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Autore: Maiko    20/01/2018    0 recensioni
Lavi; Kanda; Allen. I suoi amici e compagni erano spariti senza lasciare traccia, l’uno dopo l’altro, come polvere nel vento. Di loro non erano rimasti altro che ricordi e vane speranze.
[Un'introspezione di Lenalee nei primi giorni dopo la fuga di Allen. Lieve MariexMiranda, ma solo accennato.]
Genere: Guerra, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Lenalee Lee, Miranda Lotto, Noise Marie
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Holding On
 
 

Lenalee si sedette su una panchina nei giardini, lisciò le grinze della gonna e rivolse lo sguardo in alto ai rami della vecchia quercia: l’albero si stagliava fieramente contro il tramonto, regale e più vecchio che chiunque tra loro sarebbe mai diventato. Attorno era il caos; tutti correvano e avevano fretta quel giorno che rapidamente si avvicinava alla fine. Il Papa aveva dichiarato ogni operazione riguardante la cattura di Allen Walker, da lì in poi, sotto diretta disposizione della Sede Centrale: qualunque azione o missione l’Ordine avesse inteso intraprendere, da quel momento, sarebbe dovuta essere prima approvata da Leverrier e dai Vescovi.
Il cielo era tinto dei colori scarlatti del crepuscolo ed il sole era un’enorme sfera arancio che verniciava di venature cremisi le nuvole all’orizzonte; una brezza fredda scuoteva le chiome e trascinava le foglie in un turbinio ipnotico. Lenalee escluse ogni altro suono non fosse il sussurro del vento e congiunse le mani in grembo.
Erano passati tre giorni da quando Allen era evaso dalle prigioni. Più ci pensava, più le pareva impossibile che fosse trascorso così tanto; allo stesso tempo, era come se tutte le risate condivise nella mensa con i compagni, prima che tutto crollasse, fossero un lontano ricordo. Lenalee non riusciva a capacitarsi di quanto fosse riuscita a perdere in meno di due settimane.
Avvertì gli occhi pizzicare e vi passò il dorso della mano, sfregando con una certa insistenza fino a che le palpebre non le fecero male e fu certa che nessuna lacrima sarebbe sfuggita: era così tremendamente stanca di piangere, ma le sembrava di non essere in grado di fare altro. Non aveva forse sepolto le sue debolezze quando l’Innocence l’aveva scelta una seconda volta? Perché, dunque, non riusciva ad essere forte?
Il suo cuore soffriva ogni volta che ripensava a tutto ciò che era accaduto e a quanto il suo mondo si fosse sgretolato in un pugno di giorni. Sapeva che molti altri, come lei, erano afflitti dai medesimi dubbi e tormenti: lo vedeva ogni istante nello sguardo triste di suo fratello, nella serietà e le sopracciglia aggrottate di Reever, negli occhi arrossati di Johnny; lo vedeva nel modo in cui Miranda dispensava gesti gentili e deboli sorrisi a chi ne avesse bisogno, nonostante il suo rinomato nervosismo, nel modo in cui Krory si rifiutava di bere sangue di Akuma dalle fiaschette di cui la Sezione Scientifica lo forniva; lo udiva nelle delicate melodie che Marie intonava al calar della sera.
Tutti avevano perduto qualcosa e non sapevano come affrontarne gli strascichi. Per Lenalee ben poco era peggio della devastante sensazione di essere impotente: come avrebbe potuto replicare al rimorso di non aver fatto nulla o non aver combattuto ancora un po’ per ciò in cui aveva tanto fermamente creduto?
Lavi; Kanda; Allen. I suoi amici e compagni erano spariti senza lasciare traccia, l’uno dopo l’altro, come polvere nel vento. Di loro non erano rimasti altro che ricordi e vane speranze.
