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Autore: Thisastro    22/01/2018    0 recensioni
'Artù sorgerà di nuovo quando il mondo ne avrà più bisogno'
Sono queste la parole con le quali, ormai cinque anni fa, il maestoso drago Kilgharra ci ha lasciato col fiato sospeso, ma...
Cosa accadrebbe se il mondo avesse di nuovo bisogno di Artù e di tutti i personaggi di Camelot?
La storia è stata leggermente stravolta dall'introduzione di un nuovo personaggio femminile che saprà spiegare cosa è accaduto di diverso dalla storia che tutti noi conosciamo.
Il resto? Varrà la pena scoprirlo...
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro, Più stagioni
Capitoli:
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Clarissa e Mordred passarono il pomeriggio a studiare insieme tra una risata ed uno spintone amorevole.
Mordred prese il suo telefono e scattò diverse foto di loro due insieme.
- Mi fa piacere poter avere questa tecnologia... per tutto questo tempo prima di scoprire la verità, avrei voluto con tutto il cuore avere qualche foto da guardare ma...
Clarissa si incupì nel sentire quelle parole.
- Già... cosa avrei dato per avere qualche fotografia con voi, sarebbe stato tutto più semplice.
Mordred si alzò e le prese la mano tirandola a sé.
Clarissa si lasciò trascinare ed insieme corsero via dalla palazzina.
- Mordred! Fermati! Dove stiamo andando?
Lui continuava a correre tenendo salda nella sua mano la mano della principessa.
- Andiamo a svilupparle! Ce n’è anche una di prima, in cucina, tutti insieme!
Arrivati dal fotografo che non era troppo distante, decisero di aspettare nelle vicinanze del suo studio.
Clarissa nel frattempo gli raccontava di Elyan, Percival e Galvano nella fabbrica che avrebbero ben presto lasciato per unirsi anche loro ai Marines e di Lion e Ginevra.
- È terribile... mi dispiace per Artù, chi lo avrebbe mai detto... fortunatamente non sembra stia soffrendo molto.
Clarissa sorrise in maniera triste, sapeva che in realtà il dolore di Artù era molto più profondo del previsto ma che non avrebbe mai lasciato che trapelasse all’esterno.
Mangiavano un gelato alla vaniglia poggiati ad una ringhiera.
Quella piccola cittadina in salita regalava pensanti mal di stomaco a tutti coloro che viaggiavano in auto o in autobus, ma una vista mozzafiato del Tamigi in lontananza a tutti i residenti.
Clarissa guarda quella distesa d’acqua e sorride di un sorriso triste, rassegnato.
Mordred se ne accorge e cerca di tirarle su il morale.
- Non temere, Gaius troverà la conchiglia e potrai riconciliarti al regno del mare.
La abbracciò.
- Tutto si aggiusterà.
Passarono il resto del pomeriggio passeggiando, fermandosi nei parchi e stendendosi sull’erba fresca a parlare.
- Tu non pensi di arruolarti con gli altri per stare vicino ad Artù?
Mordred s’incupì.
- Non lo so onestamente... voglio servire Artù ancora ma non posso rischiare di espormi così… Gaius mi ha detto che anche Merlino vorrebbe stargli vicino ma d’istinto, in situazioni di pericolo, ci verrebbe naturale usare la magia. In questo mondo di tecnologie e quant’altro... non è possibile; verremmo scoperti subito e poi...? cosa ne farebbero di noi? Ci vivisezionerebbero per studiarci o ci porteremo in qualche strana sala delle torture del governo per farci parlare…
Guardò Clarissa negli occhi.
- Il gioco non ne vale la candela, stai attenta anche tu quando ritroverai i tuoi poteri.
Clarissa sbuffò.
- Come se mai potessi ritrovarli... li ho perso ormai, non ho fiducia a riguardo.
Mordred si alzò di scatto e Clarissa fece lo stesso spaventandosi.
- Tu li ritroverai, Clarissa. La magia è in tutto ciò che ci circonda. È nata con la terra stessa e non morirà mai. Devi solo crederci e trovarla dentro di te.
Si guardarono negli occhi e lei decise di abbracciarlo forte per il supporto.
- Grazie... prometto che sarò fiduciosa a riguardo.
 
Le foto sviluppate dal fotografo erano meravigliose.
