutte le sfumature e i non-detti contenuti nelle richieste
e nei compiti che l’Antico gli affidava, per quanto semplici sembrassero in
apparenza.
Dovette ammettere con sommo
scorno che, ancora una volta, l’Antico gliela aveva fatta 1e i suoi pensieri e
le sue intenzioni erano ancora e di nuovo ineffabili come quando aveva solcato
per la prima volta la soglia del Tempio.
E come allora la cosa era stata
molto, molto irritante.
Con il viso affondato nella
polvere e la Cappa della Levitazione chiusa a proteggerlo dai colpi inferti da
Thanos, Strange si scoprì di nuovo afferrato dalla medesima impressione d’inutilità
che lo aveva colto nel gelo della catapecchia, anni e anni prima, quando doveva
accendere un fuoco e non aveva legna da ardere e le sue mani si erano
rattrappite al punto da non riuscire a compiere il più elementari dei gesti.
Era rimasto ore a fissare il
pavimento di terra battuta, stringendosi nelle spalle per disperdere meno calore
possibile. Non c’erano vetri alle finestre e il vento ruggiva contro di lui,
drizzava il pelo innevato e gli rovesciava contro odio e rancore. Non c’erano
luci e il cielo era talmente gonfio di ghiaccio e putredine da impedire il
passaggio del più piccolo bagliore.
Allora non aveva capito. Come
poteva accendere un fuoco senza niente che potesse fare combustione e con le
mani martoriate dal freddo? Aveva cominciato ad ingiuriare l’Antico, alzando la
voce per sovrastare la risata sardonica del vento, urlando e gridando fino a
farsi sanguinare la gola, fino a schiacciare i polmoni contro lo sterno, fino a
perdere coscienza di sé come corpo fisico e non essere nulla di più di un
ululato volgare e osceno.
Lo Stregone Supremo rotolò di
lato e un boato squassò il terreno sotto le sue dita. La presa si fece
malferma, schiacciò il viso nella polvere per soffocare il gemito scagliato
attraverso l’apparato nervoso,. Avvertì le fiamme appiccarsi alla pelle,
artigliare la carne e fondere le ossa, liquefarle, scioglierle in un pastone
appiccicoso e lustro di sangue.
Rivide con l’occhio della memoria
il sorriso effimero dell’Antico, soffuso di quel suo divertimento sottile e
curioso. Il suo sguardo si era colmato di interesse, forse persino di
soddisfazione nel vedere l’espressione scomposta dalla rabbia e dall’insulto
stupire in un istante.
“Prego.” Gli aveva detto
“Continua pure.”
Lui aveva invece continuato a
fissare l’Antico fra l’istupidito ed il rabbioso. La voce era mancata
d’improvviso e allora, solo allora l’Antico aveva schiuso le labbra ad un
sospiro sconfitto.
“Da cosa viene così tanta
veemenza?” lo canzonò con affetto quasi materno, scostando le pieghe dell’abito
color zafferano e accomodandosi lì accanto, le belle braccia nude tese ad
appoggiare le mani sulle ginocchia “Persino la neve ha smesso di cadere,
sconvolta da tanta ira.”
Una punta di vergogna, che aveva
reso la sua voce piccata.
“Cosa ti aspettavi? Mi hai
chiesto di accendere il fuoco in questo posto dimenticato da Dio! Senza legna o
delle dannate pietre focaie!”
Aveva sorriso, l’Antico, col
sorriso accondiscendente di una madre eterna contro l’impertinenza infantile di
eterni bambini.
“Tu sei insieme legna e pietra
focaia.”
“Io sono soltanto uno stupido
assiderato.”
“Che sciocchezze.” Fu il commento
sbrigativo dell’Antico “Ti rimangono almeno due ore prima di essere preda
dell’assideramento.” Voltò il viso candido verso di lui, lo sguardo consapevole
puntato nei suoi “Ritengo sia meglio per te trovare una soluzione. In fretta,
ti consiglio.”
Più feroce della neve e del
freddo fu la rabbia che montò fiammeggiando nelle viscere di Strange.
“Come credi che possa fare?”
abbaiò, la voce irrancidita dallo sprezzo, dalla furia e dalla disillusione.
Alzò le braccia e le mostrò le dita livide, gonfie, sanguinanti “Come posso
scaldarmi, come posso fare qualcosa ridotto così?”
Un sorriso divertito sollevò la
bocca affettuosa dell’Antico.
“Ah, signor Strange...!” esclamò
“Ancora convinto che tutto si riduca ad una danza insensata di mani e di dita?
Ad un gioco di prestigio? Il Potere non si concede a chiunque, signor Strange,
il Potere non si corteggia, né si accarezza a punta di dita. Va chiamato.