Osservò una scia di foglie dai caldi colori vorticare nella brezza dei primi mesi di autunno, e si chiese se le cose sarebbero mai tornate com’erano un tempo. Ci aveva messo anni a sopprimere il suo lato ribelle, quella parte d sé che rifiutava di accettare l’arduo compito che la vita le aveva gettato addosso senza permesso, anni per arrivare ad accettare il luogo in cui era stata imprigionata come qualcosa di più che spietata tortura e coloro che vi abitavano come famiglia; col passare del tempo, con il suo crescere in corpo ed in mente, aveva compreso quanto ognuno fosse assoggettato dal mondo esattamente come lo era lei e aveva imparato ad apprezzare ed amare chi la circondava. Così, il carcere in cui era stata portata da bambina era divenuta la sua Casa.
Eppure… Eppure quanto accaduto nell’ultimo mese l’aveva fatta riflettere: una cella arredata ed ornata come il più ricco dei palazzi sarebbe apparsa bella, ma sempre una cella sarebbe rimasta.
Forse era stata ingenua e aveva voluto ignorare la tristezza della realtà che li aveva inglobati e credere in un futuro migliore; forse aveva chiuso gli occhi e girato la testa davanti alla cruda verità, preferendo la dolce bugia che i sogni portavano. Forse era stato un errore che avrebbe rimpianto a vita.
Il cigolio della panchina la strappò dai propri pensieri; si voltò verso Marie, seduto accanto a lei con gli occhi ciechi rivolti all’orizzonte. Si domandò cosa vedesse. Magari, si disse, immaginava un tramonto non dissimile a quello cui lei era spettatrice.
L’uomo piegò le labbra in una pallida imitazione di un sorriso e poggiò il palmo aperto sul proprio ginocchio, in un gesto che sarebbe potuto sembrare privo di senso a chiunque ma che lei interpretò come un gentile invito; non esitò un istante ad unire la mano con la sua, più grande e tiepida, e a stringerla per aggrapparsi a quel poco che le era rimasto.
«Come ti senti?» le chiese. Era una domanda un po’ stupida, ma Lenalee suppose non ci fosse un buon modo per affrontare l’argomento. Scrollò le spalle e si morse il labbro, rimuginando sulle parole per un minuto buono prima di aprire bocca e dar voce ai propri pensieri.
«Mi sembra che il mondo sia impazzito.» mormorò, parlando per la prima volta da quando aveva fatto rapporto sulla fuga di Allen; da quel giorno non aveva potuto fare altro che chiudersi in se stessa, giocherellando col cibo durante i pasti e rispondendo con silenziosi cenni del capo a quei pochi interrogativi che le venivano posti. Sorprendentemente, Leverrier l’aveva lasciata in pace.
Marie ricambiò la stretta e gli angoli della sua bocca assunsero una piega più amara. «Temo non sia mai stato normale.» rispose con voce pregna di tristezza; l’ultima volta che aveva assunto un tono simile era stato quando i Noah avevano iniziato la ricerca del Cuore e Daisya era tornato all’Ordine in una bara. Lenalee a volte dimenticava quanto Kanda gli fosse vicino e quanto il peso dell’accaduto gravasse sulle sue spalle, soprattutto. Dopo i fatti della Sede Nord-Americana poteva dire di conoscere i loro trascorsi un po’ meglio e così comprendere l’amicizia ed il rispetto che aveva legato i due negli anni, ma nulla di quanto era venuta a sapere era valsa la perdita di tre dei suoi più stretti compagni.
La risposta di Marie fece riaffiorare quei dubbi che negli ultimi giorni l’avevano colta e, nuovamente, si diede dell’ingenua per aver creduto che il mondo sarebbe divenuto più buono, che un giorno avrebbero finalmente vinto la Guerra e vissuto una vita normale. Una parte di lei, quella che da bambina l’aveva spinta in più occasioni a cercare la morte, era sempre stata convinta che non avrebbe visto la fine del conflitto; più e più volte, negli anni in cui era vissuta sotto l’ala protettrice di Komui e le cose all’Ordine erano migliorate, aveva tentato di sopprimere i pensieri malsani e ricacciarli in un angolo recondito della propria mente. Era sempre stata un’inguaribile pessimista, in fin dei conti; col tempo era solo divenuta molto brava a nasconderlo.
