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Autore: Elisa_Pintusiana_Snape    30/01/2018    0 recensioni
Le storie di cui vado a raccontare sono quelle di persone comuni che, come tutti, hanno vissuto e affrontato la vita con i suoi drammi e le sue gioie. Persone con storie diverse , che condividono gomito a gomito le loro esistenze.
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3


"Un sorriso è felicità, due sono complicità"


Desiderare di vedersi era diventata una cosa sempre più urgente e necessaria, come se i due non riuscissero ormai a vivere senza godersi l’ uno la compagnia dell’ altro. James era spesso in viaggio e quando poteva, tra un incontro a Londra e un comizio a Bruxelles, cercava in tutti i modi di vedere Marco, anche per passare solo mezz’ ora insieme. Mezz’ ora, il tempo di un caffè e quattro chiacchiere. Difficile contare le volte in cui James si era privato di qualche ora di sonno per vederlo, di quante volte si erano seduti al tavolino di un bar con l’autista di Morrison appoggiato alla berlina nera, prontissimo a scortarlo in aeroporto al segnale del suo capo. Il tempo non lasciava loro pietà e più si vedevano più era difficile resistere alla lontananza. Si mandavano tantissime lettere, email e James spesso spediva delle cartoline dei luoghi che visitava. Una volta James, partito alla volta di  New York per lavoro, andò al Museum of Modern Art, il famosissimo museo della Grande Mela e inviò a Marco una cartolina proprio acquistata in quel museo dove era raffigurato uno dei dipinti più famosi di Van Gogh “Notte stellata”, simbolo del grande pittore. Sul retro della cartolina James scrisse:

3 aprile 1998
“Non so nulla con certezza, ma la vista delle stelle mi fa sognare”
Vincent Van Gogh


A volte anche solo questo, solo una frase bastava per capirsi. La chimica straordinaria che c’ era fra loro affondava le sue radici nell’ incredibile capacità di sapersi dire tutto senza doverlo fare davvero. Riuscivano a capire cosa pensasse l’ altro attraverso gli argomenti finemente scelti appositamente perché l’ altro ne comprendesse il significato. Perché concludere una lettera con un verso di Montale piuttosto che di Thomas Hardy? Tutto aveva un perché, tutto era raffinatamente scelto. Era come un gioco, una caccia sapientemente portata avanti dove si attirava l’ altro nella propria tela, lo si imprigionava nei significati di quelle parole e lo si vedeva districare la tela raffinatamente cucita. Erano reciprocamente necessari.

La vita di Marco non era felice come la si potesse immaginare, tanto giovane quanto carico di sofferenza. Una malattia lo aveva costretto a ritmi che non appartengono ad un bambino il cui unico compito è quello di correre, giocare, sporcarsi di fango i pantaloncini appena comprati, affondare le tenere manine nella terra alla ricerca di vermiciattoli, intrugliarsi le labbra con la marmellata e inseguire un aquilone od un pallone. Le cose per Marco erano andate diversamente, affetto da una grave malattia al cuore aveva passato l’ infanzia a osservare il cielo fuori da una finestra, circondato da personale nella sua grande villa che cercava in tutti i modi di tenerlo in casa. Avrebbe voluto così tanto lanciarsi in quelle corse sfrenate con il suo fratellino nei bellissimi giardini, prendere la bici e sfrecciare per la strada sterrata che portava al boschetto vicino.

“Da ragazzo spiare i ragazzi giocare 
al ritmo balordo del tuo cuore malato 
e ti viene la voglia di uscire e provare 
che cosa ti manca per correre al prato, 
e ti tieni la voglia, e rimani a pensare 
come diavolo fanno a riprendere fiato”


Così cantava Fabrizio De Andrè e sono le parole esatte per illustrare la vita di Marco che spiava il mondo. Mentre tutti i bambini il mondo non lo spiavano ma lo vivevano, facevano una grande scorpacciata di vita, si facevano baciare dal sole per ore ed ore, Marco la vita la assaggiava piano piano.

“e mai poter bere alla coppa d'un fiato 
ma a piccoli sorsi interrotti”


Anche in questo caso le parole di altri esprimevano perfettamente la vita e le emozioni di Marco, il piccolo conte che sognava la vita dalla finestra della sua camera, con un libro in grembo e la morbida guancia poggiata sul palmo della mano.

