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Autore: Roscoe24    19/01/2018    5 recensioni
“Ahi,” si lamentò, toccandosi la fronte. Ci sarebbe spuntato un bel bernoccolo, se lo sentiva.
“Oh santi numi!” sentì esclamare e poi di nuovo il botto metallico dello sportello che veniva chiuso. Alec aveva ancora le mani sulla fronte, quindi non poteva vedere chi fosse il suo interlocutore. La verità era che si stava vergognando così tanto di essersi comportato come un tale imbranato che non aveva il coraggio di togliersi le mani dal viso.
“Ehi, là sotto. Tutto bene?” lo sconosciuto appoggiò le mani sui polsi di Alec, il quale percepì il tocco caldo contro la sua pelle. Curioso, si liberò la faccia.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Isabelle Lightwood, Jace Wayland, Magnus Bane, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il tuo Alec lo sa che sei un assassino?
Magnus non riusciva a concentrarsi su altro che non fosse quella frase. Continuava a riecheggiargli nella mente, mentre avanzava verso l’uscita del museo. Intuiva la presenza di Alec alle sue spalle, ma aveva davvero troppa paura di leggere nel suo viso un’espressione che non gli sarebbe piaciuta per voltarsi a guardarlo. Non avrebbe davvero sopportato di vedere il suo viso stravolto dall’odio. Perché era sicuro che adesso lo odiasse. Aveva letto nelle sue espressioni facciali il panico ed era comprensibile: Camille, la solita subdola Camille, aveva lanciato una bomba atomica e l’aveva guardata esplodere, poi se n’era andata, soddisfatta dei danni che aveva creato. Magnus riusciva quasi a sentire il rumore della sua storia con Alec che andava in frantumi. Nel suo petto, riusciva a percepire il dolore fisico della perdita, quel dolore che sempre aveva associato all’assenza di sua madre. Non poteva perdere anche lui. Non lo sopportava. Il vuoto cominciò a divorarlo dall’interno, mangiandogli il cuore con i suoi voraci denti aguzzi, quando avvertì la presa salda di Alec che lo bloccava per il gomito.
“Magnus, fermati!” gli ordinò. Erano usciti dal museo, l’aria fredda di dicembre gli tagliava il viso, ma niente, niente, era doloroso quanto dover pensare di guardar Alec in viso e leggerci dentro la conferma di tutte le sue paure. L’avrebbe lasciato. E, probabilmente, aveva tutto il diritto di farlo. Si liberò dalla presa del ragazzo e cominciò ad incamminarsi velocemente verso la strada.
“Magnus!” lo chiamò di nuovo Alec e questa volta, anzi che bloccarlo, gli si parò davanti. Magnus, che teneva lo sguardo fisso sull’asfalto, rischiò di scontrarsi contro il suo petto.
“Guardami, ti prego.” Lo supplicò Alec, la sua voce suonò determinata, nonostante la supplica. 
Magnus deglutì. Nonostante tutto, non sapeva negargli niente. Nemmeno quando sapeva che incrociare i suoi occhi l’avrebbe ucciso dentro. Acconsentì alla richiesta, ma negli occhi di Alec non lesse odio – persino il panico se ne era andato. Alexander sembrava… preoccupato.
“A cosa si riferiva?”
Automaticamente, gli occhi di Magnus si riempirono di lacrime, che andarono ad inondare il suo campo visivo per qualche istante, rendendo Alec tremulo, come se lo stesse guardando attraverso uno specchio d’acqua. Chiuse le palpebre e, in questo modo, le lacrime cominciarono a sgorgare copiose sul suo viso. Non era pronto. Mai lo sarebbe stato. Tutto faceva troppo male. L’assenza di sua madre, il modo in cui Camille aveva fatto in modo che Alec venisse a sapere la verità, quello che lui aveva fatto sei anni prima. Si sentiva un mostro.
“Non…” cominciò, le parole che gli morirono in gola. Incrociò gli occhi di Alec: il suo viso era teso, contratto in una smorfia di attesa e apprensione. Non era giusto che gli facesse questo. Gli doveva una spiegazione. Per quanto dolorosa potesse essere, Alexander meritava la verità. “Non avrei mai voluto che tu lo venissi a sapere in un modo così brutale. Camille… lei è-”
“Non mi interessa di Camille, Magnus. Mi interessa di te.” Lo interruppe. Magnus sentì il viso scaldarsi, prima di rendersi conto che erano le mani di Alec che lo difendevano dal freddo.
“È complicato, Alexander.”
Un lampo di sofferenza attraversò il viso di Alec, come se avesse ricevuto una stilettata in pieno petto. Lo guardò disorientato, spaesato. Abbassò le mani dal viso di Magnus e le lasciò molli lungo i propri fianchi. “Quindi è così che funziona?” domandò, la voce incrinata. “Mi escludi dalla tua vita quando si tratta del tuo passato?”
“Non lo farei ma-”
“Allora parlami, Magnus.” Lo interruppe di nuovo, la sua voce grondante di supplica. Magnus chiuse gli occhi, le lacrime gli bagnarono il viso andando a raffreddargli maggiormente le guance. Sospirò, come se quel gesto potesse in qualche modo alleviare il macigno pesante che si portava sul cuore. Il suo passato non gli avrebbe mai dato tregua.
“Mallory Bane era la mia mamma. I miei nonni sono arrivati qua dall’Indonesia per darle un futuro migliore. Quando mia nonna era incinta, discuteva spessissimo con mio nonno sul nome da darle,” un sorriso malinconico si fece strada sul viso del ragazzo, “La nonna voleva chiamarla Mallory, come il personaggio di un film che aveva visto; mio nonno diceva che dovevano chiamarla come sua madre perché era da sempre una tradizione di famiglia chiamare le figlie come le madri del padre. Sembra complicato, ma non lo è. Mia nonna insisté tanto e, alla fine, mio nonno si arrese.” Magnus fece una pausa, respirando profondamente. “La verità era che mio nonno temeva che mia madre avrebbe perso ogni tipo di contatto con il suo paese d’origine e la sua cultura, ma lei non l’avrebbe mai permesso. Le piacevano le usanze indonesiane. Per questo, all’inizio era un po’ restia a prendere il cognome di mio padre, quando si sposarono. Ma era un uomo buono… lui in primis disse che diventare la signora Bane non significava abbandonare le sue origini. Lui stesso non gliel’avrebbe permesso perché, diceva, facevano parte di lei e lui… beh, lui amava qualsiasi cosa la riguardasse.” Magnus fece un’altra pausa, distolse lo sguardo da Alec e lo fece vagare per strada, posandolo sui passanti, ignari del fatto che dentro di lui stava avvenendo una guerra; lo fece vagare sugli edifici alti e colorati, colmi di quelle luci che avrebbero dovuto rallegrarlo, ma che, invece, adesso, altro non gli facevano desiderare che urlare a squarciagola fino a ferirsi le corde vocali. “Mio padre morì quando avevo quattro anni.” Le lacrime pizzicavano dietro gli occhi e non fece niente per trattenerle. “Attacco cardiaco.” Spiegò, in un sussurro.  Abbassò lo sguardo e deglutì, forte, come a voler cercare di mandare giù quel macigno che gli si era formato in gola, otturandogli le vie respiratorie. I suoi sforzi furono vani, perché non si mosse. Percepire le mani di Alec che strinsero le sue, quindi, fu l’unica cosa che impedì di soffocare. Era ancora lì, lo stava ancora ascoltando, ignaro del fatto che la parte orribile del racconto doveva ancora arrivare.