Invocato.”
“E come?”
“Con la stessa veemenza e
convinzione con cui hai invocato e chiamato me soltanto pochi minuti fa.”
Una fitta di vergogna allo
stomaco, uno stringersi convulso dell’intestino.
“Devo soltanto chiamare il fuoco?”
“Soltanto? Non esiste niente di
più difficile.”
Strange pressò le labbra e puntò gli occhi sulla
terra battuta che faceva da pavimento alla casupola. Chiamare il fuoco. Non
pareva una cosa tanto complicata, nonostante le parole dell’Antico, soprattutto
se era qualcosa che non coinvolgeva l’uso delle mani.
“Fuoco!” esclamò, osservando poi
indispettito il niente che era scaturito alla sua voce “Fuoco!” ritentò “Fuoco!
Fiamma! Falò!”
Nulla. Il terreno brullo lo
derideva col suo essere ancora spoglio e vuoto. Persino il silenzio dell’Antico
aveva assunto i contorni di una risata canzonatoria, di un dito puntato al suo
ennesimo fallimento, al suo essere ancora troppo ancorato alla razionalità del
mondo esterno per lasciarsi cadere e assorbire dal grembo mistico a tratti
grottesco di Kamar Taj. Il Potere lo aveva guardato ancora una volta con sdegno
e ancora e di nuovo lo aveva superato, si era mostrato e ritratto, riottoso e
superbo.
“La parola non è nulla se non c’è
la comprensione.” L’Antico, paziente, gli fece cenno di riprovare “Non è nulla
più di una concatenazione di suoni, vuoti movimenti della lingua e contrazioni
della glottide. Devi comprendere la
Paola e il Verbo e il Verso, perché si
facciano nella tua carne, perché si
mutino nel tuo sangue. Se vuoi il fuoco, sii
fuoco.”
Sii fuoco. Stephen guardò
dapprima l’Antico, quindi le mani, le falangi, le unghie nere di terra. Sii
fuoco. Cos’era il fuoco? Calore. Calore, sì. Un calore scarlatto, un cuore
palpitante, un nucleo liquido che tremava e vibrava, danzava, si spandeva, si
contraeva e rilasciava lampi bollenti e schiocchi che si alzavano verso il
cielo, mani di fiamme tese tese tese fino a dissolversi in fumo e ghironde e
girandole ancora calde di cenere.
Dapprima furono le ramificazioni
delle vene. Poteva sentire distintamente qualcosa, una sorta di filo, come un
rivolo di lava, cominciare il proprio percorso dalle arterie fino ai capillari;
un bagliore attorno ai polsi ed ecco, il rivolo si apriva e si spandeva entro
il dorso e scendeva a riempire il palmo, si sollevava, spumeggiava contro gli
anelli delle falangi e sfondavano la diga delle ossa e si rovesciavano
all’interno dei polpastrelli e si gonfiavano fin oltre le unghie.
Bruciava. Sì. Bruciava, bruciava
ogni nervo, ogni muscolo, ogni articolazione, ogni pensiero.
“Ecco.” Fu il sorriso
dell’Antico, la cui ombra danzava contro le pareti, abbaglianti per il fuoco che
ruggiva nella casupola “Questa è comprensione. Questo è Potere.”
Bruciava anche ora. Di un fuoco
che agguantava la carne e la pelle, che sbranava ogni nervo e pensiero. Uno
schiocco di Bande Cremisi ad afferrare e stringere i polsi, a tirare e tirare e
tirare oltre il limite della carne, oltre gli agganci delle ossa che ora
scricchiolavano senza posa e gemevano e piangevano senza sosta. Poi le Fiamme.
Le Fiamme Delle Faltine che salivano a lambire le gambe, il torace, le spalle, il
collo, la testa. Salivano e abbaiavano, scavavano nelle guance, nelle sterno,
succhiavano il midollo dalla spina dorsale e vomitavano nella cavità vuota un
rigurgito di lava e di magma.
Strange aprì la bocca per gridare
ed invocare aiuto, per chiamare a sé un incantesimo, ma il fuoco gli si
rovesciò nella gola e lo riempì di cenere liquida, tanto spessa da
incatramargli la trachea e i polmoni, il cuore. Sollevò gli occhi illividiti
dalla mancanza di ossigeno e incontrò lo sguardo irridente del Titano, le sue
labbra storte a disegnare un sorriso terribile e derisorio, illuminato dal
bagliore perverso della Gemma.
“Questo, Dottore, questo è il vero Potere.”
Ringrazio Mardy Paranoica per la splendida recensione!