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Autore: Echocide    27/01/2018    0 recensioni
Dai lombi fatali di questi due nemici
toglie vita una coppia d'amanti avventurati,
nati sotto maligna stella,
le cui pietose vicende seppelliscono,
mediante la lor morte...

Agreste e Dupain sono due famiglie nobili di Paris, una città ricca di mistero e magia.
Una notte, il patriarca degli Agreste condanna i Dupain alla morte e dalla strage della famiglia, una bambina si salva: il suo nome è Marinette.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Altri, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: Inori
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: fantasy, romantico, drammatico
Rating: PG
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 2.124 (Fidipù)
Note: E dopo lo switch con L'Agenzia Mariti Perfetti, ecco qua il nuovo capitolo di Inori! E vi informo che mancano esattamente quattro capitoli al finale che, come si può leggere da questo capitolo, comincia a delinearsi. Detto questo, come sempre vi ricordo la pagina facebook per ricevere piccole anteprime e restare sempre aggiornati e al gruppo facebook Two Miraculous Writers, gestito con la bravissima e talentuosa kiaretta_scrittrice92, per tutto i miei social, invece, vi rimando alle note del mio profilo.
Per concludere, voglio dire grazie a tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste!

 

 

Avanzò nella stanza, ascoltando il rumore delle suole degli stivali sul pavimento di marmo, storcendo la bocca e trovando quel rumore così estraneo all'ambiente: «Padre» bisbigliò, chinando lievemente la testa e avvicinandosi all'uomo che, nonostante il suo appello, non si era mosso. Gli aveva concesso un'occhiata, prima di tornare nel suo mondo fatto di indifferenza; inspirò e lasciò andare l'aria, facendosi così coraggio e cercando le parole che avrebbero potuto smuovere il genitore: «Padre, io non so…»
«Perché sei tornato?»
Tre parole erano tutto ciò che Gabriel gli aveva rivolto, una domanda e un'accusa assieme quasi, Adrien non era neanche certo di averle sentite perché le labbra dell'uomo si erano mosse appena: «Perché siete in pericolo, padre. Paris…Paris è allo stremo. In questo periodo, io ho visto come vive il nostro popolo e come viene trattato: non resisterà ancora per molto e Sabine Dupain…» si zittì, osservando lo sguardo del genitore posarsi su di lui e una furia omicida attraversagli il volto non appena aveva pronunciato il nome della donna: «Sabine Dupain sta istigando il popolo contro di voi.»
«Che lo faccia, non mi spaventa.»
«Dovresti, padre» Gabriel lo fissò, spostando poi nuovamente lo sguardo verso il fuoco morente e senza spostarlo: «Non è tardi per trovare…un accordo. Ecco sì, trovare un compromesso con i Dupain, magari potremmo…» Adrien si zittì, ascoltando lo sferragliare che stava provenendo dall'esterno della camera: si voltò, fissando con orrore la porta della stanza e ascoltando quella cacofonia farsi sempre più vicina, fino a quando i soldati non irruppero con le spade sguainate e puntate verso di lui.
«Vostra altezza Adrien, siete pregato di non opporre resistenza» dichiarò uno dei soldati, avvicinandosi con le mani alzate e i palmi rivolti verso di lui, quasi ad assicurargli che non gli avrebbero fatto alcunché; Adrien si portò la mano destra al cinturone, chiudendo le dita nell'aria e storcendo la bocca quando si ricordò di aver lasciato la spada con Plagg: non aveva preventivato di averne bisogno nel luogo in cui era cresciuto e, di certo, non durante un colloquio con il genitore.
Lasciò andare un sospiro, abbandonando la posizione difensiva che aveva inconsciamente assunto e fece vagare lo sguardo dalle guardie al padre, ancora immobile davanti il camino: «Immagino che verrò spedito nelle mie stanze…» mormorò, avvicinandosi ai soldati e lasciando che questi lo prendessero per i polsi.
Ci sarebbe voluto più di quanto aveva pensato, ma sarebbe riuscito a convincere il padre e a cercare un accordo con Sabine Dupain; inoltre era già fuggito dalla sua camera una volta, poteva farlo una seconda.
«Portatelo nelle segrete» dichiarò Gabriel, fermando le guardie che già lo stavano scortando fuori dalla stanza: «E' un estraneo che si è introdotto in questo castello, niente più e niente di meno di un comune ladruncolo…»
«Padre!» Adrien strattonò le braccia, cercando di liberarsi dalla presa delle guardie e voltando la testa per quanto poteva, cercando di vedere il genitore: «Lasciatemi andare! E' un ordine!» dichiarò, osservando i due uomini indecisi su quale ordine eseguire: quello del loro reggente o quello del principe.
«Chi sei tu per dare ordini ai miei uomini?» Gabriel si avvicinò, fissando il figlio e storcendo la bocca: «Ho ripudiato la tua esistenza nel momento stesso in cui hai abbandonato il castello» continuò, tenendo lo sguardo in quello verde del ragazzo e poi spostandolo sui suoi sottoposti: «Portatelo in cella. Subito.»
 