Gli occhi le bruciarono un poco quando, decisasi a dare risposta, piegò le labbra in un sorriso.
«Credo tu abbia ragione.» convenne flebilmente e si passò il palmo della mano su una guancia per far svanire la traccia di una lacrima.
Marie non disse nulla per minuti interi; solitamente aveva parole di conforto per chiunque ne necessitasse, ma era evidente che gli avvenimenti dell’ultimo periodo avessero di molto logorato quanto rimaneva del suo ottimismo. Guardandolo, Lenalee notò come fosse triste il suo viso.
«Ti andrebbe di descrivermi il tramonto?» chiese lui infine, rivolgendo gli occhi verso l’intenso arancione del sole che non poteva vedere. Per un attimo la ragazza fu stupita e si domandò il perché di una tale richiesta, poi comprese che, in verità, le aveva offerto una distrazione di cui entrambi avevano bisogno; gliene fu grata.
Così gli parlò della linea di fuoco là all’orizzonte, quel sottile nastro di un giallo accecante che si rifletteva nel mare blu; raccontò delle forme confuse delle nuvole che armoniosamente si amalgamavano laddove le correnti dei venti si incontravano; parlò di come il rosa ed il rosso si fondessero attorno al sole e ne accompagnassero la dipartita e di come l’indaco stesse gradualmente prendendo il loro posto; infine descrisse il riverbero dei mille colori sulla superficie traslucida dell’acqua.
«Rimane solo un pezzetto, poi sarà tramontato.» disse. L’uomo guardava il confine tra il cielo ed il mare come se potesse davvero vederlo; la ragazza si chiese se l’immagine che la sua mente aveva costruito fosse almeno un poco somigliante alla bellezza della realtà. «Eccolo… eccolo. È sparito.» concluse in poco più che un sussurro, mentre del passaggio dell’astro rimaneva solo un alone rossiccio all’orizzonte.
«Ti ringrazio, sei stata molto gentile.» disse allora Marie, rivolgendole un piccolo sorriso. Lenalee lo ricambiò e, quando si ricordò che non poteva vederla, rispose: «Non c’è di che.»
Il blu della notte calò presto su di loro come un velo, portando con sé il baluginare di svariate stelle ed il disco lunare. Un piacevole silenzio aveva preso il posto degli incalzanti rumori del giorno e l’andirivieni dei Finder e degli Scienziati era cessato. I sette rintocchi del campanile alle loro spalle indicarono che era ora di cena. Lenalee non aveva fame e non era particolarmente interessata ad unirsi agli altri in mensa, non quella sera; dal modo in cui Marie si limitò a cambiare posizione e ad aggiustare la presa sulla sua mano, dedusse che anche lui non vibrasse dall’idea di spezzare la tranquillità creatasi tra loro. Così, entrambi rimasero semplicemente seduti là dove erano stati per un’intera ora.
Fu una decina di minuti dopo che il quieto picchiettio di tacchi contro il lastricato ruppe il silenzio nei giardini; Marie aveva già alzato il volto verso la figura e le sue labbra avevano assunto una piega più dolce. «Buonasera, Miranda.» disse, ancor prima che Lenalee riuscisse a distinguere le sue fattezze nell’oscurità della sera.
La donna si fermò a pochi passi da loro con le mani strette in grembo e un’espressione incerta ma aperta in viso; lasciò vagare qualche istante lo sguardo, come considerando le proprie parole, per poi posarlo su di loro ed accennare un timido sorriso. «Buonasera.» rispose. Per un secondo non disse altro, limitandosi ad osservarli e, la più giovane non ebbe dubbi al riguardo, litigare con se stessa sul da farsi, poi: «Vi dispiace se mi unisco a voi?»