“Mia madre rimase sola per i successivi cinque anni. L’assenza di mio padre era una presenza costante e lei… lei si rifiutava di avere ulteriori rapporti, fino a quando…” deglutì, serrando la mascella, i denti premettero gli uni contro gli altri. Tutto il suo corpo si irrigidì, in preda ad uno spasmo rabbioso. “Fino a quando non ha incontrato quello che sarebbe diventato il mio patrigno. Diceva che le ricordava mio padre, avevano gli stessi modi gentili. Questo, però, all’inizio. Dopo un anno, quell’uomo si mostrò per l’animale che era. La picchiava, le faceva del male. Diceva che era lei che lo portava a metterle le mani addosso perché disubbidiva alle sue richieste.” La sua voce si incrinò maggiormente, le lacrime cominciarono nuovamente a scendere sul suo viso, salate e amare. Il dolore seppellito in tutti questi anni riaffiorò con la facilità con cui un tappo di sughero lanciato in mare riaffiora in superficie. “Era un folle. E quando lei, una volta, gli ha gridato contro che se ne sarebbe andata, lui l’ha afferrata per la gola e le ha detto che se si fosse azzardata, l’avrebbe cercata e si sarebbe vendicato su di me. Fu una minaccia sufficiente a farla restare.” Alzò lo sguardo per cercare quello di Alec. Notò un luccichio nei suoi occhi che riconobbe come lacrime trattenute. “La cosa peggiore era che io ero ignaro di tutto. Mi ha sempre protetto dal mostro che abitava con noi, ha sempre nascosto i segni della sua violenza e io… io pensavo solamente a me stesso.”
“Eri un bambino, Magnus…” azzardò Alec, la sua voce resa roca dal tempo passato in silenzio ad ascoltare.
Magnus lo guardò. Era arrivato il momento di concludere la storia, di vomitare tutta la verità e attendere il giudizio di Alec. Aveva paura di quello che avrebbe potuto pensare di lui. Ne era terrorizzato, ma sapeva che ormai non poteva più tirarsi indietro.
“Quando-” si schiarì la gola. “Quando avevo dodici anni sono tornato a casa prima, un pomeriggio e… l’ho visto. Era a cavalcioni su di lei e la teneva a terra, le sue mani erano strette intorno alla sua gola. Lo supplicava di lasciarla andare e più lo faceva, più lui stringeva. Le diceva che non sarebbe stato clemente, quella volta, perché aveva oltrepassato il limite. Aveva scoperto che mia madre raccontava ciò che le faceva a Ragnor e che, insieme, stavano trovando un modo per denunciarlo. È stato tutto un susseguirsi di azioni. Io mi sono buttato su di lui, ma mi ha spinto dall’altra parte della stanza. Mia madre aveva cominciato ad urlare, ma le grida morirono nella sua gola insieme a lei perché lui, alzandosi, le calpestò la trachea. L’ho guardato uccidere la mia mamma, impotente. Lo odiavo. Lei non esisteva più per colpa sua. Ero arrabbiato e spaventato allo stesso tempo. Sapevo che dopo aver commesso un atto così terribile, avrebbe voluto evitare testimoni, così sono scappato verso la camera della mamma. Lui mi ha seguito, ma quando ha aperto la porta, io gli ho…” prese un lungo sospiro, “…gli ho sparato.”
“Magnus…” sussurrò Alec, la sua voce arrivò flebile e tremante alle orecchie di Magnus.
“Mamma diceva sempre che se le cose si fossero messe male, dovevo scappare in camera sua e aprire il cassetto segreto. Era lì che teneva la pistola.”
Alec non disse niente per qualche istante, attimi che fecero fermare il cuore sanguinante di Magnus, convinto che l’avrebbe visto allontanarsi da un momento all’altro. Ma Alec non si allontanò, lo abbracciò stretto e forte, come solo lui sapeva fare. “Non sei un assassino.”
“Non avrei mai voluto farti vedere questa orribile versione di me.”
Alec sciolse l’abbraccio, tenendo però le mani chiuse sul viso di Magnus. I suoi occhi erano colmi di determinazione. “Non c’è niente di orribile in te. Sei stato una vittima, proprio come la tua mamma. Hai difeso la tua vita, prima che lui te la portasse via. Era lui il mostro, Magnus. Non tu.”
Magnus tirò su con il naso, sentiva le lacrime seccarglisi in viso, mentre guardava Alec che non se ne andava, che rimaneva lì con lui, dopo averlo ascoltato. Non pensava fosse un assassino, non pensava ci fosse qualcosa di malvagio o sbagliato, in lui.
“Camille lo credeva.” Confessò. “Lo ripeteva quando stavamo insieme e non le davo quello che voleva. Magnus, chi credi che vorrà stare con un assassino? Hai solo me, dolcezza. Devi impegnarti per farmi restare con te. Era una manipolatrice. Ma mi sentivo così solo, così perso, che avevo bisogno di qualcuno al mio fianco. Ero troppo cieco per rendermi conto di quanto fosse dannosa la sua presenza nella mia vita.”
Alec serrò la mascella e Magnus vide chiaramente i suoi occhi saettare per la rabbia. “Beh, adesso hai me.” gli prese di nuovo il viso tra le mani. “Niente di quello che hai detto mi farà cambiare idea su di te, Magnus. Niente mi farà pensare che sei cattivo, o che c’è qualcosa di sbagliato in te. Niente mi porterà ad amarti di meno.”
Il cuore di Magnus si fermò per un attimo che gli parve infinito. Quelle parole gli infusero talmente tanta vita in corpo che il movimento involontario del suo cuore divenne superfluo. Era Alec il suo cuore. E nulla contava, se non lui. Lo guardò, ancora, leggendo nel suo viso tutta la sincerità di quelle parole, tutta l’intensità di quel sentimento che aveva esternato con tanta naturalezza. Aveva detto di amarlo e mai nessuno l’aveva detto con così tanta intensità. Erano parole sentite, sentimenti vivi, che pulsavano di un’energia vulcanica, densi e reali come il magma. Magnus poteva quasi vederli, quasi percepirli, quei sentimenti. Poteva vedere quell’amore di cui parlava Alec perché era lo stesso che abitava in ogni centimetro del suo corpo. Era lo stesso amore che scorreva nelle vene di Magnus e altro non gli faceva desiderare che avere Alec sempre al suo fianco.
“Mi ami?”
“Ti amo, Magnus. E Camille può andare a farsi fottere.”
Magnus sorrise, tra le lacrime, prima di poggiare la sua bocca su quella di Alec. Lo baciò come se avesse dovuto tornare in vita, dopo essere rimasto sepolto sotto terra per quattro secoli. Lo baciò come se dovesse aggrapparsi a lui per ricominciare a respirare a pieni polmoni dopo un’apnea durata decenni. Alec era vita, la stessa che aveva ricominciato a pompare nel cuore a pezzi di Magnus.
“Ti amo anche io, Alexander.”
Alec appoggiò la propria fronte sulla sua, godendosi la sensazione che quelle parole gli provocarono, lasciandole entrare nel proprio essere, attraverso la pelle. Gli davano benessere e gli circondavano l’anima di una piacevole sensazione di calore. Era bello essere amati, soprattutto per lui che era sempre stato convinto che non avrebbe mai trovato qualcuno disposto a farlo. Magnus era davvero la cosa migliore che gli fosse capitata nella vita.
“Mi dispiace tu abbia dovuto parlarne in modo così brutale.”
“Avrei dovuto parlartene, prima o poi.”
“Sì, ma avrei preferito l’avessi fatto con i tuoi tempi e non perché una stronzetta vendicativa voleva avere l’ultima parola.”
Magnus, nonostante se stesso e il peso di tutto il suo passato che gravava sulle sue spalle, si trovò a sorridere. “Diventi scurrile, in sua presenza.”
Alec arrossì leggermente, un rossore diverso da quello provocato dal freddo. “Mi ha fatto arrabbiare. E ha fatto soffrire te. Concedimi un po’ di scurrilità.”
Magnus gli strofinò il proprio naso contro il suo. “Concessa.”
“Come stai?” gli domandò dopo qualche istante in silenzio.
“Meglio, ora che sai tutto. Ma… penso sia quel genere di ferita che non rimargina mai. Io la adoravo e lei mi è stata strappata via.”
Alec lo abbracciò forte e Magnus, ricambiando la stretta, affondò il viso nel suo petto. Rimasero abbracciati per un tempo indefinito – tempo che servì a Magnus per versare le ultime lacrime, mentre la presenza di Alec cominciava a sanare il suo cuore.

