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Autore: kirarin3000    20/01/2018    0 recensioni
Sapporo, Hokkaido.
Nella gelida notte di Capodanno, la vita del piccolo Ren viene scossa per sempre. Inconscio del disastro che lo circonda, incontrerà Aoi, un ragazzino dagli occhi sorprendentemente azzurri e l'aspetto malandato, chiuso dentro il suo armadio. L'incontro segnerà la stretta di un legame indissolubile e controverso, fatto di amore ed odio, che li porterà a vivere a stretto contatto nella caotica Tokyo contemporanea.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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1. 2008

« Beh allora, posso andarci o no? » chiese Masae, sporgendosi verso il sedile anteriore sinistro, dove la madre era comodamente seduta e a labbra serrate canticchiava una vecchia ballata di Akina Nakamori. La quindicenne tutta boccoli e lucidalabbra aveva insistito tutta la settimana. Voleva andare a quella festicciola di Capodanno che avrebbero tenuto degli amici di infanzia, lì a Sapporo. Anche se la madre le aveva negato il permesso di andare almeno una ventina di volte, lei aveva comunque speso la paghetta per comprare un vestito che andasse bene per la serata, rosso fuoco, che sua madre non avrebbe mai visto. La famiglia Ueda si era ormai fatta un nome in tutto il Giappone. Non erano solo una famiglia particolarmente benestante, ma erano soprattutto un riconosciuto simbolo della tradizione giapponese. Le radici del loro albero genealogico erano antichissime e secondo alcuni fanatici veterani della famiglia discendevano persino da chissà quale dio. Sua madre rideva a tali sciocchezze. Le interessava solo che la famiglia mantenesse il contegno, l’educazione e fosse di esempio per gli altri. Era una donna sempre sorridente, sempre rilassata e senza un pelo sulla lingua. Masae detestava il modo in cui, senza dal peso a nulla, riusciva a negarle qualsiasi atto di ribellione. Persino quello. Persino la festa di Capodanno. Ma la ragazzina tutta moda niente cervello, non si era ancora rassegnata a rinunciare.
« Non dovrete neanche accompagnarmi, può passarmi a prendere il fratello di… »
« Masae »

Suo padre aveva parlato e una ventata d’aria gelida sembrò investirle il viso.
« Tua madre non ti ha già detto di no più volte? » disse severo.
« Si, ma… »
« Oggi è l’ultimo giorno dell’anno. L’onsen sarà piena zeppa di turisti, i tuoi nonni avranno bisogno di aiuto nella gestione. Come ogni anno d’altronde. E poi, come ogni anno, ribadisco, poco prima della mezzanotte ci recheremo al tempio per pregare e festeggiare il compleanno di tuo fratello.»
« A nessuno importa del compleanno di Hana » sbottò la ragazzina, tornando con un solo brusco gesto seduta contro lo schienale con le braccia conserte.
« Chiamando così tuo fratello hai appena distrutto ogni tua possibilità di trascorrere del tempo con i tuoi amici al tempio. » dichiarò suo padre. Masae sgranò gli occhi, aprì la bocca per lamentarsi, ma perse tutte le speranze ancor prima di poter dar voce ad una qualunque vocale.
Nel frattempo il piccolo Ren si era limitato ad alzare lo sguardo dal suo libro per un attimo, quando la sorella l’aveva chiamato in quel modo: Hana, “fiore”. Era un bravo bambino e non si lamentava mai di nulla, ma quel nomignolo gli faceva ancora torcere lo stomaco. Non disse una parola e guardò fuori dal finestrino. Oltre il riflesso appena visibile di un bambino dalla pelle candida, bianca come la neve, due occhi grandi e castani e i capelli neri perfettamente lisci, si estendeva il panorama mozzafiato di Sapporo innevata. Dovevano essere quasi arrivati. Riconosceva la radura di abeti e larici in cima alla montagna. Accennò un sorriso e le sue guance arrossirono appena dall’emozione. Riportò lo sguardo sul proprio prezioso libro che, poggiato sulle gambette esili, lo faceva sembrare ancor più piccino di quanto già non fosse. La copertina in pelle del libro recitava “il mio raccoglitore”, poi con la scrittura corsiva e chiara di mamma era stato aggiunto “delle erbe e dei fiori magici”. Andava molto fiero del suo libro e lo portava sempre con sé. Era il suo hobby a tempo pieno. Raccoglieva foglie, fiori e quant’altro donasse il terreno e non desse troppo spessore a quelle pagine. Sotto ad ognuno di quei suoi inestimabili tesori aveva scritto dove, quando l’aveva raccolto ed aveva infine aggiunto una piccola didascalia descrittiva.

Dopo strade in salita e sentieri tortuosi fiancheggiati dai boschi innevati, finalmente raggiunsero un piazzale ampio, ma già gremito di automobili.
« Sembra più affollato dello scorso anno » commentò la signora Ueda, mentre scendeva dall’auto ed accelerava il passo per girare attorno all’automobile e raggiungere lo sportello posteriore, aprirlo e sporgersi per chiudere per bene il giubbotto al figlio minore, poi sistemare una pomposa sciarpa blu attorno al suo collo ed infilargli un cappellino di lana. Che lo volesse o meno, la madre l’avrebbe salvato dal freddo tiranno.
« Mamma, ormai ho nove anni » mugolò il figlio con un filo di voce, ma chiaramente frustrato.