Lenalee rilassò il volto, capendo che l’altra Esorcista non li aveva raggiunti per invitarli a rientrare com’era sicura qualcun altro avrebbe fatto, e si fece più in là sulla panchina per ritagliarle un po’ di spazio; picchiettò un paio di volte sulla pietra e piegò le labbra in un piccolo sorriso. «Certo che no.»
La donna le si sedette a fianco e si portò una mano al petto, sospirando come se fosse il più grande sollievo della sua vita. «Grazie al cielo!» disse «Temevo che sarei stata di troppo.» rivolse loro uno sguardo imbarazzato ma, notò la più giovane, privo del solito nervosismo.
«Sai che sei sempre la benvenuta.» contestò Marie con gentilezza. Miranda sorrise, grata, e le sue guance parvero imporporarsi nella semioscurità che li avvolgeva.
Lenalee fu loro molto riconoscente di quello sprazzo di normalità, mentre con disinvoltura si mordeva le labbra per trattenere un sorriso: non le era mai sfuggito il modo in cui la tedesca acquistasse pudore e dolcezza in egual misura in presenza dell’altro Esorcista; era evidente, non solo a lei, che tra loro ci fosse del tenero. Purtroppo, per parte o prudenza, nessuno dei due dava cenno di voler farsi avanti in alcun modo; era un vero peccato, riteneva.
Miranda sfiorò il dorso della sua mano con le dita e, quando lei sbatté le palpebre e posò lo sguardo sul suo, si spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e balbettò: «T-ti chiedo scusa, Lenalee… N-non volevo disturbarti, ma…» si morse il labbro, ponderando sulle parole soltanto per un attimo. «Ecco… Stai bene?» concluse, con un certo nervosismo a far nuovamente capolino nelle sue iridi nocciola.
La ragazza fu riportata alla realtà della situazione e si strinse nelle spalle, sorridendo nella maniera più convincente che riuscisse; la quale, dovette ammettere, non era un granché. «No, ma… Andrà bene.» rispose, cercando di non soffermarsi sulla possibilità che le cose non sarebbero mai migliorate. «Non sono solo io a stare male. Anche voi soffrite, per cui…» disse «Non preoccuparti per me, Miranda.»
La donna diresse lo sguardo alle proprie ginocchia, senza però spostare le dita dalle sue. «Certo, però…» cominciò, poi si interruppe; per la prima volta la sua esitazione sembrò non dipendere dalla caratteristica ansia. «Sei nell’Ordine da più tempo di ognuno di noi… B-beh, tranne dei Generali. So quanto importanti tutti siano per te e cosa significhino Kanda, Allen e Lavi. Non li conosco bene come te o Marie, il Supervisore o Reever e Johnny… d-direi che non li conosco affatto in confronto a voi.» rilasciò un sospiro affranto, poi emise un verso simile ad uno squittio. «O-oh, sto divagando! Ti chiedo scusa! Q-quello che voglio dire è che… se io sto male non riesco ad immaginare cosa tu stia provando.» concluse in un sussurro.
Lenalee dovette distogliere lo sguardo per tentare di nascondere in qualche modo i propri occhi lucidi. Era vero, in parte: era l’Esorcista che era sopravvissuta più a lungo e aveva visto morire compagni giorno dopo giorno, prima e dopo che iniziasse veramente ad importarle; aveva visto i crudeli esperimenti dell’Ordine ed i Caduti che ne erano risultati e aveva vissuto sulla propria pelle la spietatezza degli alti ranghi, quando ancora suo fratello non era altro che un rimpiazzabile scienziato.