*

Magnus non aveva pianto tanto dal funerale di sua madre. Non ricordava quanto potesse risultare doloroso, non solo emotivamente, ma anche fisicamente. Sentiva le spalle indolenzite e la schiena irrigidita, i suoi occhi erano secchi e arrossati e il suo naso gocciolava ancora, sebbene avesse smesso di piangere da un po’. Non aveva mai parlato a nessuno di Mallory, se si esclude Camille – ma all’epoca, era un ragazzino ingenuo, ammaliato dalla sua bellezza e illuso dalle sue parole. Non avrebbe mai immaginato che Camille avrebbe usato quella storia contro di lui per raggirarlo, facendogli credere di essere un ragazzo spregevole per costringerlo ad assecondare ogni sua assurda richiesta.
Non c’è niente di orribile, in te.
Se lo credeva Alec, lo poteva credere anche Magnus. Aveva passato anni a ritenersi colpevole. Si incolpava di aver ucciso un uomo, si incolpava di non essersi accorto che quello stesso uomo, che era entrato nelle loro vite, abusava di sua madre. Se fosse stato un figlio più attento, avrebbe potuto proteggerla. Per anni Ragnor aveva tentato di fargli capire che non avrebbe potuto fare niente. Non avrebbe potuto salvare sua madre perché lei non gli avrebbe mai permesso di rischiare la sua vita per lei. Mallory aveva passato anni infernali solo per proteggerlo e, comunque, era stata abbastanza coraggiosa da tramare contro il mostro che avevano in casa insieme a Ragnor.
Ragnor.
Magnus doveva moltissimo anche a quell’uomo. L’aveva accolto come se fosse davvero suo figlio, gli era stato vicino al processo, quando il giudice doveva stabilire se fosse veramente stata legittima difesa. Magnus riusciva ancora a sentire le imprecazioni di Ragnor.
Tua madre ha subito abusi per anni, lui è arrivato ad ucciderla, tu reagisci per proteggere la tua vita e loro hanno dubbi sulla legittima difesa? Sono delle teste di cazzo!
Ragnor non era un uomo scurrile e nemmeno irascibile, ma tutta quella situazione l’aveva fatto uscire dai gangheri. La perdita di quella che per lui era come una sorella lo faceva soffrire più di quanto avesse mai dato a vedere – e Magnus, adesso, era fermamente convinto che non si fosse mostrato fragile, in quel periodo, solo per infondergli forza.
Era stato davvero un momento difficile per tutti.
Le uniche lacrime che si era concesso Ragnor erano state al funerale. E successivamente alla conclusione del processo, quando avevano appurato che fosse stata legittima difesa.
Subito dopo l’aveva portato con sé. Mallory era stata chiara, nel suo testamento: se le fosse successo qualcosa, l’unico che doveva crescere suo figlio era Ragnor. Si fidava solo di lui.
Magnus si sentiva in colpa per come l’aveva fatto preoccupare in tutti quegli anni. Dopo la morte di sua madre, il dolore era così forte che non riusciva a gestirlo. Doveva distrarsi e spesso le sue distrazioni riguardavano quantità di alcol non consentite ad un minorenne e compagnie poco raccomandabili che procuravano il suddetto alcol. Poco tempo dopo aveva conosciuto Camille, in uno di quei locali dove ci sono file infinite all’ingresso e un drink costa venti dollari. Era stato amore a prima vista, o così aveva creduto. Con il tempo, Magnus si era reso conto che aveva visto in quella bellissima ragazza una perfetta via di fuga. Lei aveva tutte le carte per aiutarlo a soffocare i suoi demoni e quella voce insistente nella sua testa che gli diceva che se fosse stato più attento, avrebbe potuto accorgersi di come stavano veramente le cose in casa sua. La loro relazione era andata avanti due anni, poi lei l’aveva tradito e lui l’aveva lasciata.
Questo, comunque, non lo fece sentire meglio. Senza Camille, la sensazione di vuoto e assenza si era fatta ancora più invasiva e prepotente e lui aveva ricominciato a bere. Quindici anni e un problema di alcolismo, chissà come doveva essere fiera sua madre. Ma all’epoca Magnus non ci pensava. Aveva perso ogni entusiasmo, aveva perso tutto. Non gli importava più di se stesso perché non era riuscito a salvare la persona che più amava al mondo, quindi nemmeno lui era degno di vivere. Di conseguenza, pensava che l’alternativa migliore fosse l’autodistruzione. Vodka accompagnata da relazioni tossiche e scappatelle occasionali.
Ragnor era davvero disperato. E Magnus si sentiva davvero un ingrato, adesso che ci ripensava.
Nonostante tutto, comunque, non l’aveva mai abbandonato. L’aveva portato con sé in ogni parte del mondo che doveva visitare per lavoro, anche quando immancabilmente lui finiva nei guai e si portava a casa il primo o la prima che conosceva in una delle sue serate allo sbaraglio. Era stato paziente all’inizio, trattandolo con i guanti, cercando di parlargli in modo gentile. Quando aveva visto che non avrebbe ricavato un bel niente, aveva deciso che era arrivato il momento di alzare la voce e farsi sentire.
