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Autore: Seeph    30/01/2018    1 recensioni
Taehyung aveva lasciato l'università per Hoseok, aveva lasciato la casa dei suoi genitori a soli diciassette anni e abbandonato i suoi amici. Si era trovato tre diversi lavori e ancora non bastava. Forse mai sarebbe bastato.
{ vhope } || 2131 words
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jung Hoseok/ J-Hope, Kim Taehyung/ V
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Phrenēsis
 
 
Le lancette dell’orologio da parete segnavano le tre e diciassette minuti, difficile decretare se si riferissero al giorno o alla notte. Quelle lancette avevano smesso di muoversi almeno due settimane prima e nessuno si era preoccupato di sostituire le pile scariche. L’orologio aveva smesso di funzionare, un po’ come tutte le cose in quell’appartamento nel quale si trovava ormai da tanti anni, e come i due ragazzi che lo abitavano.
Anche quella sera Hoseok, come di consueto, ritornò a casa tardi. Taehyung, assonnato e stremato per via della lunga giornata lavorativa, seduto sul divano logoro del soggiorno ad aspettarlo, balzò in piedi appena sentì la porta d'ingresso sbattere.
Dove sei stato? avrebbe dovuto domandargli. Eppure: “Stai bene?” chiese semplicemente il più giovane voltandosi nella sua direzione e guardandolo attraverso alcune ciocche troppo lunghe della sua frangia, tinte di un lilla oramai sbiadito.
Perché, per quanto volesse sapere dove fosse stato o cos'avesse fatto per tutto il giorno, gli sarebbe importato sempre un po’ di più del suo reale stato fisico ed emotivo. E fu proprio questo il problema da quanto Kim Taehyung conobbe Jung Hoseok due anni prima.
Lo incontrò per la prima volta una sera in un parcheggio semi desolato. Un mucchietto di pelle e ossa, fresco di pestaggio, sul punto di svenire. Taehyung l’aiutò a rimettersi in piedi e, sotto indicazione di quello strano ragazzo, lo riaccompagnò a casa prendendosi persino la briga di entrare con lui, medicargli le ferite e metterlo a letto. Fu difficile comunicare, lo sconosciuto continuò a fissarlo con quel suo sguardo penetrante e al contempo vacuo, senza però mai parlare.
Taehyung avrebbe presto scoperto che non avrebbe mai avuto il privilegio di ascoltare la sua voce. Il minore non gli avrebbe mai chiesto se quella di rimanere in silenzio fosse una condizione o una libera scelta.
Quella sera, dopo aver rimesso prevalentemente in sesto quel ragazzo, Taehyung, spinto da un’incontrollata curiosità, solo dopo essersi assicurato che stesse effettivamente dormendo, frugò tra la sua roba. Riesumò decine di bollette mai pagate, una marea d’ingiunzioni e altri documenti per lui privi di significato. Sotto la pila di fatture scoprì tre certificati di morte: quello di un uomo e una di donna di mezza età e quello di una ragazza ancora minorenne. Poi la sua carta d’identità. Jung Hoseok, nato il diciotto febbraio millenovecentonovantaquattro a Gwangju, cittadinanza coreana, residenza Seoul, stato civile libero, professione studente. Taehyung ritrovò anche un quotidiano vecchio di circa tre anni, in prima pagina il tragico incidente stradale avvenuto appunto tre anni prima. Se ne parlò per mesi di quel grave incidente avvenuto sull’autostrada, un frontale con tre morti e un ferito.
Così da quel giorno Taehyung cominciò a combattere. Combattere per se stesso, per mantenere quel briciolo di sanità mentale rimastagli, e combattere soprattutto per evitare il crollo definitivo di Hoseok. E quella sera ovviamente non fece eccezione.
Taehyung avrebbe voluto aggirare il divano che li separava ma qualcosa lo trattenne dall’avanzare e: “Hoseok, stai bene?” chiese ancora una volta.
Ma tutto ciò che fece l’altro fu rimanere in silenzio e guardarlo negli occhi. Due profondi pozzi abissali neri come l’ossidiana, vuoti come l’anima alla quale appartenevano e spaventosi come la morte. Il minore, per un attimo soltanto, ebbe timore di quello sguardo, un po’ come se qualcosa di oscuro lo stesse guardando e al contempo spiando attraverso quegli occhi.
Hoseok si sfilò lentamente la giacca di pelle nera abbandonandola sul pavimento ai suoi piedi. Levò la t-shirt, anch’essa nera, da sopra la testa riservandole lo stesso infelice destino dell’indumento precedentemente sfilato. Rimase a petto nudo –il minore trattenne il respiro quando si ritrovò di fronte il suo corpo martoriato- e, dopo aver fatto scivolare i suoi piedi fuori dagli anfibi laccati con il solo ausilio dei talloni, s’avviò verso la loro camera da letto.
Taehyung rimase fermo al proprio posto guardando il maggiore allontanarsi lungo il corridoio non illuminato dinnanzi a sé, lo seguì con lo sguardo fino a vederlo scomparire nel buio, quasi come se ne fosse parte integrante. Hoseok aveva vissuto nelle tenebre per troppo tempo, diventando infine lui stesso oscurità.
