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Autore: Kim WinterNight    22/01/2018    8 recensioni
Avete mai notato che quando salite sui mezzi pubblici finite per incontrare le peggiori specie di umanità senza raziocinio?
Non serve che lo neghiate, capita a tutti!
Ebbene, ho deciso di raccontarvi cosa capita a me quando salgo a bordo di simpatici autobus o sfreccianti treni, per non parlare di quei meravigliosi aerei...
Insomma, tutto ciò che leggerete in questa raccolta di scempiaggini mi è capitato davvero; questa è la dimostrazione del fatto che la realtà è sempre peggio di ciò che è frutto della nostra fantasia o immaginazione!
Genere: Commedia, Demenziale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense, Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
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Intern




Autobus extraurbano, primo pomeriggio di un venerdì


Stranamente, non c'è il solito assembramento informe di ragazzini delle superiori a riempire il pullman. Il venerdì è sempre un delirio: tizi di prima o seconda superiore se ne stanno stravaccati sui sedili e li occupano tutti con i loro zaini o poggiandoci sopra i piedi. A volte è difficile trovare un posto libero, ma oggi tutto sembra andare per il verso giusto.

Due fermate dopo la mia, sale a bordo un signore piuttosto anziano. Indossa una giacca di broccato neanche stesse andando a una cerimonia importantissima. È abbastanza instabile sulle gambe, ma subito parte a chiacchierare con l'autista mentre oblitera maldestramente il suo biglietto.

Io intanto parlotto con la mia amica, convinta che questo sarà un viaggio normale. Ah, l'ingenuità dell'essere umano fa quasi tenerezza!

Il nonno nota che ci sono altre persone sul mezzo e, casualmente, si piazza su un sedile accanto al nostro.

Si può ben immaginare cosa succede ora.

«Eh, ragazze, dove andate di bello?» attacca, allungando una mano verso di me come se temesse che io non lo ascolti o non capisca che si sta rivolgendo a me.

Mi volto per farglielo capire, non voglio che mi tocchi. «A fare un giro» dico vaga, regalandogli pure un sorriso.

«Ah, certo, voi siete giovani, è normale...»

Mi viene voglia di fargli notare che siamo entrambi sul pullman, quindi anche lui ha messo il naso fuori di casa e non riesco a capire l'attinenza tra l'età anagrafica e l'uscire dalla propria abitazione per qualsiasi motivo.

«Eh sì...» faccio, sperando non mi rivolga più la parola.

«Di dove siete?» domanda.

Ecco, avevo sperato male. Glielo dico e la mia amica fa lo stesso, e a questo punto lui comincia a elencare tutte le persone che conosce del nostro paese, gente decrepita che non ho la minima idea di chi sia o se sia ancora su questa Terra.

«Io quando ero giovane, compravo sempre il pane al vostro paese... facevo tutta la strada a piedi, dieci chilometri al giorno... da noi non c'erano queste comodità, eh...»

Adesso capisco perché nelle storie e nei libri gli anziani sono stereotipati: sono veramente così, parlano soltanto dei vecchi tempi, di quando c'era la guerra, di quando erano giovani e lavoravano, e bla bla bla...

Io vorrei morire e sono contenta che il viaggio duri poco e che stiamo già per arrivare.

«Certo, ci credo... prima era tutto diverso...» blatero, sbirciando lo schermo del cellulare.

«E poi noi giovani avevamo voglia di fare un sacco di cose! Adesso non è più così...» continua, infervorandosi.

Perché devono capitare tutte a me? Vorrei che qualcuno me lo spiegasse. Non sia mai che trovo gente normale che si fa gli affari suoi, se ne sta seduta in un sedile in silenzio e non importuna il prossimo. Impossibile, è matematico che io debba attirare certi disagiati.

«Sì, è vero» interviene la mia amica con poco entusiasmo.

«Eh, i tempi sono cambiati... adesso sono tutti sempre su intern, quelle cose lì... ah, noi non ci pensavamo, c'era la guerra...»

La guerra è un'istituzione, non un avvenimento storico. Davvero questa gente è convinta che ora la guerra non ci sia? Solo perché non ci sono carri armati fuori dalle loro baracche in pietra del Paleolitico e perché i loro figli non sono obbligati a partire per il fronte...

«Già, ha ragione...»

Sui intern non posso dargli torno, in effetti.

Finalmente dobbiamo scendere e per fortuna lui non scende con noi.

