Teatro e Musical > Romeo e Giuletta - Ama e cambia il mondo
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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    23/01/2018    3 recensioni
[BenRoCutio][Reincarnation!AU]
"Era sempre stato così.
Fin da che Romeo riuscisse a ricordare - e nonostante la sua famiglia si ostinasse a negarlo - lui aveva sempre ricordato ogni cosa."
Dedicata a Carly per il suo compleanno.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Mercuzio Della Scala, Romeo Montecchi
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Fandom: Romeo e Giulietta – Ama e Cambia il Mondo
Rating: Verde
Personaggi/Pairing: Benvolio, Romeo, Mercuzio
Tipologia: Two-shots
Genere: Sentimentale, Fluff, Romantico
Avvertimenti: OT3, BenRoCutio. Dedicata a Carly per il suo compleanno.
Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono.

 

DELLA VITA E' TUA LA STORIA

 

CAPITOLO 1

 

Romeo, te l'ho già detto molte volte, non hai un cugino che si chiama Benvolio...”

Mamma, ma è il figlio di zia Caterina.”

Romeo, tua zia si chiama Marianna.”

 

E Mercuzio, il nipote del Principe?”

La storia del Principe te la raccontavo quando eri piccolo, non esiste nessun Principe.”

Ma mamma... Sono i miei migliori amici, non può essere.”

 

Quel bambino mi preoccupa, Vittorio... Non fa altro che parlare di questi due suoi amici immaginari.”

Col tempo gli passerà, forse conoscere altri bambini potrebbe fargli bene.”

NO! NON SONO IMMAGINARI! Sono i miei migliori amici... Papà, è vero...”

Ora basta, Romeo! Non esistono, fine della storia!”

 

Era sempre stato così.

Fin da che Romeo riuscisse a ricordare - e nonostante la sua famiglia si ostinasse a negarlo - lui aveva sempre ricordato ogni cosa.

Certo, da bambino aveva avuto qualche difficoltà, soprattutto quando parlava coi suoi genitori dei propri ricordi: solitamente lo liquidavano con un gesto della mano e con una scrollata di spalle, a volte urlavano, e sapeva per certo che anche i cugini lo prendevano in giro per questa sua ossessione – dai più ritenuta come un residuo di qualche fantasia infantile popolata da quegli amici immaginari della quale nessuno sopportava più di sentir parlare – ma lui aveva sempre testardamente rifiutato quell'opzione, i ricordi erano troppo vividi per essere solo un sogno o una fantasticheria da bambini e, col passare del tempo, si erano rafforzati sempre più.

Nel corso degli anni, i frammenti di immagini si erano radunati in gran numero nella sua testa, dando forma a persone, odori, sensazioni fin troppo reali, al punto che spesso, nel cuore della notte, si era risvegliato madido di sudore e col cuore stretto nel petto per il dolore che quei pezzi di ricordi gli procuravano.

E la mancanza... Ah, la mancanza era forse la più lancinante, lo lasciava senza fiato e sull'orlo delle lacrime mentre i visi di quelle due persone restavano impressi a fuoco nella sua mente, così dolci i loro nomi sulle sue labbra.

Mercuzio.

Benvolio.

Col tempo aveva imparato a tenere separati i ricordi e il presente, al punto che – per la maggior parte – la sua famiglia aveva pensato che fosse ormai acqua passata, che quelle fantasie infantili fossero finite e che, finalmente, Romeo avrebbe potuto avere una vita ricca e normale, laureandosi, trovandosi magari una bella ragazza, un buon lavoro, tutte quelle cose che, nella loro mentalità, erano le più importanti.

Ma Romeo stava semplicemente aspettando: sapeva di essere stato un Montecchi, ricordava quella guerra civile tra due famiglie che aveva insanguinato una città lontana nel tempo ma vicina nello spazio – l'aveva visitata spesso, Verona, nel corso degli anni, ormai la vecchia signora dell'albergo che frequentava lo trattava come un altro dei suoi figli, chiamandolo per nome, si assicurava di svegliarlo ogni volta che andava, ormai non gli faceva più pagare neppure la stanza e lui ricambiava aiutandola in piccole riparazioni per tutto l'edificio ormai vecchio – e il lancinante dolore dell'assenza veniva in parte lenito dai ricordi di estati passate tra quelle vecchie strade, “Là, eravamo scappati dalla balia e Benvolio mi aveva portato in braccio fino al vecchio forno in fondo alla strada per sgraffignare qualche biscotto” oppure “Mercuzio si nascose per ore dietro quel cespuglio per tenere d'occhio Tebaldo e i suoi.”, ogni angolo della città era pieno di piccole memorie, di gesti, sorrisi, battute e parole appena sussurrate tra una zuffa e l'altra, nonostante fosse passato così tanto tempo, Verona sembrava aver mantenuto quell'atmosfera familiare, come un figlio che ritorna a casa dopo tanto tempo; tuttavia, mentre la gaiezza della giovinezza lasciava il passo alla cupezza dell'età adulta, anche i ricordi ne risentivano, le cose precipitavano e l'ultima parte prima del sonno eterno...