« Non li hai ancora » lo punzecchiò la sorella maggiore mentre scendeva da sé dall’auto sbattendo appositamente lo sportello e guadagnandosi uno sguardo severo da parte del padre, che decise di evitare accelerando il passo verso l’entrata di quello che da fuori sarebbe sembrato nient’altro che un piccolo cottage un po’ malandato. In effetti il rotenburo, visto da fuori, non sembrava veramente niente di che. In cima alla casetta in legno, dal tetto spiovente, era ormai difficile leggere il nome dei bagni termali: kanji ed hiragana recitavano “Hoheikyo Onsen”.
Ren, libero dalle premure eccessive della madre, strinse il libro con entrambe le braccia e corse verso l’entrata, contento di rivedere facce ben note. Queste gli vennero incontro immediatamente: i nonni paterni erano stretti nelle divise blu dell’onsen, ogni anno più segnati dal tempo e probabilmente dalle fatiche inevitabili derivanti dal loro lavoro, nonostante il personale a loro disposizione fosse più che vasto.
« Sei cresciuto Ren. Sei proprio un ometto adesso » osservò il nonno, lasciando che il bambino annuisse e fieramente gonfiasse il petto. La nonna, sempre un po’ ingobbita, lo raggiunse e gli tolse alla svelta lo zainetto dalle spalle.
« Finirai gobba quanto me se non smetti di portare carichi pesanti » lo ammonì, ma senza alcun segno di severità nella voce « Vai in fretta a sistemare le tue in camera, il nonno ha portato i bekomochi da un breve viaggio a Yakumo. Metto su il tè. »
Ren sorrise e annuì, infilò il libro sotto il braccio e caricò lo zainetto su una spalla, pronto a superare la reception. Corso per tutto il genkan, sfilò le scarpe alla svelta e le ripose ordinatamente nella scarpiera, poi salì il gradino in legno e si diresse alle scale che lo avrebbero condotto al primo piano. La prima porta sulla destra era la sua stanza.
Essere in Hokkaido lo rendeva sempre piuttosto euforico. Amava la neve, l’atmosfera natalizia, la compagnia della sua famiglia e la lontananza da scuola e da tutti i doveri che ne derivavano. Non che non fosse studioso, anzi, era sempre molto curioso e i suoi voti erano parecchio alti, ma c’era altro che lo tormentava in quella scuola. Lì tutti lo chiamavano Hana.

Entrò nella cameretta piccola e accogliente, le pareti gialline, mai riverniciate da prima che lui nascesse. Sulla sinistra vi era un armadio a due ante di uno strano grigio perla e abbinata ad esso era una scrivania sul lato opposto della camera. Era spoglia, ma ciò che piaceva davvero al piccolo Ren era la finestra sul soffitto, appena sopra il letto, che gli permetteva di fissare le stelle del cielo gelido dell’Hokkaido e immaginare senza sosta mondi nuovi, nuove avventure.
Posò il suo prezioso libro sulla scrivania, lo zainetto in un angolo e si sfilò il giubbotto, poi si lanciò sul letto, rimbalzando appena. La nonna aveva provveduto a cambiare le lenzuola e , oltre ad essere incredibilmente soffici, profumavano di talco e vaniglia.
Avrebbe riposato un po’, giusto un po’, dopo quel lungo viaggio. Poi si sarebbe alzato e sarebbe andato a fare merenda con i bekomochi e il tè verde. Sarebbe stato uno di quei pomeriggi che piacevano a lui.

-

Il risveglio arrivò più brusco del previsto. Un botto, un urlo e Ren cadde giù dal letto. Con un dolore non indifferente al didietro, gli occhi gonfi dal sonno, si rese conto di non vedere niente nonostante fosse certo di star tenendo le palpebre ben aperte.
« Cosa fai? » chiese una voce poco distante da lui. Un attimo dopo la voce di una torcia gli illuminò il viso facendogli stringere gli occhi per un istante.
« Masae? » domandò Ren, cercando di accertarsi di avere la figura della sorella davanti, mentre goffamente si alzava dal pavimento. Che brusco risveglio. « Perché è così buio? »