Poi era arrivato Kanda, con il suo sguardo irrequieto e il disprezzo sul volto, che camminava a testa alta tra i corridoi come a sfidare chiunque ad ostacolarlo. Lenalee lo aveva ammirato e lo aveva invidiato, perché lo aveva visto noncurante di ciò che gli altri comandavano; e lo aveva compatito perché lo aveva guardato muoversi sul campo di battaglia con sprezzo della morte, come sfidandola a venirlo a prendere. Si era chiesta il perché della sua avventatezza e del suo ubbidire alle perversioni dell’Ordine, quando lei gridava e si dimenava ogni volta che la gettavano tra i mostri. Kanda, che l’aveva nascosta dai Corvi e da Leverrier e non aveva giudicato il suo pianto silenzioso; che con una certa riluttanza aveva accettato la sua compagnia e le aveva insegnato a meditare per scacciare i demoni che la perseguitavano di notte. Kanda, con il suo cuore d’oro.
Era stata la prima persona con cui lei si era aperta davvero e, giorno dopo giorno e anni dopo anni, era divenuto un alleato nella guerra che vivevano; un amico in cui confidarsi; un secondo fratello. Il suo piccolo mondo, allora, si era un poco ingrandito.
Poi era giunto Lavi all’improvviso, un triste giorno in cui lei era stata l’unica superstite della sua squadra e troppe bare erano bruciate davanti ai suoi occhi; era arrivato con il suo sguardo annoiato e il sorriso falso e con parole vuote glassate di miele. Tanto ci aveva messo a riconoscere tutti loro come qualcosa più che inchiostro su pergamena.
Forse si era comportata come se non lo avesse notato, il modo in cui quell’occhio verde fosse la cosa più gelida in una stanza; o come se non avesse avvertito freddi brividi lungo la schiena al passaggio di uno sguardo che la catalogava come un altro nome nell’infinita lista di potenziali casualità nella Guerra. A quattordici anni, quando ancora era poco più che una ragazzina e aveva appena iniziato ad accettare e passare oltre l’ingiustizia della vita, Lenalee Lee aveva sempre preferito fingere che ciò che la disturbava non esistesse.
Così aveva sorriso e parlato a quell’imperturbabile ragazzo ogni volta che la situazione lo aveva richiesto; lo aveva accompagnato nelle missioni e aveva condiviso con lui quel poco sull’Ordine che si era sentita di spartire; gli aveva portato il caffè la mattina quando le era sembrato ne avesse bisogno; gli aveva guardato le spalle e si era fidata abbastanza da dargli le proprie. Finché un giorno, non avrebbe saputo esattamente dire quale, aveva smesso di fingere  di apprezzare la sua compagnia.
Forse era stato quando Lavi aveva iniziato davvero a vederli, quando i suoi sorrisi avevano raggiunto gli occhi e la sua sincera allegria si era manifestata in forma di fossette agli angoli della bocca.
Da quel giorno che non ricordava, Lenalee aveva saputo vedere oltre la facciata di Bookman che l’altro soleva indossare e aveva potuto scorgere frammenti del ragazzo che vi si nascondeva. E per quanto Lavi avesse tentato di stringere a sé l’impassibile maschera e dirsi che non gli importava nulla di loro, Lenalee aveva continuato a guardare più in là di ciò che lui lasciava trasparire.
E il tempo era passato: giorno dopo giorno e mese dopo mese. Esorcisti erano venuti e andati più velocemente del cambio delle stagioni, sepolti nella polvere che la Guerra si lasciava dietro; gruppi di Finder i cui nomi l’Ordine aveva cancellato dai registri avevano dato la vita nella ricerca dell’Innocence; molteplici Scienziati avevano preferito dimenticare e fuggire dagli orrori che avevano vissuto.
Aveva perduto così tanti compagni che ne aveva perso il conto, e Dio solo sapeva quanto ne avesse sofferto e quante notti insonni aveva passato a versare lacrime su un cuscino.
A ripensarci ora, Lenalee si chiese come avesse fatto a mantenere una facciata ottimista dopo ogni nuova tragedia. Probabilmente, rifletté, “chi va con lo zoppo impara a zoppicare”, o così si dice: se Kanda, da una parte, le aveva insegnato a stringere i denti e a tirare avanti, era corretto dire che Lavi era stato un ottimo esempio per imparare l’arte della finzione. Senza di lui, prova vivente che era possibile vivere di menzogne, Lenalee non sarebbe mai riuscita a guardare in faccia suo fratello all’alba di un giorno cupo e sorridere.