Romeo si vergognava di quel suo passato, rendendosi conto che una parola soltanto avrebbe potuto cambiare le cose, che il suo uccidersi non aveva avuto altra conseguenza se non quella di lasciare solo Benvolio, già provato per la morte di Mercuzio e per anni non aveva provato altro che colpa e rammarico per le sue azioni.

Ciò aveva dato inizio alla sua attesa: come lui era tornato, rinato in un nuovo corpo, era sicuro che anche loro lo fossero, da qualche parte nel mondo, e la sua determinazione ardente lo portava a cercarne i visi in ogni persona che gli passava accanto per strada, nella speranza incrollabile di ritrovarli e tenerli finalmente accanto a sé.

Certo, ricordava anche Giulietta con tenerezza e affetto, eppure il suo cuore ormai maturato gli aveva fatto capire che non era lei la persona che cercava davvero, che quella loro passione travolgente non era servita ad altro che a ferire entrambi e a condurli alla distruzione: adesso, se pensava al futuro, non vedeva altro che una massa di ricci biondi come il grano e un sorriso furbo, accompagnati da una risata allegra e fraterna.

Accanto a sé, vedeva soltanto Mercuzio e Benvolio e avrebbe fatto di tutto per ritrovarli.

 

§§§

 

Come ogni mattina da che egli ne avesse memoria, Benvolio si svegliò con quel familiare dolore al petto.

Accanto a sé, Mercuzio era rannicchiato su un fianco, ancora mezzo addormentato, ma dalla rigidità dei muscoli Benvolio comprese che neppure lui doveva aver passato una gran nottata; con gentilezza, si sporse e posò un bacio tra le scapole, contribuendo a svegliare il compagno di una vita, il quale rotolò su sé stesso per guardarlo in viso: “Buongiorno...” mormorò con un soffio di voce, trattenendo a stento uno sbadiglio.

Fa più male del solito, vero?” Benvolio allacciò le mani dietro la nuca dell'altro e lo baciò sulle labbra: “Non ho dormito per niente.” ammise.

Mercuzio annuì prima di nascondere il viso nell'incavo della sua spalla: “Credevo di morire stanotte, il dolore era atroce...”.

Senza dire niente, Benvolio annuì, conscio del grado di sofferenza che doveva aver provato il fidanzato; amici da sempre, erano cresciuti nelle stesse case, figli della Verona bene, avevano frequentato le stesse scuole e gli stessi giri di amici; sempre assieme, si erano aggrappati a quel legame forgiato dalla scoperta di essere accomunati dal medesimo dolore del quale nessuno sapeva niente.

Le loro famiglie li avevano sottoposti a ogni genere di visita, era presente ma non voleva andarsene.

Col tempo, ne avevano discusso, si erano resi conto che si trattava di un senso di mancanza, qualcosa di fondamentale mancava alle loro vite – una sensazione che si attenuava lievemente quando erano assieme - ma non avevano la più pallida idea di cosa fosse; gli anni, nel frattempo, erano passati, loro erano cresciuti e ogni giorno veniva scandito da quella sofferenza che aveva impedito loro di avere una vita normale, di giocare a rincorrere gli amici per le stradine del centro storico, lanciandosi una palla da una parte all'altra di Piazza dei Signori, ma non era stata una grande perdita poiché aveva permesso loro di restare assieme per la maggior parte del tempo, fino al giorno in cui non si erano vicendevolmente confessati, ciascuno sdraiato su un letto d'ospedale per l'ennesima visita.

Benvolio poteva ricordare ogni istante di quella manciata di minuti in cui la loro vita era cambiata, in meglio: ricordava che Mercuzio si era voltato verso di lui, sussurrandogli un affettuoso, “Ti voglio bene.” prima di chudere gli occhi e addormentarsi sotto l'effetto dei farmaci che gli erano stati somministrati.