Magnus ricorda bene quel giorno: si trovavano a Sofia e lui era rincasato alle quattro della mattina, dopo aver passato la serata insieme ad un gruppo di ragazzi che gli avevano offerto da bere. Pensava di essere stato furbo, di aver fatto abbastanza piano da non svegliare Ragnor. La cosa che non aveva messo in conto era che l’uomo l’aveva aspettato alzato tutta la notte.
“Sei tornato.”
Magnus sussultò. Non si aspettava certo di trovarlo seduto in poltrona nel bel mezzo della notte. Lo osservò. I contorni del suo corpo erano sfuocati e la sua faccia sembrava si stesse sciogliendo. Qualsiasi cosa avesse ingurgitato, era più forte di qualsiasi altra cosa avesse mai bevuto. E andava bene così. Meno percepiva la realtà, meno essa l’avrebbe colpito facendogli mancare il respiro. Un pugno costante allo stomaco che gli otturava le vie respiratorie.
“Ti sei divertito?”
Magnus barcollò e si appoggiò al muro. Non aveva nessuna voglia di sedersi. Era sicuro che se si fosse seduto avrebbe vomitato. “Molto.”
Ragnor si alzò dalla sua poltrona e a Magnus sembrò molto più alto del solito. Lo osservò avvicinarsi così tanto alla propria persona che poteva percepire il suo respiro sul viso.
“È così che hai intenzione di passare la tua vita, Magnus? Passare da una scuola all’altra, ubriacarti e ridurti ad uno straccio? Pensi che sia questo quello che voleva per te?”
Nessuno dei due riusciva ancora a nominarla. Era una ferita aperta, ancora troppo dolorosa, viva e pulsante. Un cratere che non avrebbe mai smesso di sanguinare e mai si sarebbe cicatrizzato.
“Non metterla in mezzo.”
“La metto in mezzo eccome!” alzò la voce. Era la prima volta che lo sentiva urlare. Ragnor non urlava mai. “Credi che a me non manchi? Credi che non sappia cosa provi? Ti senti in colpa per non averla salvata, beh notizia flash, non ci sono riuscito nemmeno io! Sapevo cosa le faceva, Cristo se lo sapevo, e non ho fatto in tempo. Mancava pochissimo, un soffio, e saremmo riusciti a denunciarlo, ma lui… lui ha agito prima. Se avessi agito io per primo lei sarebbe qui. Credi che questo non mi tenga sveglio la notte, non mi faccia venire voglia di zittire la realtà e i miei sensi di colpa??” Il viso dell’uomo era arrossato, il suo respiro era accelerato, tanto che gli faceva alzare ed abbassare il petto in maniera frenetica. Magnus, vedendolo in quello stato, acquistò un po’ di lucidità, sebbene l’alcol annacquasse ancora il suo sangue e rendesse le sue capacità ricettive più lente.
“Smettila di punirti, Magnus. Non ti ha protetto da lui per fare in modo che tu trovassi un altro modo di distruggerti. Se non vuoi farlo per te stesso, almeno fallo per lei.” La sua voce si calmò un poco, sebbene il suo respiro rimase agitato. Magnus lo guardò e fu come se riuscisse a vederlo dopo almeno cinque anni passati a concentrarsi solo sul suo dolore. Era stato egoista, così cieco da non capire quanto quella perdita gravasse anche sull’uomo che aveva davanti e che adesso lo stava supplicando con lo sguardo di tornare sulla retta via, di impegnarsi per tornare ad essere la persona che era quando sua madre era ancora viva. Quell’uomo, che adesso stava in silenzio e cercava di regolarizzare il respiro, avrebbe potuto sbatterlo in qualche collegio e lasciarlo lì fino alla maggiore età. Ma non l’aveva fatto. Aveva rispettato le volontà di sua madre, la sua migliore amica, e l’aveva preso con sé, crescendolo come se fosse figlio suo e sopportando questa sua discesa verso l’inferno, cercando di tendergli una mano che Magnus, puntualmente, rifiutava. Solo in quel momento, con le parole di Ragnor che gli affollavano la mente e gli riecheggiavano nelle orecchie, si rese conto che niente di tutto quello che stava facendo l’avrebbe aiutato a disfarsi del dolore che albergava il suo cuore. Avrebbe convissuto con esso per sempre, perché certe assenze non possono essere sanate, ma distruggersi non avrebbe portato a niente. Non l’avrebbe riportata indietro. Niente l’avrebbe fatto. Non l’alcol, non i sensi di colpa, non le nottate passate fuori per zittire la verità. Quella verità tanto dolorosa quanto radicata e reale che diceva che Mallory Bane era morta da cinque anni. Verità, comunque, che andava affrontata. Era inutile scappare da essa. Se avesse continuato a farlo, avrebbe smesso di vivere, avrebbe buttato all’aria tutti gli sforzi di sua madre. E non voleva. Se non poteva cambiare la realtà sulla sua morte, almeno poteva non renderla vana. Quella sera, così sbronzo da puzzare come una distilleria, Magnus decise che avrebbe cambiato vita e l’avrebbe fatto per la sua mamma. Avrebbe vissuto anche per lei e si sarebbe dedicato solo alle cose belle.
“Mi dispiace, Ragnor. Per tutto.” Si lanciò tra le braccia dell’uomo, barcollando per il precario equilibrio, e tuffò il viso nel suo petto. Pianse e si domandò se delle semplici scuse sarebbero bastate a rimediare al suo comportamento degli ultimi anni. La mano che Ragnor gli fece passare tra i capelli e il braccio che circondò la sua vita, stringendolo in un abbraccio che ne aveva del paterno, gli dissero che sì, bastavano.