Per la prima volta nei sue vent’ anni Marco aveva trovato qualcuno che lo facesse sentire davvero vivo, come se niente potesse fargli del male e il suo cuore battesse un ritmo esatto, a tempo con quello di James, una sinfonia solo loro. Tutto questo non se lo erano mai detti, Marco temeva il solo pensiero di provare attrazione per un uomo, immaginarsi la reazione del padre gli faceva accapponare la pelle. Qualunque cosa fosse quella che sentivano non se la erano mai detta, ma avevano fatto sì che quadri, melodie e parole esprimessero al posto loro questo sentimento mai provato prima. Al ritorno di un viaggio a Berlino James aveva deciso di invitare Marco a casa sua per poter restare un po’ soli, niente intromissioni, niente di niente. Loro due, un divano e una bevanda calda. Era il 4 novembre 1999, Milano aveva assaporato la prima vera gelata dell’ anno e per le strada le persone già indossavano pesanti cappotti e berretti di lana scaldavano le orecchie di centinaia di milanesi. James non aveva sentito repliche e aveva trascinato Marco a casa sua facendogli posare i pesanti tomi universitari “James, devo studiare è davvero import..” James non gli fece terminare la frase, chiuse il pesante libro di Contini e gli sorrise “Hai tutto il tempo che vuoi per studiare quando io non sono qui, ma adesso vieni con me”, Marco si fece convincere e lo seguì . “Posso trattenermi poco” aggiunse mentre erano in auto “Ho frequentato Oxford” disse in tutta risposta James e, quando si rese conto che Marco non capiva cosa intendesse, sorrise dolcemente “So perfettamente cosa vuol dire dover studiare molto, Oxford è un’ Università estremamente prestigiosa”. Non era tipo da vantarsi James Morrison, ma vedere gli occhi di Marco brillare di ammirazione per lui fu una grande vittoria “Ci sono tante cose di me che non sai e altrettante poche  io ne so di te. Intendo conoscere tutto ciò che devo sapere su di te, Marco” i due si sorrisero. La casa di Morrison era molto grande, ma se la villa di Marco ricordava gli antichi palazzi nobili, anzi, era uno di essi, la villa di James sprigionava innovazione e ultime tendenze da ogni parte. Un po’ asettica e non solo per la presenza quasi insistente del colore bianco che dava un senso di pulizia, ma perché quella casa trasmetteva la freddezza di un edificio il cui proprietario ha vissuto ben poco. Non era una casa, era un’ abitazione. Casa è famiglia, amore, quell’ edificio era pieno di costosi mobili scelti con grande cura, ma non c’ erano foto, non c’ era niente che attestasse l’ effettiva appartenenza di James a quel posto. “Non sono tipo da riempire la casa di foto e souvenir” disse semplicemente James togliendosi cappotto e giacca. Marco fece lo stesso stupito, ma neanche così tanto ormai, che James gli leggesse nel pensiero. “Come mai?” “Non ho dei ricordi che valgano la pena di essere conservarti e poi, guardati intorno” Marco seguì con lo sguardo l’ ampio gesto delle mani di James “Qui è tutto come se fosse nuovo, una casa di cristallo” “Tutti hanno dei bei ricordi” “Sì, ma conservarli in un posto dove non vengo mai che senso avrebbe? Che ci faccio col diploma appeso se nessuno, nemmeno io, può guardarlo e ricordarsene?”. James sorrise vedendo lo sguardo un po’ perso di Marco che si era focalizzato all’ analisi delle mura immacolate della casa.

Si accomodarono sul divano e iniziarono a parlare, come era loro consuetudine, di qualunque cosa passasse loro per la mente, ma senza banalità, quella la lasciamo a chi non possiede arte dentro di sé. “Devo andare, James” disse Marco ad un certo punto con un tono di voce che esprimeva la poca voglia che aveva di tornare a casa “No, resta” rispose James “Ti prego”. Detto questo strinse il giovane in un abbraccio passando di tanto in tanto la mano sul suo viso “Non andartene, non adesso” “Non voglio andarmene, ma..” non riuscì nemmeno a completare la frase, non voleva sottrarsi a quell’ abbraccio. Per quanto tutti lo avrebbero trovato sbagliato a lui piaceva stare fra le braccia di James, gli piaceva il calore della sua pelle, il suo profumo, era tutto perfetto.

  
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