I sorrisi spontanei che regalavano celavano la felicità di essere ritrovati tutti.
Ginevra e Leon se ne stavano in disparte durante questi momenti gioiosi.
I loro sensi di colpa per ciò che stavano facendo ad Artù li teneva lontani da loro per evitare di provocargli ulteriore dolore inutile.
Artù esternamente non si era fatto coinvolgere da ciò che stava accadendo attorno a lui, cercava di comportarsi come se Ginevra non fosse mai accaduta; né prima, né ora.
Continuava i suoi addestramenti e ad addestrare nuovi soldati, era quello che da sempre gli riusciva meglio; ma chi gli voleva bene sapeva che qualcosa era diverso.
Ygraine continuava a telefonare ma le telefonate erano sempre più rade e sfuggenti, con un tono preoccupato e apprensivo da parte di lei e un tono apparentemente caldo e vuoto da parte di lui.
Si chiudeva come un riccio nelle sue situazioni e non lasciava entrare niente e nessuno.
Era un grande contenitore vuoto, assente.
Svolgeva la sua routine giornaliera come meglio poteva e passando il tempo a far finta di nulla.
Lasciava che la vita accadesse attorno a lui senza parteciparvi attivamente, uno spettatore della sua stessa esistenza.
Clarissa lo vedeva da quelle fotografie.
Riusciva a vedere oltre l’inchiostro impresso su quel rigido foglio.
Vedeva quel sorriso che era sincero perché nella pugnalata che gli era capitata, la fortuna gli aveva rilasciato il regalo di ritrovare i suoi amici, i suoi compagni fidati.
Ma gli occhi; gli occhi sono incredibili. Dicono tutto anche se tu non parli.
Erano blu e profondi come un abisso, un abisso di pensieri al quale si lasciava andare di sera, solo sul suo piccolo balcone al pallore lunare fumando una sigaretta e ciccando in un grande vaso di terracotta con dentro una pianta grassa spinosa.
Lui era il vaso di terracotta. Fredda, dura e ruvida terracotta che sostiene tutto quel grande fiore, se così si può definire, con annesse le spine: la sua vita.
 
I giorni passarono sereni, e Mordred era riuscito ad integrarsi nell’Università senza problemi dando il massimo e comportandosi con umiltà e gentilezza; due doti che l’hanno sempre contraddistinto.
Viveva le sue giornate con gli altri e con Clarissa, che l’aveva preso di nuovo a cuore.
Viveva le sue giornate ignaro, o forse no, degli occhi scrutatori di Merlino che lo fissavano meditabondi pronti ad interpretare ogni singolo semplice gesto quotidiano che compiva per cercarne il passo falso, la cosa che l’avrebbe tradito e l’avrebbe reso il Mordred che lui sapeva fosse.
Odiava tutto questo.
Lo odiava perché persino Freya gli dava del paranoico e diceva che, invece, il giovane druido era una persona buona e sincera; dal cuore puro. Anche a Merlino sarebbe piaciuto se solo non fosse al corrente di tante cose.
Detestava il modo in cui tutti si lasciavano, secondo lui, abbindolare da quei suoi modi bonari e quell’animo puro che lasciava trasparire. Conosceva troppo bene il copione.
Continua a non credere alla frottola che Morgana si fosse impossessata della sua mente per farlo cedere di fronte a Kara e fargli combinare tutto quel casino.
Sapeva che, nonostante non fosse uno stregone estremamente potente, se solo avesse davvero voluto, si sarebbe potuto ribellare a lei; ma non l’ha fatto.
Arrendevole si è piegato al suo volere e ha lasciato che lei lo manipolasse fino ad arrivare a ciò che successe. L’inizio e la fine.
Merlino, in un pranzo qualunque in quella cucina del terzo piano, gira in senso orario il suo grande cucchiaio in quel piatto di minestrone caldo e pensa a tutto questo.
Siede vicino a Freya e i suoi pensieri sono interrotti dalle stridule risate che riecheggiano nella sua mente come un fastidioso ronzio imperterrito che gli blocca le sinapsi.
In uno scatto, lascia andare il cucchiaio nel piatto fondo e si alza di scatto, uscendo dalla cucina e lasciando tutti a metà.
Artù, che fino ad allora aveva assistito alle discussioni passivamente sorridendo e separando anche lui la sua mente da quello che stava accadendo in quel momento, decide di fermare Freya che vuole seguirlo ed esce lui.