L’arrivo di Alec nella sua vita era stato una specie di conferma alla sua volontà di cambiare. Magnus aveva passato l’ultimo anno lontano dalle compagnie poco raccomandabili, dai locali che un minorenne non dovrebbe frequentare e si era concentrato per riuscire ad ottenere buoni voti. Il trasferimento da Sofia a New York era stato accolto di buon grado, soprattutto perché l’America gli mancava – era la sua casa, dopotutto. Mai avrebbe immaginato che avrebbe incontrato, nel corridoio di un liceo statale, la persona che l’avrebbe fatto innamorare, colui che l’avrebbe aiutato a riacquistare fiducia non solo in se stesso, ma anche nelle persone. Alec si era coperto il viso, balbettando delle scuse, e l’aveva conquistato. Era stato così genuino, così tenero, che Magnus aveva sentito un calore all’altezza del suo cuore che non sentiva da anni. Alec aveva risvegliato qualcosa in lui, un sentimento sepolto da anni. Aveva contribuito a salvarlo senza nemmeno saperlo. Aveva aggiustato il suo cuore con una facilità disarmante e si era fatto amare con altrettanta semplicità.
Magnus ancora faticava a credere di avere una connessione così profonda con qualcuno. Era una relazione seria, ma soprattutto era sana. E Magnus non poteva essere più felice di così.
“Ehi, ragazzino!” lo salutò Ragnor, interrompendo il flusso dei suoi pensieri. Il ragazzo seduto sul divano, con Presidente acciambellato sulle ginocchia, si voltò verso la porta, incrociando lo sguardo dell’uomo. “Già a casa?”
“Sì, Alexander mi ha accompagnato e poi è andato a prendere la metro.”
Ragnor si tolse il cappotto e lo appese all’attaccapanni. “Poteva restare a cena.”
“La prossima volta glielo chiederò. Ho l’impressione che lui ti piaccia, sbaglio?”
Ragnor si incamminò verso il divano e si sedette accanto a Magnus. Fece per allungare una mano verso il gatto, ma Presidente soffiò. Ragnor gli fece una linguaccia.
“Mi piace come sei tu in sua compagnia. Ed è bello vederti così.”
Magnus accennò un sorriso. Alec tirava fuori la parte migliore di lui. “Gli ho parlato della mamma.”
L’uomo rimase momentaneamente in silenzio. I suoi occhi scuri vagarono sul viso del giovane cercando dei dettagli che lo aiutassero a capire come si sentisse a riguardo. Lo studiò a fondo, prima di parlare. “Gli hai raccontato tutto?”
“Lui non è Camille.” Disse Magnus, mettendosi sulla difensiva. Sapeva bene che Ragnor aveva sempre detestato Camille e il modo spietato che aveva di usare il suo passato contro di lui, per raggirarlo e manipolarlo.
“Lo so benissimo, ringraziando il cielo. Alec è… buono. Se gli hai raccontato tutto vuol dire che ti fidi abbastanza di lui.”
“Mi fido totalmente di lui.”
Ragnor sorrise. “Sono felice per te, Magnus. Vuoi… vuoi raccontarmi com’è andata?”
“Per oggi ho parlato un po’ troppo. Posso dirtelo un altro giorno?”
Ragnor annuì comprensivo, passandogli una mano tra i capelli. Magnus non si scostò – gesto che stupì entrambi, visto che nessuno, a parte Alec, toccava mai i suoi capelli. “Sto morendo di fame. Ceniamo?”
“Ho ordinato il sushi,” confessò Magnus, colpevole. “Non sapevo quando saresti tornato e non avevo voglia di cucinare.”
Ragnor rise. “Spero tu abbia preso abbastanza cibo. E i futomaki fritti ai gamberi.”
“Dubiti di me, Ragnor?” si unì alla risata Magnus, assottigliando gli occhi a mandorla. Erano struccati, notò l’uomo, ma brillavano di una luce naturale così intensa che nemmeno tutti gli ombretti glitterati messi insieme che Magnus possedeva potevano competere con quel risultato.
“Non ho mai dubitato di te.”
E se si riferisse ai futomaki o a come fosse riuscito a riprendere in mano la sua vita, Ragnor lo lasciò decidere a Magnus.