« è andata via la luce. Black out generale di tutta l’area. » sbottò scocciata « Papà vuole ugualmente che andiamo al tempio prima di mezzanotte per festeggiare il tuo stupido compleanno e tu sei in queste condizioni! Dormivi beato! Forse mi hanno presa per la tua babysitter. Forse mi hanno fatta nascere unicamente per questa ragione. »
Mentre Masae continuava a lamentarsi, Ren notò, nella luce flebile della torcia, che indossava uno yukata rosso ornato di fiori rosa e gialli e che attorno alle spalle l’avvolgeva una bella pelliccia bianca. Era già così tardi. Mancava appena un’ora alla mezzanotte. Per tradizione a mezzanotte si recavano al tempio pronti a pregare per un anno proficuo.
« Ero stanco, mi sono addormentato. » si giustificò il più piccolo, mentre la sorella si avvicinava e gli lasciava una borsa di carta in mano.
« Dentro trovi l’hakama e tutto il resto. E una torcia. Aspetto sotto. Datti una mossa. » disse Masae, prima di uscire dalla camera sbattendo la porta.
Ren rovistò nella borsa fin quando non trovò la torcia. L’ accese e la posò sulla scrivania così da potersi cambiare senza troppi impicci. Chissà perché non l’avevano svegliato. Gli ci volle un attimo a capirlo. Mamma non l’avrebbe mai permesso. “Se il bambino dorme è perché ne ha bisogno” diceva sempre con il suo fare iperprotettivo. Non gli sarebbe dispiaciuto essere svegliato quel pomeriggio. Si era perso la merenda e le grandi pulizie. Avrebbe anche potuto aiutare il resto della famiglia a preparare i soba. E invece aveva dormito. Un sonno profondo, privo di sogni.
Indossato l’hakama scese al piano di sotto e si infilò i geta che qualcuno doveva aver preparato lì davanti per lui. L’entrata era vuota, non c’era anima viva. Anche con la torcia riusciva a sentire la paura dell’ignoto che il buio nascondeva. Accelerò il passo ed uscì al freddo e al gelo. Sua sorella era lì con aria scocciata, che inviava sms senza sosta con il suo cellulare.

« Dove sono mamma e papà? » domandò Ren con un filo di voce.
« E che vuoi che ne sappia? » rispose, come il fratellino in fin dei conti si aspettava, e prese a camminare senza neanche guardare il sentiero, gli occhi fissi sullo schermo luminoso, noncurante né del ghiaccio nè della discesa nè di qualunque persona o macchina potesse trovare sulla via. Ren che aveva il terrore di scivolare e farsi male invece cercava di essere ben più cauto. « Sono tutti spariti con questo stupido black out. Ci credo. Pensa ai clienti nelle vasche, al buio totale. Tra l’altro stanotte non c’è neanche una stella. Sembra stia per piovere. Sarà che il giorno del tuo compleanno porta sfiga, Hana » blaterò Masae ridacchiando. Ren pregò solo di arrivare presto al tempio perché fosse costretta a mantenere un silenzio solenne dovuto all’ambiente e alla preghiera. « Anzi, la cosa positiva è che senz’altro mamma e papà non se ne accorgeranno se staremo fuori un po’ più a lungo. Forse riesco ad incontrare i miei amici... »
Ren pensò fosse una pessima idea. Suo padre era estremamente severo per quanto riguardava quel genere di cose e Masae riusciva sempre a fargli perdere le staffe, ribelle com’era. Ad ogni modo, non disse una parola. Era inutile parlarle. Lei lo odiava. Ciò che diceva lui era completamente privo d’importanza.
Quando raggiunsero il tempio lo trovano già gremito di gente. Di certo non quanto lo sarebbe stato dopo la mezzanotte, ma seguire la figura di sua sorella che avanzava nella folla noncurante di lui fu comunque difficoltoso per Ren che, per quanto cresciuto potesse essere, si confondeva facilmente tra la gente. Fortunatamente, avendo percorso la medesima strada ogni anno, ormai sapeva raggiungere l’entrata del tempio senza troppi problemi, e così fece. Qualche minuto dopo la sorella raggiunse il tempio dove due adorabili sacerdotesse, piuttosto giovani, gli si avvicinarono, facendogli i complimenti e tirandogli le guance.