Una volta sul marciapiede, mi sento confusa.

È andata anche questa, sono sopravvissuta e non lo rivedrò più.



Autobus extraurbano, tardo pomeriggio dello stesso venerdì


Siamo sedute ai nostri posti, in attesa che l'autista rientri. È ancora presto, ma noi siamo comodamente sedute e al caldo, non avrei sopportato di stare sulla panchina della stazione degli autobus in balia delle intemperie. Ha proprio ragione quel signore di prima: non ci sono più i giovani di una volta, abituati alla guerra...

E allora lo vedo: zampetta verso l'ingresso dell'autobus, si arrampica su per i gradini e stringe in mano la busta di un negozio di abbigliamento che ha un grande punto vendita in questo paese e ne ha uno più piccolo anche nel mio comune.

Giacca di broccato grigio topo, pelle raggrinzita e occhi attenti che subito mettono a fuoco me e la mia amica.

Ho la peculiarità di richiamare la sfiga come se recitassi una formula magica, anche se poi non faccio proprio niente. Devo aver sbagliato a dargli mentalmente ragione un minuto fa.

«Ah, avete già finito?» ci apostrofa, piantandosi in piedi proprio di fianco a me.

Mi ritraggo istintivamente e annuisco. «Sì, e lei?» replico, cercando di essere educata, nonostante stia vivendo un incubo. Dio, perché?

«Eh, sono andato a comprarmi una camicia... di questi tempi costa tutto un occhio della testa, non si può più acquistare nulla...» comincia a blaterare, e nel frattempo il pullman si mette in moto. Lui, tuttavia, non accenna a volersi sedere e io mi sento sprofondare nello sconforto.

Davvero vuole trascorrere tutto il viaggio con la faccia a due centimetri dalla mia?

«Immagino...»

«Di dove siete, allora?» ripete, avvolgendo la sua mano scheletrica alla maniglia posta sul sedile di fronte al mio.

Glielo ripeto meccanicamente, e lui a questo punto comincia a sproloquiare sull'agricoltura prolifica del mio paese.

«Perché voi siete in pianura, mentre noi in montagna... è più difficile vivere di agricoltura, ma ormai non è più possibile... ormai all'agricoltura non ci pensa più nessuno... i giovani non sono interessati, scappano... non hanno coraggio, eh... ai miei tempi si lavorava la terra! Adesso no, mio nipote dice che lavora su intern... roba da matti!»

Ho voglia di spingerlo via, mi sta soffocando e non capisco perché non si siede e mi lascia in pace. Non riesce a capire dalla mia faccia che mi sta irritando?

«Eh... la tecnologia ormai...» fingo di dargli ragione.

Lui non mi lascia intervenire e continua a blaterare per conto suo, io ormai non lo ascolto più e spero vivamente di arrivare a casa il prima possibile.

Quando capisco che la mia fermata è ormai vicina, la sensazione è sempre quella: luce bianca in fondo al tunnel, sollievo imminente, rinascita dagli inferi...

«Adesso dobbiamo scendere, ci scusi» lo interrompo bruscamente, mentre la mia amica prenota la fermata.

«Eh sì... statemi bene eh! Voi che siete giovani...»

«Certo, non si preoccupi. Stia bene anche lei» borbotto, avviandomi verso la porta d'uscita al seguito della mia accompagnatrice.

Non appena riesco a evadere da quel luogo asfissiante, tiro un profondo sospiro di sollievo.

Come ho fatto a sopravvivere?



- - - -


Carissimi lettori!

Scusate, scusate, scusate se non ho più aggiornato qui, mi sento tanto in colpa ç___ç

Il punto è che ero senza connessione fino a qualche giorno prima di Natale, poi non ho più scritto questa raccolta perché per i comici bisogna essere predisposti... non voglio giustificarmi, ma è andata così.

Spero di riuscire a essere più regolare da ora in poi ^^

Be', che ve ne pare? Anche quel giorno me la sono vista brutta (?)

Sapete rispondere a una domanda? Perché capitano tutte a me? O qualcuno di voi ha vissuto un'esperienza analoga?

Fatemelo sapere nelle recensioni, sono curiosissima di scoprire se sono sfigata io o se sono cose comuni :D

Grazie a tutti coloro che saranno ancora qui tra le recensioni, e perdonatemi ancora per la lunga assenza!

Alla prossima ♥

  
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