*

Le ordinazioni a domicilio rendono le persone pigre fin dalla loro invenzione e Magnus era profondamente consapevole di quanto questo principio potesse influenzare la sua persona. La sua pigrizia veniva vergognosamente fuori ogni volta che ordinava una pizza o, come in questo caso, una quantità di sushi così esagerata che avrebbe potuto nutrire un plotone. Non che lui e Ragnor non avessero gli stomaci abbastanza profondi da riuscire ad ingurgitare tutto quel cibo. Erano dei campioni nel divorare sushi stando spaparanzati davanti alla televisione.
Erano vergognosi? Probabile.
Ad almeno uno dei due importava di esserlo? Assolutamente no.
Entrambi adoravano i momenti in cui la pigrizia la faceva da padrona e se ne stavano comodamente sdraiati sul divano, con una confezione di cibo da asporto in mano, mentre commentavano il primo film che era capitato sotto i loro occhi. A volte guardavano anche cose orribili pur di non alzarsi a prendere il telecomando, quando capitava che fosse disgraziatamente lontano dal divano.
Era come se andassero in letargo e niente poteva distrarli dalla loro oziosa serata.
Se non fosse stato per il cellulare di Magnus, che aveva preso a vibrare sotto la pancia di Presidente. Il micio, a cui era stato vietato il sushi e di conseguenza era già indispettito per i fatti suoi, soffiò, alzando la coda con fare minaccioso. Magnus gli accarezzò la testa per calmarlo e il felino addentò un suo polpastrello, non tanto da fargli male, ma abbastanza per far capire a Magnus che era ancora arrabbiato con lui. Il ragazzo sorrise – davvero non ce la faceva ad arrabbiarsi con quella piccola palla di pelo – e abbassò lo sguardo sullo schermo del suo cellulare, dopo averlo recuperato da sotto il suo gatto. Il nome che lesse sul display contribuì ad allargare quel sorriso e Ragnor non aveva il minimo dubbio su chi fosse il mittente del messaggio.
Magnus sbloccò lo schermo del suo cellulare e rimase momentaneamente a guardare il suo sfondo: Alec che nascondeva un sorriso delizioso dietro ad una tazza di caffè, mentre i suoi occhi verdi lo fissavano, ridendo – le rughe di espressione a decorare il loro contorno e il colore scuro delle ciglia che riprendeva quello dei capelli. Magnus sospirò sognante, davanti a tanta bellezza, particolarmente fiero di quella foto.

> From: Alexander <3, 21.18
Guarda su canale 521.

Magnus si rese conto di quanto fosse distante il telecomando. Si trovava sopra al lettore DVD, il che implicava che per raggiungerlo avrebbe dovuto alzarsi dal divano e attraversare l’intero salotto.
Improvvisamente si sentì come Frodo che deve attraversare la Terra di Mezzo. Il suo Monte Fato era un lettore DVD e il suo anello era un telecomando e–– decisamente doveva smettere di ascoltare Raphael quando blaterava sul Signore degli Anelli. Dannazione, non poteva farlo con Sigourney? Non erano diventati amici per quello? Perché lo coinvolgeva?
Scosse la testa e si arrese all’inevitabile: non era capace di negare niente ad Alexander, la sua pigrizia avrebbe avuto il sopravvento su tutto, ma non su di lui; così si alzò dal divano, sotto lo sguardo stupefatto di Ragnor, e si diresse verso il telecomando. Quando lo afferrò e digitò il canale che Alexander gli aveva suggerito, si trovò a guardare un gruppo di ragazzini che ballavano e cantavano.
“Mi vuoi spiegare?” si inserì Ragnor, perplesso. Un sopracciglio alzato in modo alquanto scettico.
“Alexander mi ha chiesto di guardare questo canale, ma non so perc-” La vibrazione del suo cellulare lo interruppe e lo portò ad abbassare di nuovo lo sguardo sullo schermo.

> From: Alexander <3, 21.20
Lo vedi il tizio che balla e non canta? Non ti ricorda nessuno?

Magnus osservò meglio lo schermo, focalizzandosi solo sul ragazzo che non cantava e corrugò immediatamente la fronte.

> To: Alexander <3, 21.21
Cosa stai cercando di dirmi, fagiolino?

Anche se comunque un’idea se l’era fatta, ma voleva evitare di crederci. Il solo pensiero che Alexander l’avesse pensato lo faceva rabbrividire.

> From: Alexander <3, 21.22
Davvero non noti la somiglianza?

Ogni centimetro del corpo di Magnus fu percorso da un brivido gelido, lungo e costante. Osservò di nuovo il ragazzo sullo schermo, con quella sciatta felpa aperta su una anonima t-shirt bianca e quei pantaloni orrendi e contrasse involontariamente il viso in una smorfia di disgusto.
“Magnus?” lo chiamò Ragnor, curioso di sapere cosa lo avesse portato ad avere una reazione simile.
“Secondo te mi assomiglia??” domandò preoccupato. Ragnor passò lo sguardo da lui allo schermo per due volte prima di socchiudere un occhio e rispondergli.
“Sì?”
“Non ne sei sicuro?”
“Ne sono sicuro, ma non mi sembri molto felice di assomigliare a quel tizio, quindi non volevo che ci rimanessi male.”
Magnus accartocciò il viso in una smorfia contrariata. “Io non gli assomiglio! Come vi viene in mente?”

> To: Alexander <3, 21.23
Io non assomiglio a quel tizio. L’hai visto bene?
> From: Alexander <3, 21.23
Siete uguali, Mags.
> To: Alexander <3, 21.23
Perché siamo asiatici?
> From: Alexander <3, 21.24
Dovrei offendermi per questa insinuazione, sai?