« Sei davvero cresciuto Ren! Venire qui tutto da solo con tua sorella. Queste sono cose da grandi. Sei pronto per la cerimonia? E per il tuo compleanno naturalmente. » Le sacerdotesse erano sempre molto felici di incontrare quel bambino. In fin dei conti chi avrebbe avuto qualcosa da ridire su quel bimbo dai lineamenti efebici, delicati ed elegante non solo nei tratti, ma anche e soprattutto nei modi. Tra le persone che lo avevano intorno più spesso solo sua sorella sembrava detestarlo così tanto. Forse perché si era convinta che i genitori avessero dato classe, bellezza e un cuore puro solo a lui.
Essendo nipoti di una sacerdotessa e facendo parte di un’importante famiglia della zona, ogni anno partecipavano alla cerimonia di fine anno. Generalmente con tutta la famiglia, ma a quanto pare non quell’anno. Un black out creava senz’altro molti disagi, ma Ren non sarebbe potuto restare a casa ad aiutare neanche volendo. Era un suo dovere rappresentare la famiglia in quel caso perché beh… si fidavano molto più di lui che di sua sorella. E come dargli torto.
La mezzanotte arrivò in un soffio. Le sacerdotesse diedero il via ad un breve corteo davanti al tempio mentre sussurravano preghiere. Attorno a loro la folla si era azzittita, contemplando la cerimonia, chi per curiosità, chi per fede religiosa. Al termine del corteo le donne si fecero da parte e fecero cenno ai due fratelli di farsi avanti verso l’area di preghiera. Sarebbero stati i primi a fare le loro richieste e nessuno avrebbe protestato poiché tra la folla non vi era individuo che non sapesse chi fossero. Sua sorella sapeva essere straordinariamente composta in quei momenti, così si fece avanti per prima, poi insieme lanciarono una monetina all’interno di una cassa in legno di fronte all’altare, afferrarono la spessa corda che pendeva di fronte a loro e muovendola fecero suonare le campane due volte, per lo stesso numero di volte si inchinarono e batterono le mani. Chiusero gli occhi e pregarono. O almeno così sembrò agli altri. Ren non sapeva cosa chiedere. Non c’era qualcosa che desiderasse così tanto, né qualcosa che non lo facesse sentire presuntuoso nei confronti di chiunque avesse dovuto esaudire il suo desiderio. E poi non aveva il tempo di pensarci, nonostante da fuori non fosse affatto ovvio, lo innervosiva il fatto che centinaia di persone alle sue spalle lo stessero fissando. Odiava stare al centro dell’attenzione. Rendersi trasparente lo metteva a suo agio. Finalmente sua sorella alzò il capo e lui poté fare lo stesso. Il vociferare alle loro spalle si accese, mentre si facevano da parte per lasciare che anche gli altri in visita al tempio pregassero.
« Buon compleanno Ren » disse una delle due sacerdotesse avvicinandosi a lui e dandogli un buffetto tra i capelli. Lui sorrise e si inchinò educatamente, ringraziandola per gli auguri e per la cerimonia. No, non aveva pensato neanche per un attimo che potesse trattarsi degli auguri di sua sorella. Era certo che non glieli avesse mai fatti, neanche da bebè. A proposito di sua sorella, sembrava svanita nel nulla. Il programma era generalmente partecipare alla cerimonia, pregare, poi prendere un omikuji e andare via alla svelta. E invece lei era sparita. Sospirando affranto decise di scoprire la fortuna per l’anno nuovo da sé. Si recò ad un banchetto e le persone in fila lo fecero passare avanti sorridendogli amichevoli e bisbigliando quanto fosse adorabile. Lui li ringraziò praticamente uno ad uno e raggiunto il banchetto estrasse un cilindro sottile contenente un bigliettino con su scritta la predizione divina per lui per quell’anno, si fece da parte e la lesse. Recitava:

Grande benedizione. L’anno ti porterà molta fortuna. Salute per te e tutta la tua famiglia. Successi nella vita privata, negli studi e nel lavoro, ma soprattutto nell’amore.

L’amore. Ren rilesse quella parola e arrossì all’istante. Infilò il bigliettino nell’hakama e si allontanò in fretta dal banchetto. Non c’era nessuna bambina che gli piacesse nella sua classe o nelle altre. E poi tutta quella faccenda dell’amore lo metteva in ansia. Come sarebbe potuto essere capace di dichiararsi ad una bambina? L’avrebbero preso in giro per sempre. No, non sarebbe mai accaduto. Quello strano amore non voleva sperimentarlo. Non gli avrebbe più permesso di nascondersi e sparire quando ne aveva voglia. Altro che grande benedizione. Meglio tornare a cercare Masae.
Ci impiegò poco. Eccola lì che starnazzava circondata da un gruppo di ragazzi e ragazze. Stringeva tra le mani un nikuman alla carne ancora fumante e sembrava assolutamente nella sua comfort zone. Peccato che il fratellino di soli nove anni dovesse riportarla con i piedi per terra. Affranto e pronto ad essere maltrattato Ren la raggiunse e tirò piano una manica del suo yukata.

« Sai che mamma non vuole che mangiamo niente dai banchetti… » mormorò Ren. Lei lo guardò sprezzante e ridacchiò. Gli occhi dei suoi amici erano posati su entrambi.
« Mamma non vuole che TU mangi niente dai banchetti, perché sei più cagionevole di un novantenne e non vorrebbe mai che tu potessi morire avvelenato da un nikuman » Gli amici risero e la stretta di Ren sul suo yukata si allentò in un attimo di sconforto.
« Dobbiamo tornare a casa, papà si arrabbierà » cercò di farsi forza per il bene di sua sorella. Riportarla a casa sarebbe stata la mossa più saggia e poi di certo non poteva tornare a casa da solo dopo la mezzanotte.
« Tornaci da solo »
Come non detto, pensò Ren.
« Papà e mamma sono tutti presi da quel black out, non si accorgeranno se torno un po’ più tardi. E tu non glielo dirai.» disse Masae con tono minaccioso.
« Ma se mi vedranno tornare si chiederanno dove sei… è meglio che resti con te »
La sorella inorridì e per poco non gli lanciò addosso il suo nikuman. Il rischio più grande era che i suoi amici iniziassero ad interessarsi al suo fratellino di porcellana.
« No. Dobbiamo andare. » si affrettò a dire, facendo cenno al resto del gruppo di allontanarsi in fretta. La destinazione era sconosciuta a Ren, ma sapeva che seguirli sarebbe stato inutile e sinceramente non aveva nessuna voglia di farsi trattare ancora come uno zerbino.
Impotente, rimase lì in un angolo osservando la figura in yukata di sua sorella che si allontanava. Di tanto in tanto spostava lo sguardo verso il sentiero buio che portava a casa, oltre il torii. Era dritto e doveva solo seguirlo fino al parcheggio davanti l’onsen. Non era difficile in fin dei conti. E poi non aveva altra scelta. Non poteva mettersi a scorrazzare con i bambini tra le bancarelle, né disturbare le sacerdotesse perché lo accompagnassero a casa, non poteva sedersi su uno scalino perché non era buon costume e non poteva restare fermo lì come una statua perché sarebbe sembrato uno scemo. Non gli restò che raccogliere tutto il suo coraggio ed intraprendere la buia, gelida via di casa.
A metà strada, come se non bastasse, iniziò a piovere e nevicare e quei quindici minuti a piedi gli sembrarono i più lunghi della sua breve vita. Quantomeno quando raggiunse il parcheggio era salvo, bagnato fradicio, pronto a far prendere un infarto a sua madre, ma salvo. Lo stabile sembrava ancora al buio. Non osò immaginare quanta ansia potesse provare lo staff in una simile situazione. Entrò silenzioso come una biscia e lasciò i geta all’entrata. Continuava a non esserci anima viva. Sicuramente tutti stavano cercando di interagire con i clienti. Era un capodanno piuttosto inusuale, completamente diverso dai precedenti. Di solito dopo essere stati al tempio, tornavano all’onsen e i festeggiamenti continuavano. Mangiavano soba, mochi, riceveva regali di compleanno e di capodanno al contempo e l’aria era festiva e calda, nonostante si trattasse pur sempre di Sapporo. Peccato, per quell’anno era andata così.
Recuperò la torcia lasciata all’entrata e salì le scale. Anche lì niente e nessuno fiatava. Entrò in camera e si chiuse la porta alle spalle. Finalmente era di nuovo nel suo piccolo mondo. Al sicuro. Poggiò la torcia sul tavolo come aveva fatto prima di uscire e iniziò a sfilarsi l’hakama. Pensava a quanti guai avrebbe dovuto passare sua sorella. Tra l’altro Ren non sapeva fingere davanti ai suoi genitori e non aveva motivo di farlo per sua sorella. Un comportamento sbagliato era sbagliato e doveva essere corretto. Non sarebbe andata da nessuna parte con quell’atteggiamento, sua nonna glielo diceva sempre. Poggiò l’hakama sul letto dopo averlo piegato accuratamente e fece per sollevarsi la sottoveste, quando un tonfo metallico lo fece sobbalzare. Sgranando gli occhi seguì la fonte del rumore e si ritrovò a fissare l’armadio. Sembrava quasi che una gruccia fosse caduta. Ma come? Che ci fosse un animale chiuso lì dentro? Deglutendo e facendosi coraggio si avvicinò alle ante dell’armadio, allungò una mano, ma prima che questa potesse raggiungere la maniglia dell’anta essa si spalancò. Un peso non indifferente buttò il suo corpo gracile a terra, una mano si artigliò attorno al suo collo sottile e lo privò del respiro per qualche attimo. Quegli attimi necessari a permettere ai due di studiarsi. Quello che l’aveva attaccato non era di certo un animale. Sembrava più… un ragazzino. Non ne era del tutto certo. L’altro sembrò studiarlo a sua volta e la sua presa si allentò.
« Un moccioso » osservò, sollevando il busto, ma tenendolo ancorato a terra ancora in quel modo.
Ren era terrorizzato, ma cercò comunque di divincolarsi senza riuscire a fare nulla.

