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Autore: Lela2606    24/01/2018    3 recensioni
La gente ha cicatrici in posti impensabili, sono come mappe segrete delle storie personali, diagrammi di tutte le vecchie ferite. La maggior parte delle nostre vecchie ferite guarisce, lasciando alcune cicatrici. Alcune non guariscono.
Ti colpiscono sbucando dal nulla. Quando le cose brutte arrivano, arrivano all'improvviso, senza avvertire. È raro vedere che la catastrofe si avvicina. Non importa quanto ci prepariamo ad affrontarla. Facciamo del nostro meglio, ma a volte non è abbastanza. Allacciamo le cinture, indossiamo il casco, scegliamo strade illuminate... cerchiamo di difenderci. Cerchiamo di proteggerci con tutte le forze, ma non fa alcuna differenza. Perché quando le cose brutte arrivano, sbucano dal nulla. Le cose brutte arrivano all'improvviso, senza avvertire. Ma dimentichiamo che, a volte, arrivano così anche le cose belle.
Il destino ti mette così tanto alla prova da renderti inerme dinanzi alla catena di eventi che ti travolge, lasciandoti senza fiato.
Allora, cosa si è disposti a fare pur di rimanere a galla, pur di riemergere e prendere fiato?
Genere: Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Buonasera a tutti, cari lettori. Eccomi ritornata con una nuova storia che spero possa farvi emozionare e palpitare così come sta facendo con me mentre la scrivo. Spero di ricevere le vostre opinioni nei commenti così da poter avere sempre un confronto con chi legge: è molto importante sapere per me cosa ne pensate.

Un abbraccio, Lela.

 

 

 

 

La gente ha cicatrici in posti impensabili, sono come mappe segrete delle storie personali, diagrammi di tutte le vecchie ferite. La maggior parte delle nostre vecchie ferite guarisce, lasciando alcune cicatrici. Alcune non guariscono. 

Ti colpiscono sbucando dal nulla. Quando le cose brutte arrivano, arrivano all'improvviso, senza avvertire. È raro vedere che la catastrofe si avvicina. Non importa quanto ci prepariamo ad affrontarla. Facciamo del nostro meglio, ma a volte non è abbastanza. Allacciamo le cinture, indossiamo il casco, scegliamo strade illuminate... cerchiamo di difenderci. Cerchiamo di proteggerci con tutte le forze, ma non fa alcuna differenza. Perché quando le cose brutte arrivano, sbucano dal nulla. Le cose brutte arrivano all'improvviso, senza avvertire. Ma dimentichiamo che, a volte, arrivano così anche le cose belle.

Il destino ti mette così tanto alla prova da renderti inerme dinanzi alla catena di eventi che ti travolge, lasciandoti senza fiato. 

Allora, cosa si è disposti a fare pur di rimanere a galla, pur di riemergere e prendere fiato? 

Siamo davvero pronti a uscire la testa da sotto la sabbia e ricominciare a vivere prendendoci le nostre responsabilità?

La vita può essere così dura da farti desiderare di voler morire? 

Ci si può ritrovare tra una marea sterminata di gente eppure sentirsi così soli? 

Possono l’angoscia e la rabbia di un momento determinare gli istanti di tutta una vita? 

Come si può affrontare la propria esistenza quando quella degli altri intorno a te si sgretola come fosse un vaso di cristallo?

Questi sono gli interrogativi che mi sono posta quando i membri della mia famiglia sono stati spazzati via da un tragico incidente di cui non sono responsabile ma per il quale mi sono colpevolizzata abbastanza a lungo da sentirlo come un evento sul quale ho influito. Più volte mi sono chiesta perché le cose siano andate in questo modo e più volte sono sprofondata nello sconforto dell’incertezza e dell’ignoranza che mi faceva credere di non essere in grado di conoscere quello che sarebbe accaduto. Perché noi non siamo Dio, siamo esseri umani che sono stati messi sulla Terra per sperimentare la sofferenza al fine di tendere all’amore. 

