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Autore: Blablia87    26/01/2018    4 recensioni
John Watson, ex medico militare, non ha mai utilizzato - benché gliene sia stato fornito uno come sostegno durante il periodo di riabilitazione a seguito di un ferimento in missione - un R'ent. 
Preferisce continuare a percepire la realtà attraverso i sensi, invece di riceverla sotto forma di impulsi elettrici.
John Watson non comprende come possano esistere persone, i Ritirati, che decidono di isolarsi in modo permanente dal mondo lasciando ai propri Sostituti il compito di unico filtro tra loro e l’esterno.
John Watson è convinto che, per lui, la guerra sia finita.
Fino a quando il R'ent di un Ritirato, Sherlock Holmes, non compare sulla porta del suo studio in cerca di aiuto.
[Sci-Fi!AU][Johnlock][“Android”!Sherlock]
Genere: Angst, Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Non è tanto dell'aiuto degli amici che noi abbiamo bisogno, quanto della fiducia che essi ci aiuterebbero nel caso ne avessimo bisogno.
(Epicuro)


16.
(ovvero di chip scomparsi e localizzazioni concesse)



«Dio. È un fottuto cimitero» esalò Leonard Gregson, percorrendo faticosamente gli ultimi metri che lo separavano dal piccolo accampamento di fortuna costruito dalla Scientifica a lato del fiume.
«Sì, capo» confermò uno degli agenti di guardia, alzando il nastro che delimitava la zona per permettere all’ispettore di accedere all’area del ritrovamento. «Ross, il responsabile della squadra forense, parla di venti, forse trenta corpi.»
«Trenta…» ripeté Gregson, scivolando con la suola liscia delle scarpe sul terreno fangoso. Un uomo, completamente coperto da una tuta protettiva, lo aiutò a rimanere in piedi allungando un braccio verso di lui.
«Questa maledetta pioggia non ci da tregua» grugnì l’ispettore, a denti stretti. «Quanto ci vorrà per concludere le analisi preliminari?» domandò poi, voltandosi in direzione del tecnico che – con risolutezza e passo spedito – lo stava guidando verso il gazebo in plastica bianca innalzato a protezione dei reperti.
«Con questo tempo?» rispose lui, alzando uno sguardo verso il cielo scuro sopra di loro. «Ore
«Ore…» ripeté Gregson, fermandosi pochi passi prima della tenda attorno alla quale una decina di uomini stavano lavorando alacremente.
Un paio - i più vicini ai corpi, riversi a terra accatastati li uni sugli altri - erano intenti a fotografare ogni più piccolo particolare, spostandosi di pochi centimetri alla volta.
Una goccia, sospesa sulla punta di una delle foglie che nascondevano il sentiero dal parco sovrastante, si staccò dopo un breve ondeggiare, cadendo sulla falda del copricapo dell’ispettore. La stoffa si piegò in avanti, schiacciata del peso dell’acqua.
L’uomo imprecò a mezza bocca, le scarpe affondate nel fango fin quasi ai lacci.
«Idee?» domandò a voce alta, rivolto principalmente ai due tecnici chini, macchine fotografiche alla mano, vicino ai corpi. «Qualche teoria su come così tanti androidi siano finiti quaggiù?» provò di nuovo, guardandosi attorno.
«Sono R’ent, Ispettore. Non ‘Bot» rispose una voce alle sue spalle. Un uomo, coperto fino alla testa da una tuta protettiva in PVC bianco, si avvicinò a lui. Quando furono affiancati, gli lanciò un’occhiata eloquente. «Tutti Sostituti.»
«Non è possibile. I loro Fingunt ne avrebbero denunciato la scomparsa» obbiettò Gregson, tornando a concentrarsi sulla catasta di teste, mani e gambe che riluceva sotto la luce fioca dei faretti posizionati dalla scientifica. «Di chi diamine sono? Voglio i loro C.I.1) sulla mia scrivania il prima possibile.»
«Mhm» mugugnò l’altro, facendo cenno di no con il capo.
«Qualche problema?» gli domandò l’Ispettore, spazientito.
«Più di uno, a dire il vero» rispose l’uomo, grattandosi il mento attraverso l’involucro di plastica che lo avvolgeva. «I primi due corpi che abbiamo sommariamente esaminato ne sono… privi» spiegò, il corpo percorso da piccole gocce di pioggia.
«Privi» ripeté Gregson, con tono sempre più irritato.
«Privi. Un’asportazione violenta, da quanto ho visto» confermò l’altro. Arricciò le labbra in un’espressione pensierosa, annuendo.
«Questa cosa non ha senso, se ne rende conto?!» sibilò l’ispettore, guardandosi attorno con fare nervoso.
«Assolutamente. Ma ciò non cambia quello che è sotto i nostri occhi.»
L’uomo sbatté un paio di volte i talloni a terra, cercando di togliere quanto più fango possibile dalle suole. Poi, le mani affondate nelle tasche della tuta, mosse qualche passo in direzione del gazebo.
«Se vuole il mio parere, siamo in un fottuto casino» aggiunse, voltandosi in direzione di Gregson. «E potrà solo peggiorare» terminò, facendo cenno a due degli uomini che stavano compattando il terreno ai lati della tenda di cominciare a portare le barelle per poter traslare i primi corpi nei furgoni, posteggiati alla fine della ripida salita verso il poggio.
 