« Lasciami andare! » urlò, ma la mano dell’altro scattò immediatamente sulla sua bocca.
« Ti consiglio di non urlare » disse calmo, fissandolo intensamente. Ren si chiese come un ragazzino di massimo 2 o 3 anni più grande di lui potesse avere uno sguardo così terrificante, ma la cosa strana fu che prima di rispondersi, la sua attenzione era stata veicolata sul colore delle sue iridi. Azzurre. Era come guardare un cielo mattutino ed il più piccolo non sarebbe stato neanche capace di spiegare quanto quel colore fosse poco indicato ad un ragazzino di quell’aspetto. Era fradicio almeno quanto Ren, con un pesante cappello di lana che gli copriva la testa senza lasciar intravedere neanche un capello. Tutto di lui era sudicio, malandato. Ren si rese conto per la prima volta di essere abbastanza schizzinoso.
« Puzzi » mormorò intimidito, non riuscendo a guardarlo in faccia. Perché dire una cosa del genere? Doveva essere proprio bravo a scavarsi la fossa da solo. Il ragazzino lo guardò aggrottando la fronte per poi scoppiare in una risata, che placò nell’attimo in cui si rese conto di essere troppo rumoroso.
« Sto per ucciderti e il tuo problema è che puzzo? »
Questa volta fu Ren ad aggrottare la fronte incredulo, mentre l’altro si scostava da lui a peso morto e si lasciava andare sul pavimento.
« Tu non stai per uccidermi » disse con ovvietà il più piccolo. Uccidere? Era una cosa che si vedeva nei telegiornali o nelle fiction in televisione. Era così assurda l’idea che un essere umano potesse uccidere, figuriamoci un ragazzino di quelle dimensioni, dall’apparenza sudicia e senz’altro malnutrito. L’altro ridacchiò ancora, mettendosi seduto davanti a Ren e fissandolo stranamente incuriosito, interessato, ma al contempo quasi affamato. Sorrideva in maniera inquietante e Ren avrebbe giurato di non averlo visto battere le palpebre neanche una volta.
Ren prese coraggio.
« Chi sei? E che ci facevi nel mio armadio? »
Recentemente aveva letto le Cronache di Narnia e una parte di lui sperava che fosse un fauno o una creatura magica di Narnia, anche se con quegli occhi tutti gli indizi portavano alla regina dei ghiacci… e a quel punto non ci sarebbe stato motivo di rallegrarsi.
« Volevo dare un’occhiata dentro, ma non ho i soldi per entrare, quindi ho approfittato del blackout. L’armadio sembrava così comodo. »
Ren si morse il labbro. Fiutava bugie, ma non era neanche tanto da presuntuoso da dichiarare che fosse un bugiardo se non lo conosceva. Insomma, era la prima volta che gli capitava di trovare qualcuno nel suo armadio, in qualche modo non voleva essere sgarbato con lui… ognuno aveva le proprie ragioni per nascondersi in un armadio, a quanto pare. Si mise seduto davanti all’altro e sospettoso lo osservò.
« Come ti chiami? » domandò incerto, ma prima che l’altro aprisse bocca, lo sguardo di Ren, che continuava ad indugiare sui vestiti bagnati e luridi del ragazzino, si soffermò su delle macchie piuttosto ampie all’altezza del petto. « Si può sapere cos’hai fatto? » chiese inquieto, allungando una mano verso la sua maglia. Quello si ritrasse bruscamente, facendo sussultare anche Ren. Capì subito che doveva tenere sotto controllo certe confidenze e ritrasse la mano. « Sei sporco di fango. Lì sul petto. » disse indicando appena con un dito il suo petto. L’altro abbassò lo sguardo, adocchiò la macchia e ridacchiò.
« Si, fango. Non so proprio come sia possibile » disse, dando una scrollata di spalle.
Ren si alzò e andò verso il proprio zainetto. Tirò fuori un maglioncino verde e glielo passò.
« Puoi prendere questa » disse, lasciandola per terra accanto a lui, per poi arretrare. Si faceva un po’ così con i gatti, no? Quando non voleva che si spaventassero e fuggissero. Anche se in quel caso l’unico che avrebbe dovuto avere paura era proprio Ren. Eppure nello sguardo di ghiaccio di quel ragazzino qualcosa si mosse. Aveva posato gli occhi sul maglioncino verde e lo fissava sull’attenti. Se avesse avuto una coda sarebbe stata dritta e rigida senza ombra di dubbio.
« Perché? » chiese allora, alzando lo sguardo verso Ren, quasi scocciato.
« Perché sei sporco e fradicio. E ti ammalerai se non ti cambi in fretta » spiegò, accucciandosi davanti a lui. « A me non serve » disse sorridendo dolcemente. L’altro lo guardò dalla testa ai piedi e colse il leggero tremolio delle sue labbra, ormai viola.
« Tu sei fradicio quanto me » osservò.
« Io non ne ho bisogno. Non mi ammalo mai. E poi posso infilarmi sotto le coperte, tu no, sporco come sei. »

Era una situazione surreale. Apparentemente per entrambi. Ren aveva appena assistito all’arrivo di un presunto abitante di Narnia, l’altro sembrava sconvolto e irrigidito da quel semplicissimo gesto di gentilezza. Era tornato a fissare il maglioncino e niente ormai si muoveva nella stanza. Sembrò che il maggiore avesse raggiunto la conclusione del processo mentale che lo stava tormentando e con un piccolo sorriso annuì e si sfilò prima il cappello di lana sudicia, scoprendo i capelli castani e sporchi, poi la stupida camicia in flanella consumata che indossava e la maglia bucherellata e sozza di fango sotto di essa.

« Come fai ad andartene in giro vestito così? Non hai freddo? Fuori nevica » osservò Ren, mentre l’altro indossava il maglioncino. Dalla sua espressione si scorgeva un senso di piacere immenso.
« Solo i principini come te hanno freddo nella neve » commentò l’altro ironico.