Il suo cuore di ragazzo aveva preso a battere forsennatamente nel petto, ringalluzzito da quelle parole che avevano dato nuova linfa al desiderio profondo di aver per sempre accanto quella persona, un sogno che accarezzava da tutta la vita; a fatica, inebriato dalla possibilità che gli si parava davanti, Benvolio era scivolato giù dal letto per avvicinarsi all'amico.

Barcollando, lo aveva raggiunto e, poggiate le mani sul bordo del letto, si era sporto a poggiare le proprie labbra su quelle di Mercuzio, premendo con urgenza il bacio disperato che gli stava donando.

L'attimo dopo, Mercuzio aveva ricambiato il bacio, sollevando il braccio tremante per cingerne il collo e stringerlo a sé, senza per questo aprire gli occhi.

Da quel giorno, il loro legame non aveva fatto altro che rinsaldarsi ulteriormente; al riparo dagli sguardi altrui, lo avevano curato con amore e, nonostante quel dolore lancinante che non dava loro tregua neppure per un momento, erano riusciti a costruire qualcosa di prezioso, celato in quell'appartamento di città dove si erano trasferiti assieme non appena raggiunta la maggiore età; una nuova vita, il lavoro che teneva entrambi impegnati durante il giorno...

Le loro giornate scorrevano pressocchè identiche, sveglia al mattino – se si era riusciti a prendere sonno -, uscire di fretta di casa baciandosi fugacemente nel portone prima di separarsi, Benvolio in ufficio e Mercuzio in studio fotografico o dove il suo lavoro di modello lo portava; quando infine calava la sera, Benvolio sapeva con certezza matematica che avrebbe trovato il fidanzato ad attenderlo sotto l'ufficio, lo avrebbe abbracciato e avrebbero ripreso a respirare mentre il dolore si attenuava appena, lasciandoli esausti ma pronti a recuperare le energie nel loro abbraccio.

Non era facile ma erano scesi a patti da tempo con quella vita.

Dai, vai a farti una doccia che puzzi.” rise Mercuzio, lanciandogli un cuscino in faccia e strappandolo al contempo alle sue riflessioni: “Io metto su il caffè, oggi lo farò più forte del solito.”

Grazie al cielo che esisti, non potrei vivere senza il tuo caffè.”

Come siamo romantici.”, Mercuzio gli baciò la guancia e la punta del naso: “Fila, ma non consumare tutta l'acqua calda che dopo tocca a me.”

Sarà fatto, Vostra Capricciosa Altezza.”

Sfottimi ancora e quel caffè te lo scordi.”

Ok, ok. Col caffè non si scherza.”

 

§§§

 

Sì, mamma, l'università va bene. Ho anche trovato un lavoretto serale per mettere da parte qualcosa.”

Ma non ce n'era bisogno, tuo padre è più che capace di mantenerti fuori casa, ovunque tu voglia stare.”

Non è niente di strano, ho conosciuto un ragazzo a lezione che lavora in un bar aperto fino a tardi che cerca sempre studenti da far lavorare, la paga è buona e gli orari tranquilli. Vorrei cambiare il cellulare e ne ho visto uno che fa al caso mio, vorrei acquistarlo con il primo stipendio.”.

D'accordo, ma non dirlo a tuo padre, sai quanto può essere sensibile su queste cose.”

Lo so. Infatti ne sto parlando con te. Ora ti saluto che devo andare, ciao mamma.”

Ciao amore, chiama più spesso, d'accordo? So che sei sempre impegnato, ma vorrei sentirti più spesso...”

Lo farò, ciao mamma.”

 

Con un sospiro, Romeo chiuse la telefonata con la madre, poggiandosi con la schiena contro il muro esterno del negozio da cui era appena uscito; con un cenno della mano, salutò il tatuatore all'interno e si diresse a passo spedito verso la strada trafficata poco lontano da lì; al petto, teneva stretta una cartellina blu acceso, forse l'oggetto più prezioso che possedeva al momento.

Era andato dal Re dei Gatti, uno dei tatuatori migliori della città, apposta per quel lavoro e non era rimasto deluso: col suo talento, aveva restituito colore e donato vita a quel lontano ricordo d'infanzia che voleva ad ogni costo incidere sulla propria pelle, tenerlo sempre con sé e su di sé; ci aveva pensato a lungo e se la sua ricerca si fosse rivelata infruttuosa, se non fosse mai riuscito a trovare Mercuzio e Benvolio... Almeno li avrebbe sempre portati con sé, in eterno.