Tante volte Taehyung si era chiesto cos’avesse fatto di male per meritare Jung Hoseok nella sua vita. Quel ragazzo che, da quando si era insediato nelle sue giornate, non aveva fatto altro che metterlo sotto pressione e in una posizione di costante precarietà. Quel ragazzo che pian piano, giorno dopo giorno, sembrava star risucchiando la sua forza vitale. Hoseok lo stava trascinando a fondo con lui, inesorabilmente, in modo irreversibile, e Taehyung lo sapeva, così come sapeva che non sarebbe durata per sempre.
Tante volte aveva cercato di aiutarlo davvero, anziché assecondarlo e basta, e altrettante volte si era ripromesso di lasciarlo. Avrebbe preso tutte le sue cose, cambiato numero di telefono e sarebbe sparito senza più farsi trovare da nessuno. Ricominciare da capo e cancellare Jung Hoseok dalla sua vita, chiudendo definitivamente quel capitolo, strappando quelle pagine dal libro del suo destino e bruciandole. Ecco cos’avrebbe fatto. Ma allora perché l’armadio di Hoseok era ancora pieno per metà dei suoi vestiti? Perché sulla libreria, tra i pochi libri del maggiore, c'erano anche i suoi? E soprattutto, perché non riusciva a troncare quella relazione nonostante gli arrecasse più dolore che felicità?
Taehyung vagò per un po’ per l’ambiente unico, composto da salotto e cucina, del monolocale. Quel minuscolo appartamento che, nonostante i suoi sforzi, era messo sempre piuttosto male. Il minore faceva ciò che poteva per rendere vivibile quel posto ma più lui cercava di darsi da fare, più Hoseok faceva involontariamente di tutto per rendere miserabili le loro esistenze. Portò i suoi occhi sulla catasta di stoviglie ancora sporche nel lavello, sul cesto dei panni sporchi poggiato sulla lavatrice rotta, sullo schermo spaccato del televisore dietro di lui e sul tappeto, quello ancora impregnato del vomito dell’altro occupante dell’appartamento.
Era ormai diventata una routine per Taehyung ritrovarsi a pulire ciò che Hoseok non riusciva a tenersi nello stomaco. Aveva smesso di fargli schifo alla ventitreesima volta nella quale si era ritrovato a farlo. I primi tempi era stato costretto a correre in bagno e arpionare i bordi del water, riversando quasi parte della sua anima e, insieme al cibo consumato, innumerevoli rimpianti. Ma adesso, a distanza di due anni, il giovane aveva sviluppato uno stomaco d’acciaio.
Taehyung aveva lasciato l’università per Hoseok, aveva lasciato la casa dei suoi genitori a soli diciassette anni e abbandonato i suoi amici. Si era trovato tre diversi lavori e ancora non bastava. Forse mai sarebbe bastato. Se Hoseok fosse stato un normale ventunenne, sarebbero potuti andare all’università insieme e uscire la sera e parlare di tutto e niente e ridere finché i muscoli dello stomaco non avrebbero fatto esageratamente male. Ma Hoseok non era normale.
Taehyung si asciugò una lacrima, frutto del nostalgico pensiero di una vita che mai avrebbe avuto, e raggiunse Hoseok in camera da letto. Lo riscoprì seduto sul pavimento in prossimità della finestra, ai piedi della tenda dai toni chiari; solo la lampada posta sul comodino a rischiarare debolmente l’ambiente. Taehyung lo guardò a lungo rimanendo immobile sull’entrata della stanza.
“Hoseok,” lo richiamò il minore e lui si voltò, “perché non parli?”
Il maggiore non rispose continuando a graffiare la porzione di pelle posta appena sotto la clavicola. Taehyung si accorse troppo tardi di ciò che stava facendo e lo fermò solo quando oramai la pelle era stata lacerata e il sangue già finito sotto le sue unghie. Si chinò di fronte a lui spostandosi di lato per permettere alla luce della lampada alle sue spalle di arrivare ad illuminare il corpo di Hoseok.
“E’ uno dei tanti modi per non sentire il vero dolore?” domandò Taehyung, più a se stesso che al ragazzo di fronte a lui. Sfiorò delicatamente la pelle martoriata e ritornò a posare il suo sguardo in quello del maggiore. “E’ per questo che continui a farti del male?”
Taehyung fece scorrere i propri occhi sulla pelle candida di Hoseok soffermandosi su ogni graffio, ogni cicatrice e ogni singola ferita non ancora rimarginata. Fu a quel punto che Taehyung, forse davvero per la prima volta, capì. Comprese le sue motivazioni che, per quanto folli e malsane potessero risultare, erano pur sempre un'apparente buona alternativa.
“Queste non sono nulla, vero?” chiese ancora, tracciando delicatamente la scia di ferite lungo il suo torace. “Paragonate a ciò che hai qui dentro, intendo” precisò adagiando cautamente il palmo della propria mano sul suo petto.