Ren arrossì e si imbronciò « Non è affatto vero. Anche papà avrebbe freddo nella neve. E io non sono un principino »
Ma l’altro lo liquidò con un “aha” e fece orecchie da mercante. Si alzò da terra e iniziò a gironzolare per la stanza. Non che ci fosse molto da esplorare. L’unica cosa che attrasse il suo sguardo fu il grosso libro sulla scrivania, ma non appena fece per sollevarne la copertina, Ren corse a levarglielo di mano.
« Questo non puoi toccarlo » disse, stringendo possessivo il libro tra le braccia. Lo sguardo sorpreso dell’altro venne attratto da qualcosa che scivolava giù dal libro e toccava il parquet. Si chinò a raccoglierlo e tirò su una fogliolina stretta e lunga.
« Un libro di foglie? »
Ren fece in fretta a recuperare la foglia dalla sua mano, si inginocchiò sul pavimento e cercò la pagina dalla quale era scappata.
« è una foglia di canna da zucchero. Non potevo metterci una canna da zucchero, non sarei riuscito a chiudere il libro. » spiegò Ren mentre risistemava lo scotch alle estremità della fogliolina. L’altro si chinò a sua volta, stranamente interessato.
« Dove l’hai presa? Perché la tieni in un libro? » domandò. Per lui non aveva senso.
« Questa in particolare è un ricordo di un viaggio che ho fatto con la mia famiglia la scorsa estate. Siamo stati ad Okinawa. »
« Okinawa? La grande isola al sud? »
Ren inclinò il capo. Sembrava non ne sapesse niente. Eppure la geografia la studiavano sin dalla prima elementare. « Proprio quella. Masae, mia sorella maggiore, voleva assolutamente andarci. Dice che tutti i suoi amici adorano andare in spiaggia. Io sono stato felice di andare perché c’erano diverse piante e fiori che non avevo mai visto... » disse Ren, fermandosi quando si rese conto di stare divagando un po’ troppo, ma gli occhi del ragazzino erano fissi sul libro, in attesa di sentire qualcos’altro, o almeno quella era l’impressione che dava. Ren un po’ incerto voltò pagina.
« Da questa pagina in poi ci sono tutte le foglie e i fiori che ho raccolto quando siamo stati in Europa. »
« In Europa? Quella che per raggiungerla devi andare in aereo? » chiese l’altro sconvolto. Ren era sorpreso e avrebbe voluto ridere, ma non lo fece. Sembrava sinceramente euforico a riguardo.
« Si. Abbiamo fatto diverse ore di volo e siamo arrivati a Parigi, in Francia. Questo fiore l’ho raccolto lì, sotto la tour Eiffel. Quella torre alta, in ferro. Somiglia molto alla Tokyo Tower. »
« Sei stato a Tokyo? » domandò l’altro sempre più emozionato.
« Beh, ci abito. Veniamo qui solo per le vacanze invernali, a trovare i nonni » gli spiegò. L’altro annuì e sorrise. Non era più un sorriso inquietante, ma sincero, quasi dolce. E soprattutto aveva rivelato le fossette sulle sue guance. Ren abbassò lo sguardo in fretta, arrossendo. Lo stava fissando troppo.
« Puoi venire… »
« Venire dove? » chiese l’altro alzando un sopracciglio.
« A casa mia. A Tokyo. È grande. Mamma sarebbe molto felice se invitassi un amico, dato che non lo faccio mai » Era la prima volta che invitava qualcuno a casa sua e la cosa lo rendeva terribilmente nervoso. Perché qualcuno avrebbe dovuto voler andare a casa sua? Per far cosa? Alzò lo sguardo per capire cosa ne pensasse e l’altro era arrossito terribilmente. Ren ne fu sconvolto. Su quel viso, nel giro di neanche un’ora, aveva visto non solo espressioni, ma persone diverse. C’era qualcosa di meravigliosamente intrigante e terribile al contempo, su quel viso.
« Aoi.» fu la risposta dell’altro « Il mio nome è Aoi »
Ren lo fissò per un attimo. Aoi gli sorrideva e il più piccolo lo prese come un si. Aveva trovato il suo primo amico.
Restarono a parlare tutta la notte di piante e fiori e viaggi e luoghi che Aoi non aveva mai sentito neanche nominare. Ren scoprì che non aveva mai visto la televisione, neanche i cartoni animati, che non conosceva la Disney e che non proveniva da Narnia, ma da Sapporo stessa, che viveva con suo padre, ma a riguardo non desiderava raccontargli altro. Per Ren parlare con lui era così semplice, così ovvio, scorrevole, che il tempo passava in fretta, senza fargli sentire neanche più il freddo alle ossa, facendogli dimenticare che era bagnato e con le labbra viola. Un amico.