Se anche la memoria, in futuro, lo avesse tradito, avrebbe sempre avuto qualcosa di loro a tenere viva la fiamma del ricordo.

Eppure...

Tra sé e sé, Romeo sorrise mentre l'immagine del volto del tatuatore gli tornava alla mente con vivida intensità: chi l'avrebbe mai detto che, prima o poi, si sarebbe fatto mettere le mani addosso da Tebaldo, e non nel senso che avevano sempre riservato ad un'espressione del genere.

Però doveva ammetterlo, il suo talento nel disegno era incredibile e proprio questo lo aveva condotto a rivolgersi a lui; e poi, chissà, sarebbe potuta nascere un'amicizia, qualcosa che gli era stato negato dagli eventi passati.

Forte di questa nuova risoluzione, il ragazzo aumentò la velocità - evitando la fiumana di gente che camminava nella direzione opposta alla sua e stringendo al petto la cartellina per non perderla – e raggiunse infine la strada dello shopping, trafficata e piena di gente nonostante l'ora fosse tarda e gli uffici ormai quasi del tutto vuoti.

Con un occhio a osservare le persone che andavano da una parte all'altra, Romeo si diresse verso il cuore del centro città, determinato a raggiungere la stazione della metropolitana più comoda per tornare a casa; mentre meditava su come arrangiarsi per la cena prima di immergersi nello studio che aveva trascurato per tutto il pomeriggio, imboccò distrattamente la strada sbagliata; una volta accortosi dell'errore, il ragazzo imprecò tra sé e sé e si girò di scatto per tornare sui propri passi.

Si era messo dietro una coppia di turisti che camminavano lentamente, intenti a consultare una cartina alla fievole luce dei lampioni e delle vetrine attorno, e stava per raggiungere l'arteria principale quando all'improvviso, vuoi per un calcolo errato degli spazi disponibili, vuoi per via dello zampino del destino, inciampò in un tombino semi-divelto; perso l'equilibrio, finì addosso a un ragazzo che, a passo svelto e con un coetaneo al braccio, andava nella direzione opposta alla sua.

Pur se non particolarmente violento, l'impatto sbilanciò entrambi, rischiando di farli cadere faccia in avanti sull'asfalto; con prontezza, fece in modo di cadere sulla schiena per attutire il colpo e afferrò istintivamente lo sconosciuto per risparmiargli un viaggio al pronto soccorso ma, nel farlo, la cartellina gli cadde dalle mani.

Fu tutto velocissimo.

Mentre i due ruzzolavano a terra, lamentandosi per il dolore, la cartellina si aprì, sparpagliando tutto attorno i fogli – bozzetti preparatori, prove di colore, preventivi e foto di possibili posizioni per il tatuaggio -; con il corpo dello sconosciuto tra le braccia, Romeo era sdraiato a pancia in su sull'asfalto mentre tutto attorno si radunava una piccola folla di curiosi, preoccupati per la caduta.

Frastornato per la botta e dolorante per l'impatto, Romeo cercò di mettersi perlomeno seduto ma una mano gentile lo fermò, bloccandolo a terra: “Stai fermo, non muoverti. Hai un brutto taglio sulla testa, c'erano dei vetri rotti per terra... Chiamate un'ambulanza!” gridò una voce incredibilmente familiare, anche se Romeo non riusciva bene a identificarne l'origine.

Nel suo spazio visivo, apparve un viso nella penombra della sera di primavera, incorniciato da una cascata di capelli biondi e dall'espressione preoccupata: “Stai tranquillo, non è niente.” disse lui; Romeo sospirò e allungò la mano al proprio fianco: “Dov'è la mia cartellina?!” chiese, sentendo l'ansia montargli nel petto.

Ce l'ho io.” rispose la prima voce: “Ho raccolto tutto, è al sicuro.”.

In lontananza, si udirono le sirene avvicinarsi e la piccola folla che si era ammassata fece spazio sulla strada per permettere al mezzo di soccorso sempre più prossimo di arrivare comodamente fino al ferito, al cui fianco inginocchiati erano rimasti quei due sconosciuti, non volevano andarsene: non soltanto perchè si sentivano responsabili in parte per l'accaduto ma anche perchè qualcosa, nel loro petto, aveva iniziato a fare più male del solito, un dolore lancinante, al pensiero di lasciare quel ragazzino da solo sull'asfalto, spaventato e indifeso.