Non poteva dargli torto, ragionò Magnus. Era solo un po’ infastidito dal fatto che la sua sfavillante persona fosse accostata a qualcuno di così… monotono. Ma sapeva che Alexander non l’aveva detto perché credeva che tutti gli asiatici fossero uguali tra di loro. Una delle tante cose che amava di lui era la sua totale assenza di razzismo, quindi non avrebbe mai avuto un pensiero simile.

> To: Alexander <3, 21.25
Scusa, zuccherino. Ma lui rimane comunque troppo… ordinario per essere paragonato a me.

Riusciva quasi ad immaginarsi Alexander sorridere, alla vista di quel messaggio, e alzare amorevolmente gli occhi al cielo – in quel modo che dovrebbe risultare infastidito, ma che invece risultava affettuoso. Magnus lo trovava adorabile quando metteva su quell’espressione. Sembrava un gattino, apparentemente scontroso, ma decisamente tenero.

> From: Alexander <3, 21.26
Devi ammettere, però, che ha delle belle mosse.
> To: Alexander <3, 21.26
Mi hai mai visto ballare, tesoro?
> From: Alexander <3, 21.26
Stai facendo a gara con un personaggio immaginario a chi è migliore?
> To: Alexander <3, 21.27
Per favore, ciliegina. Affinché si possa chiamare gara deve esserci almeno un possibilità per l’altro di vincere. Qui mi pare ovvio che non ci sia.

E questa volta, Magnus riuscì quasi a sentire la risata di Alexander. Gli piaceva la sua risata, era qualcosa che non sentiva spesso, ma quando la sentiva, il suo cuore si gonfiava a dismisura, temendo di esplodere per il troppo amore che sentiva dentro di sé.

> From: Alexander <3, 21.28
Hai ragione. Sei più bello in ogni caso. Ma vi assomigliate, comunque.
> To: Alexander <3, 21.28
Quindi lo trovi bello?
> From: Alexander <3, 21.28
È una domanda trabocchetto? Se dico sì ti offendi perché ho fatto apprezzamenti su qualcun altro, ma se dico di no allora pensi che non ti trovo bello perché fino ad ora ho detto che ti assomiglia?

Magnus si lasciò andare ad una risata che lo portò a tirare indietro la testa. Ragnor, al suo fianco sul divano, lo guardò con fare interrogativo, ma decise di non fare domande e continuare a guardare passivamente il sosia di Magnus alla tv.

> To: Alexander <3, 21.29
Sei adorabile quando vai in panico.
> From: Alexander <3, 21.29
Tu sei cattivo, invece.
> To: Alexander <3, 21.29
Vuoi che mi faccia perdonare? Conosco moltissimi modi per farlo, orsetto di zucchero.

Adesso, invece, Magnus poteva immaginarsi le guance di Alec diventare cremisi. Sorrise.

> From: Alexander <3, 21.30
Allora comincia a trovarne uno adeguato.

Magnus per poco non soffocò con la sua stessa saliva, emettendo un verso strozzato che fece scuotere la testa di Ragnor, che comunque ritenne ancora opportuno non fare domande. Magnus gli fu particolarmente grato per la sua discrezione, anche perché non avrebbe saputo cosa dirgli. Il suo cervello era andato in tilt e si stava focalizzando solo nel modo – del tutto carnale, doveva ammetterlo – per farsi perdonare da Alexander, che era diventato sfacciato nel giro di due minuti e gli aveva retto il gioco.

> To: Alexander <3, 21.32
O forse vuoi che sia il tizio alla tivù a trovarne uno?
> From: Alexander <3, 21.32
Mi stai dicendo che preferisci sia qualcun altro a stare con me?
> To: Alexander <3, 21.32
Giammai. Sei il mio pasticcino.
> From: Alexander <3, 21.32
Solo tuo?
> To: Alexander <3, 21.32
Solo mio.

Magnus aveva un sorriso esageratamente sdolcinato sul viso, ne era estremamente consapevole, ma non gliene importava nemmeno un po’. Non era così felice e in pace con se stesso da moltissimo tempo e voleva godersi quella meravigliosa sensazione fino in fondo.
Alexander rispose all’ultimo messaggio con tre cuori che andarono a far allargare il sorriso enorme di Magnus. E proprio quando credeva che niente avrebbe potuto fargli tremare il cuore più di quella sensazione di totale appagamento, Alec gli mandò una foto di lui insieme ai suoi fratelli. Si trovavano sul divano, sdraiati e in tenuta da casa. Alec indossava una maglietta blu scura, le cui maniche erano state arrotolate fino ai gomiti, mostrando – per la gioia di Magnus – uno dei suoi avambracci, e un paio di pantaloni di una tuta grigi. Reggeva il telefono e sorrideva, mentre ai suoi fianchi stavano una sorridente Isabelle – con il viso struccato e un pigiama azzurro – e Jace, che invece faceva una boccaccia e indossava una felpa nera abbinata ai pantaloni di una tuta dello stesso colore. In mezzo tra Alec e Jace, stava un ragazzino dai capelli scuri e gli occhi vispi. Magnus riconobbe in quelle iridi lo stesso sguardo acuto di Isabelle e nei lineamenti gentili, ma decisi, del viso il suo Alec. Dedusse che quel bambino, con un sorriso felice sul viso e il pigiama di Batman, doveva essere Max.
La cosa che colpì Magnus, al di là della bellezza disarmante del sorriso del suo ragazzo, fu come quell’immagine trasmettesse felicità. Solo guardandoli, Magnus riusciva a capire quanto fosse profondo il legame che li univa, trasmettendo tutto l’affetto che provavano l’uno per l’altro. Sentì letteralmente il suo cuore sciogliersi.

> To: Alexander <3, 21.40
Siete bellissimi. E il piccolo Max ti assomiglia moltissimo.
> From: Alexander <3, 21.40
Non dirlo ad Izzy. È fermamente convinta si assomiglino. Sai, per i capelli e gli occhi neri.
> To: Alexander <3, 21.40
In realtà ha molto di entrambi.
> From: Alexander <3, 21.41
Di sicuro, da lei ha preso la capacità di convincermi a fare cose che non vorrei fare. È stata sua l’idea di guardare questa cosa sui ballerini.