«Maledizione!» ringhiò l’ispettore, calcandosi con forza il cappello sulla testa e allontanandosi della struttura con passi pesanti, resi difficoltosi dalla pioggia e dalla melma che lo tratteneva al suolo ad ogni passo. Estrasse dalla tasca dell’impermeabile un cellulare, sboccandolo con gesti nervosi e rigidi. Si avvicinò lo schermo al viso, per riuscire a vedere qualcosa oltre la barriera di acqua che continuava a scendere dal cielo, incessante. Poi, guardandosi attorno con aria furtiva, si portò l’apparecchio all’orecchio destro.
Sbatté ancora, per un paio di volte, i piedi a terra, inquieto. Poi, quando sentì la comunicazione attivarsi, si portò la mano sinistra a protezione delle labbra, sussurrando con tono teso: «Mister H., Gregson. C’è qualcosa che dovrebbe vedere.»
 
 
***
 
 
«Vai pure.» La voce di Sherlock, perentoria, riempì il salotto sovrastando l’allegro crepitio del fuoco che – da circa un’ora – ardeva nel camino di Baker Street.
 
Lo avevano acceso con scampoli di giornali e vecchie riviste quando il R’ent, alzando lo sguardo sul medico, si era reso conto che l’altro non aveva ancora tolto il cappotto.
«Potevi dirmi che avevi freddo» aveva esordito Sherlock, alzandosi dalla propria poltrona ed iniziando a radunare e gettare alla rinfusa oggetti nel vano del caminetto.
«Puoi dedurre cosa ho mangiato una settimana fa da una macchia sul colletto della camicia, e non che in un appartamento abbandonato da anni faccia freddo…?» aveva risposto il medico, canzonandolo con un sorriso bonario.
«Io…» aveva iniziato l’altro, irrigidendosi appena. «Ho perso allenamento riguardo a questi aspetti, negli anni» aveva terminato velocemente, estraendo dal cassetto del tavolo del salotto una scatola di fiammiferi. Ne aveva quindi acceso uno, gettandolo al centro del piccolo cumulo di carta polverosa accatastata nel braciere di mattoni.
«Al percepire il caldo e il freddo?» John aveva aggrottato le sopracciglia, non riuscendo a comprendere del tutto come qualcuno potesse distaccarsi da una cosa simile.
«Anche» si era limitato a rispondere l’altro, prendendo nuovamente posto sulla poltrona.
 