Mercuzio, in ginocchio accanto a Benvolio, guardava inquieto la strada da cui sarebbe dovuta arrivare l'ambulanza e – pur se consapevole che non si trattava di una ferita grave, i tagli sulla testa sanguinano parecchio ma non sono pericolosi, nella maggior parte dei casi – stringeva con forza la mano dello sconosciuto, rassicurandolo di tanto in tanto con parole appena mormorate: “Ehi, occhi di cerbiatto, non addormentarti.” lo rimproverò bomariamente, dandogli un colpetto sulla guancia pallida, “Mamma non ti ha mai detto che dopo un colpo in testa bisogna restare svegli?”.

Solo tua madre è così apprensiva.” gli fece notare Benvolio, nel tentativo di stemperare la tensione che si era creata.

Papà è medico... Sono cresciuto imparando a leggere sui suoi libri.” borbottò Romeo, chiudendo gli occhi per tentare di trattenere le lacrime che, improvvise, avevano iniziato a scendere: “S-Scusate... Deve essere lo shock.” sussurrò, allungando una mano per asciugarle.

Un pezzo di cotone morbido lo anticipò, passando sulle guance come una carezza: “è arrivata l'ambulanza!” urlò improvvisamente qualcuno; qualche secondo dopo, la luce blu dei lampeggianti e il suono dei freni ne annunciò effettivamente l'arrivo, “Siamo qui!” gridò Benvolio, alzando il braccio per farsi vedere tra la gente e nel buio; il colore intenso delle divise catarifrangenti dei soccorritori ferì gli occhi di Romeo, che si lamentò per l'aggressione visiva, “Che è successo?” chiese uno.

Stavamo camminando e deve essere inciampato, mi è caduto addosso e siamo entrambi finiti per terra. Però c'erano dei cocci di vetro sull'asfalto che lo hanno ferito.” nonostante fosse ancora in parte sotto shock, Mercuzio spiegò lui stesso ai paramedici lo svolgersi degli eventi.

Deve averne ancora dei frammenti nella ferita.” aggiunse Benvolio, indicando qualcosa che rifletteva la luce, conficcato in parte nella carne del ferito: “Abbiamo cercato di tenerlo sveglio e di non muoverlo.”

Avete fatto bene, ora ci pensiamo noi. Come si chiama?” domandò il secondo milite.

Benvolio e Mercuzio si scambiarono un'occhiata: “Non ne abbiamo idea, non lo conosciamo.” ammise il primo.

Ehi, io sono Riccardo, tu come ti chiami?” il più anziano dei paramedici si chinò su Romeo e gli prese il polso: “R-Romeo...” rispose lui con un filo di voce.

Bene, Romeo. Ora ti portiamo all'ospedale, tu resta calmo. Non è niente di grave.”

S-Sì.”

Mentre la folla attorno cominciava a scemare, sulla scena restarono Benvolio e Mercuzio, le mani intrecciate, che osservavano preoccupati le procedure di soccorso, videro quel ragazzino minuto e spaventato venir caricato su una barella spinale mentre i vestiti venivano imbrattati dal sangue; tra le braccia, Benvolio teneva ancora la cartellina.

Veniamo anche noi!” esclamò all'improvviso Mercuzio, trascinando il compagno con sé dietro la barella che veniva spinta in fretta verso il mezzo in attesa: “Non avete detto di non conoscerlo?” domandò stupito il paramedico di nome Riccardo; Benvolio e Mercuzio annuirono, “Sì, ma non vogliamo lasciarlo qui da solo. E' terrorizzato.” intervenne il più anziano dei due.

Con un sospiro, il milite caricò la barella a bordo e fece spazio a entrambi: “Salite, ma fate in fretta. Aveva altri effetti personali con sé, che voi sappiate?”.

Mercuzio scosse la testa, indicando la cartellina ancora in loro possesso: “Soltanto questa”.

Allora andiamo. Luca, Ospedale Centrale, codice giallo.”

 

§§§

 

L'attesa non fu affatto lunga, complice anche la scarsa presenza di altri pazienti, ma Benvolio e Mercuzio ebbero l'impressione di aver trascorso ore seduti sulle scomode sedie della sala d'aspetto: “Speriamo stia bene.” borbottò il più giovane, con la testa poggiata sulla spalla del fidanzato, “Quanti anni avrà, 15? 16?”