Magnus sorrise, ancora. Le sue guance avrebbero cominciato a fagli male, ne era sicuro. Ma, ancora, non gli importava. Era troppo felice e non aveva davvero nessunissima intenzione di nasconderlo.
Alec era qualcosa di meraviglioso ed era terribilmente altruista, con i suoi fratelli in primis. Non sapeva davvero negare nulla a nessuno di loro.

> From: Alexander <3, 21.41
Credo lo faccia per fare colpo su Carol, la ragazzina in classe sua per cui ha una cotta. A quanto pare, è fissata con questo programma.
> To: Alexander <3, 21.41
È una cosa adorabile. 

“Ti verrà una paresi facciale se continui a sorridere come un idiota.”
Magnus si voltò verso Ragnor, i suoi occhi si assottigliarono in un’espressione dura. “Parli tu? Hai idea della faccia che fai quando ricevi i messaggi di Dot? Io almeno sono giustificato, ho diciotto anni. Tu sei vecchio per certi comportamenti!”
Ragnor spalancò gli occhi, oltraggiato. “Io non sono vecchio!”
Magnus alzò un sopracciglio, furbescamente. “Continua a ripetertelo!” Si lasciò andare ad una risata che non riuscì a trattenere, soprattutto perché l’espressione risentita di Ragnor non lasciava ancora il suo viso. Era divertente e Magnus, anche se la sua giornata era stata particolarmente intensa, era di buon umore. Aveva passato gli ultimi mesi a scervellarsi per trovare il modo adeguato per raccontare ad Alexander la sua storia, invano, perché ogni volta la paura che potesse perderlo lo sopraffaceva e allora si tirava indietro. Era stato egoista da parte sua, forse, ma l’idea che l’unica cosa bella che gli era capitata nella vita, dopo anni, gli venisse portata via lo terrorizzava troppo.
Ma poi aveva incontrato Camille che, paradossalmente, gli aveva fatto un favore. Era stata brutale e malvagia, come sempre, ma a sua insaputa, gli aveva dato la spinta per affrontare un argomento che non aveva avuto il coraggio di affrontare. E Alexander, che era così profondamente diverso da lei, aveva reagito nel modo opposto a cui aveva reagito quella strega quando, anni prima, le aveva raccontato della sua mamma.
Dove lei lo vedeva un assassino, Alec lo vedeva come una vittima innocente.
Non lo riteneva colpevole, non lo riteneva orribile. E questo gli bastava per sentire un po’ di pace, per trovare un po’ di quel buon umore genuino che provava ogni volta che stavano insieme. Alexander era la sua ancora.
“Sai cosa ti dico?” sbuffò Ragnor, esasperato, distraendolo dai suoi pensieri. “Visto che sono vecchio, non sono nemmeno in grado di pulire questa stanza, quindi lo farai tu.”
Magnus smise immediatamente di ridere. “Dai Ragnor, scherzavo!”
“Troppo tardi, ragazzino. Saluta il tuo principe azzurro e comincia a pulire, Cenerentola!”
Magnus sbuffò. “D’accordo, d’accordo. Mi devi uno scintillante completo glitterato e un paio di scarpe di cristallo.”
“Sei un idiota.” Lo rimbeccò Ragnor, scuotendo la testa. Il sorriso che non riuscì a trattenere e gli tese le labbra, però, lo tradì inesorabilmente.
Magnus contrasse le labbra, facendole entrare all’interno della bocca, per cercare di non ridere e si alzò dal divano.

> To: Alexander <3, 21.52
Tesoro, devo andare. Ragnor mi ha trasformato in Cenerentola. Ci vediamo domani <3
> From: Alexander <3, 21.52
Cenerentola? Mi sono perso qualcosa?
> To: Alexander <3, 21.52
Domani mattina ti spiego tutto.
> From: Alexander <3, 21.53
D’accordo, buonanotte.
> To: Alexander <3, 21.53
Buonanotte, tesoro.
> From: Alexander <3, 21.53
Magnus?
> To: Alexander <3, 21.54
Sì, caro?
> From: Alexander <3, 21.54
Ti amo.

Il cuore di Magnus perse un battito, per poi cominciare ad accelerare, frenetico e inarrestabile. Lesse e rilesse quelle parole, lasciando che si imprimessero nelle sue retine, nel suo cervello e in ogni fibra del suo essere.

> To: Alexander <3, 21.55
Ti amo anche io. Tanto.

Era bello essere amati, ma essere di nuovo in grado di amare lo era ancora di più.





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Ciao a tutti e ben ritrovati!
Allora, cosa ne pensate?
Onestamente, sono un po’ preoccupata. È un capitolo abbastanza importante per Magnus – se notate, è il primo dopo 12 capitoli visto dal suo punto di vista e non da quello di Alec *capitan ovvio mode on* – e ho davvero paura che non sia come ve l’eravate aspettato. Insomma, parlo del suo passato dal secondo capitolo, tipo, e magari adesso che siamo arrivati alla spiegazione, vi aspettavate qualcosa di più. Quindi, niente, fatemi sapere cosa ne pensate e siate brutalmente sinceri. Fate felice un’anima in pena.
Detto questo, non penso ci sia molto altro da dire, anche perché il capitolo verte solo su questo. Volevo che avesse uno spazio a sé quindi non ho inserito altro se non l’ultimo pezzo su cui c’è da fare un piccolo appunto: lo show che stanno guardando è Glee, una serie a cui Harry ha partecipato nel ruolo di Mike Chang. L’idea che Magnus potesse confrontarsi con Mike è venuta a Blueyes_Lightwood quindi il merito va tutto a lei!
Come sempre, ringrazio chiunque legga questa storia o l’abbia messa tra i seguiti/preferiti e anche chi trova sempre il tempo per recensire, lo apprezzo moltissimo – e lo dirò ad ogni capitolo, anche a costo di risultare ripetitiva, perché mi fa un piacere immenso!
Un abbraccio, alla prossima! <3

 
   
 
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