Per un attimo si sentì quasi orgogliosa di quel suo talento latente.
Infine, quando ormai tra loro tre si era consolidato un rapporto di fiducia e rispetto reciproco, nonostante tutte quelle volte in cui Lavi esauriva magistralmente la pazienza di Kanda, era arrivato Allen. Era stato inatteso, quel ragazzo dalle maniere gentili e la figura candida, che si era gettato a capofitto nel loro mondo con un’ingenuità che Lenalee avrebbe definito disarmante. Il suo cieco amore per gli Akuma era stato destabilizzante ed incomprensibile, così come tutti quei sorrisi e gesti gentili che dispensava anche ai meno meritevoli. La sua comparsa all’Ordine aveva stravolto le loro vite.
Un po’ l’aveva ignorata, quell’oscurità che sembrava seguirlo ovunque andasse; aveva cercato di non pensarci troppo, quando quei suoi sorrisi le erano sembrati mascherare tutt’altro. Il fatto era che Allen Walker si portava dentro una tenebra molto più fitta di quanto si potesse immaginare.
E Lenalee lo aveva notato, come ogni cosa avesse pian piano iniziato a crollare subito dopo il suo arrivo: l’evolversi continuo degli Akuma, fino a livelli che mai erano stati raggiunti prima di allora, l’attacco ai Generali nella ricerca del Cuore… la comparsa dei Noah ed il ritorno del Conte del Millennio, che per più di trent’anni avevano abbandonato il palco sul quale veniva inscenata la Guerra. Tutto era degenerato nell’esatto momento in cui Allen aveva varcato la soglia dell’Ordine e aveva fatto voto di fedeltà alla Chiesa. Lenalee lo aveva notato, ma aveva stretto le labbra e mantenuto il silenzio, dicendosi che se il favore del conflitto non pendeva più dalla loro parte si trattava sicuramente di un caso.
E Allen aveva continuato a camminare in un buio profondo che lei non era riuscita a discernere; ed in tutto quel vagare aveva sorriso e li aveva amati incondizionatamente, questo lei aveva riconosciuto, e aveva pian piano fatto intravedere parti di sé che inizialmente aveva abolito. Aveva combattuto al loro fianco, anche quando il Noah dentro di lui aveva fatto capolino e gli alti ranghi avevano ordinato che fosse tenuto d’occhio e controllato come il peggiore dei nemici; aveva riso con loro ad ogni nuova vittoria e pianto silenziosamente ad ogni sconfitta; aveva stupidamente rischiato la sua vita in un ideale che Lenalee stessa aveva faticato tanto ad accettare e aveva continuato a brillare di luce propria nonostante l’oscurità che lo consumava dentro. Allen aveva indossato una maschera così solida e fitta che, probabilmente, nemmeno lui avrebbe saputo ritrovarsi sotto quel complesso intricarsi di piccole bugie.
C’era stato un momento, tra il loro viaggio ad Edo e l’attacco del Livello 4 alla Sede Centrale, in cui Lenalee aveva pensato di amarlo.
E adesso che anche lui era svanito, non prima di averle sorriso e confessato il suo amore per tutti loro, come se non gli avessero appena messo una taglia sulla testa e puntato un coltello alla gola, le sembrava di aver completamente perduto il perno su cui girava il mondo.
Nell’ultimo anno si era affidata a loro, a Kanda e Lavi e Allen, come fossero stati il nucleo attorno al quale lei orbitava; perché, per quanto Komui le fosse sempre stato vicino e di conforto, c’erano crudeltà della Guerra e traumi che potevano essere affrontati soltanto con qualcuno che li aveva altrettanto vissuti. E così aveva gravitato verso di loro e li aveva stretti, aveva afferrato le loro mani e condiviso i loro dolori finché… Finché la presa era scivolata e non aveva potuto fare altro che osservarli svanire.