Benvolio sospirò, accarezzandogli poi la testa: “Forse qualcuno di più, ma è comunque un ragazzino. Lasciarlo solo non era un'opzione.”.

Mercuzio non rispose, si limitò a stringersi maggiormente contro Benvolio: “Cosa succede?” chiese questi, baciandogli i capelli indomabili.

Questi scosse la testa e una mano andò ad afferrare un lembo della felpa all'altezza del petto: “Quando ci siamo toccati... Il dolore all'improvviso è scomparso.” confessò con un filo di voce, nascondendo il viso nella sua spalla: “Sparito, capisci? Come se non ci fosse mai stato, solo... pienezza.”.

A quelle parole, Benvolio ebbe un sussulto mentre nella sua mente si avvicendavano mille e una ipotesi: le parole di Mercuzio gettavano una nuova luce sulla faccenda, e quell'espressione...

Pienezza.

Come se, finalmente, quella voragine nei loro cuori fosse stata riempita.

Mentre i loro pensieri vorticavano, girandosi attorno gli uni agli altri come cani che tentavano di mordersi la coda, qualcosa iniziò a riemergere dagli angoli più remoti della loro memoria, stralci di un passato che ad ogni secondo si facevano sempre più brillanti e ingombranti.

Ho capito!” gridarono nello stesso momento e, nell'estatto momento in cui la luce della consapevolezza aveva illuminato le loro menti, si voltarono l'uno verso l'altro.

Le lacrime che solcavano i loro visi erano quanto mai veritiere e non meno dolorose di un pugno in faccia, tuttavia la pioggia dei loro occhi spazzò via l'ultimo banco di nebbia che ancora celava la parte più preziosa e nascosta di quel loro passato fatto a brandelli dallo scorrere del tempo e rimesso insieme nella persona di...

Romeo... E' Romeo, Mercuzio! Come abbiamo potuto dimenticarlo?!” Benvolio sembrava sul punto di cadere in ginocchio sul freddo linoleum e vomitare, pallido come un cadavere; il compagno non sembrava essere messo tanto meglio, il viso era arrossato per le lacrime ed era in piedi accanto a lui, incapace di restare seduto e fermo all'idea che Romeo fosse da qualche parte, chissà dove, spaventato e abbandonato.

C-Come è possibile, Benvolio...?” mormorò lui, lo sguardo puntato verso la porta: “C-Come abbiamo potuto dimenticarlo, mi chiedi...? Non so darti una risposta... Non s-so n-niente, s-so solo che mio fratello, nostro fratello non ci ha a-accanto a lui.” Mercuzio tremava mentre afferrava la mano di Benvolio per farlo alzare: “Dobbiamo trovarlo... A-Assolutamente.”.

L'altro annuì e si mise in piedi, asciugandosi poi gli occhi con una manica della camicia ancora sporca – Benvolio cercò di non pensare che quel sangue appartenesse a Romeo, altrimenti si sarebbe sentito peggio -; con la cartellina sottobraccio, Mercuzio fece per muovere un passo verso la porta quando questa si aprì, facendo entrare una giovane infermiera; questa ebbe un sobbalzo nel vederli in piedi, ma ancora di più nel vederne i visi così sconvolti: “V-Va tutto bene?” chiese lei, sistemandosi gli occhiali per esaminarli meglio.

D-Dov'è q-quel ragazzo?” chiese Benvolio, prendendo la parola.

Ero venuta ad avvertirvi. Il dottore è riuscito a ripulire la ferita e a metterci dei punti ma non vorrebbe farlo restare qui per la notte; dal momento che siete rimasti qui per tutto questo tempo, si chiedeva se poteste fare in modo di accompagnarlo a casa. Sa che non lo conoscete ma fa appello al vostro buon cuore.”.

Non c'è problema.” rispose il più anziano dei due, stringendo la mano di Mercuzio: “E, un'altra cosa. Abbiamo la sua cartellina, possiamo portargliela?”, così dicendo indicò l'oggetto ancora in mano al compagno.

Oh, meno male che l'avete voi!” esclamò la giovane donna: “Quel ragazzo ha fatto impazzire il dottore, era agitato, non trovava la sua cartellina, ha detto che conteneva documenti importanti. Vi accompagno.”.

   
 
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