«Non c’è bisogno che rimaniamo entrambi ad aspettare. Vai» ribadì il R’ent, indicando con un movimento rapido della testa la porta alle spalle del medico. Lui assunse un’aria interdetta, voltandosi in direzione dell’uscio.
«Nelle ultime due ore hai guardato l’orologio ad intervalli regolari, che si sono fatti sempre più ravvicinati nell’ultima mezzora. È chiaro che tu stia cercando di non far tardi ad un appuntamento ed è altrettanto chiaro – dato che sei ancora seduto qui con me, invece che sulla strada per il suddetto – che non sia un appuntamento piacevole. Ieri hai fatto il turno di notte in clinica, cosa che presuppone un giorno di riposo o una rotazione pomeridiana. E, a giudicare dallo sguardo irritato con il quale hai controllato l’ora le ultime due volte, direi che siamo molto vicini allo scattare del tuo turno. Posso azzardare che tu debba essere in clinica alle… - allungò le mani verso l’altro, facendo cenno di volere il cellulare. John glielo passò con un gesto meccanico - sedici?» concluse il R’ent, riconsegnando l’apparecchio tra le dita del suo proprietario.
«Dio» sussurrò il medico, scuotendo la testa. «Non mi abituerò mai, a questa cosa» rise, infilandosi il telefonino nella tasca del soprabito.
«Ci si abitua a tutto, credimi» rispose Sherlock, sovrappensiero. «Davvero a tutto. Ad ogni modo: vai pure» ripeté, ancorando gli occhi a quelli del medico.
«Sei sicuro…?» rispose lui, incerto. «Posso telefonare, e avvert-»
«È inutile rimanere entrambi seduti in qui ancora per chissà quanto tempo. Quando il mio contatto mi avrà fornito le informazioni che mi servono, farò in modo di fartelo sapere» lo rassicurò Sherlock, annuendo con convinzione.
John sembrò riflettere sulla proposta per qualche secondo. Poi, lentamente, si portò in piedi.
«Bene. Sì, bene» disse, a fatica. Mosse qualche passo rigido verso la porta, bloccandosi a metà della distanza. «E se ci fosse un’emergenza? Hai un cellulare con te?» domandò, voltandosi.
«No» rispose l’altro, tranquillo. «Non porto mai con me oggetti così facilmente localizzabili» spiegò poi, di fronte allo sguardo sbigottito del medico.
«Stai manovrando un R’ent» gli ricordò lui, basito. «Praticamente un’antenna mobile a grandezza d’uomo!»
«Non il mio.» Sherlock sollevò le spalle, con aria noncurante. «Avrai mie notizie. Te lo garantisco» riprese, tornando ad indicare la porta a John.
«E se avessi bisogno io di mettermi in contatto con te?» ribatté lui, di getto.
Il R’ent aggrottò le sopracciglia. «Perché dovrest-» cominciò, venendo subito interrotto dall’altro.
«Come posso rintracciarti, se ci fosse un'emergenza?» ripeté John, testardo. «Se qualcuno viene a cercarmi, o se dovessero provare a farti sparire per quello che abbiamo visto?»
«Ti stai preoccupando per me?» domandò il detective, socchiudendo le labbra, sorpreso.
«Sto… pianificando» si affrettò a chiarire il medico, arrossendo appena. «È quello che fanno i militari.»
«Soldati?»
«Soldati» confermò John.
Sherlock imitò un respiro profondo, il Fluido a pompare rapido nei canali posti nel petto.
«Ho un GPS sottocutaneo non collegato al mio Apparato Centrale» sussurrò, con scarsa convinzione. «Si può accedere alla mia posizione con un nome utente ed una password, se collegati ad un preciso host.»
«E…?» lo incalzò John.
Sherlock lo guardò malvolentieri, spostando lo sguardo subito dopo.
«E va bene, maledizione. Ma solo perché è la cosa più logica» soffiò, alzandosi ed avvicinandosi a passo svelto al medico. Gli occhi fissi su di lui, gli affondò la mano destra nella tasca sinistra del soprabito, i loro visi talmente vicini da riuscire a specchiarsi l’uno nelle iridi dell’altro.
«Ecco… qui» borbottò, estraendo il cellulare di John e trascrivendo velocemente le informazioni necessarie al proprio ritrovamento come messaggio di testo. «Nessuna domanda. Va bene?»
John lesse un paio di volte indirizzo URL e dati di accesso, socchiudendo le labbra.
«Nessuna. Domanda» ribadì l’altro, tornando a rivolgersi verso la poltrona. «E adesso vai.»
Il medico fu sul punto di aggiungere qualcosa ma, dopo qualche attimo di esitazione, decise di lasciar perdere. Bloccò il telefono e lo rinfilò in tasca, dirigendosi alla porta.
«Non ci sarà bisogno di usarli. Mi farò vivo io» riaffermò un’ultima volta il R’ent, mentre John usciva dall’appartamento.
Lui annuì, in silenzio, sparendo poco dopo.
 
Sherlock, rimasto solo, si voltò verso il caminetto, le labbra strette tra i denti ed il riflesso allegro delle fiamme impresso negli occhi carichi di ombre. 





Note:
 
1) C.I.”: Chip Identificativo.

Ogni R’ent possiede un microcircuito - contenuto in un piccolo alloggiamento sulla nuca - con registrati all’interno tutti i dati che lo riguardano, comprese caratteristiche fisiche particolari, attributi software ed informazioni relative al Fingunt che lo ha acquistato.




 
Angolo dell’autrice:

Sto attraversando un periodo particolarmente complesso, sia a livello emotivo che fisico. Spesso fatico a fare le cose più semplici, e finisco col dimenticare anche ciò che dovrebbe far parte della "routine". 
I miei interventi in questo spazio sono sempre più brevi e "vuoti", me ne rendo conto, ma purtroppo - proprio per quanto detto poc'anzi - devo tentare di concentrare tutte cose da fare - compreso il pubblicare - nel poco tempo realmente produttivo del quale riesco a disporre.

Spero mi perdonerete, anche e soprettutto per il ritardo sempre maggiore nel rispondere alle vostre recensioni. 

Rimedierò, promesso.

Grazie, come sempre e di cuore, a chiunque abbia letto fin qui. ^_^

A presto,
B.
   
 
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