Per un attimo, mentre faceva rapporto a Leverrier sulla fuga di Allen tre giorni prima, guardando il muro incredibilmente bianco alle spalle dell’Ispettore ed ignorando le sue urla sdegnose, Lenalee si era chiesta se prima o poi sarebbe toccato anche a lei: se a breve sarebbe sparita ingoiata dal turbinio del conflitto; se sarebbe finalmente divenuta una delle tante casualità della Guerra a cui Lavi aveva più volte alluso. Si era sentita perduta e sola e vuota.
Ma questo era stato tre giorni prima, quando il mondo le era crollato addosso senza che avesse potuto prevederlo e non aveva avuto il tempo per metabolizzarlo. Adesso, invece, era differente.
Rialzò lo sguardo verso Miranda e le prese la mano, dandole una stretta rassicurante. Se avesse detto di stare bene avrebbe mentito, perché faceva un male dell’anima e si sentiva piegata dalla gravità degli eventi. Piegata, ma non spezzata: era ancora lì, contusa ma integra.
«Starò meglio. Starò bene.» disse, e per la prima volta non fu una menzogna. «Anche se le cose non torneranno mai come prima… So che ne usciremo più forti, tutti quanti. Kanda, Lavi e Allen…» dovette interrompersi un istante quando la sua voce scosse. «Loro vorrebbero che non ci abbattessimo. Vorrebbero che andassimo avanti ed è quello che intendo fare, anche se fa male.» offrì un sorriso, sottile ma vero, e la donna la guardò con un’ammirazione tale che un poco si sentì arrossire.
Marie emise uno sbuffo di risata e piegò appena le labbra; c’era il luccichio di una lacrima agli angoli dei suoi occhi. «Se Kanda ci vedesse ora,» disse «probabilmente ci insulterebbe chiamandoci deboli e idioti e ci direbbe di smetterla di piangerci addosso perché è dannatamente imbarazzante.» rise di una risata leggera e Lenalee si ritrovò a ridere con lui, forte e senza decoro e quasi incredulamente, perché quello era senza dubbio ciò che Kanda avrebbe detto; e se tra una risata e l’altra un singhiozzo le scosse il corpo, i due Esorcisti le fecero la cortesia di non dire nulla.
Così strinse le loro mani e sbirciò il firmamento, mentre di fianco a lei Miranda sorrideva e si asciugava una lacrima. E, quando due ore dopo si sarebbe messa a letto e avvolta nelle coperte di lana, ripensando al calore di quell’autentico momento si sarebbe rincuorata abbastanza da prendere sonno e dormire per più ore di quante ne avesse dormito nei giorni precedenti; perché, per quanti colpi avesse ricevuto e quanto ammaccato fosse, il mondo ancora girava sul suo perno ed il cielo non era crollato, e il sole sarebbe sorto ancora il giorno dopo.
Dovevano soltanto stringere i denti e andare avanti e continuare a combattere; perché quello era ciò per cui vivevano.


 


Spazio autrice:
Finalmente sono riuscita a concludere questa one-shot! Fiù, che faticaccia. Ammetto che me la sono portata dietro per mesi senza mai riuscire a finirla, per un motivo o per l'altro. Ora che è qui mi sento un po' più in pace con me stessa!
Volevo scrivere qualcosa Lenalee!Centric perché penso che sia un personaggio poco apprezzato nel fandom. Ad essere sincera posso ammettere che è un po' stereotipata ed insipida a tratti, ma non è davvero sua la colpa se la Hoshino l'ha caratterizzata in un certo modo e poi se ne è dimenticata lungo il tragitto. È un personaggio che adoro, soprattutto nell'arco di Edo.
Bando alle ciance: sono le quattro del mattino e il mio cervello comincia ad avere piccoli black-out, quindi è meglio che vada a dormire. Se vi va fatemi sapere con un commento che ne pensate :)
Alla prossima,
Maiko.

 
  
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