 
 
Marinette si strinse al petto il foglietto, posando la mano libera sul corrimano e scendendo la scala con calma, sebbene dentro di sé sentiva il bisogno di correre, di saltare due a due i gradini e giungere velocemente al piano inferiore, ma la luce fioca delle lampade non le permetteva ciò.
Non aveva senso cadere e potersi ammazzare.
Non in quel momento.
Arrivò alla fine della gradinata, percorrendo il corridoio che, sapeva benissimo, l'avrebbe condotta alla parte posteriore dell'abitazione, quella che Fu aveva adibito a suo uso personale ma il chiacchiericcio sommesso che le giunse dalla parte opposta la fece fermare dopo pochi passi.
Si voltò indietro, dirigendosi verso il vociare che sentiva, giungendo fino alla porta del salottino dove Fu era solito ricevere gli ospiti; sollevò la mano, bloccandosi a metà gesto e domandandosi se era il caso di disturbare il suo anziano ospite e la persona con la quale stava parlando.
Scosse la testa, relegando ogni dubbio e insicurezza, stringendo il foglietto contro il seno e abbattendo la mano sul legno, bussando e attendendo una risposta; aspettò poco, vedendo la porta aprirsi e la figura minuta di Fu comparire: «Vostra altezza…» bisbigliò, guardandosi indietro per una manciata di secondi e poi riportando l'attenzione su di lei: «Siete arrivata al momento giusto.»
«E'-è successo qualcosa?» domandò Marinette, trovandosi incapace di capire: forse Fu sapeva della sparizione di Adrien, forse stavano operando assieme e lui era lì, forse…
Fu aprì completamente la porta, mettendo fine ad ogni suo pensiero: seduto al tavolo, con un boccale davanti a sé, Otis Césaire la fissò per un attimo, prima di chinare la testa in segno di saluto; dietro di lui, Alya si stava torcendo le mani e teneva lo sguardo preoccupato sul genitore.
«Che cosa…?»
«Mia principessa» mormorò Otis, alzandosi e raggiungendola, inginocchiandosi al suo cospetto e tenendo chino il capo: «Vostra madre ha deciso di assaltare il castello degli Agreste appena il sole sorgerà. Il popolo di Paris è con lei e tutto ciò…»
«Tutto ciò darà inizio a un bagno di sangue, ecco!» dichiarò Fu, quasi sputando fuori le parole e fissando l'uomo: «Il tuo compito era tenere calma la sete di sangue di Sabine, non alimentarla.»»
«Io non ho fatto niente…»
«Lo vedo che non hai fatto niente.»
Marinette strinse le dita, accartocciando il foglietto e guardando i due uomini, incapace di comprendere quello che stava succedendo o che avrebbero voluto da lei: non le interessava, non le importava neanche dei piani della madre, tutto ciò che il suo intero essere sembrava reclamare era il riavere Adrien.
«Se n'è andato» mormorò, attirando su di sé l'attenzione di Fu e mostrandogli il pezzo di carta che aveva tormentato fino a quel momento: «Io non so dove…»
«Mi dispiace» mormorò Fu, leggendo quell'unica parola vergata e scuotendo il capo: «Non so dove il principe sia potuto andare e, vostra altezza, questo è il nostro ultimo pensiero al momento.»
«Il principe?»
«Più tardi, Otis. Ora dobbiamo rimediare al danno.»
«E come pensi di rimediare? Mentre parliamo, sicuramente Sabine sta già marciando verso il castello!»
 