Sebbene una fetta della sofferenza universale sia toccata anche a me, sono consapevole che nella vita non ci si può mai adagiare sugli allori: qualsiasi cosa deve essere accolta come un dono perché, se il più delle volte si rivela dolorosa, anche la vita è un dono.

 

Diretta verso una meta non ben definita, avevo deciso che la mia vita non sarebbe più stata a New York. Un volo last minute per un posto sperduto nel mondo sarebbe stato adatto nella speranza di ritrovare me stessa proprio nel momento in cui avevo perso tutte le costanti e certezze che, fino ad allora, erano state presenti nella mia vita. Purtroppo, però, non avevo considerato che l’idea di andare via non si sarebbe potuta concretizzare per un tempo così lungo. Ero tornata  per aprire una stupida busta e, appena avevo varcato le porte dello studio notarile a cui mio padre e mia madre avevano affidato le loro ultime volontà, sapevo, in cuor mio, che nulla sarebbe più stato come prima. La libertà che avevo tanto cercato di ottenere non era più nulla dinanzi all’ostacolo che mi si parava dinanzi: gestire l’azienda di famiglia dopo l’improvvisa morte dei miei genitori. Non sarei mai stata in grado di assolvere a quel compito; eppure, ci doveva essere un motivo se la metà più uno delle quote aziendali era stata affidata a me e non a mio zio che, sebbene fosse più vecchio ed esperto di me, non sarebbe mai stato in grado di essere lungimirante e e ponderando in quelli che dovevano essere gli affari di famiglia. Mio zio e mio padre erano due facce della stessa medaglia: il primo, la cui vista era ottenebrata dagli interessi che poteva ricavare, il secondo, fin troppo pietoso nei confronti di qualsiasi essere sulla faccia della terra. Io, Emily Sophie Anderson, ero chiamata a gestire una situazione molto più grande di me e a scoprire le circostanze, misteriose, che avevano condotto i miei amatissimi genitori alla morte. 

 

Nella Sala Conferenze dello sterminato edificio che ospitava l’azienda di famiglia, una vasta gamma di avvocati, tra cui lo spietato amico da una vita dei miei Henry Burton, sedevano attorno al grande tavolo ovale accompagnati dal notaio che di lì a poco avrebbe aperto la busta delle meraviglie. Notavo i loro comportamenti al di là della porta a vetri: mio zio era nervoso, continuava a rigirarsi attorno al mignolo l’anello in stile “ padrino ”, la gamba sinistra gli tremava e la fronte era imperlata di sudore. Non ero ingenua: nella mia breve vita avevo imparato che persone come lui era meglio farsele amiche o evitarle quanto possibile. Ambiva al posto di mio padre da anni, sin da quando mio nonno aveva deciso di affidare nelle sue mani capaci l’amministrazione di tutto l’impero. Ero libera di fare una scelta: accettare quanto c’era scritto in quegli stupidi fogli e soddisfare le volontà dei miei, oppure rifiutare gentilmente le varie proposte e andarmi a rintanare nel mio guscio protetto da qualsiasi dolore e sofferenza. Ma, in cuor mio, sapevo che varcando quella soglia avrei potuto solo fare quanto mi veniva detto. 

Con un profondo respiro, avevo deciso di andare incontro al mio destino: quello di zittire una sala conferenze piena di uomini in completo scuro con la mia sottile ma autorevole presenza. Ero risoluta, caparbia e ottenevo sempre quel che volevo, ma a patto di farlo solo per mezzo di sacrifici e duro lavoro. 

Al mio ingresso, il manipolo di uomini si alzò con sguardo desolato: in me vedevano la piccola orfanella che doveva essere protetta dal mondo. Le cose in futuro sarebbero state diverse: al mio passaggio, ognuno di loro, avrebbe tremato. Con sguardo sicuro e impenetrabile li guardai uno per uno per gli avvoltoi che erano, a partire da mio zio James. 

Il notaio, Cooper Clark, mi invitò ad accomodarmi dinanzi a lui per prendere visione di quella patata bollente che era il testamento. 