« Ora cosa farai? » domandò Ren, lasciando che l’altro sfogliasse il suo libro.
« Che intendi? »
« Beh, sei a casa mia. Non devi tornare a casa? »
L’altro sembrò cadere dalle nuvole. La luce non era ancora tornata, ma dovevano essere passate almeno quattro o cinque ore. Tra non molto sarebbe sorto il sole, ma Aoi sembrava restio ad andare via, così Ren si fece avanti.
« Puoi restare qui se vuoi, sono certo che se lo dico ai nonni… »
« No » si affrettò a dire l’altro « Devo tornare a casa, in effetti »
Ren lo guardò interdetto per un attimo, ma immaginò fosse normale. Suo padre sicuramente lo stava aspettando.
« Allora dovresti andare prima del sorgere del sole. Riesci a tornare a casa da solo? Anche se fa buio? Posso darti il mio ombrello » disse e in fretta lo andò a recuperare dallo zainetto. Aoi aveva sempre quello sguardo incerto davanti ad un atto di gentilezza, ma non disse di no e prese l’ombrello.
« Non ho problemi a tornare a casa di notte » disse, alzando le spalle. Ren lo trovò incredibilmente coraggioso e desiderò essere come lui, anche solo per un giorno. Aoi si sistemò meglio il maglione addosso e appallottolò i vestiti fradici sotto un braccio, poi si mise in punta di piedi per aprire la finestra sul soffitto. Ren era così preso dai propri pensieri che non si chiese neanche perché lo stesse facendo, perché non usare la porta d’uscita, in fin dei conti ora era suo amico.
« Tornerai, vero? » alla fine Ren cedette e gli pose quella domanda, guardandolo speranzoso e imbarazzato al contempo « Posso raccontarti molte altre cose, quindi puoi tornare anche domani se vuoi. Saremo qui per altri cinque giorni. » lo avvisò. Aoi lo fissò serio, poi il suo sguardo si raddolcì. Anche a lui sembrava di conoscerlo da una vita. Sospirò e abbozzò un sorriso che di certo non urlava sicurezze al piccolo Ren.
« Oggi è il mio compleanno » mugolò allora, cercando di convincerlo in extremis. Aoi sembrò interessato e alzò le sopracciglia « Devi farmi un regalo. Devi promettermi che tornerai » disse, allungando una mano verso il maglioncino e trattenendolo « sarà il mio regalo di compleanno e non vorrò più niente » mormorò, abbassando lo sguardo. L’altro non sembrava convinto. Forse non lo considerava ancora suo amico. Forse ci voleva molto più tempo per diventare amici.
Un rumore proveniente dalle scale fece sussultare Aoi. Ren non si preoccupò, pensò fosse sua madre venuta a controllarlo e a chiedergli dove fosse Masae. Anzi, chissà se era rientrata o meno. Lo sguardo di Aoi iniziò a cambiare, tornò gelido e sull’attenti. Si spostò su Ren e il sorriso abbozzato divenne più forzato.

« Buon compleanno » sussurrò, posando una mano sulla sua testa e carezzandola piano, prima che con un gesto fulmineo essa si irrigidisse e lo colpisse con forza alla nuca, facendolo svenire sul colpo.
Aoi accolse il suo corpo tra le braccia e delicatamente lo pose sul pavimento, per poi recuperare una sedia alla svelta e uscire dalla finestra sul soffitto un attimo prima che la porta della camera si spalancasse. I passi del ragazzino rimbombavano ancora sul tetto, sopra le loro teste, ma la signora Ueda non li sentì, poche cose avrebbero superato le sue urla in quel momento, le quali attrassero il marito, Masae e vari membri dello staff dell’onsen. Accorsero, bianchi in viso come fantasmi. Il padre si avvicinò di fretta al figlio per terra e scostò la madre, tastò subito il suo polso e con suo grande sollievo avvisò tutti che era solo svenuto, ma che la sua temperatura corporea era stranamente alta. Tuttavia non se la sentì di dare della matta alla moglie, in fin dei conti sulla sottoveste bianca di Ren era ben visibile una macchia che non poteva che essere sangue. Solo una vola che la luce fu tornata poterono confermare che non si trattava del suo sangue. Per quanto fosse svenuto, non sembrava riportasse alcun tipo di ferita corporea.

Ma ciò non bastò a farlo svegliare. Per i giorni successivi una febbre alta, altissima, lo tenne a letto, con la madre al suo capezzale, terrorizzata ad ogni colpo di tosse o respiro profondo. La nottata sotto la pioggia e la neve aveva dato il colpo di grazia al suo fisico sulla quale gravava già la stanchezza di un lungo viaggio in auto.
Non poteva sapere se quel qualcuno sarebbe tornato a trovarlo o meno, ma c’erano cose che avrebbe scoperto una volta aperti gli occhi, cose raccapriccianti che avrebbero fatto tremare il suo piccolo cuore. Cose che gli avrebbero fatto maledire per sempre quel giorno e fatto smettere di credere in quegli dei che avevano prospettato per quel suo anno una “grande benedizione”.

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Ciao a tutti! Pubblico qualcosa per  la prima volta perchè sono molto insicura delle mie abilità nello scrivere, ma spero ugualmente che la storia possa interessare e coinvolgere! Abbiate pietà di me ; _ ;
La trama si svilupperà attorno a Ren e Aoi e il genere sarà principalmente romantico/angst. Nel prossimo capitolo torneremo nel presente e il loro passato verrà svelato man mano. Scrivo per svagarmi dalla sessione d'esami stressante, quindi chiedo scusa se il testo non fosse perfetto, ma spero possiate godervi la lettura in ogni caso e ogni critica costruttiva, recensione e commento sono assolutamente ben accetti. A presto!


 

   
 
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