 
 
Adrien poggiò la fronte contro le ginocchia, inspirando l'aria fredda che gli solleticò le narici, facendogli storcere il naso: non era mai stato in quell'area del castello, non che al principe servisse a qualcosa andar nelle cantine e nelle segrete del castello.
Neanche nelle perlustrazioni, dettate dalla noia, che aveva fatto con Nino si era azzardato a scendere fin laggiù. E invece ora c'era, come un criminale era stato gettato là dentro, senza la possibilità di spiegarsi, di poter far comprendere al padre quello che, a breve, sarebbe accaduto.
Sabine Dupain avrebbe continuato ad aizzare il popolo e poi l'avrebbe spinto contro il reggente di Paris, contro suo padre.
Strinse le mani a pugno, sentendosi un idiota per aver pensato che tutto si sarebbe potuto risolvere con una semplice chiacchierata, che solo così avrebbe potuto far comprendere qualcosa a suo padre, per poi tornare tranquillamente dalla sua Marinette.
Che cosa stava facendo?
Si era svegliata e aveva trovato il suo biglietto?
Addossò la nuca contro la pietra, rendendosi conto che non sapeva neanche che ore fossero e non era capace di quantificare da quanto tempo fosse stato gettato lì: minuti? Ore? Gli era impossibile capirlo.
Marinette.
Era preoccupata per lui?
Che cosa aveva pensato non trovandolo?
O forse era ancora immersa nel sonno, tranquilla e certa di trovarlo al suo fianco una volta sveglia?
Inspirò, socchiudendo gli occhi e riportando alla mente il viso dai lineamenti delicati, gli occhi azzurri che lo fissavano sempre con quel misto di imbarazzo e adorazione, le labbra rosee piegate in un sorriso e i capelli scuri come la notte che le carezzavano il collo.
Sì, così l'avrebbe sempre ricordata, anche se il suo gesto lo avrebbe condannato a rimanere lì e morirci.
«Sai, è sempre stato facile manovrare tuo padre…» la voce lenta e cadenzata di André Bourgeois lo riscosse, facendogli aprire le palpebre e strappandolo dai suoi pensieri, si voltò osservando l'uomo che lo fissava con un sorriso di compiacenza in volto: «E' sempre bastato gettargli qualche boccone e lui imbastiva il tutto, senza farmi faticare troppo.»
«Che cosa?»
André si avvicinò, allungando una mano e carezzando le sbarre di metallo, lo sguardo che quasi si perdeva nel nulla: «Paris doveva essere mia. Non di Dupain, non di tuo padre. Mia. Mia solamente, ma i Dupain erano i regnanti da secoli e quanto ho sperato di avere un figlio maschio da dare in sposa alla giovane rampolla dei Dupain ma, come ben sai, sono stato condannato dall'avere una femmina. Come poter usare ciò che avevo fra le mani per raggiungere ciò che bramavo? Tu eri già stato promesso alla figlia di Dupain, e non vedevo nessuna possibilità, finché…»
«Finché?»
André scosse il capo, portandosi le mani alla cintura e sistemandosela a modo: «Beh, non penso ci sia bisogno che ti spieghi. Non credi?»
Adrien lo fissò, annuendo con la testa e inspirando: lui. Era sempre stato lui.
Dalla morte di sua madre, André Bourgeois aveva sfruttato suo padre e lo aveva rivolto contro i Dupain, sancendo così la fine della famiglia regnante di Paris, aveva fatto sì che la promessa fra le due famiglie venisse meno e che ne fosse allacciata una nuova, quella del matrimonio fra lui e l'erede dei Bourgeois.