<< Buongiorno a tutti.>> esordì Clark con voce sicura nella stanza. Sapevo perché mio padre Elijah aveva scelto proprio Clark: era diretto e veloce, non si perdeva in fronzoli. << Ecco le ultime volontà dei Signori Anderson… >> Con un profondo respiro  fu poi libero di proseguire. << Le quote aziendali di mio fratello James rimarranno immutate insieme al suo posto di vice presidente nell’azienda. La casa di proprietà di South Beach rientrerà tra le sue proprietà insieme ad una liquidazione di cinquanta milioni. A mia figlia, la mia amatissima Emily Sophie, le quote di maggioranza dell’azienda, l’amministrazione della Anderson Enterprise Holdings, l’attico con vista sull’East River al 520 della East 72nd Street insieme all'attico con vista sul Lincoln Center presso 1965 Broadway ed un patrimonio stimato di cinquecento milioni sono proprietà a suo favore con la speranza che riesca a farne buon uso. >> Con “ Questo è quanto ”, il notaio aveva terminato la sfilza delle varie disposizioni.

 

Avevo trattenuto il fiato per tutto il tempo. Erano poche istruzioni, ma chiare. Mio zio James era talmente arrabbiato che temevo sarebbe scoppiato come un palloncino da un momento all’altro. Il notaio intervenne un’ultima volta. << Miss Anderson, suo padre mi ha incaricato di affidare nelle sue mani questa lettera. Eccola… >> Mi tese la busta sottile ed io la presi tra le mie mani. 

Nel frattempo notavo le reazioni dei vari presenti in sala. << Ma stai scherzando Cooper!? Non può essere solo questo! >> 

<< Anderson, questo è il testamento puoi leggerlo e vedere con i tuoi occhi. >> Cooper tagliò corto mentre un’espressione di orrore e disprezzo gli si dipingeva sul volto. 

Non avevo più i miei genitori, ma prima che morissero si erano premurati di lasciarmi nelle mani dei loro più fedeli collaboratori. Magra consolazione!

Al momento della firma di conferma del testamento tentennai e, chiesi, rivolgendomi al notaio: << Se rifiutassi? Cosa mi resterebbe? >> Tutti rimasero interdetti per più di qualche minuto pensando che fossi una matta. Fu Burton a rispondermi. << In quel caso, Emily, avresti tutto tranne la presidenza della società che spetterebbe a tuo zio. >> Mentre decidevo le mie sorti, vidi il tipico sguardo del gatto che ha mangiato il canarino sul volto di mio zio, sicuro di avere la vittoria in tasca, talmente sicuro che gli avrei lasciato caso libero da restare interdetto al mio sorriso di sfida. Le parole che pronunciai accettando l’offerta e firmando ogni procura dissiparono nella sua mente ogni convinzione che avrebbe potuto garantirgli quella enorme ricompensa. << Emily, non sarai mai in grado di gestire tutto questo pandemonio. Io ti sto avvisando… Sei una bambolina sull’orlo di un precipizio. >> La teatralità del gesto con cui espresse il “ precipizio ” mi fece quasi ridere.

<< Non saranno di sicuro i vostri avvertimenti a farmi desistere, zio. Sarò pronta a frantumarmi se sarà necessario. >> Lo scontro verbale non si sarebbe placato se io non avessi deciso di andar via da quella stanza. Corsi verso l’uscita dell’edificio, sperando di prendere una boccata d’aria fresca prima di collassare. Ero stata fredda e distaccata sin dalla morte dei miei genitori. Ora la mia mente iniziava seriamente a realizzare che mia madre e mio padre non c’erano veramente più. Le due ancore nella mia vita erano morte ed io ero disperata. L’aria nei miei polmoni era evaporata. Burton e Cooper mi seguirono come dei segugi giù per le scale. Appena arrivai sul marciapiedi che costeggiava l’edificio, le mie gambe non riuscirono più a trattenere il peso del mio corpo, la vista mi si annebbiò facendomi piombare nell’oscurità. 

Gli ultimi ricordi: un paio di braccia forti che mi sostenevano prima di schiantarmi al suolo, le urla di Cooper e Burton, due preoccupati occhi azzurri come il mare d’estate. 

<< Emily! >>

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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