Entra nella stanza di Merlino e Freya che si trova di fianco alla sua, sua destra.
- Non si usa più bussare?
Chiede Merlino infastidito dal balcone mentre si accende una sigaretta.
Artù chiude la porta ed entra nel balcone guardandolo strabiliato e fregandogli una sigaretta dal pacchetto, insieme all’accendino.
- Però... tu che fumi. E chi l’avrebbe mai detto.
- Lo so che mi guardi sempre come un coglione ma sono molto meno coglione di quanto riuscirai mai a capire.
Artù ride divertito dandogli uno spintone amichevole e lasciando il pacchetto di sigarette con l’accendino su un tavolo di vetro.
- Come stai?
Chiede Merlino.
- Sono un amico di merda, non te l’ho mai chiesto da quando...
Artù lo blocca toccandogli la mano.
- Da quando niente. Sto bene, non me ne frega un cazzo.
Cala il silenzio.
- Piuttosto, perché quest’uscita di scena? Il frullatore non ha frullato bene le carote e ti sei innervosito?
- Ma se non ho mangiato un cazzo.
- Lo so.
Tuonò Artù, e i due si guardarono.
- Io ti osservo, Mer. Lo sai. Per quanto tu sia fottutamente convinto che io ti consideri un coglione, per me non lo sei affatto. Osservo ogni cosa che fai quando siamo tutti insieme. Attraverso te, negli anni, ho imparato a capire, scegliere e vedere le cose. Quattro occhi sono meglio di due. Specie se sono i tuoi.
Merlino lo guardò stranito inarcando il sopracciglio ed espirando il fumo della sigaretta lentamente dalla b0cca. Artù si stizzì.
- Piantala con quelle facce di cazzo. Non ricevi un complimento da parte mia da...
Merlino lo guarda di nuovo con quello sguardo, stavolta divertito e in disappunto.
- Okay, forse non l’hai mai ricevuto e se questa è la tua reazione a riguardo adesso sai anche perché. Coglione.
I due ridono ma Artù cerca di tornare serio fumando dritto avanti a sé con lo sguardo verso il mare in lontananza.
- È Mordred, vero?
Merlino annuisce.
- Nemmeno io mi fido per un cazzo. Mi piace quel ragazzo è sveglio, intelligente, sempre così fottutamente gentile, Dio, sembra un cazzo di zerbino certe volte.
Merlino ride e si affoga leggermente col fumo. Anche Artù ride.
- Dico sul serio, non gli ho mai sentito dire di no, o finire una frase senza dire ‘prego’ ‘grazie’ ‘scusami’
- Eppure.
Tuona Merlino.
- Eppure.
Ribatte Artù.
- Se fa di nuovo il coglione con Clarissa io giuro su Dio che questa volta la spada gliela ficco su per il culo.
Merlino ride.
- Avevo sentito che nelle forze armate a furia di fare la parte del gradasso si diventa un gradasso, arrogante scurrile... asino.
Ripete la forse prima parola che gli ha detto appena si incontrarono anni fa, Artù se la ricorda e ride.
- Mi sa proprio che avevi ragione, sono un cazzo di asino. Me la sono fatta fare sotto al naso di nuovo... come si fa ad essere così stupidi, Cristo.
- Non è colpa tua lo sai, vero? Certe cose vanno così. Ginevra ha fatto la sua scelta, non puoi sapere se ti porterà qualcosa di meglio o qualc0sa di peggio se non te la vivi.
Artù si indignò.
- Io me la vivo e come.
Merlino inarcò un sopracciglio.
- Ah si? Ma davvero? Sei proprio sicuro?
Gli lasciò un tarlo che gli mangiava la testa. Sapeva che era la verità, che non se la stava vivendo. Che anche se fai finta che le cose non ti colpiscano, poi, ti colpiscono sempre. E fanno male. Cazzo se fanno male.
- Lo so. Ho bisogno di tempo per metabolizzare la cosa, anche se sarei l’ultimo uomo sulla faccia della terra ad ammetterlo.
Gli poggia una mano sulla spalla.
- Ce la farai, tutto a suo tempo. Nel frattempo però, non perdere di vista Mordred. Come hai ben detto prima, quattro occhi sono meglio di due.
Artù annuisce.
   
 
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