Sorrise tristemente ritornando a guardare Hoseok negli occhi e sentendo i battiti del suo cuore contro il palmo posato su quella porzione di pelle calda. Il maggiore annuì, rispondendo così alla sua precedente domanda, non abbandonando mai il suo sguardo. Taehyung rimase immobile per un tempo indefinito beandosi di quel fugace attimo di quiete apparente. Perché sapeva bene che tra poche ore la sua sveglia avrebbe suonato e lui sarebbe dovuto andare a lavoro e, come tutti i giorni, si sarebbe spezzato la schiena per guadagnarsi qualcosa. E poi sarebbe ritornato a casa stanco morto, ma avrebbe comunque tentato di riordinare l’appartamento e la sera Hoseok sarebbe ritornato a casa tardi, ogni volta messo sempre peggio di quella prima. E Taehyung sapeva che una sera, forse tra nemmeno troppo tempo, Hoseok a casa non ci sarebbe più ritornato e a quel punto se ne sarebbe andato anche lui, lasciandosi alle spalle quel monolocale impregnato di sofferenza e quella vita ignobile.
“Ti prego, lasciati andare” sussurrò Taehyung contro la spalla nuda dell’altro.
Hoseok improvvisamente afferrò il suo polso stringendo la presa su di esso e Taehyung sussultò a quel contatto inaspettato. Lesse negli occhi del maggiore quella che gli sembrò paura e anche lui ne ebbe, paura che l’istante dopo parve fondersi con dell’oscuro ed irrefrenabile desiderio. Perché Hoseok era un disastro di uomo ma Taehyung lo amava. Dio, come faceva ad amare quello che tutti avrebbero considerato un rifiuto umano? Il minore non sapeva che cosa effettivamente fossero lui e Hoseok. Coinquilini? Amici? Amanti? In un paio d’occasioni in passato c’erano stati degli scambi di sguardi particolarmente intensi, degli sfioramenti fugaci che chiunque avrebbe potuto riconoscere come equivoci. Non erano però mai andati oltre quell’unico casto bacio scambiato una notte di tre mesi prima.
Fu in quell’esatto momento che Taehyung smise di pensare e si permise di lasciarsi guidare dall’istinto. Sarebbe caduto in basso, così tanto da non riuscire più a risalire. Si sarebbe  lasciato cadere di sua spontanea volontà nell’abisso, ma non importava ciò che sarebbe successo dopo, perché lui lo voleva e se l’avesse voluto anche Hoseok allora non l’avrebbe impedito.
Il maggiore portò lo sguardo sulle sue labbra e poi di nuovo nei suoi occhi.
“Vuoi baciarmi?” azzardò Taehyung e quando l’altro dischiuse le labbra per lasciare andare un sospiro, realizzò di essere irrimediabilmente perso.
Perché Kim Taehyung si era gettato a capofitto in un’impresa troppo più grande di lui.
Perché Jung Hoseok era rotto e, in fondo, anche Taehyung sapeva che non sarebbe mai stato in grado di riaggiustarlo.
Allora Taehyung prese il suo volto tra le mani e lasciò andare un sospiro a sua volta socchiudendo gli occhi. “E allora fallo” sussurrò contro le sue labbra.
Hoseok non se lo lasciò ripetere una seconda volta e lo fece. Lo baciò come se fosse la cosa più naturale del mondo. Come se mille volte l'avesse già fatto e altre mille avrebbe dovuto farlo. Non si trattò mai di un dovere; Hoseok, così come Taehyung, scelse di farlo. Che poi a quel folle desiderio si aggiunse naturalmente del piacere, ciò fu irrilevante. Nel giro di qualche istante si ritrovarono privi d’indumenti, impegnati a scoprirsi e bramarsi come credevano che non avrebbero mai fatto. Hoseok era confuso e Taehyung in cuor suo sapeva che probabilmente il maggiore non sarebbe mai stato capace di amarlo davvero, né di mettere fine a quelle sofferenze. Perché mettere fine alle sue pene sarebbe equivalso a cancellare se stesso dall’esistenza. Perciò se Taehyung, per stare insieme a Hoseok, avrebbe dovuto vivere nella paura e nel dolore, allora l’avrebbe fatto.
Hoseok lo strattonò e lo baciò con passione e trasporto, gli fece male ma Taehyung non si oppose. Non si ritrasse mai dal suo tocco, nemmeno quando Hoseok, in un impeto di bramosia, gli tirò i capelli sulla nuca facendolo gemere forte e affondò i denti nel suo collo mordendolo e massacrando la sua pelle.
Taehyung pensò al domani, a come sarebbero cambiati e cosa avrebbero fatto aspettando l’inevitabile. Pensò a tante altre cose finché le azioni del maggiore non furono in grado di fargli dimenticare persino il suo nome. E Taehyung raggiunse il baratro della sua fragile esistenza, legata per sempre a quella di Hoseok in un tacito ed indissolubile accordo.
E magari per una notte, una soltanto, entrambi avrebbero potuto fingere di star bene.
   
 
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