Tutto tornava e s'incastrava alla perfezione nella sua testa adesso.
Una faida tra due famiglie nata dal niente, creata e alimentata dall'uomo che aveva davanti.
Adrien si alzò veloce, avvicinandosi alle sbarre e stringendole con tutta la forza che aveva, osservando l'uomo dall'altra parte mentre si muoveva per la stanza, la figura imponente che quasi sembrava riempire l'intera stanza: André Bourgeois non gli era mai sembrata una minaccia, non gli aveva mai provocato nessuna sensazione di pericolo.
Non come ora.
Il marionettista dietro tutto.
Come poteva essere stato tanto cieco da non capirlo? Da non comprendere che dietro quell'aria bonacciona, si nascondeva il vero artefice di tutto.
«Sai, ho sempre pensato che saresti stato una pedina più semplice da usare» continuò André, sistemandosi contro la parete opposta alla cella: «Eri così succube di tuo padre, che ho sempre pensato che saresti stato l'ideale: un reggente alla mia completa mercé, ma la tua ribellione mi ha portato qualcosa di migliore fra le mani.»
«Sabine Dupain sta per far rivoltare l'intera Paris.»
«Oh. Lo so» l'uomo si portò una dito alla bocca, massaggiandosi le labbra e sorridendo: «E sarà veramente la miglior soluzione per tutti: Sabine Dupain e Gabriel Agreste periranno entrambi in questa rivolta, così come i loro eredi, e gli unici che ne usciranno illesi saranno i Bourgeois: Paris avrà bisogno di una guida e una volta sancito l'unione fra mia figlia e Nathaniel Kurtzberg, attuale erede del trono, io sarò colui che riporterà la città all'antico splendore, eliminando ogni traccia di quelle due famiglia che, seguendo i loro egoistici scopi, non hanno fatto altro che affamare e distruggere la nostra gente.»
«Tu…»
André sorrise, avvicinandosi alle sbarre e fissandolo negli occhi: «Ma non è ancora il momento. Ti lascerò qui, con la consapevolezza che questi saranno i tuoi ultimi momenti e che non potrai fare assolutamente nulla per i tuoi cari. Niente di niente. Tuo padre morirà e tu sarai qui, il tuo migliore amico e anche la fanciulla per quale sei fuggito…tutti, nessuno escluso. Mi chiedo solo: riuscirò ad ucciderti io oppure ti suiciderai?»
 
 
 
Sabine si mosse, avvertendo il peso dell'armatura che indossava, sentendolo a ogni movimento che faceva: non era mai stata una combattente, non era mai stata una guerriera, ma c'erano cose che andavano fatte e comandare la rivolta, essere a capo di tutto, era una di quelle.
Si portò una mano al collo, stringendo con forza la fede che aveva sempre portato con sé, quasi come assimilando la forza da questa.
Era arrivata l'ora in cui la sua vendetta si sarebbe compiuta, in cui il sangue di Tom sarebbe stato ripagato con quello degli Agreste.
Era giunto il momento.
Si portò una mano al fodero della spada, stringendo la mano sull'elsa e sguainandola con lentezza, avvertendo il peso del metallo fra le dita: «Popolo di Paris» esclamò, alzando il mento e guardando con lo sguardo le persone riunite davanti a lei: «Quest'oggi sarà il nostro giorno! Quest'oggi scacceremmo il tiranno dalla nostra terra! Quest'oggi riporteremo alla gloria il nome dei Dupain!»
 
   
 
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